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SETTIMA SERIE

AVVERTENZA

l. Questo undicesimo volume dellla serie VII inizia col 5 settembre 1931 e termina col 31 marzo 1932. È stata scelta questa data finale perché il negoziato italo-francese -la questione centrale trattata nel volume -si esaurisce nel corso del marzo 1932.

2. -La documentazione è tratta prevalentemente dall'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, sia dalla Serie politica 1931-1945 che dall'Archivio di Gabinetto. I documenti di questa seconda serie, costituenti finora le carte Lancellotti e altri fondi, sono in corso di riordinamento e inventariazione a cura del Prof. Pietro Pastorelli. - 3. -Qualche documento, pubblicato nel testo o usato come integrazione nelle note, proviene dall'Archivio Storico dell'ex Ministero dell'Africa Italiana, dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Mal'ina e da svariati fondi conservati pl'esso l'Archivio Centrale· dello Stato.

Il contributo dato datll'archivio personale di Dino Grandi ha consentito di ampliare in misura notevolissima la documentazione dell'Archivio Storico del Ministero.

4. -Alcuni documenti erano già editi: i numeri 41 e 140 in R. RAINERO, La rivendicazione fascista sulla Tunisia, Milano, 1978; l'allegato al numero 57 in R. DE FELICE, I rapporti tra fascismo e nazionalsocialismo fino all'andata al potere di Hitler (1922-1933). Appunti e documenti, Napoli, 1971; i numeri 79 ·e 161 -tradotti in inglese -in R. CoLLIER, Duce! The Rise and Fan of Benito Mussolini, London, 1971; i numeri 128, 160 e 220 in F. PERFETTI, Alle origini degli accordi Laval-Mussolini: alcuni contatti itala-francesi del 1932 in materia coloniale, in c Storia contemporanea •, 1977, pp. 683-748; i numeri 205 e 210 in A. CoRSETTI, Dalla preconciliazione ai Patti del Laterano. Note e Documenti, estratto dali' c Annuario 1968 della Biblioteca Civica di Massa •, Lucca, 1969; il numero 205 è stato ripubblicato in R. DE FELICE, Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, 1974; il numero 226 in R. GuARIGLIA, Ricordi 1922-1946, Napoli 1949, e poi in F. PERFETTI, op. cit., il numero 304 in Dokumenty vnesnei politiki SSSR, vol. XV. 5. -Nel licenziare il volume desidero ringraziare il prof. R. De Felice, che ha messo a disposizione della Commissione l'Archivio Grandi; il Dr. Jens Petersen, dell'Istituto Storico Germanico in Roma, che ha fornito notizie su

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alcune personalità del nazionalsocialismo; il dott. Francesco Lefebvre d'Ovidio, che mi ha segnalato l'esistenza nelle Carte dd Gabinetto di copie dei documenti relativi alle conversazioni parigine di Theodoli; la dott. Emma Ghisalberti, che ha collaborato alla correzione delle bozze e ha compilato col consueto acume l'apparato critico.

GIAMPIERO CAROCCI

PRINCIPALI ABBREVIAZIONI

ASMAE = Archivio Storico del Ministero Affari Esteri. ASMA! = Archivio Storico dell'ex Ministero Mrica Italiana. ACS = Archivio Centrale dello Stato. ACS, Vescovi = Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzio

ne Generale Mfari di Culto, Vescovi. DB = Documents on British Foreign Policy, serie seconda. BAER = G. W. BAER, La guerra italo-etiopica e la crisi dell'equilibrio europeo,

Bari, 1970. CORSETTI = A. CORSETTI, Dalla preconciliazione ai Patti del Laterano. Note e Documenti, estratto dall' • Annuario 1968 della Biblioteca Civica di Massa •, Lucca, 1969, pp. 149-225. DE FELICE. Mussolini = R. DE FELICE, Mussolini it duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, 1974. DE FELICE, I rapporti = R. DE FELICE, I rapporti tra fascismo e nazionalsocialismo fino all'andata al potere di Hitler (1922-19.33). Appunti e Documenti, NapoLi, 1971. DEL BOCA = A. DEL BOCA, Gli italiani in Africa Orientale. La conquista

dell'Impero, Roma -Bari, 1979. GUARIGLIA = R. GUARIGLIA, Ricordi 1922-1946, Napoli, 1949. HOPTNER = J. HOPTNER, Jugoslavia in Crisis, 1934-1941, New York -

London, 1962.

PERFETTI = F. PERFETTI, Alle origini degli accordi Laval-Mussolini: alcuni contatti italo-francesi del 1932 in materia coloniale, in • Storia contemporanea •, 1977, pp. 683-748.

PETERSEN, Hitler e Mussolini = J. PETERSEN, Hitler e Mussolini. La difficile alleanza, Roma -Bard, 1975.

RAINERO = A. RAINERO, La rivendicazione fascista sulla Tunisia, Milano,

1978. SALVEMINI, Preludio = G. SALVEMINI, Preludio alla seconda guerra mon diale, Milano, 1967. XIII

Provenienza

e data

l Addis Abeba 7 settembre 1931

2 Atene 7 settembre 1931

3 Ginevra 9 settembre 1931

4. Ginevra 10 settembre 1931

5 Ginevra 10 settembre 1931

6 [Ginevra] 10 settembre 1931

Mosca 11 settembre 1931

8 Roma 12 settembre 1931

9 Vienna 16 settembre 1931

IO Vienna 16 settembre 1931

Il Vienna 16 settembre 1931

12 Vienna 17 settembre 1931

Ginevra

17 settembre 1931

14, Ginevra 17 settembre 1931


DOCUMENTI
1
1

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO', AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

T. 15712. Addis Abeba, 7 settembre 19.31, ore 19 (per. ore 4 dell'B) (1).

Tuo telegramma 22 (2). Penso anche io sia necessario per me venuta in relazione alla politica abissina anche in considerazione mutate relazioni cordiali franco-etiopiche. A questo riguardo informati che Scammacca partito per gravi ragioni di famiglia è latore di un documento segreto (3) che non ho voluto affidare alla cifra su cui richiamo tua speciale attenzione.

Abbiamo parlato in termini generali con Astuto e concordiamo completamente; egli mi ha ,espresso desiderio trovarci contemporaneamente a Roma.

Conterei partire appena fosse qui giunto Moreno anche perché dottore ritiene mio viaggio necessario per mia salute. Spero tuttavia prima di sistemare questione tasse (4) e possibilmente porre questione radio (5) su un terreno meno pericoloso dell'attuale. Le altre questioni potranno essere meglio sviluppate dopo che direttive politiche saranno state l'li-esaminate.

2

IL MINISTRO AD ATENE, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 5384/755. Atene, 7 settembre 19.31.

L'ufficiosa Estia pubblica talune informazioni da Londra dalle quali risulterebbe non soLtanto la qecisione inglese di non concedere più prestiti all'estero, ma anche quella di adottare certe misure per ridurre i credirti stranieri della Ci'ty e far rientrave a Londra del denaro impiegato in altri paesi.

l

Il giornale aggiunge che queste importantissime decisioni inglesi non permettono più alla Grecia di far conto sul mercato inglese per i prestiti futuri che sono indispensabili allo svolgimento del suo programma di riorganizzazione economica e di messa in valore del Paese. In tali condizioni, lo Stato ellenico, -prosegue il giornale in una nota ufficiosissima -deve rivolgel'SIÌ altrove per assicurarsi i fondi necessari alla continuazione dei lavori prodlllttivi incominciati e tutto fa ritenere che nel gennaio prossimo, o al più tardi in primavera, un altro prestito potrà essere concluso su un altro mercato finanziario che secondo ogni probabilità sarà quello francese, dato che quello americano non sembra favorevole per il momento.

Questa pubblicazione dell'Estia conferma pienamente le segnalazioni ed osservazioni contenute nel rapporto n. 539 che ebbi ll'onore di inv·iare a V. E. il 29 Giugno u.s.

La Grecia, spinta dalle sue necessità di denaro, si vede costretta a ritornare a Parigi ed a volgersi di nuovo con occhio benigno a quella Francia contro cui i mesi sco~si combattè un'asp~a battaglia per i vini, e dalla quale ·da un anno a questa parte -riceveva rimproveri, sfuriate e perfino minacce, accusa•ta (anche dal Temps) di averle voltato le spalle per avvicinarsi troppo all'Italia.

È certo che la Francia è il solo Paese in questo momento che possa, forte delle sue riserve oro, aspettare tranquillamente che le velleità dei piccoli Stati di sottrarsi alla sua pesante egemonia svaniscano dinanzi al bisogno più o meno urgente di denaro che questi hanno. Mai come oggi l'oro è apparso il miglior mezzo per assicurarsi dei vassalli in Europa e la Francia saprà profittare anche qui della situazione, cercando di assicurare, con più solidi nodi, questa Grecia che il Sig. Venizelos pensava di poter lentamente rendere meno supina al giuoco della politica francese nei Balcani e nel Le<vante.

Le difficoltà dei mercati di Londra e di New York lasciano libero il campo alla finanza parigina e quindi alla politica del Quai d'Orsay e prevedere che l'Italia dovrà sopportarne il maggiore e più grave danno non soltanto nei suoi interessi politici ma anche in quelli commerciali, non è purtroppo difficile.

Su tale previsione, ritengo necessario richiamare la speciale attenzione dell'E. V. perché .se sarà possibile, com'è augurabile, esamini la convenienza di poter in qualche modo testimoniare alla Grecia che il risparmio italiano è preparato, come sa fare per la Francia quello francese, ad assicurare all'ItaJia quei prestigiO e quella potenza che fa•ticosamente va conquistando (l).

(!J L:uca l'opportunità che l'Italia partecipasse a un prestito chiesto dal governo greco cfr. quanto comunicava Bastianini con telespr. r. 7976/1070 del 9 dicembre 1931. Bastianini cosi concludeva:

• Se oggi la possibilità di una nostra partecipazione esista o meno, non è a mia conoscenza, ritengo tuttavia di dover confermare, per il caso che tale possibilità esistesse, il mio punto di vista che cioè tanto maggiormente l'Italia saorà apparire alla Grecia un elemento di forza anche nel campo finanziario e tanto più questa sarà incoraggiata o si sentirà obbligata a seguire una linea politica più indipendente dagli antichi tradizionali protettori, uno dei quali la Francia appare oggi la sola potenza finanziaria capace di soccorrere ai bisogni dei piccoli paesi.

A quanto si dice in taluni ambienti finanziari di Atene, sembra che in Olanda si veda con qualche favore la possibilità di andare incontro alle attuali necessità elleniche e che ur..a combinazione anglo-francese non sia del tutto improbabile •.

(l) -Il tel. fu trasmesso a Roma con preghiera di inoltrarlo a Ginevra. (2) -Trasmesso da Ginevra il 5 settembre, ore 20,30, che non si pubblica. (3) -Allude forse al promemoria ed. in serie VII, vol. X, pp. 711-712. (4) -Per questa questione cfr. ibid., nn. 271 e 293. (5) -Per questa questione cfr. più avanti p, 229, nota l.
3

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (l)

Ginevra, 9 settembre 1931.

Ho atteso qualche giorno a scriverti onde avere, per verità, qualche cosa di interessante da riferirTi. Non potrei dire di averlo neppure oggi, alla fine di questa prima settimana di lavori ginevrini, oltve quello che Tu non conosca già dalle cronache dei giornali. Se elementi nuovi non intervengono, questa sessione è destinata infatti a passare senza uno specifico interesse per quanto riguarda direttamente la situazione internazionale di questo momento. Tu ed io abbiamo del resto preveduto ciò prima ancora che la sessione avesse inizio. La Gran Bretagna assente. Il Capo del Governo francese e il Cancelliere tedesco volutamente assenti. Briand politicamente e fisicamente in scarsa efficienza. Cuvtius prudente e preoccupato a superare le difficoltà conseguenti allo scacco subito in rapporto al progetto dell'Unione doganale austro-tedesca. La politica delle grandi Potenze segna in questo momento, come per un tacito comune accordo, il passo. C'è 1.liil senso di incertezza generale, ed una evidente attesa per quello che Washington sta preparando e su cui ciascun Paese si riserva determinave la propria u1teriore linea di condotta. Autunno stanco quindi, in complesso, dopo un'estate sovraeccitata.

Fra gli avvenimenti pavticolari di certo interesse a cui il teatro ginevrino ha offerto la scena quest'anno, va registrata anzitutto la parte attiva presa da Litvinoff ai lavori della Commissione europea. Secondo le Tue direttive ho ritenuto opportuno appoggiare la Delegazione sovietica, in un modo ragionevole, ed in armonia col nostro a,tteggiamento preso, sin dall'inizio, nella Commissione europea. Ho avuto in seguito uno scambio diretto di idee con Litvinoff, su questioni inter.essanti la politica italiana e quella russa. Su questa conversazione Ti ho già ragguagliato (2).

Poi c'è stata la cerimonia funebre del progetto di Unione doganale austrotedesca, dopo il verdetto dell'Aja. Il verdetto, o meglio l'avviso consultativo dell'Aja, è come Tu hai constatato, una poverissima cosa. Esso ha servito appena appena ad aggiustare la cosa nel nostro interesse. È fuor di dubbio che questo verdetto contiene punti favorevoli alla Germania. E se l'Austria spaventata di non ottenere il prestito dalla Francia non si fosse decisa all'ultimb momento ad una rinuncia pura e semplice, obbligando la Germania a seguirla nolente ·e recalcitrante, sulla stessa strada, le cose sarebbero forse andate meno lisce in una discussione di merito avanti il Consiglio. Bisogna riconoscere che

il giudice italiano. Anzilotti dopo le prime perplessità si è condotto egregiamente, ed il suo parere, se avesse avuto il consenso di tutti, (il che non è avvenuto solo per meschine gelosie professionali tra lui e il giudice francese Fromageot) ci avrebbe assicurato una salvaguardia molto maggiore nei riguardi dell'Anschluss. Io mi sono limitato, come hai visto, ad una presa di

atto sobria e semplice, senza aggiungere altro.

Venerdì scorso ha avuto luog,o al Consiglio la discussione sulla relazione della Commissione dei mandati. Ti ho fatto cenno di questa questione prima di partire, ed ho avuto da Te autorizzazione a regolarmi a seconda delle circostanze (1). Ho creduto utile, non appena giunto a Ginevra, di informare il Governo britannico che mi sarei opposto alle conclusioni da esso appoggiate e raccomandate, naturaJ.mente, dalla Commissione dei Mandati. Poiché l'unanimità dei voti al Consiglio è necessaria su questa questione, l'opposizione italiana significava il rigetto della richiesta inglese, e particolarmente <la messa in pericolo del recente accordo anglo-irakiano. Io avevo detto a Henderson ultimamente a Londra, che gli riservavo una • grossa grana • sulla questione dei Mandati, ove il Governo britannico non ci avesse dato alcune soddisfazioni. Evidentemente gli inglesi non hanno creduto che noi avremmo portato la cosa sino in fondo, e così non hanno fat,to nulla. Quando si sono convinti che dicevamo sul serio, e che io non mi preoccupavo affatto di andare incontro ad una pubblica discussione colla Delegazione britannica in seno al Consiglio, dando cioè la misura di un contrasto evidente tra noi e la Gran Bretagna su questa questione, gli inglesi hanno accettato di discutere le modificazioni da apportarsi alle conclusioni, che per bocca del relatore Marinkovich essi avevano deciso di sottoporre al Consiglio. Qualcosa abbiamo effettivamente ottenuto, ma, come Ti dissi prima di partire, questa questione ha per l'Italia fascista un valore prospettico, politico ideale, assai più che pratico. Si tratta di confermare, in un modo o in un altro, ad ogni occasione utile, lo stato d'insoddisfazione italiana su questa materia, e ricordare che per noi la questione dei mandati non è chiusa. Ecco tutto. Mi pare che sotto questo riguardo, si sia fatto per il meglio, e spero di avere su questo punto la Tua approvazione.

Ieri si è aperta la discussione generale. Mi sono iscritto per primo, ritenendo utile parlare per primo fra i rappresentanti delle Grandi Potenze,

S.d.N. in merito alla cessazione del mandato inglese sull'Irak. Circa l'atteggiamento tenuto dall'Italia in questo problema cfr. l'appunto del successivo agosto 1932, nel quale si legge:

«Nella questione della cessazione del Mandato Irakiano, particolarmente interessante in quanto costituiva il primo caso di cessazione del regime mandatario, l'Italia ha assunto un atteggiamento pienamente favorevole di massima alla cessazione stessa, cercando tuttavia nel contempo di evitare che la Potenza Mandataria si precostituisse una situazione particolare a proprio vantaggio nell'Irak. È noto come soltanto in parte tale scopo sia stato raggiunto, in quanto l'Irak è sostanzialmente entrato nell'orbita imperiale britannica. Tuttavia si è ottenuta la garanzia per dieci anni dell'uguaglianza economica in Irak per tutti gli Stati membri della Lega delle Nazioni, e il riconoscimento della facoltà dell'Irak di scegliere i magistrati stranieri non solo fra quelli britannici, ma fra magistrati di qualsiasi nazionalità.

Si è altresì profittato del momento per ottenere dal Governo irakiano la concessione di una larga zona petrolifera alla Società britannica B.O.D., nella quale, com'è noto, l'A.G.I.P. ha ·una partecipazione •.

anz.itlbé· per ultimG, come sempre è accaduto sinora. Chi pattla per primo ha il vantaggio, se gli va bene, eli im-pestare, sul piano da lui scelto, il dibattito di politica generale all'Assemblea. Naturalmente, se gli va male, egli passa_ come ombra... e non se ne parla più. Sin'ora il rappresentante dell'Italia si è sempre • regolato • (come si diee) su quello che dicevano gli altFi. Bisognava pure, una vGlta tanto, provare di costringere gli altri a " re·golarsi ~

su quello che piace dire a noi.

Come Tu hai visto non ho detto nulla di nuovo o di peregrino. Ho cercato semplicemente di fissare, per la prima volta nell'Assemblea ginevrina, configurandoli il pìù nettamente possibile, alcuni principi della politica estera dell'Italia fascista, quali sono fissati nei Tuoi discorsi, nelle Tue dichiarazioni, nelle esposizioni di politica estera .fatte in Parlamento.

l o -Opposizione a nuovi sistemi di impegni collettivi, quali la Francia concepisce (mutua assistenza, interpretazione dell'art. 16 ecc. ecc.) presentandoli sotto l'aspetto di allargamento o· interpretazione del Patto della Società delle Nazioni.

2o -Difesa del principio della perequazione su livelli minimi della potenza militare degli Stati (v. parità ecc.).

3o -Necessità di una compenetrazione fra .i debiti e le riparazioni.

4o -Critica del sistema delle intese regionali, o aggruppamenti separati di qualsiasi specie, continentali, militari, economici (v. Unione europea, alleanze militari tra la Francia e le Potenze dell'Est europeo, Unione doganale austro-tedesca). I problemi politici e problemi •economici interdipendenti. Essi vanno risolti su un piano mondiale, non particolare (v. intesa franco-tedesca).

5o -Gli Stati non membri della Società delle Nazioni non debbono essere dimenticati (v. Russia e Turchia).

6° -La guerra non ha soltanto distrutto. Essa ha suscitato dei grandi valori morali di cui i popoli debbono tener conto nell'opera di ricostruzione ecc. (grossa novità questa, per questi imboscati di Ginevra).

Più o meno questi i capisaldi. Ho poi creduto opportuno di far scivolare tra le gambe dell'Assemblea le conclusioni cui Tu e Stimson siete giunti nell'incontro di Nettuno, e cioè l'idea di una vacanza negli armamenti (leggi

• armamenti navali • i soli per cui grosso modo, esiste· una misura atta ad applicare provvisoriamente un criterio di vacanza), presumendo arbitrariamente che la Conferenza possa durare un anno, il che è molto improbabile. Tutti ormai sono d'accordo che la Conferenza si riunirà per un'accademia di discorsi, e quindi sospenderà i suoi lavori dando vita ad una serie di commissioni inconcludenti (1).

Il discorso ha avuto -lo dico obiettivamente -un'eco effettivamente notevole. Il Fascismo è entrato a testa alta, circondato da simpatia, da rispetto,

dà considera-zione,: nel massimo teatro .ginevrino; riservato sinora esclusivamente agli spettacoli della democrazia. L'odio verso di noi si è ormai tramutato in serio -rispetto. In :questo momento in cui tutti evitano di dire quello che· pensano per paura· che la finanza francese li strozzi, l'Italia fascista dà un'ev·idente prova di dignità, di forza, e soprattutto di indipendenza assoluta nella sua politica internazionale. È il prestigio del Regime e del Paese che bisogna tenere alto, sopratutto in questo periodo di difficoltà.

Il discorso ha naturalmente irritato i francesi; Se ciò non fosse, dovrei

concludere che noi abbiamo modificato la nostra linea fondamentale. La nostra

azione a Ginevra ha un presupposto, e cioè di creare delle condi:cioni a noi

più favorevol·i per difendere la nostra politica e i nostri interessi. Altrimeruti

non varrebbe proprio la pena di stare qui a giocare di ipocrisia con questa

gente! Ma i Francesi non soffrono che, proprio qui, nel recinto sacro dei loro

successi internazionali, l'Italia venga a disturbarli, e proprio in un momento

che segna un accrescimento della loro potenza. Debbono imparare a valutarci

per quello che oggi, fascisti, siamo.

Naturalmente, sino a che non saprò che Tu sei soddisfatto di questa giornata italiana, ogni altra considerazione ha scarso valore per me (1).

(l) -Questo doc., cit. in DE FELICE, Mussolini, pp. 386-387, scritto verosimilmente il giorno 8, arrivò a Palazzo Chigi il 10 settembre alle ore 19,15 e fu subito portato a Mussolini a Palazzo Venezia da Fani. Cfr. lettera del 10 settembre di Fani a Grandi. Fani riferiva anche su un precedente colloquio avuto lo stesso giorno 10 con Mussolini. « Senza che eglimi abbia detto nulla di preciso ho tratto dal colloquio la sensazione che egli sia contento dello svolgimento dei lavori di Ginevra e dell'azione della Delegazione italiana, cioè della tua. Parlando della Francia S.E. il Capo del Governo ha detto che Lavai e Moret hanno portato questo Paese all'apogeo della sua potenza ma che questo non durerà •. (2) -Cfr. serie VII, vol. X, n. 458, che Grandi trasmise a Mussolini come allegato a una lettera del 4 settembre, non rinvenuta.

(l) Per i precedenti cfr. serie VII, vol. X, n. 405. Cfr. anche il rapporto, datato Ginevra 14 dicembre 1931, col quale Paulucci esprimeva un giudizio negativo sul rapporto della

(l) Il manoscritto così proseguiva, in un passo poi cancellato: «A questo riguardo avevo raccomandato ai corrispondenti italiani di non fare di questa idea (fatta scivolare, ripeto, con garbo e senza insistervi troppo tanto che essa non è concretata, da parte nostra, in nessun progetto di risoluzione) il centro del discorso. Naturalmente i giornali (almenoquelli dell'Alta Italia che leggo in questo momento) con quella insensibilità pacchiana che U contraddistingue, ci hanno picchiato addosso con titoli che eccedono la portata effettiva della cosa •.

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IL CAPO DEL SERVIZIO STAMPA DELLA DELEGAZIONE A GINEVRA, ROCCO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

T. 15. Ginevra, 10 settemb1·e 1931, ore 11,20.

Sarebbe opportuno far osservare al redattore diplomatico Daily Herald come in occasione discorso Grandi settarismo del corrispondente del detto giornale da Gine·vra. che è il noto A Prato, lo abbia indotto a sopprimere segnalazione del discorso che il Daily Herald ha dovuto prendere dalla Agenzia Exchange.

È avvenuto così che l'unico giornale inglese che ha trascurato l'importanza del discorso perfettamente rispondente alle tesi da esso sostenute circa disarmo sia stato proprio l'organo di Henderson (2).

Stamane è venuto l'incaricato d'affari d'Inghilterra a chiedermi se la tregua da te richiesta circa gli armamenti si dovesse intendere sospensione di programmi oppure vera e propria sospensione delle costruzioni già in corso.

Pensando che " volutamente " hai lasciato tale incertezza negli ascoltatori, gli ho risposto che non avevo elementi atti a potergli chiarire il dubbio, che la questione della impostazione della conferenza del disarmo era tutta in un tuo personalissimo lavoro e quindi non mi era possibile su ciò fornirgli una risposta precisa.

Andando dal Capo cercherò di sapere le sue impressioni sul tuo discorso e naturalmente te le comunicherò •. Cfr. anche serie VII, vol. X, p. 279, nota 2.

(l) Cfr. quanto scriveva Fani a Grandi in una lettera probabilmente del 9 settembre (già cit. in serie VII, vol. X, p. 720, nota l): « Oggi si è tutti sotto la impressione del tuo completo, coraggioso, abile e audace discorso di Ginevra. Hai lanciato con destrezza somma la tesi fascista. Tale lancio porterà indubbiamente un po' di utile scompiglio negli altri.

(2) Il te!. proseguiva con questo passo poi cancellato: • Non ho bisogno di indicare le considerazioni che tale fatto può dare occasione di mettere in rilievo •.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, CORA (l)

T. PER CORRIERE 16. Ginevra, 10 settembre 1931, ore 22,10.

Mi riferisco al Suo rapporto N. 2874/926 del 27 agosto scorso.

Ho avuto qui a Ginevra una :Lunga e cordiale conversazione con Malinoff il quale mi ha esposto la situazione interna ed estera della Bulgaria sostanzialmente nei termini rifer.itimi dalla S:V. Ho l'impressione che, date le condizioni del momento e le difficoltà interne in mezzo alle quali egli ha dovuto in data recente assumere il potere, il suo atteggiamento verso di noi non offra per ora né particolari preoccupazioni né possibilità di più precisi orientamenti.

Convengo quindi con V.S. che non si possa far altro da parte nostra che continuare ad aiutare simpaticamente la Bulgaria -in quanto ce lo permettano le circostanze -a superare la grave crisi finanziaria ed economica atttuale, e cercare di mantenerla il più possibile indipendente da influenze troppo prossime, seguendo attentamente lo sviluppo della politica del Gabinetto Malinoff.

Credo opportuno infine informarLa che nella vertenza greco-bulgara -contrariamente a quanto hanno affermato alcuni giornali-non c'è stata nè alcuna richiesta bulgara nè tanto meno alcuna offerta di mediazione da parte nostra, e che mi sono limitato ad esprimere genericamente il mio parere per una pronta e soddisfacente soluzione di ressa (2).

c S.M. ha dapprima espresso la sua piena approvazione per il discorso dell'E.V. a Ginevra di cui ha letto ogni parola e meditato il contenuto; tale discorso ha servito e servirà a sfatare la leggenda di un fascismo bellicoso e provocatore. I risultati si sono già visti nell'approvazione della proposta italiana da parte delle maggiori potenze: si vedranno anche per i Balcani dove i concetti di politica estera solennemente espressi nel consesso

ginevrino serviranno a dissipare i sospetti diffusi o creati ad arte sulle mire recondite

della politica fascista ed " alla Bulgaria non potrà più essere mosso il rimprovero di essere uno strumento della politica imperialista italiana", ed i nostri rapporti potranno essere più intimi e fiduciosi.

Il Sovrano si è mostrato edotto e riconoscente dell'accoglienza che l'E.V. ha fatto al Sig. Malinoff e della benevola attitudine dell'Italia verso la Bulgaria nelle sue vertenze con la Grecia. Per quanto nella questione Molloff-Kafandaris il punto di vista bulgaro sia a suo avviso giuridicamente inoppugnabile, il Sovrano riconosce la necessità di un'intesa con il paese vicino, intesa indispensabile per la Bulgaria nel momento attuale ma anche utile per la Grecia che ha ogni convenienza a intendersi con la Bulgaria per non sottostare da sola alla pressione jugoslava verso Salonicco e per sottrarvisi in parte favorendo l'intesa per la costruzione del ponte sul Danubio fra Romania e Bulgaria e l'avviamento di relazioni e scambi commerciali diretti fra la Polonia, la Romania, la Bulgaria e l'Egeo.

S.M. ha molto insistito sull'importanza della costruzione di questo ponte sul Danubio, confermandomi quanto ho già riferito che anche la Polonia vi è favorevolissima.

Ad un mio accenno alle notizie di un accordo turco-greco-bulgaro in vista dell'entrata della Turchia ana S.D.N., il Sovrano mi ha espresso il parere che sia preferibile raggiungere l'accordo greco-bulgaro direttamente fra i due Governi, senza l'intervento di quello turco "antico alleato di guerra della Bulgaria". Tuttavia il Sovrano teme che l'accordo non sarà facile sia, mi è parso di comprendere, per la scarsa capacità, in genere, dei diplomatici bulgari sia perché il vecchio Venizelos, che ha liquidato tante questioni e disarmato tante ostilità, sembra ostinato a non voler disarmare odii e risentimenti di antica data verso la Bulgaria. Secondo il Sovrano, il Signor Venizelos non avrebbe mai perdonato alla Bulgaria un episodio della guerra balcanica, il rifiuto da parte del Presidente Guéchoff

(l) -Grandi diede disposizione che copia del tel. fosse rimessa in vtswne a Mussolini. (2) -Cfr. quanto comunicava Cora con rapporto 3189/1023 del 2 ottobre, circa un colloquio con re Boris:
6

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO, MARINKOVIC

[Ginevra], 10 settembre 1931.

Marinkovic ha chiesto di vedermi. L'ho ricevuto oggi ed ho avuto con lui una conversazione relativamente lunga.

Gli argomenti coi quali il colloquio si è iniziato sono stati:

-la situazione generale all'Assemblea della Società delle Nazioni;

-la posizione assunta dalla Jugoslavia nella questione delle riparazioni,

che Marinkovic ha tenuto a giustificarmi;

-le preoccupazioni della situazione economico-finanziaria ungherese e gli accenni alle tendenze che si vanno manifestando ad una sua intesa d'ordine doganale coll'Austria.

. Circa eventuali intese economiche austro-ungheresi, Marinkovic mi ha detto di non avere fiducia che il rimedio possa essere efficace. Egli non vede di effettivo che nel piano di largo aggruppamento che fu noto già come • piano Marinkovic • (1).

A QUesto proposito egli accennando alla posizione particolare dell'Italia in tale aggruppamento economico, secondo i suoi progetti, mi ha detto che attende con particolare fiducia e speranza l'imminente apertura dei negoziati commerciali italo-jugoslavi, la cui conclusione non potrà che predisporre il terreno al desiderato chiarimento della situazione politica fra i due Paesi.

In argomento, ho portato il discorso sulla questione albanese, che ho avuto l'impressione che Marinkovic, questa volta volesse, per quanto possibile, sfuggire. Egli si è mostraJto scettico sulle possibilità pratiche di un nostro eventuale intervento in Albania, che sarebbe bastato ad ostacolare la voce anche di pochi e di piccoli Stati nell'ambiente ginevrino. Gli ho replicato che non mi preoccupavo eccessivamente di tali ostacoli e che ,era meglio, ad ogni modo, non fare entrare in discussione ipoteche d'avvenire. Gli ho insistente

(mentre il Re Ferdinando sarebbe stato favorevole) delle sue proposte d'intesa per la spartizione della Macedonia, Salonicco, Tracia, ecc. rifiuto che, anche a parere del Re Boris, fu un grave errore della Bulgaria ed origine di tutti i suoi guai.

Perciò occorrerebbe agire personalmente su Venizelos, senza che egli possa avere la sensazione che ciò avvenga a richiesta della Bulgaria. H Re ha molto insistito su questo concetto ed ho avuto !'impressione· che S.M. sarebbe desiderosa che !'E.V. potesse agirein questo senso 'Presso il Presidente Venize!os.

Circa la politica interna, il Sovrano mi ha detto che il Governo Malinoff continua lentamente ad amalgamarsi -i ministri agrari sono intelligenti, patrioti e comprensivi ma la difficoltà è di convincere le masse e -soprattutto -di far loro dime•1ticare le promesse elettorali di fronte alla realtà economica. Il Re ha notato però un risveglio c:>munista nel paese e perciò ha ripreso le sue gite per ie campagne per rendersi conto della situazione. Il risveglio comunista sarebbe dovuto ai mezzi largiti dalla propaganda sovietica e jugoslava: molti che si attendevano un miracolo da un semplice cambiamento di governo -disillusi -si lasciano attirare dal miraggio di altro cambiamento: il comunismo. Occorrerebbe controbattere con la persuasione questa propaganda e nei progetti di riforme accogliere arditamente quanto di buono è stato esperimentato con le riforme russe (eliminazione degli intermediari nel commercio, cooperative agricole) •.

Il presidente del consiglio bulgaro, Mushanov, fu in visita a Roma nel febbraio del 1932. Sulla visita non si è trovata documentazione.

mente detto che ad ogni modo ero sempre convinto dell'utilità di una nostra intesa sulla questione albanese, che ero disposto a fare il possibile per chiarire ogni preoccupazione jugoslava, che ero pronto a concluderla anche subito, convinto dell'utilità di non continuare a perdere tempo.

Marinkovic, che evidentemente -e questo confermerebbe quanto mi aveva detto Jeiitic a Roma (l) circa l'oscurità in cui è tenuto, almeno per il momento, delle definitive intenzioni di Re Alessandro -non aveva istruzioni di fare di questo argomento lo scopo principale della sua odierna conversazione con me, non è tornato sulla questione.

Ad ogni modo il colloquio è stato utile. sia a dimostrare la coerenza delle nostre disposizioni, sia a costituire un precedente utile, ad ogni buon fine, nei riguardi dello stesso Marinkovic, per la continuazione delle nostre conversazioni all'infuori del suo normale tramite. attraverso Jeftic (2).

(l) Cfr. serie VII, vol. X, n. 281.

7

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE R. 2752/3915/186. Mosca, 11 settembre 1931 (per. il 16).

Ringrazio l'E. V. delle comunicazioni fattemi con telegramma 4 settembre da Ginevra (Gab. n. 7) (3). La proposta di cui nel penultimo paragrafo del telegramma stesso mi trova un po' esitante.

Vedo tuttavia che la proposta stessa è comunque considerata dalla E. V. -e giustamente -in connession~, e funzione di possibili nuovi accordi commerciali. Senonché, come spiego con telespresso in pari data al Ministero delle Corporazioni n. 3918/1507 (che invio in copia alla E. V.) le prospettive per codesti accordi non sono, proprio ora, pal'ticolarmente chiare e promettenti. Noi rischieremmo quindi di arrivare ad un patto politico senza adeguato corrispettivo.

Riterrei pe!'tanto opportuno, che per il momento, fossero in primo luogo chiariti i nostri rapporti economici con l'U.R.S.S., e, soprattutto, venisse regolata la questione del grano.

La convenienza di passi ulteriori potrà esser,e studiata soltanto dopo, ed io mi permetterò di sottoporre alla E. V. le mie idee in proposito personalmente, in occasione del mio prossimo viaggio in Italia.

(l) -Cfr. serie VII, vol. X, n. 446. (2) -Da una lettera di Fani a Grandi del 16 settembre: « Oggi sono stato dal Capo del Governo per portargli appunti di Cortese sul solito argomento, appunti che lo hanno molto interessato •. (3) -Cfr. serie VII, vol. X, n. 458.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO AL CAIRO, CANTALUPO

TELESPR. 231774/232. Roma, 12 settembre 1931.

Nell'accusare ricevuta dell'interessante rapporto della S. V. n. 2452/779 del 24 luglio u.s. (l) con cui Ella, riassunta l'attuale situazione politica in Egi<tto, ha esaminato Quale miglior linea di condotta convenga assumere all'Italia in relazione alla questione dell'attenuazione e dell'abolizione del regime capitolare, constato come le conclusioni a cui giunge V. S. coincidano sostanzialmente con la linea politica da 'tempo adottata da questo Ministero nei confronti del problema 'egiziano. Ricordo a tal proposito le istruzioni impartite al predecessore di V. S. alla fine del '28 e principi del '29 quando il Governo egiziano propose ufficialmente una riforma al regime capitolare.

Altro fattore che caratterizza la situazione presente è la palese e giustificata volontà delle Potenze di coltivare l'amicizia egiziana per il giorno in cui, ridotte le ga1'1anzie capitolari, esse avranno pur sempre bisogno di chiedere per i propri connazionali ospitalità, lavoro, imprese, e libertà di aprire ancora scuole, camere di Commercio, ospedali, istituti scientifici, archeologici, religiosi. Infatti se si può prospettare, e lo si deve, una diminuzione del volume degli interessi europei, è prevedibile tuttavia che essi resisteranno vigorosamente a qualunque assalto per lunghi anni, e che bisognerà difenderli con i mezzi della diplomazia. Sarà cioè necessario intensificare una politica di amicizia con l'Egitto, di diversa penetrazione, a base

più capitalistica e professionalistica e meno operaia, e ciò non solo perché più durevole e

più indipendente dai riflessi politici, ma anche perché, mentre con grande rapidità si formano

(e noi stessi li formiamo nelle nostre scuole), tecnici egiziani per i vari rami della produzione manifatturiera e industriale, meno rapidamente si formano, -(sebbene anche grandi banche egiziane già esistano) -le categorie dirigenti, intellettuali e tecniche: cosi che si può prevedere una futura minore possibilità di collocamento della mano d'opera nostra, e una probabilità ancora notevole di penetrazione per organismi bancari e industriali. La realtà è che, per mediocre che sia, una classe dirigente borghese nazionale va lentamente formandosi, esercitando una concorrenza sempre più vigorosa contro gli europeidella medesima categoria...

Le garanzie costituite dalle Capitolazioni cominciano ad essere insufficienti ai fini della

protezione dei nostri interessi locali, e già si constata che le collettività europee, i cui

rappresentanti bancari e industriali fanno un'accorta politica con i dirigenti egiziani, di

ventano sempre meno sensibili al rischio di eventuali riduzioni capitolari poiché essi

cercano di sostituire ai privilegi i legami degli interessi.

Questo complesso di circostanze, alcune obiettive come il reale progresso tecnico e

culturale del Paese, alcune politiche come l'azione inglese mirante ad eliminare gli europei

ed a costituire una allenza anglo-egiziana, costituiscono l'odierno stato di cose...

Importa dunque a tutti, anche a noi Italiani, domandarci se non convenga guardare

di buon occhio a questa indipendenza, parteciparvi sentimentalmente, ciò che del resto è

nella tradizione italiana, acquistarci fin da ora le simpatie se non la gratitudine degli

Egiziani giovani accompagnandone il progresso e la libertà anche allo scopo di impedire

che la loro gratitudine vada soprattutto agli inglesi, e tocchi magari a noi il rancore...

Queste sono le idee che ho comunicato, con la dovuta prudenza e la massima riser

vatezza, ai dirigenti della nostra collettività -specie ai banchieri e agli industriali

affinché impediscano il diffondersi dello scoraggiamento e del pes~Jmismo e mantengano

tra i nostri, nei riguardi degli Egiziani che controllano accuratamente le varie psicologie

europee, un atteggiamento di simpatia che possa nel futuro far ricadere anche su di noi

la gratitudine della nazione che va verso l'indipendenza •.

Era opinione di Cantalupo e di Palazzo Chigi che la rinuncia da parte dell'Inghilterra

alle capitolazioni avrebbe avuto come contropartita il rafforzamento della presenza inglese

anche nel Sudan (Cfr. per es. il telespr. 222919/174 di Grandi per il Cairo, del 26 giugno).

lO

L'opporsi recisamente alla tendenza nazionale egiziana di giungere alla piena esplicazione della propria indipendenza, nel campo sia giudiziario, che fiscale e doganale, sarebbe impolitico e nocivo ai nostri interessi in Egitto; tanto più che la probabile firma, in un tempo più o meno prossimo, del trattato anglo-egiziano col Quale la Gran Bretagna rinuncerà alle garanzie capitolari per i propri nazionali, renderebbe arduo alle altre Potenze capitolari di mantenere un atteggiamento di intransigenza.

Occorre quindi fin d'ora • partecipare sentimentalmente • come V. S. si esprime, al movimento egiziano per l'esplicazione della propria indipendenza; ma nel contempo continuare a svolgere una accorta azione diplomatica perché cotesto Governo si convinca essere nel suo stesso interesse di procedere per gradi -e d'intesa naturalmente con le Potenze capHolari -verso l'abolizione delle capitolazioni, onde evitare al paese l'inevitabile crisi che deriverebbe da un radicale mutamento del regime che regola da secoli le colonie straniere in Egitto.

È inolt~e da tenersi presente la eventualità che -mentre la questione del regolamento dei rapporti anglo-egiziani marca, per il momento, un tempo d'arresto -le future vicissitudini della politica interna inglese provochino mutamenti nelle direttive sinora seguite dal Governo di Londra nel problema egiziano e vengano a rimettere in discussione anche le clausole del progetto di trattato anglo-egiziano che, come Quella relativa alla rinuncia britannica alle capitolazioni, erano già state definitivamente concordate fra il gabinetto laburista ed il Governo wafdista di Nahas Pascià; con la conseguenza di rinviare ancora, e per un periodo che non è possibile prevedere, l'abolizione delle capitolazioni in Egitto.

È ev,idente che la nostra azione diplomatica dovrà cogliere ogni possibilità che valga ad accortamente favorire la tendenza britannica a non procedere ad un'isolata rinuncia al regime capitolare in Egitto (l).

(l) Di questo rapporto si pubblicano qui alcuni passi. • I vecchi ceti politici... non ignorano come man mano che l'Egitto acquista indipendenza economica e politica nei confronti delle varie potenze, più si assoggetta alla sola Inghilterra. La firma del Trattato toglierà al Paese la possibilità di difendere la propria non formale ma reale e sostanziale indipendenza che finora aveva più o meno linearmente progredito seguendo gli alterni atti e momenti di successivi equilibri, che il Re e i governi creavano appoggiandosi appunto a molte Potenze, attenuando cioè il predominio inglese col favorire altri interessi europei. Essi sanno che tutto questo sembra destinato a tramontare e che se il Wafd si indebolirà ancora di più la situazione si aggraverà nel senso che, sempre meno timoroso dell'opposizionenazionalista, il Re potrà maggiormente legarsi agli inglesi, così che l'Egitto potrà paradossalmente arrivare al giorno della formale sua indipendenza avendo perduto per istrada una parte cospicua della propria libertà d'azione: ciò che avverrebbe se si realizzasse il pianodegli Inglesi: restar loro e gli egiziani.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA

T. s. 46/309. Vienna, 16 settembre 1931, ore 14,48 (per. ore 17).

Mi dsulta in modo preciso che poche ore prima inizio marcia Pfrimer (2), uno dei suoi intimi dichiarò che proprio capo nell'eventualità di un'azione

Come era facile prevedere la marcia di Pfrimer eseguita improvvisamente e inconsideratamente senza preparazione, senza piano e senza azione è pietosamente finita. Mancatogli il concorso degli altri gruppi delle Heimwehren e il concorso della popolazione

non aveva bisogno non solo di collaborazione di altri gruppi in preparazione ma persino neppure di fondi. Ciò contrasta con recente situazione anteriore qua·le appare dalla corrispondenza di questa Legazione.

Mi risulta pure che domenica scorsa telefonò Qui da Berlino un certo Backerl... , che fa parte dello Stato Maggiore del Generale Seeckt per sapere da persona di sua fiducia l'esito dell'azione. Entrambi questi fatti avvalorano notizia da altra fonte secondo cui da parte tedesca si sarebbe incoraggiato moralmente e materialmente Pfrimer. La ragione sarebbe da ricercare ne:Ha diminuita influenza della Germania in Austria, dopo gli ultimi avvenimenti e nella conseguente indebol1ta posizione di Schober. Il calcolo dei tedeschi sarebbe stato il seguente: se Pfrimer fosse riuscito sarebbero venute al potere persone necessariamente obbedienti a Berlino; se invece fosse fallito la sua repressione avrebbe rafforzato la posizione dell'ex Capo di questa polizia. Infatti Schober si attribuisce ora apertamente tutto il merito del ristabilimento dell'ordine 'e dei conseguenti numerosi arresti di personalità di destra nei Q.uali asseconda le indubbie richieste dei socialisti. Comunicato a Roma.

(l) -In seguito a un suggerimento avanzato dal Cantalupo con rapporto 1984/541 del 13 giugno H13Q, Palazzo Chigi aveva deciso di potenziare i servizi della legazione al Cairo per tenere i contatti con tutto il mondo arabo e musulmano. Con telespr. 28 marzo 1931 Palazzo Chigi aveva messo a disposizione di Cantalupo lire 9.000 ogni tre mesi per sussidi a giornali egiziani e per il servizio informazioni politiche. (2) -Cfr. quanto Auriti aveva trasmesso a Grandi con precedente t. 37/308 del 14 settembre, ore 16,12, per. a Ginevra alle ore 19:
10

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA

T. s.uu. 49/311. Vienna, 16 settembre 19.31, ore 18,50 (per. ore 21).

Nel Consiglio dei Ministri di ieri sera, che per l'assenza di Buresch è stato presieduto da Schober, sarebbe stato deciso di prooedere con grande rigore contro tutte le persone implicate nel movimento di Pfrimer. Se ciò seconda le richieste dei socialisti e dei poHticanti degli altri partiti che Schober capeggiò nelle ultime elezioni non corrisponde ai desideri dei cristiano-sociali, come appare dall'articolo odierno dE,~la Reichpost (notiziario 23). Un simile processo può addurre, oltre aLtri inconvenienti di cui certamente V. E. si rende conto, anche Quello di dare occasione a maggiori attacchi contro i movimenti di destra 'e può facilitare la nomina di un socialista come [rendere] assai facile l'avvento al potere di un Ministero con partecipazione dei socialisti. Considerato ciò e considerato che l'unico mezzo di pressione è quello finanziario, prego

V. E. esaminare opportunità e possibilità di ottenere che si persuada Buresch a misure di indulgenza. Dato che il rigore non trova come risulta dalla Reichpost il consenso di tutti i partiti tali misure di indulgenza, evitando strascichi di rancore, contribuirebbero ad assicurare quella durevole tranquillità che è premessa per la restaurazione economica senza la quale non dovrebbero essere accordati i crediti. Comunicato anche a Roma.

ha dovuto cedere. L'unico che !>Ur non marciando abbia risposto al suo appello è stato Starhemberg che malgrado difetti e errori, ha saldo il cuore e pulite le mani. Il risultato finale è una ancora maggiore perdita di autorità e di efficienza nelle Heimwehren e un vantaggio per la causa dei socialisti da una parte e dei nazional-socialisti dall'altra •.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGU ESTERI, GRANDI

R. R.P. 3558/2033. Vienna, 16 settembre 1931.

Credo utile esporre a V. E. nualche mia considerazione in rapporto al mio telegramma di stamane n. 311 (1).

Quello che io temo, dalle presenti perquisizioni domiciliari alle persone implicate nel pazzo colpo di testa di Pfrimer e dal futuro processo è, oltre al resto, che qualche prova, o quanto meno qualche principio di prova, appaia delle nostre re•lazioni nel passato: per il presente no111. può 11isultare nulla, perché Pfrimer, con la sospettosa prudenza degli esaltati, si è guardato bene dal farmi sapel"e checchessia su un piano ch'io avrei sconsigliato e forse avrei potuto far mandare a monte, così come sconsigliai e contribuii a far mandare a monte Quello dell'anno scorso di mettere l'assedio a Vienna occupando le colline circostanti e tagliando la conduttura dell'acqua e la corrente della luce.

L'ultima volta che Pfrimer venne da me alcuni mesi fa a chiederci l'appoggio gli risposi che prima occorreva ristabilire l'unione e la disciplina e far lavoro di propaganda tra le masse: i fatti provano quanto giustificati fossero questi miei consigli e Quanto poco egli li abbia ascoltati.

È superfluo premettere che nelLe relazioni della Iegazione, sia con Steidle Pfrimer e Pabst nel '29 sia con Stearhemberg nel '30, non è stato mai da parte mia e neanche di Celesia scritto assolutamente nulla. Ma rimane la questione degli aiuti materiali e dei consigli v.erbali dati in fedele esecuzione delle dil'ettive di S. E. il Capo del GoV'erno.

Circa gli aiuti materiali non c!'edo possano trovarsi tracce nel castello di Starhemberg. Egli mi ha sempre assicurato che aveva usato in proposito la massima circospezione ·e che nessuno dei suoi, persino sua moglie, ne sapeva nulla. Non ho finora avuto ragione di non credere alla lealtà di Starhemberg che anche in questa pazza avventura, pur non avendovi direttamente partecipato, e pur essendovisi solo trovato immischiato per fedeltà al suo camerata, è rimasto al suo posto mentre Pfrimer si è affrettato a fuggire lasciando nella pania i suoi seguaci. D'altra parte, date le accuse mosse l'anno scorso da Starhemberg a Steidle sul fraudolento uso fatto dei nostri

aiuti, è verosimile abbia avuto cura di ·evitare di offrire il fianco all'accusa di aver accettato anch'egli l'aiuto straniero, per quanto tutti i denari da lui già spesi di propria tasca per le • Heimwehren » lo pongano al di sopra di qualsiasi sospetto di personale profitto. Senonché altra cosa può essere nei riguardi degli aiuti da noi dati nel '29 a Steidle e a Pfrimer per mezzo

dell'Ungheria, sui quali già molto è stato pubblicato dalla stampa avversa così austriaca come straniera, e altro e più potrebbe risultare dalle recenti perquisizioni (1).

E anche altro potrebbe risultare da tali perquisizioni sulle nostre conversazioni ccn i tre capi del1e • Heimwehren • in questi due anni e sui consigli particolari e precisi ch'io davo loro da parte di S. E. il Capo del Governo circa l'azione da svolgere. Certo non potrebbe trattarsi che di appunti o di ordini o di l·ettere, redatti dopo le nostre conv·ersazioni e contenenti i miei sugggerimenti e la loro provenienza. Documenti simili, scritti dagli stessi interessati e senza nessun segno da pavt·e nostra che ne confermi la veridicità, non sono certo prove positive, ma possono costituire un principio di prova e in ogni caso servire di pretesto a nuovi e più precisi attacchi contro il Fascismo e ad accuse di immistione negli affari interni di un altro stato.

Queste ragioni, cui ho genericamente accennato nel mio telegramma, insieme con le altre ivi più esplicitamente esposte, Le spiegheranno meglio l'idea da cui sono stato mosso nel farLe le proposte di cui nel telegramma stesso.

Mi valgo di quest'occasione per accennarLe a un altro argomento che è connesso con il primo.

In una mia conversazione di ieri con <il Segretario Generale Peter egli mi ha detto che, secondo appare nel pro-memoria redatto in Roma dopo il colloquio di Schober con S. E. il Capo del Governo, questi gli disse che se le • Heimwehren • non gli obbedivano egli doveva ridurle alla ragione.

Ho risposto a Peter che non ho il testo del pro-memoria, e che non ero presente al colloquio e ignoravo quindi a quale proposito con quali altre idee e in quale tono S. E. Mussolini avesse fatto tale dichiarazione, così come ignoravo in quali termini Schober avesse descritto la situazione interna in Austria pr.ima che S. E. il Capo del Governo gli desse quel consiglio. Senonché, pur mancando di tali necessari elementi di giudizio, mi pareva poter dare una spiegazione verosimile. Lo Schober venuto al potere nell'ottobre '29, e anche lo Schober del febbraio '30 in cui fece H suo viaggio a Roma, era indubbiamente un a1tro che non lo Schober delle elezioni del novembre '30 e dello Schober tornato dopo al Governo. Lo Schober di due anni fa era l'ottimo presidente di polizia indipendente da ogni partito, che era venuto al potere lodando le • Heimwehren • e accogliendone il programma di restaurazione dell'autorità dello Stato; se egli avesse tenuto fede ai suoi principi era evidentemente inammissibile un'attività separata e indipendente delle • Heimwehren », giacché alla loro azione di organizzazioni private si era sostituita quella dello stesso Go·verno responsabile. Tuttavia la smania di popolarità anche fra i socialisti aveva sin dall'estate '30 fatto mettere a Schober molt'acqua nel suo vino. Venne poi la crisi suscitata dai cristiano-sociali per rovesciarlo dal potere: la sua vanità fu ferita e gli si destò nell'animo l'ambizione della rivincita. Uomo non politico, dovette prendere parte alla lotta politica e decidersi a farsi,

per la prima volta in sua vita, eleggere deputato. Non potendo-appoggiarsi ai cristiano-sociali e alle • Heimwehren • che quelli avevano tratte dalla loro, dovette chiedere l'aiuto degli altd due partiti della borghesia, pangermanista e agrario, entrambi non favorevoli agli uni ·e alle altre. Ma quei partiti da soli erano troppo esigui, gli occorreva quindi acquistarsi maggiore simpatia nei socialisti. E così dallo Schober, che dopo il 15 luglio '27 era giornalmente insultato nei giornali rossi con l'·epiteto di assassino e che nell'ottobre '29 nel suo primo discorso alla Camera aveva esaltato le • Heimwehren •, si giunge allo Schober del '30 .e del '31 che fa arrestare Pabst, vota per il candidato socialista alla presidenza della Camera, e prepara ora il processo alle • Heimwehren •. Come avrebbero queste potuto continuare a sostenerlo dopo l'estate del '30? Al primo Schober dunque si rif·eriva il consiglio di S. E. il Capo del Governo e non al secondo, al cancelliere leale di due anni fa non al vice cancelliere intrigante di oggi.

Peter non ha potuto rispondere nulla, ed ha anzi, pur con prudenza, assentito.

(l) In realtà il tel. risulta trasmesso alle ore 18,50. Cfr. n. 10.

(l) Preoccupazioni di Auriti per le dichiarazioni di Pfrimer, rifugiatosi a Lubiana, nel tel. 45/310 del 16 settembre, indirizzato a Ginevra. Grandi disnose che tale tel. fosse sottoposto a Mussolini per le istruzioni del caso. La contabilità degli aiuti finanziari dati alle Heimwehren tramite gli ungheresi è stata ed. da L. Kerekes, nelle opere cit. in serie VII, vol. X, p. 111, nota 2.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA

T. 2765/312. Vienna, 17 settembre 1931, ore 19,50 (per. ore 23).

Ho avuto un colloquio con Schober sugli avvenimenti di domenica scorsa. Mi ha detto essere stato da essi provato quanto egli avesse avuto ragione nell'autunno '29 1impedendo alle Heimwehren d'agire. Ho risposto essere io stato sempre di opinione che una azione non avrebbe potuto qui compiersi con successo se non mediante l'unione delle Heimwehren con tutte Le forze armate del Governo. Appunto per ciò lo avevo tanto esortato ad osare in quell'autunno '29 quando opinione pubblica era in attesa, i socialisti in spavento, le Heimwehren pronte a seguirlo ed egli come Cancelliere disponeva di tutti gli ordinamenti militari dello Stato. Ad ogni modo per queno che riguarda il presente io speravo che il Governo non avrebbe voluto mutare questa commedia in tragedia e che si sarebbe astenuto dall'agire con rigore verso gli implicati nella marcia di Pfrimer e dal mostrare di dar·e a questa l'importanza che i socialisti vogliono attribuirle ma che in realtà non ha affatto meritato. L'energia dello Stato sarebbe in questo caso segno di debolezza. E debolezza maggiore gliene sarebbe derivata in appresso perché se avesse dato seguito alle pressioni dei socialisti, mentre non ne avrebbe certo ottenuti voti, avrebbe diviso anche più tra loro i vari partiti della borghesia lasciando strascichi di sentimenti di rancori e propositi di rivincita: in modo particolare attiravo la

sua attenzione sulla sorte di Starhemberg che pur non avendo partecipato alla marcia era stato arrestato solo perché non era fuggito mentre Pfrimer che ne era stato l'autore era riuscito a varcare la frontiera.

Più che mai l'unione della borghesia e la concordia dei suoi dirigenti pm in vista erano ora necessarie per la comune azione nella futura opera di accettazione ed esecuzione delle necessarie rigide economie statali e nelle prossime elezioni di colui che come nuovo Presidente della Repubblica sarà nei futuri cinque anm il supl'emo capo dello Stato.

Schober non ha eccepito come nell'autunno scorso che io intervenivo in faccende interne austriache. Si è invece mostrato convinto delle mie osservazioni e mi ha assicurato si agirà con molta moderazione appunto per le stesse considerazioni da me espostegli nelle quali consentiva. Mi ha fatto capire che vi è un contrasto tra lui e Winkler ministro dell'Intel'no. Questo vuole in tale qualità regolare tutta la faccenda a suo modo mentre ciò non garba all'antico presidente di polizia e attuale vice cancelliere. Dato tale contrasto, poiché Winkler è per l'uso del rigore Schober si mostra adesso partigiano di una azione mite. Da tutto ciò io traggo meno sfavorevoli auspici per la causa delle Heimwehren. Intanto Schober mi ha detto sperare nella pronta liberazione di Starhemberg e adoperarsi perché i poteri di Mildas siano prolungati evitando così una prossima nuova elezione presidenziale di cui mostra temere i risultati per i vantaggi che i socialisti possono trarre· sfruttando i recenti avvenimenti. Io l'ho incoraggiato in tale proposito. Rimane però sempre da vedere in che misura le sue parole si tradurranno nei fatti.

Comunicato quanto pr·ecede Roma.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. PER CORRIERE 23. Ginevra, 17 settembre 1931.

In questi giorni ho visto ripetutamente Schober, ma i miei colloqui con lui non hanno presentato uno speciale .interesse. Egli aveva oramai scontato da un pezzo quanto è accaduto circa il progettato accordo con la Germania e mi è sembrato scontare anche un suo prossimo allontanamento dal Governo. Nella seduta del Consiglio in cui Schober ha richiesto alla Società delle Nazioni i necessari aiuti finanziari ho appoggiato con il possibile calore tale domanda, conformemente al nostro primordiale interesse di salvare l'Austria dalla rovina e dalle conseguenze d'ordine politico che ne deriverebbero. Ho parlato con Benès (l) e coi francesi dei ventilati progetti di neutralizzazione dell'Austria o quanto meno delle clausole di garanzia politica da chiedere in caso di concessione di un nuovo prestito, ma a tutti qui la cosa sembra avere minor carattere d'urgenza dopo il funerale fatto al tentativo di Anschluss pur convenendosi che occorre non perdere di vista tali progetti per il momento in cui essi potranno essere adattati alla situazione

austriaca. Circa quest'ultima ho incaricato Guariglia di intrattenere Avenol e questi ha detto in sostanza che a suo parere le condizioni del bilancio non sono cattive, ma lo sono quelle della Tesoreria e pessime continuano ad essere quelle del Credit Anstalt. Ha escluso però in maniera assoluta che sia possibile fornire per il momento all'Austria un serio e completo aiuto finanziario, così un prestito di impovtanti proporzioni ed a lunga scadenza, e che non si potrà pensare a tale ev·entualità almeno prima di quattro o cinque mesi. Ber ora si dovrà tirare avanti con i soliti rimedi a breve scadenza che si stanno studiando nel Comitato finanziario. In tali condizioni Avenol pensa che sia anche da escludere la possibilità di chiedere ora all'Austria impegni di cara•ttere politico, giacché manca la contropartita da offrirle e si rischierebbe di determinare delle reazioni costì senza alcun vantaggio pratico per noi. Ho insistito tuttav.ia sulla necessità di non dare all'Austria la sensazione di essere abbandonata a se stessa per non determinare quei movimenti di sfiducia e di scoraggiamento che hanno così pronta influenza sulla situazione finanziaria. Ho insistito pure d'altra parte sulla necessità di veder chiaro nelle finanze austriache e sorvegliarle attentamente per cercare un assestamento provvisorio che permetta di attendere il momento in cui saremo in grado con la concessione del prestito di cercare di regolare la situazione in maniera per quanto possibile completa e definitiva sia dal punto di vista finanziario che da quello politico. A questo scopo ho rappresentato l'utilità che una Commissione si rechi fra breve a Vienna per mettersi di nuovo in contatto diretto col Governo austriaco e che di essa facciano parte, oltre lo stesso Avenol, l'On. Suv;ich, come Presidente del Comitato finanziario e possibilmente l'On. Bianchini che è stato nominato alla presidenza della Commissione di Controllo in sostituzione del compianto Comm. Brocchi. A questo proposito ho fatto mettere in luce l'azione che può compiere nel frattempo la Commissione di controllo già esistente, e ·lo sviluppo che ad essa si può dare quando necessario, ricordando che tale Commissione fu da noi chiamata a pronunciarsi anche per la Questione dell'accordo austro-tedesco, riconoscendole così la competenza di esaminare tutto quanto nella situazione finanziaria dell'Austria interessa i suoi creditori. Superfluo richiamare l'attenzione· di

V. S. sulla convenienza per noi di ampliare possibilmente i poteri di tale Commissione di cui abbiamo la presidenza ed attraverso ta quale possiamo esercitare quella certa influenza politica che ci è assai difficile invece esercitare nel campo puramente finanziario. Anche per l'eventualità di nuovi prestiti, ci converrà cercare possibilmente che il controllo sia affidato a questo stesso organo, invece di crearne degli altr.i nei quali la nostra influenza potrebbe essere minove, ed in tal senso ho dato istruzioni ai nostri rappresentanti tecnici qui a Ginevra. D'altra parte ho accennato tanto con Benès che con Avenol e con gli altri francesi all'idea di ammettere anche la Germania nella Commissione di controllo, sia per legare in qualche modo le mani alla Germania (la quale sarebbe così in avvenire più imbarazzata a concludere eventuali nuovi accordi particola.r;i con l'Austria al cui controllo finanziario internazionale essa parteciperebbe) e sia anche per bilanciare l'influenza fran

cese nella Commissione stessa. L'idea, a cui sembra che i tedeschi sarebbero favorevoli, non ha trovato per ora obiezioni di principio e tutti si sono' riservati di esaminarla attentamente per il momento in cui se ne dimostrasse possibile la realizzazione. Avenol ha detto poi che sarebbe stato necessario inviare qualcuno in Austr.ia, che seguisse attentamente specie la situazione del Credit Anstalt e della Tesoreria, con una missione sia pure ufficiosa ma con una specie di droit de rega1·d sui provvedimenti che fossero presi in tali campi dal Governo austriaco. Al che io non mi sono opposto considerando la primordiale necessità di non abbandonare a se stessi gli austriaci e di evitare improvvisi guai del genere di quelli recenti, che se avessero a rinnovarsi ci metterebbero in una ben difficile posizione. Avenol pensa inoltre che sia inevitabile l'avvento dei socialisti al potere, e che ciò sia desiderato dagli stessi cattolici i quali vogliono lasciare al socialismo la responsabilità del Governo nel momento in cui deciderà affrontare gravi misure sia di carattere interno e sia eventualmente di carattere internazionale (1).

(l) Sulla conversazione avuta con Benes, Grandi riferiva in pari data con t. per corriere 24 a Pedrazzi e Mussolini.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA

T. PER CORRIERE 25. GineV1'a, 17 settembre 1931.

Ho avuto in questi g.iorni colloqui con Walko il quale mi ha rinnovato le più ampie dichiarazioni circa l'immutabilità della politica estera ungherese nei riguardi dell'Italia e smentito reeisamente le voci di influenze subite da parte della Francia nello svolgimento dei recenti cambiamenti ministeriali in Ungheria. Walko non mi ha però nascosto le sue preoccupazioni .per la situazione economica e finanziaria del suo Paese né il suo pensiero circa la conseguente necessità di condurre verso la Francia una politica più conciliante e che almeno non dia luogo a diffidenze e timori. Dalle sue parole come dal resto di tutta l'atmosfera che si va attualmente formando negli ambienti politici ungheresi traspare del resto assai chiaro il desiderio di vedere sopite le difficoltà esistenti nelle relazioni itala-francesi ed anche in quelle italajugoslave perché da un eventuale inasprimento di esse non derivino pericolose ripercussioni per l'Ungheria. Questo stato d'animo si comprende facilmente

data la crisi che attraversa codesto Paese e la necessità per esso di non

chiuder,si la via a nuove richieste di aiuto alla finanza francese. Conviene

quindi a noi nell'attuale momento rassicurare ogni volta che se ne presenti

l'occasione i dirigenti ungheresi per evitare che le loro preoccupazioni abbiano

come conseguenza un principio di raffreddamento alle loro pur sempre amichevoli disposizioni verso l'Italia. Negli ambienti della Società delle Nazioni e specialmente nel Comitato finanziario che studia in questo momento la situazione in Ungheria ed in Austria si giudica la prima molto più grave che la seconda e si afferma che nei bilanci delle banche ungheresi non vi sono oramai più che i capitaU passivi. Da alcune parti si era accennato alla possibilità di istituire per l'Ungheria una specie di controllo finanziario a mezzo di qualche organo o commissione della Società delle Nazioni, ciò che naturalmente avrebbe potuto presentare molti inconvenienti e dubbi vantaggi. Ho incaricato Guariglia di intraHenere Avenol di questi delicati argomenti ed Avenol ha dipinto a forti colori la situazione finanziaria ungherese. Pur ammettendo che l'idea di un controllo presenta delle enormi difficoltà sopratutto di carattere morale, egli non l'ha nemmeno esclusa categoricamente per il momento in cui fosse possibile accordare all'Ungheria quegli aiuti finanziari la cui concessione è ora secondo lui assolutamente impossibile. È sembrato però rendersi conto dei fattori psicologici che occorre tener presenti nel prendere delle decisioni in tale materia e sui quali Guariglia per mie istru

zioni ha specialmente insistito.

Codesto Governo deve però rendersi conto anch'esso della necessità di fronteggiare ,energicamente e con opportune misure 1e difficili condizioni attuali per non rischiare di esserne sopraffatto. A questo proposito Walko ed Apponyi mi hanno pregato di adoperare la nostra influenza dal punto di vista politico e da quello tecnico nel senso di appianare la strada per giungere ad una sempre più vasta collaborazione economica fra l'Ungheria e l'Austria. Ma la cosa non trova qui accoglienze molto simpatiche specialmente da parte della Cecoslovacchia. Ho creduto di farne un discreto accenno con Benès, e questi mi ha verbalmente ma recisamente affermato che l'Ungheria soltanto da .intese colla Cevoslovacchia può sperar,e un miglioramento reale delle sue condizioni economiche. I già intervenuti accordi commerciali austro-ungheresi non hanno però finora sollevato opposizioni formali da parte cecoslovacca,

come ad un certo momento si temeva, ma eventuali sviluppi di essi molto

probabilmente ne solleverebbero. Ciò non esclude naturalmente che noi con

tinueremo a seguire con ogni impegno e buona volontà le direttive più favo

revoli ed utili all'Ungheria in questo campo. Ritengo superfluo raccomandare

a V.S. di continuare a sorv,egLiare da vicino la situazione costì non trala

sciando occasione per confortare codesto Governo nell'azione che esso dovrà

svolgere per superare le difficoltà presenti, la cui serietà non sembra valutata

almeno dai rappresentanti ungheresi qui presenti nella stessa misura in cui

è considerata negli ambienti della Società delle Nazioni. Aggiungo che Avenol

ha anche accennato alle intenzioni ungheresi di alienare la gestione dei tele

foni o di altri servizi di stato ma ha espresso il suo scetticismo sulla possi

bilità di una tale operazione data l'attuale grave situazione generale econo

mica e finanziaria dell'Ungheria (1).

(l) Grandi dispose che copia del teL fosse data in visione a Mussolini.

(l) Grandi dispose che copia del te!. fosse data in visione a Mussolini.

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IL MINISTERO DEGLI ESTERI AL MINISTERO DELL'INTERNO (l)

(Fondo Ambasciata presso la Santa Sede, busta 7)

TELESPR. 721/75. Roma, 17 settembre 1931.

Mi pregio di trasmettere a codesto On. Ministero l'unita copia di una nota con la quale la Nunziatura Apostolica comunica che l'ex prete Coisutti Ernesto, nato a Clauiano di Trevignano (Provincia di Udine) è stato fino al 30 giugno 1930 parroco del vilìaggio di Ventaroli (comune di Carinola), Diocesi di Sessa Aurunca. Allontanato dalla parrocchia con provvedimento dell'Autorità Ecclesiastica, perché dedito al vino e causa di scandalo, è ritornato nel detto comune di Carinola al principio del mese di agosto u.s. in abito borghese ed è andato a convivere con una vedova, dalla quale è anche mantenuto, con indicibile scandalo di tutta la popolazione.

Poiché la Curia Vescovile di Sessa Aurunca domanda che l'ex prete sia fatto allontanare dal detto paese e venga rimpatriato con provvedimento di polizia, prego codesto On. Ministero di volere esaminare tale richiesta e di farmi poscia conoscere le determinazioni che stimerà di prendere in proposito. Con la cortese risposta di V. E. attendo anche di avere notizia, ad ogni buon fine, di quanto sarà accertato a carico del Coisutti (2).

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APPUNTO DELL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI

(Fondo Ambasciata presso la Santa Sede, busta 7)

Roma, 17 settembre 1931.

Udienza dal Capo del Governo ore 17,30.

Il Presidente me ne ha parlato (3), ne ha parlato pure al Padre Tacchi.

Dice di aver avuta poco buona impressione da QUesto fatto per lo spirito col quale vengono applicati gli ultimi accordi. Io ne parlerò al Cardinale Pacelli doman1 mattina.

• Poiché i detti coniugi conducono colà vita ritirata senza dar luogo a rilievi di sorta, non si ritiene possibile, per il momento, di proporre alcun provvedimento di polizia a loro

carico •.

oltre a dieci giorni di ritiro in esercizi ».

(l) -Il telespr., che è privo di firma, fu inviato per conoscenza anche alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e all'ambasciata presso la S. Sede. (2) -Il ministero dell'Interno risr>ose con nota 3155 ctel 27 settembre comunicando che il giorno 14 il Coisutti si era sposato con rito civile colla persona con cui conviveva.

(3) Sulla questione cfr., nello stesso fondo, una lettera di Pasolini, a De Vecchi, datata Firenze, 5 settembre 1931. Pasolini comunicava che nella zona di Prato « allorché si verificò il momento più acuto del recente dissidio fra Stato e Chiesa, sorse idea in un nucleo di sacerdoti, autorevoli per numero e per qualità, di recarsi dal sottoscritto a rendere omaggio al Partito, pur riaffermando nello stesso temPo -e di ciò sono obbiettivo testimone tutto il loro disciplinato ossequio di ecclesiastici a ogni decisione del Santo Padre... Mi giunge ora notizia che il Vescovo di Pistoia e Prato ha comunicato ad alcuni di detti sacerdoti e cioè Ballarini Ovidio, Bellandi Dante, Migliorini Antonio, Nesti Corrado. Pieragnoli Pietro, Smagnesi Ottavio, una punizione di quattro giorni di sosr>ensione "a divinis"

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IL CAPO DEL SERVIZIO STAMPA DELLA DELEGAZIONE A GINEVRA, ROCCO, AL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA, FERRETTI

T. 28. Ginevra, 18 settembre 1931, ore 18,15.

Permettomi segnalarle che atteggiamento taluni giornali nei riguardi Briand appare aver mancato di misura per essere passato da un tono costante di ingiurie a valorizzazione eccessiva della persona di Briand, in cui sono scomparse posizioni antirtetiche della Francia e dell'Italia nelle grandi questioni politiche come disarmo, sicurezza ecc. Cito ad esempio corrispondenza Alessi del Tevere del 16 corrente.

Direttive date miravano soltanto a dare maggior forza e serietà al nostro atteggiamento sostanzialmente in opposizione a quello francese, con eliminare critiche e dileggi personali verso Briand.

Qualche giornalista, come Gayda nel suo editoriale da Roma • Buone promesse •, non ha inteso portata strettamente limitata della direttiva.

Credo doveroso segnalarle in via confidenziale quanto precede per Sua opportuna conoscenza ed anche per eventuali chiarimenti che Ella credesse di dare ai giornalisti.

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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 81. Belgrado, 18 settembre 1931.

Dopo il mio ritorno da Ginevra ho avuto stasera un primo lunghissimo colloquio con Jeftic, cui ho suggerito io stesso la copertura del nostro incontro: le questioni relative alla Real Casa Montenegrina che necessitavano un nuovo suo intervento. Questa copertura varrà anche per gli incontr.i col Re.

Dettogli che V. E. a Ginevra mi aveva messo al corrente dei precedenti contatti indiretti fra il Re e S. E. il Capo del Governo (l) e dei due colloqui avuti da V. E. con lui a Roma (2) lo ho assicurato che l'E. V. era animata dalle migliori e più sincere intenzioni di concludere e che si trattava adesso fra lui e me di superare il punto morto cui i colloqui erano g.iunti a Ginevra con Marinkovich e dal quale noi non ci saremmo mossi senza le note circostanze ed il suo viaggio. Poiché buona volontà e sincerità dalle due parti erano fuori discussione non si poteva comprendere come, rispettati gli interessi fondamentali e salvaguardati i punti cui i due Stati annettevano pri

mordiale importanza, non si potesse giungere ad una loro composizione prima e ad una successiva non ~quivoca formulazione poi.

Egli ha confermato con frasi analoghe ·queste premess~, ma ha tenuto anzitutto a raccomandarmi ogni riserbo verso Marinkovich mostrando anzi curiosità di sapere quale fosse stato l'ultimo colloquio di V. E. col Ministro degli Esteri a Ginevra (1). Ho perciò creduto bene riassumergli i punti in esso ,toccati specificandogli che essendosi accennato ai colloqui della scorsa primavera, Marinkovich aveva affermato che non vedeva ancora come potessero riprendere, affermazione che il giorno successivo egli aveva ripetuto anche a me. Ciò ha tranquillato Jeftic.

Ho abbordato poi con cautela ·e circospezione H punto più scabroso della questione: l'Albania. Nuovamente riepilogata la storia dei nostri rapporti con l'Albania, le basi indistruttibili del nostro diritto, la situazione diplomatica convenzionale e di fatto raggiunta, fino alla dichiarazione del '21 che fissava inequivocabilmente essere le frontiere albanesi interesse strategico italiano, mostrata la connessione fra questo riconoscimento e la non ottenuta situazione di sicurezza nel medio Adriatico, il nostro interesse al mantenimento della indipendenza albanese ed al suo ordine interno, sono giunto alla ipotesi che una eventuale impossibilità del mantenersi di un Governo albanese ed il perdurare di una situazione interna anarcoide costringesse una terza potenza all'intervento per ristabilire l'ordine. Questa terza potenza non poteva essere che l'Italia non solo per il già riconosciutole diritto, ma per la ·serie di ragioni che davano a noi preminenza assoluta di interesse adriatico che doveva essere riconosciuto anche dalla Jugoslavia.

Ho lungamente chiarito che la ipotesi di questa occupazione la si faceva nel quadro di una rinnovata e solida amicizia italo-jugoslava, quindi non avrebbe potuto avere mai significato ostile ed aggressivo per la Jugoslavia. Ma aggiungevo di più: in regime di amicizia Roma-Belgrado le possibilità di disordini e di speculazioni di elementi albanesi sul nostro dissidio erano tanto diminuite. dallo escludere infinite probabililtà di tale situazione anarcoide. Perciò il volere da noi chiarita anche questa eventuale ipotesi dimostrava la nostra sincerità di intendimenti. Stabilire fin da ora che sarebbe da farsi in tale eventualità per evitare pericoloso futuro equivoco (come il chiarire qualsiasi altro punto che potesse per altri argomenti presentarsi non chiaro) era la prova più lampante del nostro desiderio di volere costruire un edificio ben più solido e durevole di quello del 1924.

L'Albania non rappresentava del resto per la Jugoslavia quello che rap

presentava per l'a Serbia dell'anteguerra cioè il solo possibile sbocco al mare.

Essa non era nemmeno queno che era per l'Austria: cioè posizione fiancheggiante

la vagheggiata discesa lungo il Vardar. Perciò l'adattamento jugoslavo alla

nuova situazione sembravami più agevole.

Noi ci rendevamo conto del resto anche dell'esistenza di reali interessi

jugoslavi determina,ti dalla lunga frontiera terrestre con lo Stato albanese,

dalla esistenza di più centinaia di migliaia di albanesi nella Serbia Meridionale, dai suoi interessi economici e commerciali con quello stato. Comprendevamo quindi anche come una nostra eventuale occupazione militare anche per finalità temporanee potesse preoccupare per la sicurezza jugoslava. Mi dicesse egli cosa occorreva perché tale occupazione ipotetica potesse realizzarsi in modo da lasciar perfettamente tranquilli Governo ed opinione pubblica jugoslava sulle nostre reali intenzioni, del resto garantite ampiamente dal vagheggiato accordo generale.

Gli ho anche fatto notare che era necessario mantenere sugli albanesi questa potenziale minaccia di nostra occupazione nel caso in cui per il manifestarsi di disordini non fosse passibile costituire un forte vegolare Governo. Ciò li farebbe sicuramente rirnsav:ire, poiché con molti difetti, gli albanesi hanno pure un sentimento di indipendenza, che vogliono salvaguardare e difendere.

Gli ho infine fatto notare che noi siamo già politicamente e militarmente in territorio geograficamente albanese ed è l'isolotto di Saseno. Una nostra eventuale occupazione di terra albanese ai fini di ristabilire l'ordine turbato non sarebbe altro che estensione di un fatto già in atto.

Jeftic ha ascoltato con ogni attenzione i miei vari argomenti e dal canto suo si è espresso come qui riassumo: Noi ci rendiamo conto degli interessi vostri in Albania che sono primeggianti, riconosciamo un vostro interesse strategico, una priorità adriatica. Dal canto nostro non miriamo a nessuna prevalenza non solo in Albania ma neanche in Adriatico. Però la nostra frontiera verso l'Albania è lunga e per noi sensibilissima. Qualunque forza fosse dietro di essa (non soltanto italiana) sarebbe per noi ragione di timore ed apprensione e non potremmo tollerarla perché considerata minaccia alla nostra sicurezza.

Teniamo anche noi àna indipendenza a•lbanese ed all'ordine interno, ed in fondo non è tanto questione di intervento militare che voi fate, quanto di ordine in Albania. So che voi occupate Saseno, però non tutti gli albanesi accettano il fatto. Anche Re Zogu ha espresso la speranza che un giorno o l'altro sgomberiate quell'isolotto. Invece io, benché voi abbiate altri punti in Adriatico Orientale che militarmente hanno la loro importanza, vi direi, se già non vi foste: occupate anche Saseno. Non è di ciò che noi facciamo questione. Noi temiamo che non sia possibile stabilire i limiti di una occupazione militare che con l'Albania in ribellione potrebbe esigere forze ingenti e non agevolmente prevedibili. D'altro canto noi non vogliamo intervenire militarmente in Albania. Ma la occupazione potrebbe essere • non militare •. Intendiamoci su questo punto, l'intesa sugli altri non sarà difficHe. È nostro desiderio poi sviluppare al massimo i nuovi rapporti che vogliamo instaurare con voi sia nel campo economico commerciale portandoli ad ogni estrema conseguenza, sia nel campo politico fino alla aHeanza. Quanto alla reciproca neutralità in caso di attacchi di terzi, essa è forse poca cosa, bisogna pensare ad altro. Se saremo uniti non temeremo neanche l'Anschluss, anzi ci faremo pagare.

Lasciatemi ora riflettere su quanto ci siamo detto. Dobbiamo arrivare ad una composizione soddisfacente. Ci vedremo lunedì o martedì venturo, poi vedrete il Re che ora è a Niska Banja e vi aspetta.

Vi raccomando ancora di non fare parola a Marinkovich. Non che io voglia avere alcun merito personale nella conclusione. Ma a parte che forse l'atmosfera di Ginevra non è stata favorevole ai colloqui precedenti, questa è la volontà del Re. Solo egli deciderà quando ed in che momento informare Marinkovich che poi dovrà condurre a termine ogni trattativa. Oggi nessuno sa dei nostri colloqui all'infuor.i del Presidente Zivkovich.

* * *

Questo è il riassunto del lunghissimo colloquio che si è svolto con cordialità ed ha avuto andamento favorevole. V. E. avrà rilevato che dal canto mio non sono uscito dalla indispensabile generalità. Ho ripetuto con monotonia l'interesse nostro strategico alle frontiere albanesi, conforme le istruzioni di V. E., insistito che l'ipotesi della occupazione esclusivamente italiana dovevamo pur farla per evitare ogni futuro equivoco, mentl'e d'altro lato ciò provava la serietà delle nostre intenzioni. Mi sono guardato anche dall'accennare a condizioni di tempo e di forma in cui essa potrebbe verificarsi per lasciare parlare e proporre Jeftic. Ogni altro punto (trattato di neutralità, garanzia di statu quo balcanico, etc. etc.) non è stato menomamente sfiorato in questo colloquio.

Avendo Jeftic accennato all'incontro di S. E. il Capo del Governo con Re Alessandro ed affermatolo necessal"issimo gli ho detto che anche S. E. il Capo del Governo e V. E. riconoscevano eguale necessità. Ma per ragioni utili tanto all'Italia che alla Jugoslavia 'e che erano di tutta evidenza, l'incontro non poteva avvenire che a conclusione raggiunta, od al massimo se qualche punto di insormontabile composizione dovesse essere lasciato a questo altissimo e definitivo colloquio.

Delle affermazioni ed ammissioni di Jeftic meritano rilievo la ripetuta ammissione della nostra priorità di interessi, il riconoscimento delle frontiere strategiche albanesi, della nostra preminenza adriatica. Egli ha ripetuto il concetto di occupazione • non mHitare •. Non gli ho chiesto precisioni in attesa del prossimo colloquio, ma debbo ritenere egli abbia voluto parlare di • gendarmeria • come già a V. E. Egli ha parlato anche dell'interesse jugoslavo alla indipendenza albanese, alle frontiere, etc., ma in secondo piano rispetto ai nostri analoghi. Più di tutto mi ha colpito l'accenno alla estensione dei rapporti economici commerciali ( • la massima possibile » egli ha detto), al non bastare la neutralità reciproca in caso di attacco, ad una possibile alleanza. (Debbo ricordare che di possibile alleanza Re Alessandro tenne già parola in passato a Henderson).

Circa il segreto degli attuali colloqui con Jeftic debbo riportare quanto il R. Console Generale in Zagabria ha riferito con suo rapporto n. 3567 l 444 dell'll c.m.:

• Qui si fa correre la voce che il Ministro di Corte Jeftic faccia frequenti viaggi segreti a Roma per trattare futur.i accordi con l'Italia, che sarebbero il preludio di un nuovo orientamento politico, per il quale la Francia non sarebbe più alleata della Jugoslavia. Tale notizia sarebbe però una vera e propria mossa bizantina, allo scopo di impressionare la Francia alla vigilia del prestito •.

In merito agli accenni di massima estensione degli accordi sia nel campo economico che in quello politico, sembrami facile rilevare:

a) che considerata, almeno in astratto, la reciproca posizione italo-jugoslava non oossono vedersi che le due soluzioni estreme,

b) che (a parte nostre considerazioni interne che possono consigliare all'Italia una maggiore e più rigida protezione agricola e del patrimonio zootecnico) la produzione cerealicola e bovina jugoslava possono portare nel nostro mercato tali prodotti al massimo buon mercato, mentre la Jugoslavia può certo assorbire una notevole Quantità di prodotti industriali poiché è vieto ritornello che le due economie si completano meglio di quelle di qualsiasi a1tro stato europeo,

c) che la sicurezza assoluta in Adriatico ed alla frontiera orientale anzi la ipotesi di una comune azione, fortificherebbe l'Italia in ogni possibile campo dove le sia necessario difendere fino all'estremo i propri interessi e svolgere la propria attività.

Ho oggi lasciato cadere Questi maggiori accenni di Jeftic, ma se egli o Re Alessandro li ripetessero nei prossimi colloQui sarò grato a V. E. se vorrà farmi avere, ove lo creda, qualche più precisa direttiva.

Circa le ragioni che possono oggi avere spinto il Re Alessandro a riprendere i contatti con noi, intensificarli e spingerli possibilmente verso una conclusione, a parte che ciò corrisponde in massima ad una visione costante del Re (salvo la diversa e contingente valutazione dei reeiproci interessi) si può supporre che esse trov,ino la loro principale mgione nelle attuali condizioni economico-finanziarie della Jugoslavia. Esse sono note a V. E. per esserne più volte stato fatto cenno negli ultimi rapporti. Solo nel bilancio vi è un deficit non minol"e di l miliardo e duecento milioni di dinari, contro il quale non stanno che 700 milioni di economie trovate dalla commissione nominata ad hoc. Perciò vi è nuova ricerca di prestito (,U Ministro di Francia mi ha detto poco fa che 300 milioni di franchi basterebbero a rimettere a galla la Jugoslavia) e deve probabilmente esserne stata parola nei colloqui tenuti a Ginevra fra Marinkovich e Flandin. Ma è chiaro che un intero e sincero accordo con noi permetterebbe alla Jugoslavia un immediato alleggerimento dei pesi militari, Quindi forse l'equilibrio finanziario senza bisogno di nuovi prestiti (1).

Stanno poi di fronte al Re il confronto della diversa situazione jugoslava nel periodo del patto di Roma, i timori costantemente rinnovantisi di nostre intenzioni aggressive ed il piano di accerchiamento.

Mi è stato riferito che il Re si sarebbe recentemente espresso con molta preoccupazione sulla salute di Zogu che portando a disordini interni albanesi costringerebbe l'Italia alla occupazione che non potrebbe lasciare indifferente la Jugoslavia. Lo sviluppo catastrofico di simile situazione è da lui grandemente

3 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

temuto. (Sulle voci ed apprensioni per i possibili avvenimenti albanesi richiamo mio rapporto n. 5507/1600 di data odierna). Non minore inquietudine destano in lui i nostri cordiali rapporti con l'Ungheria e le costanti voci di fidanzamento di una nostra Principessa con Re Otto.

Non è neppure da •escludere che Hende-rson continui a consigliare per un accordo, cui sempre più l'Inghilterra può portare un deciso interesse. (Due o tre giorni prima del mio arrivo il Ministro di Gran Bretagna ha chiesto di vedermi e si è interessato a conoscere il mio ritorno. Mi è risultato stasera, da colloqui con Jeftic che egli era stato una decina di giorni fa col Re e col Principe Paolo, che, come ho riferi1to, sono le sue sole relazioni personali più strette, oltre i rapporti con me. Non è escluso che Re Alessandro lo abbia già messo al corrente dei nuovi contatti e della piega migliore che prendono ora le conversazioni).

È pure da supporre che il Re voglia inaugurare con questo succe·sso di politica estera la nuova vita costituzionale.

Parmi poi necessario fare presente il delicato momento dell'attuale situazione interna che può suggerire eventuali nostri diversi atteggiamenti, poiché essa presenta qualche difficoltà e qualche oscurità che occorre valutare con ogni attenzione possibile, per non trovarci di fronte ad imprevedute sorprese. Io non ritengo oggi che essa possa sboccar·e in situazioni catastrofiche ed a capovolgimenti. Ritengo anzi e continuo a credere che la situazione di Re Alessandro e di Zivkovich continuerà a rimanere saldissima e che essi potranno parare al1e molte nuove difficoltà. Ma prima di ogni nostra definitiva decisione sarà necessario un profondo riesame della situazione che si prospetta con la nuova legge elettorale.

(l) -Cfr. serie VII, vol. X, nn 309, 386, 116, 420. (2) -Cfr. ibid.. n. 446.

(l) Cfr. n. 6.

(l) Il prestito francese di 300 milioni di franchi fu concesso il 14 ottobre. Come contropartita il governo jugoslavo si impegnò a dare la preferenza all'industria francese nelle forniture di stato. La Jugoslavia pagava annualmente alla Francia 800 milioni di dinari per interessi sul totale dei prestiti ottenuti. (Cfr. tel. posta 5250/1187, Bled l agosto 1932). Sul prestito della Francia del 14 ottobre e sulla situazione finanziaria e bancaria in Jugoslavia, cfr. i giudizi di Merzagora, allora direttore della Banca Croata di Zagabria (filiazione della Comit) riferiti nel tel. posta 6212/1871, Belgrado 26 ottobre 1931.

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ALBERTO PIRELLI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Archivio Grandi)

Milano, 18 settembre 1931.

Ieri a Basilea ho avuto una lunga conversazione con Quesnay il Direttore Generale della B.I.R. che so molto amico di Lavai. Quesnay è uno dei pochi francesi che abbia una mentalità schiettamente internazionale, però la sua tendenza è soprattutto verso un accordo francotedesco.

Mi ha detto che era presente alla... prova generale che Lavai faceva del discorso che intendeva fare a Briining quando quest'ultimo si recò a Parigi e lo ha riassunto così:

• Nonostante la comune nostra buona volontà di intenderei, la situazione atttuale è tale che l'opinione pubblica tedesca non vi permette di farci delle concessioni nel campo politico; quella francese mi impedisce di fare delle

concessioni finanziarie non legate con patti politici; in queste condizioni, il campo su cui dobbiamo concentrare i nostri sforzi di collaborazione è quello economico •.

Da ciò sono nati gli studi tuttora in corso per alcune combinazioni nel campo industriale e dei trasporti. Quesnay parla di intese industriali con facilitazioni reciproche nel campo doganale e mi ha accennato, tra l'altro, ad un progetto di Compagnia transatlantica franco-germanica con navi per il Nord America che battel'ebbero la doppia bandiera (!).

Poncet, che per i suoi precedenti, sente molto il problema economico, si insedia a Berlino col proposito di sviluppare il programma di cui sopra e forse anche di • estenderlo nel senso che contro rinuncJe nel campo delle riparazioni la Francia abbia dei benefici nel campo della sua espansione economica in certe zone tedesche • (?).

A proposito di Poncet, Quesnay mi ha detto di aV1er sentito con dispiacere che vi era stato un eQuivoco con l'Italia nella interpretazione di certe c avances • che Poncet avrebbe fatto a Ginevra tempo addietro (l) e che la cosa era dispiaciuta molto. (Ricordo che tu mi accennasti a tali c avances •). Risposi che non ne sapevo niente ma che a mia volta sarei stato molto dolente se l'equivoco avesse riconfermata l'impressione italiana che la Francia non ha mai voluto sul serio un accordo con noi.

Quesnay ha obbiettato che mai ci è stato un Presidente del Consiglio così desideroso di una chiarificazione con l'Italia come Lavai ed aggiunge aver Lavai detto più di una volta a lui personalmente che avrebbe desiderato di poter andare a Roma a vedere Mussolini prima che non a Berlino.

Ho preso da ciò occasione per tenere a Quesnay un ragionamento a cui la mia vecchia ed intima relazione con lui ha permesso di dar,e una forma molto schietta: gli ho detto: « La Francia vive fuori della realtà. Come si può pensare che alla Francia di Doumer possa riuscire Quello che non è riuscito alla Francia di Napoleone I ed è riuscito wlo per poco alla Francia di Luigi XIV? Non è straordinaria la contraddizione esistente tra 1a vostra egemonia e la vostra paura della Germania? Non dovrà la Francia scegliere tra l'egemonia senza sicurezza e la sicurezza senza l'egemonia?

La sicurezza se la sarebbe potuta procurare se avesse intensificato la sua intimità coll'Inghilterra e coll'Italia perché l'aggruppamento sarebbe stato così forte da permettere una politica di simpatia e di graduali concessioni alla Germania, concessioni che sono indispensabili ma che fatte neUe attuali condizioni è naturale che preoccupino una Francia isolata.

Non so affatto se e contro Quali compensi l'Italia sarebbe disposta ad abbandonare altre direttive o, non fosse altro, il privilegio di starsene alla finestra, ma credo che i compensi dovrebbero essere notevoli e qui vedo la difficoltà della cosa. Però io parlo proprio come 'uomo della strada' perché da tempo non ho fatto che l'industriale privato e non ho tenuto contatto col Governo •.

Quesnay ha commentato in modo simpatico il mio amichevole sfogo, però ha detto che un qualunque accordo a cui non partecipasse subito la Germania, sembra a lui, personalmente, che verrebbe interpretato come fatto contro la Germania. Egli è favorevole a che la Francia da una parte cerchi di stringere accordi, sia pur modesti colla Germania, dall'altra partecipi ad una vasta azione di cooperazione internazionale. A questo proposito disse di aver consigliato a Lavai di fare prima dell'inverno un gesto alla Hoover mobilizzando una parte delle enormi risorse finanziarie della Francia per destinarle ad opere pubbliche da farsi nei vari paesi.

Quesnay chiacchiera molto e con una certa leggerezza ed ha persino parla,to dell'eventualità di accordi fra i Capi dei principali Governi europei per concertare tra di loro e poi sottoporre a Hoover l'ordine del giorno pe·r una specie di • seconda conferenza della Pace » (altro che non revisionismo!), conferenza a cui l'America dovrebbe partecipare ufficialmente. Tutto ciò sarebbe suggerito dal concetto d'altronde giustissimo, che gli affari politici, finanziari, economici, demografici, coloniali ecc. sono così interdipendenti che non si può sperare di risolvere gli uni lasciando da parte gH altri, come non si può sperare di mettere a posto un singolo paese non tenendo conto dei bisogni degli altri.

Gli ho obiettato sembrarmi la Francia l'ultimo paese pronto a marciare in questa direzione, non solo perché sarebbe il paese chiamato ai maggiori sacrifici, ma anche perché è quello che finora ha sentito meno la crisi e mleno quindi la necessità di rimedi radicali. Il mio contraddittore sostiene invece che Lavai sente la gravità della situazione e la necessità di una politica di collaborazione. Quesnay avrebbe assistito ad una discussione tra Lavai e Tardieu in cui questi avrebbe detto • che all'Aja è stato giocato: vi si è firmato un patto che i Tedeschi giurarono di accettare volonterosamente e di voler rispettare, e poco dopo tutto era mandato all'aria col consenso generale. Come si può aver fiducia negli altri patti internazionali? Meglio armarsi e contare su sé soli •. Ma Laval si sarebbe riconfermato collaborazionista.

A proposito della crisi, ho trovato a Basilea ed a Zurigo un grande pessimismo, sia per la precarietà della moratoria Hoover e della sistemazione dei debiti privati tedeschi verso l'estero, sia, sopratutto, per la situazione inglese: pronunciamento dei marinai inglesi, probabile trionfo dei socialisti se le elezioni si fanno nell'atmosfera attuale ed in tal caso pericolo grande per la sterlina, già attualmente una fuga di 3 o 4 milioni di sterline al giorno, sicché il primo credito è esaurito e di Questo passo gran parte del secondo lo sarà fra una quindicina di giorni circa!

Mi accorgo di averti scritto un letterone per dirti cose che in parte già conosci certamente e che in parte forse non meritavano di essere messe in

• black and white •.

Scusa dunque la lunga chiacchierata. Per Quanto riguarda in particolare la conversazione con Quesnay, non voglio affatto sopravalutare l'uomo e le sue influenze. Egli ha molti contatti ed è sempre pieno di informazioni (vede anche Bruening sovente e mi dice che Curtius probabilmente ridiventerà Ministro della Economia).

(l) Cfr. serie VII, vol. X, nn. 285, 286, 385.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA

T. P. 979. Roma, 19 settembre 1931, ore 24 (1).

Ritengo opportuno metterti al corrente della situazione che si è in questi giorni venuta formando alla frontiera fra Somalia ed Etiopia.

Nota spedizione armata abissina. inviata d'ordine dell'Imperatore nell'Ogaden con scopo dichiarato procedere definitiva sottomissione regione riscossione tasse, e che, come è stato ripetutamente assicurato a Paternò da Governo etiopico, non aveva nessuna autorizzazione discutere circa demarcazione frontiera, è giunta in questi giorni sul corso Uebi Scebeli in immediata prossimità nostra linea di resistenza. Da dichiarazioni del capo della spedizione, Degiac Gabrè Mariam, sembrerebbe risultare che Questi, malgrado ordini in contrario di Addis Abeba, intende recarsi con suoi armati che ammonterebbero a 10.000 uomini circa a Belet-Uen (località nell'interno della colonia e che occupiamo da 15 anni) per discutere con Governatore Somalia.

Ministero delle Colonie, presi ordini da S. E. il Capo del Governo, ha impartito istruzioni Governatore Somalia di respingere con la forza eventuali tentativi abissini di oltrepassare nostra linea di resistenza, e lo ha autorizzato prendere provvedimenti precauzionali di difesa.

Ho provveduto ad invio due telegrammi a Paternò (2) dandogli istruzioni svolgere presso Imperatore energica azione onde evitare che Degiac provochi conflitti dei Quali dovremmo in ogni caso far risalire responsabilità a Governo centrale.

Testi dei due telegrammi che sono stati preventivamente approvati da

S. E. il Capo del Governo (3) e sono partiti a tua firma, ti giungeranno col prossimo corriere.

« Questo Ministero d'accordo col Ministero Colonie ritiene conveniente che V.S. richiami con ogni urgenza attenzione dell'Imperatore su pericolosa situazione, che è in contrasto con assicurazioni pur recentemente ripetuteci; dichiarando che dobbiamo categoricamente declinare ogni responsabilità nel caso che l'azione inconsiderata di qualche Capo etiopico ci obbligasse a reagire con la dovuta energia. È bene che Governo Etiopico non si illuda di poter contare su nostra perplessità e longanimità ».

Del secondo te!. si pubblica il passo seguente:

« Dichiarazioni Degiac fanno supporre che codesto Governo vada svolgendo doppio giuoco nei nostri riguardi. Comunque sta, è bene che V.S. dichiari subito formalmente e categoricamente ad Imperatore che R. Governo non può scindere responsabilità personale del Degiac da quella del Governo centrale; e che quindi riterremo quest'ultimo responsabile di tutte le conseguenze che potranno derivare da un eventuale attacco armato

abissini nei nostri posti di frontiera ».

Grandi da Ginevra rifischiò i due tell. a Parigi e Londra.

Sulla vicenda cfr. l'accenno di BAER, p. 47; e DEL BocA, pp. 209-214.

Nella eventualità di dover respingere con le armi la spedizione di Gabre Mariam ai confine etiopico-somalo, De Bono chiese a Badoglio, governatore della Tripolitania, di spedire in Somalia, fra l'altro, «scorta bombe gas». Badoglio rispose di non possedere bombe a g-as. (Te!. rr. 5521 di De Bono, Roma 20 settembre 1931, e la risposta di Badoglio del 21 settembre, in ASMA!, Gabinetto, fase. 1931).

(l) -Trasmesso il giorno 20 alle pre 4,35. per. a Ginevra alle 7. (2) -Uno dei due, è il t. 978/256, del quale si pubblica il passo seguente:

(3) Fani si era recato il 18 e il 19 settembre da Mussolini per la questione trattata nel testo. « Il Duce mi ha detto che gli è sembrato che De Bono si preoccupi poco della cosa mentre egli vi annette (e molto giustamente) una grande importanza • (1. Fani a Grandi, Roma 19 settembre).

21

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, ASTUTO, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

(ASMA!, Fondo segreto)

T. RR. P. 1854. Asmara, 20 settembre 1931, ore 18,30.

Circa situazione Somalia, non ho dati oltre quelli contenuti telegramma 5462 V. E.; mi consta soltanto che degiac Gabrè Mariam avvebbe con sè circa diecimila uomini. Ciò che mi comunica spiega ordini impartiti da V. E. oon detto teiegramma. Attuale situazione mostra ancora una volta quale interpretazione debba darsi ai nostri rapporti con Abissinia, quale valore ai trattati da essa sottoscr-itti, Quale portata alla sua vantata civiltà di Stato membro Società delle Nazioni. Permettomi richiamare tale riguardo personale attenzione V. E. su ultima parte mio rapporto circa visita Addis Abeba (1). Non credo che attuali avvenimenti su confine Somalia possano aver ripercussione per Eritrea; ma ritengo mio dovere segnalare V. E. che, tolto secondo battaglione che è in Cirenaica e ove primo battaglione dovesse partire per Somalia, in questa colonia resterebbero soltanto tre battaglioni che per note riduzioni hanno effettivi di quattrocento uomini. Naturalmente Questa situazione è ben nota fuori con-fine (2).

22

IL CAPO DEL SERVIZIO STAMPA DELLA DELEGAZIONE A GINEVRA, ROCCO, AL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA, FERRETTI

T. 34. Ginevra, 21 settembre 1931, ore 20.

Comunico seguente telegramma S. E. il Ministro da far trasmettere a Gayda:

• Gayda -Giornale Italia -Roma -Se suo giornal•e intende passare come un giornale sevio non deve, come sta accadendo ancora una volta, avere dei servizi eccessivi durante inizio Conferenze internazionali salvo poi non avere nessun servizio o peggio ancora quando sarebbe utile invece di averlo. Cordialmente Grandi •.

Con t.r. 1848 del 19 settembre, ore 20 (per. il 21), Astuto aveva chiesto a De Bpno l'autorizzazione a • venire Roma conferire con V.E., fare proposte, ricevere istruzioni» in merito ai problemi della colonia Eritrea. De Bono rispose: « Sino a che situazione abissina confini nostre Colonie non è chiarita è bene V.E. non si allontani sede. Tenga poi presenteche nel prossimo novemhre P. mio desiderio visitare Colonia • (ASMA!, Fondo segreto). Come risulta da una lettera di Guariglia a Salvago Raggi del 18 novembre, in quella data Astuto si trovava a Roma, dove stava per giungere anche Paternò.

Permettomi aggiungere per Sua informazione che Sacerdote ha sempre fornito giusta istruzioni avute un accurato servizio di cronaca sul quale Gayda fa commento. Risulta però che a tali commenti manca impressione precisa per giusta intonazione politica che non può acquistarsi da lontano.

Nota Giornale d'Italia sabato scorso è stata perciò reda,tta da Ufficio Stampa, ma tale sistema non può protrarsi come fu il caso per un mes·e intero durante Conferenza navale Londra.

(l) -Cfr. n. 28, allegato. (2) -A margine annotazione di De Bono: • stia tranquillo •.
23

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, A PREDAPPIO

Ginevra, 21 settembre 1931 (1).

l) -Negoziati navali. -Ho creduto opportuno di far diramare da Ginevra il comunicato Stefani che Tu hai visto sulla stampa di ieri, allo scopo di tagliar corto alla solita manovra francese tendente a far credere all'esistenza di dirette conv.ersazioni itala-francesi, con esduslione della Gr·an Bvetagna, e tendente a far credere anche che l'Italia stava accettando le nuove proposte francesi con un margine di notevole superiorità delle costruzioni francesi su quelle italiane per i prossimi sei anni (2). A questo miravano gli arrticoli ottimistici apparsi in questi ultimi giorni nella stampa francese, articoli riprodotti con manifesta preoccupazione dalla stampa di Londra e di New York. Anche H Governo britannico non è stato insensibile a queste preoccupazioni, così da inviare in fretta Craigie per sincerarsi sulla sostanza delle cose. Ho avuto stamane un lungo colloouio con Craig.ie e mi sono lamentato con lui per questa • apparenza • di preoccupazione da parte britannica.

• È perfettamente comprensibile • gli ho detto, • che da parte francese si faccia il possibile per rompere il fronte unico itala-britannico. Durante la Conferenza di Londra la Francia ha tentato ogni mezzo per indurre la Gran Bretagna ad un accordo a quattro che lasciasse fuori l'Italia. La Gran Bretagna vi si è rifiutata. Oggi la Francia tenta lo stesso giuoco coll'Italia, e cioè un accordo che [,asci fuori la Gran Bretagna. L'Italia v1i si rifiuta. Di qui a poco, probabilmente durante la Conferenza del Disarmo la Francia ritenterà di fare colla Gran Bretagna quello che non riuscì durante la Conferenza di Londra. Noi siamo sicuri sin d'ora che i nostri amici inglesi non si presteranno al giuoco, così come essi debbono essere sicuri che noi non ci prestiamo oggi al giuoco

dei Francesi •. Questo ho detto a Craigie, ed egli mi ha confermato la gratitudine del Governo di Londra per la lealtà del nostro atteggiamento. Domani Craigie, Rosso e Massigli r.iprenderanno le conversazioni. Vedremo cosa ne verrà fuori.

Durante questo mese i contatti fra noi e i Francesi su questo argomento sono stati per la verità assai scarsi. È superfluo dire che la mia conversazione con Briand è stata assolutamente senza importanza, se si togHe il particolare di avermi egli voluto fare auesta visita, all'indomani del suo discorso all'Assemblea, per spiegarmi la ragione del suo silenzio sul suggerimento italiano circa la tregua degli armamenti. • Avrei dovuto parlare contro questa idea che il Governo francese non può accettare, ed ho preferito tacere •. Qualche giorno fa ho pregato Massigli di passare da me per una conversazione a quattr'occhi, durante la quale gli ho dichiarato che nella nuova proposta francese vi era del buono, che io non mi sarei rifiutato di trattare, ad una condizione preliminare, e cioè che il punto di partenza non fossero i programmi del 1922, bensì i programmi del 1924. Se la Francia accettava come punto preliminare la parUà dei programmi di qui sino al 1936, sulle altre clausole che interessavano più direttamente la Francia si sarebbe potuto discutere. Massigli mi ha nettamente dichiarato che la Marina francese non può accettare la parità dei programmi coll'Italia. Siamo quindi in alto mare, e non rimane che insistere sulle basi di accordo del 1° marzo, non foss'altro perché ciò imbarazza, sotto l'aspetto morale e politico, la Francia.

È sin troppo chiaro che il Governo francese intenda giungere alla Conferenza del Disarmo a negoziato navale aperto. Soltanto il Governo francese avrebbe sperato di giungervi dopo avere fatto dimenticare interamente, attraverso l'esame di una successiva proposta, le famose basi di accordo del 1° marzo.

2) -Tregua negli armamenti. -Circa una settimana fa il Ministro degli Stati Uniti a Berna, Wilson, ha domandato di vedermi per consegnarmi un messaggio da parte di Stimson (v. allegato) (1), di oalda adesione all'idea espressa dalla Delegazione italiana durante la discussione generale all'Assemblea. Da quel giorno incoraggiamenti, adesioni, espressioni di simpatie, da parte americana non sono mancati, ma sempre limitati nel campo giornalistico od ufficioso. Ier'i mattina Wilson ha chiesto di vedermi d'urgenza per comunicarmi da parte di Stimson che il Governo americano, ove invitato, sarebbe intervenuto alla discussione nella III Commissione per appoggiare il principio della tregua degli armamenti, portato all'ordine del giorno dalla risoluzione scandinava. Mi sono reso subito conto che l'avvenimento è molto grosso, in quanto che sarebbe la prima volta dacché esiste la Società delle Nazioni che il Governo Americano accetta di entrare direttamente in una Commissione dell'Assemblea e cioè nel meccanismo costituzionale dell'Istituto ginevrino, e di più per sostenere ed appoggiare l'azione svolta dall'Italia.

« Circa le voci di azione francese pel posponimento della Conferenza, Stimson mi confermò energicamente il punto di vista di Castle già telegl'lafato a V.E.. Egli si proponevadi dichiarare pubblicamente la sua opposizione recisa a qualsiasi posponimento. Abbiamo quindi insieme constatato la felice concordanza delle direttive internazionali dei nostri due paesi>.

Ho detto a Wilson che mi sembrava opportuno informare subito della cosa Drummond e Lord Cecil. Così è stato fatto, e così è avvenuto che il Presidente della III Commissione, il danese Munch (che è anche il primo firmatario della mozione scandinava) quando ieri si è aperta la seduta ha fatto egli stesso la proposta di .invitare a prendere parte alla discussione gli Stati non membri della Sodetà delle Nazioni che dovranno partecipare alla Conferenza del Disarmo. È stato un vero colpo di scena. I Francesi, colti di sorpresa, hanno cercato di appigliarsi ad ogni sorta di ostacolo procedurale, ma al fine hanno dovuto finire col cedere. Ieri notte, saltando a pié pari il Consiglio e l'Assemblea, gli inviti sono partiti. Così lunedì avremo probabilmente la presenza nella III Commissione degli Stati Uniti d'America.

Che ne uscirà fuori di pratico? Non so. Non credo gran che, almeno subito ora. I Francesi hanno dichiarato che si opporranno con ogni mezzo. I Tedeschi (incapaci come sempre di cogliere il lato politico delle cose) si trascinano dietro di noi a fatica. Gli Inglesi sono divisi. Lord Cecil cammina con noi, ma l'Ammiragliato ha ancora delle perplessità. Dato che pochi giorni ci separano ormai dalla fine dell'Assemblea, non mi meravigHerei se si finisse, come il solito, colla nomina di un Comitato o col raccomandare l'ulteriore seguito delle trattative alle ordinarie vie diplomatiche.

Comunque finisca, il seme è gettato e radicato ormai nel terreno. I Francesi hanno tentato di farlo dimenticare, circondandolo di silenzio. Non vi sono riusciti. L'America si è mossa e viene a prendere posizione accanto a noi nella Società delle Nazioni. Comunque finisca, un grosso risultato di carattere politico generale è acquisito per l'Italia fascista, e questo nessuno ce lo toglierà più. Per la prima volta da che la Società delle Nazioni esiste vi è stata un'Assemblea nella quale la volontà italiana ha preso il sopravvento.

Ieri sera in un grande cinematografo di G1nevra, quando è apparsa sullo schermo l'immagine di Briand mentre pronunzia un discorso sulla pace, molti fischi sono stati lanciati al suo indirizzo dal pubblico ginevrino. Qualche tempo fa una cosa di tal genere sarebbe apparsa come un sacrilegio inimmaginabile (1).

3) -Le notizie di stasera da Londra sono molto cattive (2). È domenica, e non ho potuto ancora conferire con alcuno. Ma vi è molto pessimismo in giro. Mi permetterò domani di disturbarTi al telefono, anche per questo.

N. B. -In queste condizioni è molto improbabile possa partire prima di sabato. Pur non facendo parte della III Commissione, debbo rimanere a dirigerne .i lavori. La mia prematura partenza darebbe adito a chissà quali commenti (3).

vembre 1931 sulla XII sessione dell'assemblea ginevrina e la 65• sessione del consiglio: « Tregua degli armamenti.

(l) -La minuta reca il giorno 20, che era domenica. (2) -Dal 18 al 26 settembre si svolsero a Ginevra conversazioni tra Rosso, Craigie e Massigli. L'Italia rispose con un memorandum del 26 settembre al memorandum francese del 21 agosto (cfr. DB, vol. II, p. 429 nota). Sull'atteggiamento di Sirianni cfr. una sua lettera a Grandi del 15 settembre, in USM, cart. 3291/5.

(l) Non si pubblica. Sull'atteggiamento americano cfr. anche quanto aveva comunicato De Martino con t. 24/666/7 del 10 settembre, per. a Ginevra alle ore 7 dell'll:

(l) -A questo punto il manoscritto proseguiva con questo passo, poi cancellato: • Ho pregato l'on. Sardi di far giungere a Ginevra al più presto le films • Luce ' sulle nostre manovre aeree, e sulla rivista agli Avanguardisti. Non appena la discussione sulla 'tregua'sarà finita, penso di fare proiettare queste films in un grande cinematografo di Ginevra. Desidero che questi bravi ginevrini abbiano modo di vederti in mezzo ,alle nuvole dei nostri aeroplani, e a cavallo fra la moltitudine delle Camicie Nere. Sono spettacoli che fanno sempre bene [in una precedente versione qui aggiunto: " quando essi sono serviti a tempo e a luogo"], credilo •. (2) -Sulla crisi della sterlina. (3) -Cfr. quanto scriveva Paulucci Barone in un rapporto rr. datato Ginevra 4 no
24

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA (Copia)

Roma, 21 settembre 19.31.

Ti mando copia della traduzione della Nota Verbale che mi ha presentato oggi l'Incaricato di Affari d'Inghilterra, insieme con un appunto esplicativo che pure ti accludo (1). Altrettanto ho fatto col Capo del Governo che stamane alle 11,30 circa è partito per Predappio dove rimarrà sino a Venerdì mattina.

De Bono mi ha fatto sapere questa sera che gli Abissini armati non hanno più oltre avanzato, sarebbero cioè fermi a un'ora di marcia dai nostri posti avanzati (2). T'informo che il Duce ha rinforzato la squadr.iglia di aeroplani della Somalia, costituita da soli 3 apparecchi, con 6 apparecchi fatti partire dalla Libia.

Queste le notizie più importanti.

Il Duoe da cui sono stato stamane alle 9 per portargli la notizia londinese che, come ti ho telegrafato, Bordonaro ci aveva iersera (domenica) telefonato, è rimasto profondamente impressionato dalla notizia stessa (3).

Quale prima ripercussione, ti comunico che la Banca d'Italia ha perso oggi 53 punti. Sui giornali potrai vedere la perdita di parecchi altri titoli.

Non starò qui a narrare le vicende attraversate dalla proposta di V.E. e l'esito ultimo raggiunto.

Questa abilissima proposta ha posto l'Italia nella migliore possibile luce nei rispetti del problema del disarmo e guadagnandoci in questi ambienti e nel mondo fama di pacifismo ha messo nelle nostre mani un'utile carta da giuocarsi alla Conferenza del Disarmo e da utilizzarsi come un documento di immunità nel caso che la Conferenza stessa fallisse

e qualcuno cercasse di riversare sopra di noi la responsabilità dell'accaduto.

D'altra parte, appunto le lunghe e laboriose vicende della proposta per la tregua degli armamenti possono servirei fin da oggi di ammaestramento circa quanto potrà avvenire nella Conferenza del prossimo febbraio. Abbiamo avuto infatti, in molto piccolo, una specie di prova generale della Conferenza del Disarmo; e nonostante avessimo dalla parte nostra l'Inghilterra, la Gerrriania e l'America, oltre a tutta una schiera di Stati minori che andavano dagli Stati scandinavi a tutti gli altri vinti dalla guerra (Bulgaria, Ungheria, ecc.) non c'è stato possibile far passare una risoluzione che era osteggiata dalla Francia, la quale aveva opportunamente mobilitato i suoi satelliti (Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Rumania) e si era anche avvalsa dell'appoggio del Giappone, che per motivi particolari aveva in questo caso sostenuto la medesima tesi.

Abbiamo cosi una misura esatta dello strapotere della Francia a Ginevra e una altrettanto chiara valutazione della impossibilità nella quale si troverà la Conferenza del Disarmo di far prevalere le idee veramente ' disarmistiche ' per le quali in apparenza almeno, essa è stata convocata. Ciò toma a confermare il dilemma nel quale la Conferenza si troverà di acconsentire cioè a un compromesso che sia a tutto vantaggio della Francia e rappresenti in sostanza la tesi e gli interessi francesi, o in caso contrario sdndersi nella constatazione della impossibilità di raggiungere un accordo».

Il 23 settembre Fani scrisse a Grandi:

• Il Capo del Governo partito lunedì ha improvvisamente deciso stamane di rientrare a Roma, dopo avere avuto un colloquio telefonico con Azzolini ed è arrivato circa le ore l8o

La mia impressione è che egli, quantunque non vi sia nulla di veramente grave sul momento, pure ha preferito tornare alla Capitale subito per dare le direttive opportune nella non simpaticissima situazione in cui anche l'Italia è venuta a trovarsi per la sospensione in Inghilterra del Gold standard Aet del '25 • o

Come vedi l'orizzonte è tutt'altro che roseo.

Tanto per la cronaca t'avverto che circola voce essere il Capo andato a Predappio per operare alcuni mutamenti. Io credo piuttosto che ci sia andato per preparare il discorso pel Gran Consiglio del 1° ottobve e quello per l'adunata dei Direttori Federali che avverrà il 24 ottobre all'Augusteo.

P. S. Ancora nulla da Addis Abeba!

(l) -E' la comunicazione dell'avvenuto sganciamento della sterlina dal gold standardo (2J Cfr. nn. 20 e 21. (3) -Il 22 settembre Fani scrisse a Grandi: • Nel pomeriggio mi ha telefonato il Duce da Forli ordinandomi di mandare ' A tutti ' (Ambasciate e Legazioni) il telegramma che smentisce la modifica del tasso di stabilizzazione della lira, telegramma che ti è stato trasmesso per conoscenza e per quella eventuale azione che ti si offrirà il caso di spiegare costi tra le personalità politiche che incontrerai • o
25

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 2866/457-458. Addis Abeba, 22 settembre 1931, ore 23,25 (per. ore 4,30 del 23).

Colloquio con Imperatore ha avuto luogo oggi alle 4. Sua Maestà, cui ho senza alcuna reticenza rappresentato pericolo situazione che va creando Gabrè Mariam alla frontiera senza nascondere che· suo agire potrebbe far crollare fiducioso lavoro compiuto meco al centro, mi ha risposto aver già stamane redatto ordine telegrafico con preghiera a me trasmettere a Gabrè Mariam a mezzo radio (1). Ho risposto che confermavo ancora la cosa ma che pur ringraziandolo trovavo essere stato utile spiegargli come simili azioni dovevano a tutti costi esser evitate. Sua Maestà mi ha pregato telegrafare a V.E. che dubita esser vero Gabrè Mariam voglia agire attacco inconsiderart;o e che è fin da ora escluso che egli possa ingerirsi sulla questione della frontiera che sarà regolata nei pvecisi termini previsti dal trattato e cioè fra i due Governi, che pur non intendendo con ciò fin da ora riconosce11e che posti... avanzata nostra... alla delimitazione fatta esser riconosciuti come italiani gli ordini dati... lascia dichiarare giudica'ta situazione di fatto qual'è quella stabilita... armata (2).

S.M. l'Imperatore mi ha pregato di dare a V.E. le più ampie assicurazioni di amicizia e di solidarietà. Ho anche attirata attenzione su cospicuo numero arma.ti che appare in ItaHa una vera provocazione. Mi [ha] spiegato che così affluenza numero (2) è necessario perché altrimenti popolazioni Ogaden avrebbero massacrato Governatore con tutti suoi capi e armati. Come V. E. avrà rilevato dai testi trasmessi con mio telegramma 456 Governo e Imperatore pur cedendo con prontezza nostre richieste non celano le loro riserve alle quali io risponderò domani mattina con nota scritta per opporve a tali riserve le nostre

• Questa soluzione incidente era da attendersi. E' chiaro che Gabrè Mariam ha agito in seguito a precedenti istruzioni del Negus. Giorno 21, a Rava che mi telegrafava: "mia impressione, da complesse notizie, è che azione sia concordata con Addis Abeba salvo sconfessare caso insuccesso", risposi : "concordo con V .E. Gabrè Mariam agisce per precedenti istruzioni Addis Abeba. Ritengo però azione tenda soltanto far constatare coi fatti nostra occupazione Belet Uen per poi sollevare linea diplomatica questione confine" •.

II tel. di Paternò fu ritrasmesso da Astuto a De Bono con t. r. p. 1892 del 23 settembre, ore 19 (ASMA!, Fondo segreto).

controriserve. Questi particolari ci dice... nel senso delimitazione sarebbe tutt'altro facile. Ci dice pure come chiasso parte attiva... nei nostri riguardi e quali uno dei più forti postulati cui... cosicché naz,ionale abissino difficilmente rinunzierà (1). Imperatore nel parlarmi apertamente della Questione mi ha detto desidera intrattenermi su taluni problemi sui Quali chiederà notizie assolutamente segrete fin quando V. E. non avesse vagliato i pensieri che Sua Maestà spera di confidarmi fra non molto tempo sui quali ha finora taciuto con noi perché desidera prima approfondirli meglio. Anche su tali intenzioni... mi ha chiesto di... dal farne accenno (l) non essendo ancora sicuro di poter formularla in modo concreto (2).

Il presente telegramma è stato comunicato a Mogadiscio fino alle parole: " Imperatore nel parlarmi »

(l) II giorno 22 Paternò inviò ad Astuto un tel. del quale si pubblicano i passi seguenti: .

(2) II testo è mal decifrato.

26

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 86. Belgrado, 23 settembre 1931.

Come sommariamente riferito con telegramma per corriere n. 386/212 del 22 corrente (3) ho avuto in Quel giorno un secondo colloquio con Jeftic durato due ore. Esso è stato faticoso e pesante per essersi prevalentemente aggirato, e senza via di uscita, sulla ipotesi della nostra eventuale occupazione albanese. Verrà ripreso al più presto, ,ed intanto si approssimerà il momento del ritorno del Re da Niska Banja.

Mi lin1ito a riferirlo unicamente perché lumeggia sen1pre meglio attività del Sovrano ed è pure preciso sintomo atto a dimostrare come nello sfondo dei nostri rapporti con l'Etiopia, il problema delle rivendicazioni nazionali è sostanziahnente e fatalmente predominante.

Dovrei, di fronte alla formulazione di una completa offerta Abissinia riservare mio giudizio circa nostro interesse ad accettarla. Tali riserve sono riassunte in tre principali punti:

l o Valutazione e possibilità della contropartita da realizzarsi; non essendo, a mio giudizio, una parte dell'Ogaden sufficiente compenso; possibilità che richiederebbero garanzie, nella pratica assai difficili se non peggio.

2° Portata che un simile accordo avrebbe nei nostri rapporti con le Potenze tripartite e specialmente con la Francia. 3" Conseguenze negative che ne deriverebbero in ordine ai postulati della nostra politica in Etiopia».

Sul secondo colloquio, avvenuto la vigilia della partenza per l'Italia di Paternò, questi riferì con tel. s. 3590 del 7 novembre, ore 19 (per. ore 24), del quale si pubblica il passo seguente: « Imperatore in un colloquio segreto mi ha ripetutamente pat"!ato del progetto dell'Ogaden -sbocco al mare. Sua Maestà mi ha pregato di esporlo a V.E. in modo assolutamente segreto per modo che se dovesse incontrare disapprovazione del R. Governo nuJla possa trapelare in merito. Sovrano mi ha detto che un simile accordo potrebbe essere la base di uno stabilimento fra i due paesi, ma ha pure nr;giunto che, nel caso di una nostra negativa, i suoi sentimenti verso l'Italia rimarrebbero lo stesso improntati ad immutabile amicizia. Sua Maestà desidera solo che da questo suo passo rimangano chiariti suoi sforzi di arrivare con noi a soluzioni che sorpassino di gran lunga un semplice patto scritto in quanto venga ad arricchirsi e non ritardare reale opera tali acco-rdi transazionali dei due paesi». Paternò rispose, come già aveva risposto nel primo colloqnio, che avrebbe riferito la proposta a Grandi.

Premetto che Jeftic ha iniziato il colloquio dicendomi che aveva riflettuto a quanto ci eravamo detto pochi giorni prima (l) e riteneva fosse meglio cominciare a predisporre qualche progetto scritto.

Tenuto presente che, per quanto si sia più volte ripetuto fra noi che quanto ci dicevamo, meno per alcuni punti fondamentali, non era mai assoluto e definitivo, che si trattava di accostarsi via Vlia 'l'uno all''altro, al che i colloqui ripetuti e prolungati avrebbero offerto man mano la possibilità ecc. ecc. non ho creduto accettare tale suo invito poiché, comunque, qualsiasi parola scritta in guisa di formula, potvebbe pur sempre esserci domani opposta come difficoltà od arresto di discussione, qualora V.E. non l'avesse prima approvata. Gli ho perciò risposto che prima di passare a formulazioni scritte, sia pure a titolo di progetto avente carattere di delucidazione fra noi e non mai di proposte anche soltanto ufficiose, era meglio fissare inequivocabilmente quelle che potevano essere le colonne basilari dei nostri futuri rapporti, salvo a passare poi alla forma che le avrebbe rivestite e riunite. Così ad esempio colonne della questione albanese erano per noi: riconoscimento dello statu quo di diritto e di fatto, riconoscimento che le frontiere albanesi costituiscono interesse strategico italiano, riconoscimento nostro diritto di ristabiLire l'ordine in Albania, beninteso con le cautele e garanzie da fissarsi di comune accordo e che significassero piena tranquillità per la Jugoslavia.

Per il resto del colloquio che è stato assai frammentario raggruppo qui di seguito gli argomenti principali di esso con i diversi punti di vista sostenuti.

Debbo però avvertire che in questa occasione sono stati sfiorati anche altri argomenti, nei quali ho ripetuto quanto V.E. aveva già detto a Marinkovich ed allo stesso J eftic. E cioè :

I) Confini nord-est. Non abbiamo alcun impegno di qualsiasi genere e specie con l'Ungheria. Ma una ormai decennale situazione costituita dai nostri molteplici rapporti e da una assoluta mutua confidenza ci poneva in una posizione delicata. Ritenevamo per altro che non fosse malagevole chiarire in modo soddisfacente anche questo punto.

II) Per gli altri confini, specie balcanici, della Jugoslavia e sullo statu quo balcanico sarebbe stato più che facile intenderei. Gli ho a questo riguardo fatto rilevare che poiché nella penisola Balcanica è posta anche l'Albania, una formula che riflettesse lo statu q_uo balcanico copriva anche quegli interessi balcanici ai quali nei riguardi albanesi la Jugoslav;ia annette per essa primaria importanza (frontiere, irredentismo, etc. etc.) mentre quando si consideri l'Albania in sè e per sé non può essere dubbio per noi che è la nostra situazione che deve occupare il primo posto. Seguono gli altri argomenti:

a) P1·iorità italiana in Albania -Si è confermata fra noi la pos1z10ne italiana prevalente. Egli ha fatto pvesente i sacrifici sostenuti dalla Serbia per raggiungere lo stato presente, quindi l'estrema sensibilità a qualsiasi cosa possa compromettere l'edificio costruito con tanto costo di sangue e di denaro. Di qui la necessità che anche nei riguardi jugoslavi le frontiere costituiscano un interesse strategico. Nessuna difficoltà del resto a riconoscere che l'Albania

forma parte integrale del sistema di difesa adriatica dell'Italia, frase che mi parrebbe ,eccellente per quella formula che si dovrà poi concretare, essendo essa estremamente comprensiva e significativa.

b) Relazioni attuali con l'Albania -Jeftic ha fatto cenno del patto di Tirana del 1926 che viene prossimamente a scadenza dicendo: l) che esso conteneva impegno da parte nostra di mantenimento dello statu quo • politico e giuridico •. Ciò poteva condurre l'Italia a sostenere albanesi contro albanesi, 2) che dal momento che esso stava per scadere meglio sarebbe stato non rinnovarlo.

Gli ho risposto che era mia personaLe opinione ed interpretazione questa: QuaLsiasi stato che stabilisce rapporti contrattuali con altro, specialmente se si miri con essi ad assicurare il mantenimento dell'ordine interno, presuppone la indeiitnita durata dell'altra parte contraente ed ha interesse a che questa parte sia in condizioni costanti e permanenti di far valere la propria autorità. Ogni mutamento di direzione può costituire minaccia per l'ordine, di conseguenza non solo è legittimo e naturale ogni sforzo per mantenere l'ordine che parte dal Governo col quale l'impegno è stato contratto, ma adoperarsi anche perché altri non lo muti. Il che per altro non può significare che se per ragioni cause motivi circostanze contingenze fuori della volontà delle parti, dovesse prodursi un mutamento di direzione, una delle parti debba anche • con la forza • imporre all'alltra la continuazione di quelLa situazione poLitica e di governo che siano portate a :cessare da ineluttabili eventi. Per me personalmente, questo era il significato dell'accordo del '26 non altro. Per esempio era evidente che se fossimo arrivati ad una conclusione soddisfacente dei prossimi colloqui nostro interesse e desiderio era che la situaziohe politica presente durasse indefinitamente, poiché la sua durata ,era la migliore garanzia della esecuzione degli accordi stessi. (Non nascondo a V.E. che nel dirgli questo il mio pensiero correva alla situazione interna presente nella quale sonvi tanti punti interrogativi e che deve essere esaminata con ogni possibile prudenza e riserva).

Per quello che si riferisce al rinnovo dell'accordo del '26 dovevo supporre che fossero in corso trattative per il suo rinnovo che mi sembrava logico e conseguenziale di tutta la nostm situazione in Albania. Ma non poteva dirgli al riguardo alcunché di preciso, poiché in verità ignoravo il pl'eciso stato attuale delle cose.

V.E. rileverà da quanto precede che una delle preoccupazioni è che vi sia nostro impegno a sostenere a qualsiasi costo Re Zogu, che perciò questo possa essere possibile motivo all'intervento militare. V.E. mi dirà se la risposta data, a titolo personale, possa essere mantenuta, o con quali eventuali aggiunte e modificazioni.

c) Esercito albanese -Come già a V.E., anche a me Jeftic ha detto che lo Stato Maggiore jugoslavo è preoccupato dell'incremento che noi diamo all'esercito albanese sproporzionato agli scopi difensivi che esso può avere. Gli ho risposto come V.E. (esercito spina dorsale del nuovo stato, scuola e formazione dei nuovi albanesi, etc. come del resto anche lo jugoslavo per la formazione dei nuovi jugoslavi). Gli ho aggiunto che sembrava evidente che ,l'interesse che avremmo portato in futuro all'esercito albanese, in regime di amicizia italojugoslava, non sarebbe stato identico a quello che possiamo portarvi oggi in regime contrario 'e che perciò a quel momento non sarebbe sta·to, a mio giudizio, malagevole dare assicurazioni e chiarimenti rassicuranti per la Jugoslavia. Ma dovevo fargli osservare che anche noi seguivamo attentamente gli aiuti francesi all'esercito jugoslavo, la cui forza era poi strabocchevolmente superiore a quella dell'albanese. Replicatomi che noi pagavamo le armi e fattomi allusione all'ultimo prestito gli ho risposto che era possibilissimo che noi fornissimo armi, ma forniture e prestiti erano anche fatti dalla Francia ed a lauto pagamento e verso corresponsione di alti ,interessi. Se le nostre forniture erano per avventura 'gratuite ed i nostri prestiti senza interessi ciò dimostrava che noi avevamo dell'alleanza una concezione più ampia e più profonda e più disinteressata che non la concezione mercantile francese. Se .egli si doleva che eranvi ufficiali itaHani 1in Albania, dovevo dirgli che pur senza averne il nome, vi era una missione militare francese anche in Jugoslavia. Alle sue espressioni di stupore ho risposto che uno degli ufficiali lo avevo conosciuto io stesso, che la moglie del consigliere di Francia (qui ho storto un poco l'effettiva verità) lo aveva presentato a me a Bled come • stagiaire dans l'Armée Yougosla:ve •. E col nome del Bertouhart gli ho da,to anche altri nomi che egli si è appuntato premurosamente, come per farmi credere alla sua ignoranza della cosa ed al deside·rio di informarsi.

d) Occupazione italiana dell'Albania -Io stesso gli ho chiesto di precisarmi cosa avesse significato la allusione dell'altro giorno ad una occupazione non militare, e quanto detto a V.E. di una • gendarmeria •. Egli mi ha allora risposto che il suo pensiero era che in caso di impossibilità di costituire ordine interno, l'Italia e la Jugoslavia si sarebbero dovute rivolgere alla S.d.N. di comune accordo, e la S.d.N. avrebbe designato un personaggio (suppongo abbia voluto dire un Alto Commissario) ed inviato colà le forze a sua disposizione. Gli ho subito obiettato:

l) La S.d.N. non ha forze a sua disposizione ma deve chiederle a terzi stati. Avevamo la esperienza dell'infelice esito in Persia ed Albania delle gen

.darmerie svedesi 'ed olandesi ed inoltre non si trattava qui di inviare eventualmente qualche ufficiale di gendarmeria, ma forse qualche migliaio di uomini. Chi pagherebbe? (egli ha subito risposto: noi saremmo pronti a sostenere la nostra parte). Non si trattava di pl'evedere la spesa di qualche milione, ma di molte decine di milioni. A parte che forse uno stato disinteressato alla questione non consentirebbe che numerosi suoi cittadini andassero in Albania a rischiare salute e vita, il compenso individuale di ciascuno di essi sarebbe stato per necessità di cose così elevato da rendere insostenibile la spesa. Non così invece per militari di truppa obbligati a servizio milital'!e, ai quali spetterebbe solo il soprassoldo previsto per tali casi.

2) Ma indipendentemente da questa considerazione di pratica finanza, vi era una impossibilità politica da nostra parte di ammettere simile soluzione. Dove andrebbe a finire la ammissione di nostra priorità albanese e di nostra difesa adriatica? ed il pericolo di avere truppe in Albania a qualsiasi stato appartenenti non sarebbe identico per la Jugoslavia anche in questo caso? Egli stesso me ne aveva accennato. Sola soluzione log.ica era l'intervento italiano. Lo si poteva concepire limitato in vari modi, si poteva immaginare una previa consultazione dei Governi e degli Stati Maggior.i, si potevano escogitare altri rimedi. Me li suggerisse. Li avremmo studiati con ogni buona volontà. Ma non poteva fermarsi sulla negativa. Non doveva obliare che questa ipotetica occupazione che volevamo esaminare solo per stabilire su chiarissima ed inequivocabile base i nuovi rapporti con la Jugoslavia, sarebbe avvenuta .in situazione di piena e reciproca confidenza fra Roma e Belgrado, nel quadro di un accordo generale de·l tipo di quello con la Francia (o quello altro che Re Alessandro potrebbe immaginare) con una assicurazione di statu quo balcanico, etc. etc.

Come già detto questo è stato il punto di più lungo e non conclusivo esame. Mi è sembrato che in un momento Jeftic facesse vaga allusione alla possibile futura spartizione dell'Albania. È ovvio che ho lasciato cadere come lascerò sempre cadere qualsiasi allusione di tal genere.

Al termine del colloquio e dopo esserci dati appuntamento per un giorno prossimo (e non alla Real Casa per non dare troppo nell'occhio) mi ha confermato che Re Al-essandro mi vedrebbe al prossimo suo ritorno da Niska Banja.

Debbo rimarcare che il Principe Paolo è stato a Niska Banja e mentre doveva far ritorno subito a Bohinje (presso Bled) per quanto mi risulta, dovrebbe partire per l'Italia oggi o domani. Non attribuisco nessuno scopo a questa partenza, ma debbo notarla ad ogni utile fine.

Prima di chiudere il presente rapporto debbo ancora attirare l'attenzione di V. E. sulla situazione interna difficile come non lo è stata certo mai da che mi trovo in Jugoslavia, e che mi riservo esaminare in dettaglio nei prossimi giorni. ColLego interamente a questa situazione la voluta ripresa de.i colloqui da parte di Re Alessandro. Vuole egli cercare da noi una solidarietà ed un sostegno, data la situazione dittatoriale che al suo spirito appare simile al Regime Fascista? (1).

(l) -Il testo è mal decifrato. (2) -Su questa questione (la proposta di scambiare una parte dell'Ogaden con uno sbocco al mare in Eritrea) l'Imperatore intrattenne Paternò in due colloqui. la prima volta in modo generico e la seconda in modo preciso e circostanziato. Sul primo colloquioPaternò riferì con tel. s. 3466 del 30 ottobre 1931, ore 19 (per. ore 3 del 31), del quale si pubblica il passo seguente: " Data peculiarità temperamento Imperatore, debbo esprimeredubbio che effettivamente Sua Maestà mi riparli in modo decisivo di tale argomento.

(3) Non si pubblica.

(l) Cfr. n. 18.

27

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA

(Copia)

Roma, 24 settembre 19.31.

Stamane, 'erano passate le 9, mi ha telefonato S.E. il Capo del Governo per chiedermi quali aiuti erano stati dati al Capitano Ferruccio Vecchi (lo ricorderai bene) che sta a New York, poiché questi aveva scritto a Chiavolini che se per il giorno 23 non gli fosse stato dato un nuovo sussidio si sarebbe

• Dal canto mio ho nuovamente e lungamente spiegato .Der quali motivi generali connessi a tutto lo sviluppo della nostra politica albanese iniziatasi circa 30 anni fa, e portata al suo massimo sviluppo dal Governo Fascista, e per quali ragioni specifiche di sicurezza adriatica non avremmo mai potuto accettare alcunché che potesse significare anche diminuzione ideale del nostro privilegio albanese •.

messo a fare il fuoruscito. Ho fatto sapere al Capo che costui ha già avuto circa

20.000 lire di sussidi nonché passaggi gratuiti sui piroscafi per l'Italia (passaggi di cui però non ha mai usufruito). Dopo questa comunicazione il Capo ha deciso di chiudere questa parti'ta ordinandomi di non mandargli più nulla.

Mi ha telefonato verso le 10 una seconda volta dicendomi che, poiché la stampa francese continuava a pubblicare che l'Italia avvebbe mutato la quota di stabilizzazione della lira, telefonassi a Parigi di adoperarsi in ogni modo per convincere la stampa a pubblicare smentite. Ho parlato con Vinci, il quale mi ha assicurato che la stampa aveva cambiato già di molto il suo contegno a questo riguardo. Per poi comunicargli il consiglio del Capo circa il modo di conv,incere la stampa, gli ho fatto due telegrammi, col cifrario riservatissimo il primo, e col cifrario meno riservato il secondo, telegrammi che ti trasmetto in copia e che ho mostrato al Duce il quale li ha approvati. Questi due tel,egrammi si completano senza necessariamente collegarsi (1).

Ho ricevuto l'Ambasciatore d'Argentina Perez il quale ha svolto una delle sue solite conversazioni inconcludenti sul più e sul meno. Mi ha acc,ennato ad un solo argomento di vero interesse: l'intensificazione del turismo argentino verso l'Italia, esponendomi un suo progetto che mi pare buono e sul qual,e ti riferirò al tuo ritorno. p,erez parte per Parigi per starvi alcuni mesi.

Per ordine del Capo ho mandato a Vinci un elogio per il comunicato di smentita a quanto aveva pubblicato il Paris Midi, comunicato che tu conosci e che ha presentito il telegramma del Capo • A tutti • (2) fattogli pervenire nella se,rata.

Av,endo stamane mostrato al Capo i telegrammi di Ciano da Shanghai dai quali si rileva come il Presidente Chang-kai-Tcheck aspiri alla mediaz,ione di Mussolini nel conflitto cino-nipponico, il Capo si è messo a ridere e ha detto

• a cose finite, faremo sapere questo desiderio cinese •. Null'altro da segnalarti di eccezionale importanza.

(l) Con successivo rapporto rr. 87 del 2 ottobre Galli informò su un terzo colloquioda lui avuto con Jeftic il 30 settembre. Nel corso del colloquio Jeftic riferì a Galli l'intenzione di re Alessandro di introdurre • un cambiamento di 90 gradi • nella politica estera jugoslava e di giungere ad una alleanza di fatto con l'Italia; in cambio re Alessandro chie• deva una modifica nell'atteggiamento italiano circa l'Albania.

28

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (3)

(Copia)

TELESPR. 47987. Roma, 25 settembre 1931.

Trasmetto in copia alla E.V., per opportuna conoscenza, il rapporto riservatissimo, che il Governatore dell'Eritrea mi ha diretto, relativo alle impressioni r,iportate nella sua recente visita ad Addis Abeba: rapporto che riconosco della più grande importanza, sopratutto nella parte che tratteggia il vario intrecciarsi degli ·elementi da cui risulta l'attuale interna situazione dell'Etiopia.

Quanto agli apprezzamenti di carattel'le politico, che S.E. Astuto fa, li trovo in massima giusti; ma qualche osservazione e qualche riserva credo, per mio conto, di dov,er fare intorno a taluno di essi.

Che, anzitutto, l'intervento americano nelle cose di Etiopia medti tutta la nostra attenzione, è fuori dubbio; ma mi sembrano forse esagerati i pericoli che si crede potrebbero derivarne, e che dovrebbero fra l'altro consigliare un fronte unico di difesa fra le tre Potenze ,europee confinanti con l'Abissinia. Ciò non toglie, s'intende, che sia utilissima una intesa fra queste, per ridare all'Accordo tripartito del 1906 il suo valore, e sopratutto per indirizzarlo v,erso realizzazioni più immediate e concrete. Ll problema etiopico è certo giunto ad una fase di estrema importanza e delicatezza; e restare inattivi, nella fiduciosa attesa di una soluzione a noi favorevole, sarebbe sommameme pericoloso, per non dire che contrasterebbe nettamente col nostro più palese interesse.

Un'azione, però, che si limitasse alla via diplomatica, sia pure rinnovando intese, ma non proprio di carattere risolutivo, intorno all'Etiopia, -anche per le difficoltà numerose cui andrebbe incontro, e per l'incertezza dei suoi risultati, oggi specialmente che l'Abissinia, membro della Sodetà delle Nazioni, cerca di sviluppare e consolidare i successi della sua recente politica e quella posizione di favore che da questa ha tratto, -non potrebbe ,essere certo considerata sufficiente, ove non fosse integrata da un'azione di altro genere, esclusivamente nostra, più solida e fattiva, la quale si svolgesse all'infuori delle Potenze ed all'infuori di Addis Abeba, e puntasse direttamente sulle regioni etiopiche confinanti con l'Eritrea (1).

Trattasi, in altri termini, della nota • politica periferica •, alla quale, secondo me non possiamo ,e non dobbiamo rinunziare. S.E. Astuto ad essa non è contrario; ma avverte che, data !',indebolita situazione dei Ras e la maggior forza ed autorità del potere centrale, essa dovrebbe rivolgersi anzitutto verso le popolazioni. Io, a dir VJero, ritengo questa azione nei riguardi delle popolazioni importante, ma non essenziale. Le popolazioni non hanno in genere, e meno ancora in Etiopia, efficienza politica. Pr,endono i vantaggi loro offerti; ma, alla fine, seguono i capi. È invece sempre su questi capi che, secondo me, bisogna far leva. Osservo in proposito che essi, nel loro progressivo indebolimento, che è proporzionale al rafforzamento del Negus, non hanno purtroppo trovato in noi alcun contributo di resistenza e di opposizione, nessuna concreta volontà di assistenza e di aiuto che servisse da efficace contrappeso. Ne è conseguito, in essi, un atteggiamento che non può certo essere di fiducia verso di noi, e che non può non essere considerato logico, e quindi giustificabile.

Ora, mentre, com'è naturale, noi dobbiamo continuare e anzi svHuppare la politica delle popolazioni (attraverso facilitazioni al commercio, istituzioni di mercati, impianti di larghi servizi sanitari -medici e veterinari), non dobbiamo astenerci dal persegui11e la politica dei Capi, cercando di ridar forza e fiducia ai Ras, e specie a taluno dei Ras di confine; di risollevarli possibilmente alla funzione di latente minaccia per il potere centrale; di favorire insomma quello stato di ,interno squilibrio, dal quale soltanto è possibile attendersi avvenimenti risolutivi. Si tratterebbe, precisamente, di riprendere con maggior intensità,

con più precisa percezione degli obiettivi, e quindi con più larghi ed adeguati mezzi, quella politica di protezione, di efficaci aiuti e di rafforzamento dei Ras, la cui importanza non mi pare sia oggi venuta meno, e la cui attuazione è, come è noto, affidata principalmente al Governo del:l'Eritrea.

Che, del resto, il problema etiopico non abbia la sua sede in Addis Abeba, ma, da un lato presso i Governi delle tre Potenze europee, e dall'altro nelle zone periferiche dell'Etiopia, è conllermato dai recenti avvenimenti al confine somalo: attraverso i quali traspare evidente il doppio giuoco del Negus, con la conseguente difficoltà per noi d'impedirlo servendoci delle relazioni di carattere ordinario col Governo di Addis Abeba. L'episodio mette in piena luce la vera natura dei rapporti che corrono fra il Governo etiopico e noi, e la vera portata della civiltà e dei sistemi dell'Abissinia; e dimostra che la soluzione da tempo ricercata, ove non possa facilmente trovarsi in augurabili intese di carattere veramente dedsivo (a cui S.E. Astuto allude nell'ultima parte del suo rapporto), dovrà se non altro essere preparata ,e favorita, per conto nostro e nel nostro interesse, da quell'azione periferica, larga e fattiva, non solo verso le popolazioni, ma anche verso i Ras, di cui ho testé parlato.

Queste osservazioni ho voluto fare per manifestare in proposito tutto il mio pensiero; e mi sarà gradito conoscere se in esso concorda l'E.V.

ALLEGATO.

ASTUTO A DE BONO

(Copia)

R. RR. 244. Asmara, 9 settembre 1931.

La mia visita ad Addis Abeba è stata già descritta nei vari telegrammi inviati dal Marchese Paternò di concerto con me. È inutile qui ripetere le stesse cose.

Occorre invece trarre alcune conclusioni di carattere generale e fare qual

che induzione per l'avvenire. Riproduco anzitutto un pro-memoria schematico redatto dal Marchese Paternò sui risultati ottenuti e sulle constatazioni fatte:

pro-memoria sul quale concordo. Esso è già stato inviato dal Marchese Paternò a S. E. il Ministro degli Affari Esteri (Rapporto primo corrente numero 261-101) (1).

Ciò premesso, premetto anche che debbono considerarsi qui riportate le considerazioni fatte dal Marchese Paternò nel suo citato rapporto.

Per mio conto voglio soltanto aggiungere che nei contatti frequenti ed anche intimi da me avuti con i quattro Ras, ho tratto l'assoluta persuasione che il successo -non discutibile -della politica accentratrice di Tafari è dovuto non soltanto alla sua indubbia abilità e completa mancanza di scrupoli, ma anche alla neghittosità e viltà del Ras Gugsa, del Ras Seium e del Ras Hailù. Tutti e tre non oseranno mai di prendere posizione contro il Negus a meno che questi non fosse già pericolante. Per tale ragione l'unica possibilità di prender con essi contatto per una modesta politica periferica era quella di persuaderli che tale

contatto non sarebbe stato disapprovato dal Negus, almeno in modo aperto e deciso. Ma essi rimangono pur sempre modeste pedine nel gioco della politica periferica e su essi potrebbe farsi affidamento, soltanto qualora nuovi avvenimenti mutassero in modo radicale l'attuale equilibrio politico etiopico.

Cassa è un uomo di ben altre qualità ed inoltre la sua posizicme politica di esponente riconosciuto delle forze tradizionali etiopiche gli permette di affermarsi e di farsi valere anche di fronte al Negus, che lo tratta con riguardi assai maggiori di quelli usati verso gli altri Ras. Ma egli è, come noto, parente di Tafari ed appartiene perciò alla dinastia regnante. Non potrà quindi mai essere l'esponente di una politica periferica disgregatrice dell'impero etiopico. Egli rappresenta, come Tafari, il dominio scioano su tutta l'Abissinia. Il giorno in cui egli prendesse (ciò che non è da escludere) posizione contro Tafari, si tratterebbe di una lotta di famiglia, di una congiura di palazzo, che probabilmente si svolgerebbe ad Addis Abeba, forse soltanto nel recinto del Ghebbì, e che non avrebbe ripercussioni nel paese né sar·ebbe certo una manifestazione della cosiddetta politica· periferica. Se una simile azione riuscisse, si avrebbe soltanto una sostituzione di persona e null'altro.

Cassa insomma, se può rappresentare un pericolo potenziale per Tafari, non rappresenta invece alcun pericolo per l'azione centralizzatrice, che egli Eaprebbe e vorrebbe continuare se non con la stessa sottile abilità, certo con assai più virile energia e con una maggiore presa sulle vecchie forze tradizionali abissine, che ancora oggi sono quelle che contano di più. Ma, nelìe condizioni attuali, egli è interessato quanto Tafari al rafforzamento del potere centrale, e i nemici di Tafari sono anche i suoi.

Occorre apertamente riconoscere questa situazione c non farsi illusioni. Credo che ormai Tafari, sicuro della sua posizione verso i Ras, sia passato ad una seconda fase dell'opera che persegue da anni, e che adesso i suoi sforzi siano diretti sopratutto ad organizzare il suo governo ed a rendersi il più possibile libero da ogni influenza delle tre potenze europee i cui possedimenti coloniali circondano l'Etiopia: Italia, Inghilterra, Francia.

L'opera di organizzazione del Governo Centrale ha due principali finalità: organizzazione finanziaria, che gli permetta di avere nelle mani la maggior parte possibile delle entrate dell'impero; organizzazione politica che gli permetta di legare, controllare e limitare più che sia possibile l'autonomia feudale dei Ras nei propri territori. Tutto il resto, ed in modo speciale la recente costituzione, è fatta per la galleria, e sopra tutto per la galleria europea di Ginevra.

Egli cerca inoltre di destreggiarsi fra le tre potenze tripartite, diminuendo l'influenza che in un primo periodo era stato costretto a dare alla Francia, per averne indispensabili aiuti e sopratutto l'ammissione nella Società delle Nazioni e la conseguente libertà nell'importazione delle armi. Oltre l'abilità, non discutibile, usata dal Marchese Paternò, ciò spiega perché attualmente ad Addis Abeba la posizione dell'Italia appaia ben migliore di quella della Francia. È interessante notare come il Negus, nella nostra udienza privata, abbia marcatamente voluto dichiarare in quale alta stima egli tenga il R. Ministro, facendo anche notare che questi al suo arrivo gli era stato dipinto come un avversario dell'Etiopia. Si tratta probabilmente dell'azione della solita cricca Bertolani.

Ma la posizione rispettiva dell'Italia e dell'Etiopia rimane pur sempre quella che i precedenti storici hanno creato: e cioè inevitabilmente antagonista. Al mio arrivo, la voce corrente al mercato di Addis Abeba era che io fossi venuto a dichiarare la guerra al Negus. Ciò dimostra il solito immutabile (e vorrei dire logico) stato d'animo. Sarebbe grave errore per noi il non averlo sempre presente.

Mentre il Negus tende ad equilibrare e quindi a neutralizzare l'influenza delle Potenze Tripartite, un nuovo elemento estero si afferma sempre più in Etiopia, elemento indubbiamente, se pur ancora non palesemente, antagonistico alle suddette Potenze: quello americano. L'azione americana tende a galvanizzare l'Etiopia e a farne un campo di sfruttamento della propria azione commerciale, senza però che si possano, io penso, escludere per l'avvenire ulteriori sviluppi.

È sorto quindi a mio giudizio un fatto nuovo, che potrebbe e forse dovrebbe riunire le Potenze tripartite dinnanzi a un comune pericolo. Pericolo la cui importanza non farebbe che crescere col tempo, ove queste tre Potenze non costituirebbero quel fronte unico (l) di esse il disegno di una azione indipendente, a proprio esclusivo vantaggio ed eventualmente a nostro danno. Ma l'ammissione dell'Etiopia nella Società delle Nazioni se ha danneggiato noi, non ha giovato alla Francia. Il Tripartito costituiva -di quel fatto -le tre Potenze stipulanti in protettrici dell'Etiopia. Questa posizione tentano ora di prenderla gli Stati Uniti. Dovrebbe essere comune interesse delle tre Potenze di ritornare al trattato del 1906, precisandolo maggiormente e indirizzandolo verso realizzazioni più immediate e più concrete.

Credo che il problema etiopico (il più importante fra tutti i nostri problemi coloniali) sia giunto o stia per giungere ad una fase importantissima, gravida di possibilità e che non potrebbe però durare a lungo. Un ritardo, e quindi un maggiore consolidarsi delle posizioni americane, darebbe al problema troppo grande estensione politica. Occorre non perdere tempo e pensare inoltre che la chiave per una possibile favorevole soluzione di questo problema non è ad Addis Abeba. È a Parigi e a Londra. A Parigi, il problema potrebbe felicemente innestarsi in quello -ancora sul tappeto -dei compensi coloniali. E a Londra, con un Ministro degli Esteri conservatore e imperialista, troverebbe adesso atmosfera più favorevole.

(l) -Con questi tel. Fani metteva del danaro a disposizione di Vinci e gli dava istruzioni di • iniziare ogni possibile contatto diretto o indiretto compatibile con la prudenza del caso con i dirigenti di codesti maggiori giornali facendo anche se necessario opera di allettamento personale nei modi più avvincenti, con tutti i mezzi a cui Lei crederà di poter ricorrere •. (2) -Cfr. p. 34, nota 3. (3) -Il doc. è stato visto da Mussolini.

(l) Le parole in corsivo sono state sottolineate -pare -da Mussolini.

(l) Si sopprime perché già pubblicato in serie VII, vol. X, p. 710.

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RELAZIONE DEL MEMBRO DELLA DELEGAZIONE A GINEVRA, DE MICHELIS, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (2)

RISERVATA. Ginevra, 25 settembre 1931.

Appena giunto a Ginevra, ai primi di Settembre, seppi da Albert Thomas che verso la metà dello scorso luglio il sig. Laval, avendo appreso incidentalmente che mi trovavo di passaggio a Parigi, aveva manifestato il desiderio di parlarmi.

Coll'attuale Presidente ci conoscemmo alcuni anni or sono, quand'egli era Ministro del Lavoro, ed avemmo anche occasione di rivederci un paio di volte in casa di Albert Thomas durante l'AssembLea della S.d.N. del 1930.

Nello scorso luglio il signor Lavai t,entò di rintracciarmi in parecchi alberghi ed all'Ambasciata; ma io avevo già lasciato Par,igi. Recentemente, essendo ritornato laggiù per i funerali di Arthur Fontaine, il signor Laval mi invitò a recarmi da lui. Ciò che feoi, dopo avere ottenuto il consenso di v. E.

Il colloquio (10 settembre) si è svolto in via strettamente amichevole e personale ed è durato un'ora e mezzo (1). Di esso ho edotta a voce V. E. appena fui di ritorno a Ginevra il giorno dopo. Dico subito che il sig. Lavai conosce soltanto genericamente e vagamente le questioni che interessano il nostro ed il suo Paese nei loro reciproci rapporti; cosicché il colloquio non poteva giungere a constatazioni chiarificatrici particolari.

Si sa che la qualità precipua del sig. Lavai è, con quella della mancanza di qualsiasi scrupolo poLitico, una grande furberia. Una furberia che si accompagna alla bonomia soddisfatta dell'uomo che la vita ha abituato al facile successo. Successo di danaro, di prestigio, di abilità, di onori. È l'uomo che, anche nel modo di parlare -senza scrupoli anche in quello -vuole dare l'impressione di avere il cuore sulla mano. Taluno che lo conosce da vicino mi diceva che non abbia peli sulla lingua... e neppure sul cuore.

Di fronte a un uomo di questo genere e quando non si debbano tenere le distanze, non è, però, difficile parlar chiaro. È quanto ho fatto; anche perché il sig. Lavai mi aveva avvertito che dovevamo parlarci • francamente e, se occorreva, anche brutalmente •.

Non mi pare necessario ripetere parola per parola la conversazione, anche perché quando ho voluto ed ho dovuto dare qualche precisione, ho capito che il mio interlocutore in fatto di politica estera è un • apprendista •. Preferisco, perciò, soltanto segnalare qualche dichiarazione del Presidente, qualche mia impressione ed infine le conclusioni del colloquio.

Il sig. Lavai dice di nutrire per S. E. Mussolini una grande ammirazione. Egli afferma che il mondo, o almeno l'Europa, gli devono essere riconoscenti per aViere nel 1922 fermato la marcia bolscevica. Il fascismo non lo impressiona. Hanno torto quei francesi di • gauche • che scaldano nel loro seno i fuorusciti e che combattono il fascismo come se si trattasse di una frazione politica francese. Il fascismo è il Govcerno d'Italia; è un regime. • Il est là; il faut l'accepter et JJe respeder •. Perciò gli italiani antifascisti dimoranti in Francia sono stati avvertiti di starsene tranquilli, se non vogliono esser cac-· ciati fuori della frontiera.

Laval è compreso di due necessità assolute per la Francia: tentare con

ogni mezzo di • intendersi • colla Germania e coll'Italia. Verso la prima il

Governo è spinto dalle • gauches • ; verso la seconda dagli altri gruppi. Se si

arriverà ad intendersi colla Germania questi gruppi si lasceranno convincere

anch'essi della necessità di una politica di questo genere; se si arrivasse ad

un'intesa coll'Italia le • gauches • sarebbero anch'esse attirate nel movimento.

E così le preoccupazioni equilibriste del sig. Lavai -uomo di Governo

sono tranquillizzate.

« Mi si assicura da fonte per solito bene informata, ma non ho modo di controllare la notizia, che Lavai avrebbe manifestato desiderio recarsi Roma per scambio di idee con

S.E. il Capo del Governo.

Da Roma sarebbe stato fatto intendere, in risposta, che progettata visita avrebbe

avuto molta maggiore utilità ed efficacia dopo la soluzione o inizio di soluzione delle mag

giori controversie fra i due Paesi.

Sarebbe stata in proposito fatta pervenire al Presidente del Consiglio francese una

lunga lista delle questioni in pendenza. lista che avrebbe sfavorevolmente impressionato

Lavai, il quale avrebbe senz'altro rimandato suo progetto a tempi migliori ».

Con tel. per corriere 2958/420, datato Parigi 26 settembre, Vinci comunicò la notizia che Lavai aveva espresso l'augurio di poter presto andar a Roma.

Nessuno dei dirigenti della politica francese -dichiara -è più convinto di lui della assoluta necessità di una cordiale ed intima unione coll'Italia. Egli desidera che S. E. Mussolini e S. E. Grandi sappiano che il raggiungimento di questo fine è non solo nei suoi propositi, ma che egli è animato, anche, dalla ferma volontà di realizzarli. Bisogna, dunque, egli ha aggiunto, approfittare di lui, che è uomo di volontà, e parlargH chiaro. Che cosa vuol·e l'Italia, che cosa bisogna fare per mettersi d'accordo e • marcher la main dans la main? •.

Senza aver l'aria di parlare a nome di chicchessia e senza voler fare delle richieste formali, ho sgranato -di frase in frase -il solito rosario. Soddisfazioni e sistemazioni coloniali immediate e mediate; Gibuti; accordi concernenti i mandati; garanzia di tranquillità adriatica, accordi pel Mediterraneo; collaborazione economica in pieno; intese per l'avvenire nel campo della politica generale, finanziaria, commerciale e della mano d'opera. Il canavaccio su cui ho ricamato è ben noto perché debba qui dilungarmi. Dirò, di nuovo, che il sig. Lavai non ebbe l'ada di meravigliarsi mai; ma ciò era dovuto, a mio avviso, piuttosto al fatto che non si rendeva conto, in realtà, di ciò che citavo, richiamavo o chiedevo, fatta eccezione delle impostazioni generiche, sulle quali 'egli è • tendenzialmente • d'accordo con noi.

Tanto che, a un dato momento, mi ha invitato a mettergli per iscritto, sotto forma di promemoria illustrativi, le singole questioni delle quali av·evo parlato. • Je les garderai pour moi; mais je demanderai l'avis du Quai d'Orsay pour mon information personnelle. Une fois ma réligion éclairée, nous nous reverrons pour en causer en détaiit Il faut savoir si l'on peut tomber d'accord ou jusqu'à quel point on peut s'entendre. De mon còté j'y mettrai tout ce qu'il faut et je ferai marcher le Quai d'Orsay jusqu'à la limite 'extrème •.

Mi sono schermito dal rispondere in modo assoluto alla domanda rivoltami; ma mi sembra che, volendo chiarire le posizioni senza compromissione alcuna, sarebbe opportuno andare incontro sollecitamente alla procedura suggerita dal signor Lavai. Egli mi ha detto che mi aspettava al più presto per continuave la conversazione su un terreno realistico e più pratico, essendo convinto che non ci si debba lasciar sommergere dagli avvenimenti, incalzanti e cambianti rapidamente.

Durante n colloquio il Presidente mi ha mani:llestato, a due riprese, il proposito di venire a Roma per vedere e • s'entendre • con S. E. Mussolini. Nel congedarmi mi ha detto: • venite presto, perché vorr.ei veder chiaro in tutte queste faccende per poterne poi parlare con Mussolini •.

Due punti debbo anche segnalare: accordo navale e disarmo. Laval si dichiara incapace di aggiustare il primo ed è inflessibile sulla ben nota tesi francese sul disarmo. Incolpa del primo gli • ammiragli •; e quanto al secondo afferma che quel Governo francese il quale cedesse di un sol pollice sarebbe subito rovesciato. La qual cosa è considerata dal sig. Lavai per la Francia come la più grande iattura possibile... finché duri il Governo che egli presiede.

Come già rappresentai a voce a V. E., la cosa che mi ha maggiormente impressionato (mi scusi V. E. l'espr.essione; ma io sono uno di coloro i quali temono che nell'attuale corsa affannosa dell'Europa alla ricostruzione accelerata al 100/100 della Germania, si preparino giorni tristi anche per l'Italia) è la esposizione del programma di amicizia colla Germania che il Lavai si

propone di sviluppare, programma che è ormai accettato da tutta la Francia.

Lavai durante la sua gita a Berlino proporrà -così mi ha detto -la formazione di un Comitato permanente di esperti franco-germanici i quali dovrebbero risolvere tutte le controversie economiche e finanziarie colla Germania e sarebbero anche ·incaricati di studiare i mezzi migliori per armonizzare nel campo industriale, agrario e della politica commerciale gli interessi dei due Paesi. Si dovrebbe spingere lo sviluppo di intese industr;iali già esistenti (acciaio, prodotti chimici, ferro, ecc.) e tentare la creazione di nuove intese (tessili, alcune produzioni agrarie, automobili, seta artificiale, materiale elettrico, ecc.). Inoltre il sig. Lavai mi ha accennato a più vaste intese finanziario-commerciali (navigazione marittima ed aerea ecc.) che dovr·ebbero essere spinte fino al contingentamento e alla ripartizione dei ·traffici, dei mercati di consumo ed anche alla penetrazione commerciale_ nelle Colonie.

È un programma molto simi.le, per non dire identico, a quello di cui parlammo parecchio col sig. François-Poncet alcuni mesi or sono (vedansi precedenti rapporti) (l) come attuabHe fra Italia e Francia. Ed è soprattutto un programma che ha molte probabilità di successo. Non è però la Francia che ne trarrà i maggiori vantaggi.

Come rifer.ii in altri rapporti concernenti alcune recenti riunioni della

S.d.N. già avevo avuto da tempo ed a parecchie riprese la sensazione che Francia e Germania sono decise a mettersi d'accordo sul terreno economico; a ciò spinte dagli industriali e dagli uomini d'affari rispettivi. Ecco perché mi elevai e combattei con insistenza e con qualche successo i tentativi che si fecero da parte francese e da parte tedesca perché la S.d.N. si .inducesse a raccomandare lo sviluppo di • intese industriali • ·ed • economiche •. Il signor François-Poncet (che è stato fino a ieri l'Olivetti della Francia) è stato mandato a Berlino per attuare un programma ispirato alle finalità suesposte; ed al suo posto, come Sottosegretario per l'Economia Nazionale è stato chiamato il signor Gignoux che è, al pari di François-Poncet, uno stipendiato

della Confindustria, della quale dirigeva il giornale quotidiano (La journée industrielle). Sono indici sicuri di un programma prestabilito.

Restare all'infuori del gioco di queste • combinazioni • mi sembra per l'Italia cosa alquanto pericolosa; senza dubbio dannosa. Mossi appunto al signor Lavai di questa esclusione; ed egli mi obiettò che le cose sono andate maturando in questa direzione, ma che non si ha affatto l'intenzione di escluderei dalle ·eventuali trattative concrete. Ma intanto non mi pare che si debba essere della partita, almeno fin dal suo inizio. A me sembra -modestamente -che occorra stare, a Berlino ed a Parigi, con gli occhi bene aperti; che convenga, magari, di chiedere la nostra presenza ed il nostro intervento in quelle trattative, negli accordi, negli studi, nelle intese che si metteranno in azione.

Le questioni economiche sono chiamate ineluttabHmente ad avere il sopravvento su tutte le altre, anche sulle finanziarie, che sono esclusivamente contingenti e soltanto rappresentative della ricchezza. Ecco perché lo sviluppo

di un'azione programmatica e 11ealistica di carattere economico che faccia centro sul binomio Francia-Germania, mi appare per l'Italia come estremamente temibHe. L'Italia deve entrare anch'essa nella partita: o colla Francia, ciò che sa11ebbe l'ideale; o con la Francia e la Germania se sia necessar.io; e magari in stretto connubio con la Germania, se n~on se ne potrà pr'oprio fare a meno.

Ma bisogna • esserne • a tutti i costi.

(l) -Evidentemente dopo la parola • unico • manca un rigo. (2) -Il doc. è cit. in DE FELICE, Mussolini, pp. 396-397.

(l) Cfr. quanto comunicò Chiaramonte Bordonaro con t. per corriere 3670/802 del1'11 settembre:

(l) Cfr. serie VII, vol. X, nn. 285 e 385.

30

IL SEGRETARIO NEL GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, JACOMONI, AL SEGRETARIO PARTICOLARE NELLA DELEGAZIONE A GINEVRA, NONIS

Roma, 26 settembre 1931.

Ti mando:

l) un telegramma di Orsini H quale chiede che sia esaminata l'opportunità che, in occasione dell'84° genetliaco di Hindenburg, S. E. il Capo del Governo ed anche S. M. il Re mandino telegrammi di auguri.

Dagli atti dell'Uffioio Cerimoniale risulta che non vi è stato, negli anni scorsi, invio di telegrammi in taie occasione, neppure nel 1927 in occasione dell'80o compleanno del Maresciallo. Non risulta anche che Hindenburg invii telegrammi augurali a S. M. il Re in occasione del Suo compleanno.

S. E. il Capo del Governo -cui S. E. Fani ha mostrato il telegramma di Orsini e fatte presenti le circostanze di cui sopra -ha detto che riteneva opportuno l'invio di telegrammi sia da parte Sua che da parte di S. M. il Re.

Prima di marciare, riterrei utile che S. E. il Ministro ne fosse informato, per eventuali Sue osservazioni che -data la brevità del tempo -ti sarò grato se vorrai telegrafarmi per lunedì mattina;

2) una lettera al Generale Clerici; 3) il telegramma di Arlotta di cui ti ho accennato per telefono; 4) i più interessanti t.elegrammi della giornata; 5) un rapporto di Bastianini.

31

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA E DEGLI AFFARI DI CULTO, ROCCO

Ginevra, 28 settembre 19.31.

Ho letto il tuo bellissimo articolo sulla Stampa. Tu hai inquadrato colla Tua abitual·e cristallina chiarezza la nostra posizione qui. Ti ringrazio. E vorrei Tu continuassi.

Domani parto. Mi pare non sia andata male quest'anno.

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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 3034/403/222. Belgrado, 29 settembre 1931 (per. l'l ottobre).

Dopo decisione opposizioni astenersi da elezioni, situazione di fatto presenta linea più netta e sorprese, che sarebbero state certamente possibili se esse avessero partecipato lotta elettorale, non sono da attendersi in questa. Opposizioni non resteranno per altro inerti. La croata intenderebbe comunque mettersi in lista, pur contro legge, sapendo a priori nullità suoi voti, solo per poter dimostrare di avere con sé 600.000 elettori croati (tali almeno sono i calcoli di Macek). La serba sia radicale che democratica, come anche clericali sloveni con a capo Korosoez, intendono limitarsi a propaganda per astensione.

Dall'altro lato, a parte pressioni e minacce di ogni genere che potranno essere attuate da autorità e polizia, costituzione del così detto quarto partito è tuttora embrionale. Il che forse non impedirà a suo tempo che voti grande maggioranza elettori appa1iano dati a lista governativa.

In ogni caso situazione generale resta ancora assai oscura. Malcontento contro Go\'ierno dittatoriale e contro Zivkovic è uguale e formidabile in tutto Paese. È difficile credere come in ogni ambiente, in ogni classe, in ogni angolo della Jugoslavia si parli tanto oggi, quasi senza paura, contro Governo dittatoriale e contro z,ivkovic. Critiche e minacce non risparmiano Re Alessandro, e confronti con costituzioni date e ritirate dagli Obrenovich e sorte loro toccata sono fatti non soltanto dai politici esclusi dal potere ma da ogni possibile ceto, e, ciò che più conta, anche da alti ufficiali e generali serbi senza ritegno. Assicuro V. E. che la indicazione di Questo totale stato di spirito non è affatto esagerata ma risponde alla più serena e precisa constatazione di quanto ognuno può assai agevolmente sentire intorno a sé.

È chiaro che, se Re e Zivkovic potranno superare ouesto difficilissimo periodo e sopratutto ottenere dalla Franoia il denaro che oggi manca allo Stato (Giurich è partito ievi per Parigi a tal fine), consolideranno la loro situazione, guadagneranno del tempo e opposizioni saranno pian piano separate dalla massa. Ma oggi, nella situazione presente, debbo ritenere che mai il terreno per la cospiraZJione ed il complotto fu più favorevole, e mai più possibile ogni inatteso avvenimento. Trattasi forse di un momento transitorio e che il Governo riuscirà a superare fin che l'Esercito, malgrado il serpeggiare anche in esso della passione politica, r·esti saldo e compatto intorno al Sovrano. Ma tale momento deve essere segnalato in tutta la sua precisa essenza all'E. V. per ogni valutazione e decisione (1).

e Budapest.

Ci furono in quel periodo attentati a treni in Jugoslavia. La voce pubblica li attribui a terroristi croati. Circolò pure, sempre in Jugoslavia, la notizia che Baldacci avrebbe incontrato in Italia Pavelié e Perèec (foglio del ministero dell'intemo a quello degli esteri,

n. 443.538333 del 24 settembre). La stessa notizia era stata data alla fine di agosto dal giornale viennese Abend (te!. posta 4014/1490, Bled 30 agosto, di Galli).

(l) Il doc. fu ritrasmesso a Parigi, Londra, Angora, Berlino, Tirana, Atene, Sofia

33

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. S. 3723/2127. Vienna. 29 settembre 1931.

Ho avuto un colloquio con l'industriale di armi (1), di cui nel mio telespresso n. 2126 in data 27 corrente (2). È persona che si calcola abbia finora speso circa un milione di .lire a vantaggio delle H[eimwehren].

Mi ha detto che le • Heimwehren • abbisognano di danari e di armi. Quanto ai danari basterebbero un cinquemila scellini al mese (circa quindicimila lire), ed egli sarebbe pronto a provvedere a una parte nella speranza che noi fossimo disposti a provveder·e al resto. Ma egli non intendeva dare i suoi quattrini • sic et simpliciter • alle • Heimwehren • così come esse sono costitui·te ora: sarebbe stato lo stesso che gettarli dalla finestra. Subordinava invece la concessione di nuovi fondi a una condizione di cui mi avrebbe parlato dopo toccato l'argomento delle armi. Anche circa queste, pronto a dare il suo concorso, egli confidava su noi. Se noi fossimo stati disposti a inviarle, non vi sarebbero state difficoltà per la spedizione. Le armi sarebbero state mandate da una X qualunque residente in Italia alla sua fabbrica in Austria come per esservi sottoposte a quei lavori di adattamento che egli vi compie con le armi austriache e ungheresi d'avanti guerra. La 'llettera di vettura avrebbe portato la veridica dichiarazione del contenuto della spedizione: ov'egli avesse avuto il preventivo assenso di questo ministero della guerra, non vi sarebbe stata alcuna difficoltà alla frontiera austriaca, trattandosi, secondo egli afferma, di affare lecito. Le armi sarebbero poi passate dalle sue officine ai depositi del ministero della guerra che si sarebbe riservato di metterle a disposizione delle • Heimwehren • in caso di necessità. Pertanto, al pari della questione dei danari, anche quella delle armi era, per ciò che Io riguardava, subordinata alla stessa condizione cui mi aveva prima accennato e sulla quale voleva ora darmi la sua spiegazione.

La recente iniziativa di Pfrimer, malgrado i suoi danni, aveva addotto due vantaggi. Il primo era che in questo modo era automaticamente rimasto eliminato dal campo quel dirigente, persona quanto mai inadatta a tale funzione per la sua ristrettezza di mente e per la sua impulsività di carattere. Il secondo era che l'arresto di Starhemberg e di sottocapi e gregari aveva suscitato una certa reazione e attirato nuove simpatie alle • Heimwehren •, così che dopo quegli avvenimenti v.i era stata una certa ripresa nelle iscrizioni. D'altra parte lo Starhemberg, malgrado tutto quello che contro certe

sue incapacità e ostinazioni possa eccepirsi, ha i vantaggi di un nome glorioso nella storia austriaca, di una onestà indiscutibi1e e di una efficacia oratoria. Senonché tutto questo non basta alla riuscita dei loro progetti, e se le • Heimwehren • continueranno per la via finora seguita non conseguiranno nulla e il loro movimento finirà nel nulla. Con ostentazioni verbali che avrebbero fatto meglio a moderare le Heimwehren • hanno da più di due anni asse

c

rito di voler da sole conquistare lo stato mentre in realtà non lo hanno fatto, e non erano e non sono in grado di farlo. Le • Heimwehren • devono convincersi che non otterranno nulla se non si saranno prima assicurate l'appoggio dell'esercito, che è l'unica forza armata bene organizzata in Austria e di fronte alla quale anche la polizia e la gendarmeria non oserebbero opporsi. Ma l'esercito, già socialista subito dopo la repubblica, nettato con più di dieci anni di lavoro perseverante dal cristiano-sociale Vaugoin e dai suoi generali, è oggi uno strumento politico del partito cristiano-sociale. Ne consegue che le • Heimwehren • devono persuadersi della necessità di assicurarsi l'appoggio di tale partito, di cui appunto Vaugo.in è il capo, valendosi al riguardo delle simpatie che l'ala destra del partito stesso ha per loro. In altri termini le c Heimwehren • devono mettersi sotto la protezione di Vaugoin, il quale -egli ne ha a lungo parlato con lui -è disposto ad accordarla loro a, condizione ch'esse si dichiarino pronte a collaborare con lui e in realtà collaborino astenendosi da iniziative e da opposizioni. Al1e mie obiezioni circa l'eventualità che Vaugoin possa essere costretto a lasciare quel ministero, il mio interlocutore ha risposto che in nessun caso, anche in quello dell'avvento del socialista Renner alla presidenza della repubblica, i cristiano-sociali, i quali costituiscono il più forte partito borghese, abbandoneranno il ministero stesso, convinti che ciò significherebbe la perdita di più di dieci anni di lavoro e la fine del partito stesso. Se anche Vaugoin, per una n•.gione che per ora non appare, dovesse lasciare quel portafoglio, lo sostituirebbe un qualche suo partigiano o qualcuno dei suoi generali, e del resto dopo una così lunga sua permanenza al potere il suo influsso su tutto il ministero della guerra e l'esercito rimarrebbe immutato. Le • Heimwehren , , alla direzione delle quali si potrebbe forse porre un triumvirato, dovrebbero con un proclama dichiarare che di fronte al crescente pericolo socialista tutte le altre considerazioni particolari di partito devono cedere nell'interesse della salvezza dell'ordine e che perciò esse sono decise a sostenere il Governo borghese per il conseguimento del fine comune. Se anche con ciò il movimento perdesse quelli tra i suoi partigiani che sono avversari dei cristiano-sociali, la fiducia e l'appoggio dei generali lo compenserebbe ampiamente. Altre soluzioni il mio interlocutore non ne vedeva: credere, come sembra Starhemberg, che ove venisse Renner alla presidenza della repubblica si potrebbe compiere un ultimo tentativo è un calcolo errato. perché se anche il tentativo fosse fatto non conseguirebbe altro esito che quello di affrettare la fine delle • Heimwehren '· .Credere d'altra parte che riesca a Seipel di farsi eleggere presidente è un altro errore, ed egli sperava che i cristiano-sociali non sarebbero stati così ciechi da presentare la sua candidatura al secondo scrutinio, perché ciò significherebbe assicurare la vittoria dei socialisti; e del resto Seipel stesso, che è stato sempre il più convinto sostenitore delle • Heimwehren •. ha

sempre posto come condizione che esse sostenessero il partito cristiano-sociale. Se fosse possibile giunger,e a questo accordo, metterebbe conto, dopo raggiuntolo, di sostenere le • Heimwehren • nel loro nuovo aspetto con qualche sovvenzione, e, anche procurando loro nuove armi, che rimarrebbero però depositate in qualche magazzino militare ove non potrebbero quindi correre il pericolo di essere sequestrate, e sarebbero ,loro distribuite in caso di necessità.

Ho risposto al mio interlocutore che mi rallegravo di poter pienamente consentire con lui. Io ero stato sempre convinto che le • Heimwehren • non potessero far nulla senza l'appoggio dell'esercito, e il fondamento delle mie convinzioni era nel ragionamento e nei fatti. I movimenti di destra nei vari paesi non possono attuarsi secondo una premessa astratta, bensì adattandosi alle concrete situazioni locali di capi di gl'egari di oppositori e di stati d'animo delle popolazioni. Con ciò non volevo dire che il movimento austriaco, non riuscendo a essere simile all'italiano, non servisse a nulla: serve entro i limiti delle possibilità di questo stato. La stessa lotta che contro le • Heimwehren • muovono qui i socialisti e i democratici-massoni prova il valore che quel movimento g:ià ha e quello maggiore che potrebbe avere ove i suoi ordinamenti si ricostituissero e rafforzassero. Esso ha posto un freno alle manifestazioni pubbliche dei socialisti che non si sono più sentiti i soli padroni della strada, ha represso la loro baldanza, ha rincorato la borghesia e lo stesso esercito. Poiché da solo non è stato in grado di conquistare finora il potere quando ptire le circostanze erano soggettivamente e oggettivamente più favorevoli, non è da pensare sia in grado di acquistarlo nel prossimo futuro; e del resto anche il Fascismo collaborò prima della marcia su Roma con altri partiti borghesi per sgominare i socialisti. Questa intesa delle

• Heimwehren • con Vaugoin non impedirebbe loro di riprendere in seguito la propria libertà di azione per l'attuazione integrale del loro programma, dopo che con l'aiuto dell'ala destra cristiano-sociale avessero raggiunto il comune scopo di debellare i socialisti e avessero con la presente ricostituzione e con il futuro successo rafforzata materialmente e moralmente la loro causa.

Il mio interlocutore, compiaciuto di queste mie dichiarazioni, mi ha invitato ad andare uno dei prossimi giorni in una sua casa di caccia posta a un centinaio di chilometri da Vienna, in luogo lontano da occhi indiscreti, per incontrarvi Starhemberg e cercare di persuaderlo.

È inutile aggiunga che circa la questione così dei fondi come delle armi mi sono astenuto da qualsiasi impegno. Ho solo detto che pur sapendo che la causa delle • Heimwehren • aveva sempre le simpatie del Governo fascista dubitavo continuasse ad avere, finché perdurava il presente stato di cose, la sua primitiva fiducia nel loro successo.

Ho parlato del mio colloquio con l'industriale austriaco al fiduciario ungherese che si occupa delle • Heimwehren »; lo stesso discorso era stato fatto anche a lui. L'idea dell'industriale austriaco, il quale è in continui rapporti per questioni di trasformazioni di armi con il ministero della guerra ungherese, sarebbe che mentre l'Italia dovrebbe fornire le • Heimwehren • dell'Austria meridionale, l'Ungheria provvederebbe a quelle dell'Austria cen

trale: vi sono infatti da due anni depositati a Sopron, 30.000 fucili che, quantunque non gratuitamente bensì sotto condizioni da fissarsi, il Governo ungherese sarebbe disposto a cedere alle • Heimwehren •. Senonché esso è assolutamente deciso a nulla fare per loro finché continui l'attuale disunione e incertezza di programmi, e finché esse non si siano messe d'accordo con Seipel Vaugoin e in genere l'ala destra dei cristiano-sociali.

Questo mio colloquio con l'industriale austriaco mi sembra essere tanto più meritevole di considerazione in quanto un eventuale futuro avvento al potere dei nazional-socialisti in Germania avrebbe prevedibilmente notevole ripercussione anche .in Austria rafforzando qui il movimento di destra e rendendo attuali quei progetti che per ora possono apparire alquanto accademici.

(l) -Mandi. (2) -Telespr. r. 3722/2126 con cui Auriti riferiva su un colloquio segreto avuto il giorno 26 con Starhemberg. Questi lamentava la mancanza di armi e di denaro, • giacché i considerevoli sacrifici pecuniari già sostenuti da Starhemberg non gli consentono di assumerne di nuovi, e gli industriali austriaci non possono più sovvenire oggi come per il passato. Starhemberg mi ha pregato di ricevere un comune amico austriaco, il signor Mandi industriale di armi, che è stato uno dei più solidi sostenitori delle "Heimwehren" (sembra debba recarsi nel corso del mese di ottobre ·a Roma per certi suoi affari col nostro Ministero della Guerra), il quale desidera intrattenermi circa quelle due difficoltà. Lo vedrò nel corso della settimana e informerò poi V.E. sul colloquio, nel quale mi propongo di udire "ad referendum" •.
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RELAZIONE DELL'INCARICATO DEGLI AFFARI D'ALBANIA, LOJACONO, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

SEGRETISSIMA. Roma, ... settembre 1931 (2).

Il rapporto (3) del Ministro Soragna che parla della nostra poLitica militare in Albania, è pervenuto all'Ufficio dopo di essere stato sottoposto all'alto esame di S. E. il Capo del Governo e di V. E.: e pertanto non mi spetterebbe di richiamare su di esso nuova attenzione. Ma poiché la gravità della materia non consente di lasciare il R. Ministro a Tirana senza una direttiva che precisi il pensiero del Governo Fascista, l'Ufficio sente il dovere di sottoporre a V. E. il proprio subordinato parere, attendendo comuno.ue ·l·e determinazioni superiori che Ella crederà di adottare o di promuovere.

In sostanza, il Ministro Soragna si chiede se la creazione in Albania di un esercito a struttura nazionale basato sulla cementazione di un saldo spirito nazionale del popolo, corrisponda veramente ai fini dell'Italia.

La questione investe il campo politico ed il campo militare.

Non vi ha dubbio che nel campo politico l'azione che il Generale Pariani svolge in Albania è impeccabilmente sincronizzata con le parole ripetute a dovizia nelle relazioni parlamentar.i, nei discorsi ufficiali e nei telegrammi augurali: queste parole sono sul tema unico, preciso, integrale, della indipendenza albanese e dell'incremento della Nazione albanese in tutti i suoi sviluppi futuri. La dirittura di carattere del Generale Pariani, la genuinità del suo spirito militare, il fervore di animo che egli ha posto nel suo apostolato di rigenerazione del Popolo albanese, hanno fatto di lui il più saliente fattore della politica ufficiale che lega i due Governi; il che, in tempi in cui occorreva vineere molte diffidenze di albanesi e di terzi, ha giovato a documentare la buona e disinteressata collaborazione del Governo Fascista verso quello albanese, ed è servito a permettere una favorevole nostra penetrazione in tutti i campi.

Come dobbiamo esser grati al Generale Pariani della prima e rapida messa in efficienza di un nucleo militare albanese che ci permise di attendere alla nostra politica europea senza l'assillo del campanello d'allarme che ci chiamasse a sedare col nostro esercito una qualsiasi incursione o ribellione albanese, esponendoci al rischio continuo di scatenarci addosso una guerra o di mollare una seconda volta l'Albania, così dobbiamo essere egualmente grati al Generale Pariani di avere appianata una strada .irta delle scagHe pungenti del rancore e del sospetto. Questo spianamento era uno dei presupposti iniziali di qualsiasi efficace nostra ricostruzione in Albania, e nessuno avrebbe potuto prestarsi meglio a questo primo obbiettivo di quanto si sia prestato il Generale Pariani, con la sua condotta retti1inea e priva di toni incerti o duplici.

È anzi comprensibile come egli, stando in questo suo binario così scorrevole, abbia potuto chiedersi qualche volta a che cosa tendessero o da che cosa fossero determinate le involute sinuosità del cammino politico e perché la macchina diplomatica lo seguisse così stentatamente, con tanto ansimare. Egli infatti non ha mai taciuto di non vedere un nostro programma politico in Albania, intendendo dire, con ciò, non che egli non riuscisse a vederlo, ma che tale programma in realtà non esistesse. Trattandosi di un elemento militare che ha fatto sempne capo al Ministero deHa Guerra, anche questa sua idea diviene giustificabile; ma altro è giustificarla, altro è finire, come sta succ,edendo, con lasciarsi condurre da essa.

La venità è che il Generale Pariani non vede il nostro programma perché esso non corrisponde né alle parole che pronunciamo né alla esecuzione che egli sta dando ad esse.

Egli, che crede nel verbo della indipendenza albanese come ad una verità solare, non capisce come la politica del Ministero Esteri possa essere così cieca

o disori·entata da non lasciarsi guidare dalla stessa luminosa finalità, tanto più che è lo stesso Ministero Esteri che pubblicamente la bandisce. Ora, per non parlare ad enigmi, conviene spiegarci chiaramente, una

buona volta. Gli obbiettivi a cui può tendere la nostra politica in Albania sono tre:

l) o la occupazione aperta; 2) o la penetrazione più o meno larvata; 3) o la sempre maggiore affermazione della indipendenza albanese.

La via della penetrazione, che è evidentemente intermedia tra quelle antitetiche della occupazione italiana e della indipendenza albanese, può essere fine a se stessa finché i tempi lo consentano, ma può essere anche una via di adattamento temporaneo con uno degli altri due obbiettivi nello sfondo: o l'occupazione o l'indipendenza.

La nostra politica si è anzitutto posata sulla soluzione n. 2, la quale permetteva il massimo di efficacia col minimo di rischio; questa soluzione era sopratutto, nel primo tempo, diretta ad impedire un'azione di terzi, perché il miglior mezzo per vietare un successo ai rivali è sempr·e quello di far trovare la dama impegnata.

Orientata la lancetta sul numero 2, equidistante dal numero l come dal numero 3, non era escluso, come non è escluso, che essa possa avere delle oscillazioni laterali verso le infinite frazioni che la separano dai due obbiettivi estremi; più che dà vere oscillazioni può anche parlarsi di tendenziali capacità della lancetta a spostarsi, in determinate emergenze, verso l'una estremità o verso l'altra.

Ora, finché la penetrazione rimane come fine a se stessa, anche sviluppandola in profondità sino ai limiti massimi, possiamo essere tutti di accordo. Ma se si tratta di mettere in moto la lancetta, ecco che può delinearsi il conflitto di direzioni.

La nostra politica di penetrazione deve avere come retropensiero quello di preparare un'eventuale occupazione, o deve avere come retropensiero quello di avviare, con la nostra assistenza, il popolo albanese ad una vita veramente libera ed indipendente sino al punto da rendergli -inutile -e quindi odiosa, un giorno -la nostra assistenza? Questo è il problema.

Il Generale Pariani, lo ha risolto -per conto suo -in questo ultimo senso. Perciò esercito nazionale, spirito nazionale, miglioramento della razza albanese, esaltazione del suo senso di indipendenza, preparazione della gioventù ai nuovi destini della Patria, insofferenza verso tutte le forme di tutela dell'amministrazione albanese la quale deve essere moralizzata e tecnicizzata dal nostro esempio e dal nostro insegnamento, sino alla emancipazione.

Il Ministero degli Esteri ha invece per fermo il concetto di una assistenza sempre più invadente che dal campo tecnico passi -come è già passata -a quello amministrativo, e da questo a quello economico; tanto invadente in sostanza da accrescere sempre di più, di fronte alla entità dei problemi, la incapacità dell'·amministrazione albanese a risolverli; sino ad arrivare al grande piano di bonifica con forze e braccia italiane, col quale l'innesto dei nostri virgulti tecnici ed organizzativi si tramuti in una vera e propria trasfusione di vita che apra l'adito, non più agli speeifici, goccia a goccia, ma al travolgente sangue arterioso del popolo italiano. Una assistenza ed una penetrazione intese in questo senso non potranno mai tendere alla soluzione n. 3 perché si condannerebbero, da loro stesse, alla sterilità; esse perciò, dovendo avere una tendenza, sia pure ipotetica, eventuale, remota, non possono avere che quella all'indietro.

Sarà brutale quello che si dice, ma la rigenerazione del popolo albanese non ci alletta; corrotto, venale, politicante, diviso, apatico, falso come è sempre stato, può servirei di più; la stessa sua falsità, che è certo pericolosa, può in fin dei conti imbastire a nostro danno uno di quei torti clamorosi che -dopo la nostra generosità -possono darci il diritto, anche di fronte a qualsiasi terzo, di ricorrere alle massime reazioni.

Con questo non si vuole arrivar·e né ai sistemi dell'acquavite americana che distrusse i Pellirosse, né a quelli dell'oppio con cui gli .inglesi si aprirono l'oriente asiatico; ma da questi freddi sistemi anglo-sassoni di abbrutimento a preparare 1a xenofobia albanese contro di noi, e ad armarla rinvigorendo e cuori e braccia oggi ignave, ci corre.

L'Ufficio ritiene dunque che, come direttiva politica, l'azione del Gene··

rale Pariani cominci ad andar•e in senso pericoloso.

Veniamo ora al campo militare.

Qui è difficile interloquire dato il carattere tecnico della questione, dalla quale i militari tengono a distanziare ,i profani con un giusto senso di responsabilità che deve essere apprezzato allo stesso modo come si apprezzerebbe un loro corrispondente distanziamento dalLe questioni politiche. Ma non è possibile delimitare assolutamente le rispettive sfere; tanto è vero che quando, nel gennaio scorso, nell'oscuro momento della partenza del Re per Vienna, quasi senza prospettiva di suo ritorno, si chiedeva a Pariani che cosa avrebbe fatto l'Esercito albanese in caso di crisi, e si sentiva che nessuno poteva prevederZo, U problema diveniva automaticamente politico.

L'Ufficio deve confessare che, da quel giorno, la preoccupazione di questa incognita rivelatasi in un momento così grave lo ha tenuto perplesso; e se gli avvenimenti si sono rivolti al bene attraverso la miglioria del Re e lo scampato pericolo di lui dal feroce attentato orditogli, ciò può avere rallentato la urgente stretta del dubbio allora sorto, ma non ha potuto far dimenticare che questo problema può sempre ritornare. Sembrava all'Ufficio che di questi migliorati momenti si fosse dovuto profittare per riportare l'esercito albanese a quella che e·ra stata la concezione iniziale della sua .instaurazione; quella di un esercito quasi • di colore • inquadrato da elementi di razza supe-riore. In una occasione in cui gli Inglesi avevano cercato di svalutare la nostra organizzazione militare in Albania e la fedeltà dei reparti da noi creati, l'Ufficio aveva strenuamente di:lleso l'opera dei nostri organizzatori milditari, sostenendo che gli eserciti compositi, coloniali, di colore e persino multicolori, anche costituiti, come materiale truppa, da masse ostilmente prevenute, finiscono sempre col battersi come qualsiasi altra truppa omogenea ed in qualsiasi dire~ione v,enga loro ordinato, purché inquadrati da ufficiali perfetti.

Man mano che si è voluto dare agli albanesi la coscienza della loro capadtà di comando, e si sono venuti elevando i gradi a loro accessibili, trasformando così gradatamente la nostra organizzazione a tipo coloniale in una organizzazione non più nostra, ma albanese, a tipo nazionale, queste garanzie di solidità sono esse persistite?

Ed ammesso che persista la solidità, è egualmente assicurata la fedeltà?

In altre parole, questi reggimenti albanesi che non avranno più alla loro testa alcun ufficiale italiano, ma saranno diretti, coi mezzi scientifici moderni, e cioè quasi invisibilmente, da un alto comando italiano, ci risponderanno allo stesso modo di come ci avrebbero risposto se guidati fisicamente da comandanti di compagnia .e di battaglione italiani?

Ai militari la risposta; ma già il semplice fatto di porre un quesito là dove prima 'esisteva una certezza, dimostra che si è decaduti di efficienza. Ed allora, perché mollare i comandi che tenevamo?

Per concludere:

L'Ufficio è con'Viinto che una concezione militare, di pura finalità albanese, si è venuta sovrapponendo alLa concezione militare a finalità mista, e cioè italo-albanese, da cui si era partiti; e che questa sovrapposizione, mentre ha già menomato la efficienza • nostra • (intendendo con questo aggettivo parlare deU'I·ta1ia e non dell'Albania) incomincia ora a deformare anche le direttive generali politiche, minacciando di farci trovare, come primo ostacolo

4 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

ai nostri piani futuri, un esercito albanese, creato ed armato da noi per resisterei, e sorretto da un popolo a cui noi avremo insegnato le virtù che gli accorreranno per maneggiare, in senso nazionale, quell'esercito.

V. E. dirà quali rettifiche di timone Ell:a vorrà fur giungere al Generale Pariani; ché se questi dovesse essere lasciato nella direttiva atturoe, l'Ufficio saprà almeno che ciò aV'Viene, avvedutamente e non per omissione.

(l) -Il doc. reca il visto di Mussolini. (2) -La data si trova sull'originale del documento, conservato nell'Archivio Grandi. In ASMAE esiste una copia priva di data. (3) -Del 10 agosto. Cfr. serie VII, vol. X, p. 651, nota l.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO (l)

TELESPR. UU. R. 233754/912. Roma, l ottobre 1931.

Telespresso di codesto ministero n. 62382 del 21 settembre.

La R. Legazione al Cairo telegrafa in data 26 corrente che la notizia della cattura e della esecuzione di Omar-el-Muktar ha provocato violenti commenti nella stampa araba egiziana, mentre i giornali europei si dimostrano finora indifferenti. La R. Legazione preannuncia l'invio per corriere di un rapporto sull'argomento (2).

L'atteggiamento dei giornàli arabi egiziani lascia prevedere una ripresa delle agitazioni antitaliane in tutto il mondo islamico.

Questo ministero ritiene che siano da considerarsi subito i mezzi più atti a neutralizzare la nuova campagna antitaliana che ci nuoce politicamente e che può danneggiare i nostri traffici, se verrà ripreso ed attuato il boicottaggio contro le nostre merci.

A tale scopo questo ministero crede che sarebbe assai utile poter emanare subito un comunicato-stampa da redigersi da codesto ministero e da

• Sua Maestà, nella udienza del 15 corrente, mi ha intrattenuto anche della situazione in Libia. Francamente mi ha dichiarato che pur rendendosi conto sino un certo punto dei motivi che hanno indotto alla esecuzione di Ornar el Muktar, ha dovuto constatare che la impressione iniziale in Egitto è stata fortissima, e la commozione degli ambienti arabi era stata da lui avvertita attraverso le relazioni pervenutegli dai ministri e dai grandi capi degli enti religiosi e di cultura islamica. Poiché il sovrano ha accennato alla opportunità che noi avessimo seguito verso Ornar el Muktar il procedimento francese con il ribelle marocchino Abd el Krim confinandolo in qualche remoto angolo d'Italia o nelle colonie orientali, ho lungamente intrattenuto il re su questo punto per spiegargli la differenza radicale fra la condotta di Abd el Krim e la azione del capo senussita in Cirenaica. Abd el Krim avere cioè combattuto in I:'Uerra effettiva, da soldato e capo di un esercito, in campo aperto, contro le truppe francesi chiedendo, quando si era visto agli estremi, di arrendersi incondizionatamente per avere salva la vita. Ornar el Muktar essere stato invece capo di una organizzazione brigantesca e predatoria, sempre sottrattosi agli scontri con le truppe italiane, battendo poi la campagna per sorprendere, predare ed uccidere gente isolata, coloni nelle fattorie e popolazioni inermi. Ed ho ricordato episodi numerosi della ferocia di Ornar el Muktar e dei suoi armati, per chiarire la bieca figura del ribelle, sprovvisto assolutamente di qualsiasi senso patriottico o di ideale religioso.

Il Re ha ascoltato attentamente e volenteri le mie spiegazioni: mi ha detto che esse Gli avevano data una più esatta idea del nostro procedere, che doveva mutare la opinione che si era precedentemente formata in proposito, e che si sarebbe fatto Egli stesso diffonditore delle chiarificazioni da me avute... Re Fuad ha finito col dirmi: " ... Io ho fiducia di quello che fa Mussolini. Mediante il Fascismo l'Italia è passata dal novero formale delle grandi potenze a quello di grande potenza di fatto. Un paese come il vostro che sta azionando una politica internazionale di cosi grande importanza non potrà sistemare i suoi problemi islamici e coloniali che in modo definitivo e brillante" •.

diramarsi a cura dello scr:ivente in tutti i centri islamici; comunicato nel quale venissero precisati i fatti relativi alla cattura e alla condanna di Omarel-Muktar; illustrata l'azione del R. Governo in Cirenaica, mirante alla pacificazione di quel ~territorio, neminter·esse stesso delle popolazioni cirenaiche; e confermato ancora una volta .l'assoluto rispetto delle autorità coloniali verso l'Islam, le sue moschee, le sue istituzioni etc.

Inoltre questo ministero riterrebbe sommamente utile che a cura di codesto ministero venissero stampati al più presto in lingua araba, dei foglietti volanti, a carattere non ufficiale, diretti a ribattere nuovamente le calunniose affermazioni diffuse in tutti i paesi dell'lslam contro di noi, in modo da opporre propaganda a propaganda. Tali foglietti, che dovrebbero essere redatti in modo confacente alla mentalità orientale, verrebbero, a cura di questo ministero, inviati in. numerosi esemplari alle R. rappresentanze nei paesi islamici, con istru2lione di diffonderli localmente con ogni possibile mezzo adatto. È noto a codesto ministero quale valore si dia in genere, in Oriente, alla carta stampata, indipendentemente dalla fonte da cui emani; un tal genere di propaganda sembra quindi particolarmente utile a neutralizzare 1e calunnie della stampa a noi ostile.

Questo ministero coglie l'occasione per richiamare l'attenzione di codesto e della R. ambasciata a Parigi sulla serie di al"!ticoli • Les Aigles Romaines en terre d'Afrique • pubblicati da Paul Marion sul Quotidien di Parigi. Questo ministero che è in possesso finora dei due primi articoli apparsi sui numeri del 22 e 23 corrente, non può non ri1evarne l'estrema velenosità, che giunge fino a far apparire quali affermazioni contenute in comunicati ufficiali del generale Graziani le calunnie della cattura di cento donne, della pubblica distruzione col fuoco di Corani ecc. E mentre interessa ·codesto ministero a far convenientemente rispondere su qualche autorevole giornale italiano agli articoli del Marion, smascherandone la cattiva fede e la tendenziosità, prega la R. ambasciata a Pai!igi di voler possibilmente interessare qualche altro giornale parigino a replicare agli articoli del Marion facendo considerare come tali disonesti sistemi di polemica siano tutt'altro che adatti ad illuminare l'opinione pubblica francese, e contrastino con auella solidarietà di interessi in materia coloniale che le potenze europee, aventi possessi in paesi islamici, dovrebbero fare del tutto per rafforzare.

Questo ministero resta in attesa di sollecilte comunicazioni in merito (1).

(l) -Il telespr. fu inviato anche all'Ambasciata a Parigi e all'Ufficio Stampa del Ministero. (2) -Cfr. anche telespr. 3265/1066, Cairo 19 ottobre 1931, col quale Cantalupo riferiva su un colloquio avuto con re Fuad :
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 3052/715. Berlino, 2 ottobre 1931, ore 20,20 (per. ore 7 del 3).

Cancelliere mi ha detto stamane che aveva voluto vedermi nonostante sapesse che Curtius mi aveva già messo al corrente del contenuto delle conversa

zioni con Lavai e Briand (l) per pregarmi di comunicare a S.E. il Capo del Governo:

l) Che queste conversazioni erano state mantenute nei limiti e secondo le direttive segnati nei colloqui romani (2).

2) Che negli accordi economici prospettati era stata evitata ogni punta contro le altre Potenze tanto più l'Italia.

Egli ha dovuto però constatare con suo rammarico che Lavai e il Governo francese non intendono cedere di un passo nella posizione presa nella questione del disarmo, il che non potrà non avere penose conseguenze, prima tra le quali, quella di trattenere Hoover dal procedere sulla via intrapresa in giugno scorso nei riguardi remissione debiti di guerra. Lavai si reca a Washington anche pe·r convincere Hoover che la Francia non può cedere terreno armamenti. D'altra parte Cancelliere non si attende da Hoover iniziative prima della riunione del Congresso.

Intanto, osservava il Cancehliere, la situazione generale, e per conseguenza, quella dei singoili Stati, va peggiorando •ed ogni giorno che passa ci avvicina a rischi ed a problemi sempre più complessi. Germania vede sempre più limitare suoi sbocchi commerciaH da una parte dai divieti francesi contro alcuni prodotti agricoli, dall'altra, dagli aumenti italiani di alcuni dazi industriali, aumenti che egli riconosce dettati da esigenze finanziarie interne, ma che colpiscono esportazioni tedesche in modo molto sensibile.

Il Cancelliere è convinto che si dovrà venire ad una Conferenza internazionale finanziaria, e lavorare per prepararla, anche per decidere Inghilterra a pronunciarsi su un punto che è causa di gravi disordini oioè tasso di rivalutazione della sterlina. Egli pensa che Conferenza non potrà non occuparsi di probLemi politici e sebbene Lavai non abbia fatto alcun accenno in proposito, teme l'opposiz.ione francese o, per lo meno, domanda da parte francese di garanzie per quei problemi. Lavai' gli è apparso molto preoccupato conseguenze anche in Francia attuale crisi finanziaria, ma senza portare iniziativa diminuzione tariffe doganali almeno prima elezioni politiche.

Cancelliere ha accennato alla situazione interna del Reich attualmente agitata anche in seguito sforzi Governo tedesco abbassamento salari e diminuito peso assistenza sociale. Cancelliere non dispera arrivare senza scosse a qualche risultato positivo non rinunziando al sistema dei salari concordati. Questo sistema passato (3) nel 1923 Germania da11la rivoluzione comunista, La salverà anche oggi, a meno che venendo al potere· un GoV'erno di destra non si voglia imporre con la violenza altra soluziione.

Curtius poi mi ha ripetuto essere sua intenzione di tenere R. Governo informato dello sviluppo di questa collaborazione oggi solo prospettata, e che potrà, per certi problemi, cioè navigazione marittima aerea crediti eccetera, venire allargata e comprendereItalia e altre Grandi Potenze •.

Cancelliere ha voluto poi essere informato da me situazione finanziaria nostro Paese riconoscendo quanto essa sia più tranquillizzante grazie alle oculate misure adottate a tempo da S.E. Mussolini, ed alla disciplina che il Regime ha creato nel nostro Paese.

Cancelliere dando prova di grande resistenza al lavoro [non] si dà un momento di pace e lotta contro innumerevoli difficoltà, si sente attaccato da tutte le parti, ma non ha l'aria di volersi lasciare strappare di mano le redini.

(l) De Bono rispose con telespr. 67758 del 10 ottobre. che non si pubblica.

(l) Cfr. il t. gab. 3002/706, Berlino 29 settembre 1931, ore 20,30, per. ore 23, con cui Orsini Baroni riferiva sul colloquio con Curtius. Questi • conveniva poi con me che interesse per accordo economico [tra Francia e Germania] si è sPostato verso circoli borghesi capitalistici. Partito socialista tanto in Francia quanto qui dimostra freddezza se non avversione contro il medesimo.

(2) -Durante la visita a Roma in agosto, su cui cfr. serie VII, vol. X, nn. 425 e 426. (3) -Decifrazione incerta.
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RELAZIONE DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, PER IL GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO

(ACS, Carte Susmel, busta 9, Grandi)

. . . . . (1).

Il Duce mi ha incaricato di illustral'\e al Gran Consiglio gli ultimi avvenimenti della politica internazionale ed in special modo il carattere e d risultati delle ultime riunioni svoltesi a Ginevra in occasione dell'Assemblea della Società delle Nazioni. Lo farò in un modo schematico e sommario, sebbene il momento, estremamente delicato e importante, meriti un'indagine approfond~ta e meditata. Faremo, ad ogni modo, il • punto • per usare una consueta frase marinaresca, di quello che è oggi la posizione dell'Italia nell'oceano burrascoso, inqUJieto della vita internazionale.

Abbiamo trascorso un'estate che si può ben definire drammatica. I tre mesi di giugno, luglio, agosto hanno segnato la precipitaZiione di una crisi della cui vastità, profondità, complessità e durata nessuno dubita più.

12 giugno. Mentre i governi d'Italia, della Germania e della Gran Bretagna esaminavano insieme le possibilità per indurre gli Stati Uniti d'America ad una revisione della politica americana sui debiti di guerra e concludevano che prima di due anni, ossia prima delle future elezioni presidenziali americane il momento propizio per una tale revisione non avre·bbe avuto probabilità di presentarsi, improvvisamente il mondo si è trovato di fronte all'iniziativa Hoover, ossia alla moratoria per un anno dei debiti e delle riparazioni. Questo dato segna indubbiamente l'apertura di una nuova fase, così importante come inattesa, della politica americana e di riflesso della politica dei grandi stati. È finito ad un tratto, e per opera dello stesso partito repubblicano che l'aveva innalzato

Per questo approva l'opera svolta recentemente a Ginevra dal Ministro Grandi •. L'appunto qui prosegue col seguente passo, poi cancellato: « che è riuscito a disincagliare la questione degli armamenti dalle secche dove la volevano immobilizzare gli imperialismistranieri». (ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Gran Consiglio 242/R, sottof. 9). Nel Corriere della Sera cit. manca l'accenno ae-li imperialismi stranieri.

e irrigidito a dogma di una politica tradizionalista, l'isoLamento politico ed economico del più grande Paese del mondo.

Viaggio del Segretario di Stato ame11icano in Europa. Questo viaggio, non dimentichiamolo, è cominciato dall'Italia. Gl'incontri fra il Duce e il Signor Stimson a Palazzo Venezia e a Nettuno segnano il secondo momento, certamente importante, di tutta una vasta azione politica generale che ha avuto recentemente a Ginevra una prima fase di ·applicazione e che andrà sempre più concretamente realizzandosi nei mesi futuri. Molt:l organi della pubblica opinione internazionale ·in America, in Inghilterra, in Francia (basti citare il Daily Telegraph) hanno del resto chiaramente intuito e apertamente riconosciuto tutto ciò.

Mentre il Signor Stimson stava ·a Roma la ·crisi finanziaria ed economica della Germania precipitava. Ciò era dovuto in parte alle tenaci resistenze opposte dalla Francia all'iniziativa Hoover, in parte al disgraziato viaggio del banchiere tedesco Luther a Londra e a Parigi.

Di fronte al pauroso crollo tedesco l'iniziativa. Hoover, :i cui effetti benefici avevano come condizione evidente la rapida ed immediata accettazione di essa da parte di tutti gli Stati debito11i, non è bastata più. È sembrato, per un momento, che la fiumana, una volta che la Germania, consapevole deUa rovina generale, aveva apel'to le cateratte, non dovesse fermarsi più. Una soluzione restava: allargare H più possibile la portata dell'iniziativa Hoover, sino alla definizione integrale del problema dei debiti e delle riparazioni. Bisognava vincere per ciò la ferma ·e irrigidita opposizione francese. Di qui il precipitoso viaggio dei ministri tedeschi a Parigi, il non meno precipitoso convegno delle Grandi Potenze a Parigi, e quindi la piccola Confer.enza di Londra. Né la Germania, né J'America, né la Gran Bretagna hanno avuto ragione dell'ostinata irviducibile volontà francese. Nessun aiuto allla Germania, nessuna rinuncia ai diritti alle riparazioni tedesche, a meno che la Germania non accetti éle condizioni politiche fissate dalla Francia, che si riassumono nell'accettazione volontaria da parte tedesca dello statu-quo territoriale e militare fissato dai trattati di Pace. Mentre si svolgevano .le quarttro sedute di Londra i:l Governo francese pubblicava il famoso memorandum sugli armamenti e la Conferenza si scioglieva in un'atmosfera di incertezza e di disagio senza concludere, dopo avere adottato dei semplici rimedi dilatori che hanno porta.to al rapporto dei banchieri di Basilea, documento importante dove malgrado l'opposizione francese, si è ribadito il principio dell'interdipendenza del problema dei debiti e delle riparazioni dal problema del 11isanamento finanziario ed economico del mondo.

Mese d'agosto: Crisi in Ungheria, crisi in Austria ed in genere crisi in tutti i paesi dell'Europa orientale, conseguenza naturale della più grande crisi tedesca. Viaggio dei Ministri tedeschi a Roma, ed incontro tra i'l Duce e il Cancelliere Bruening. Discorso del Duce a Ravenna.

Il discorso di Ravenna rappresenta, a sette mesi di distanza dal messaggio agli Americani, ad un mese di distanza dalla piccola Conferenza di Londra e dalla pubblicazione del memorandum francese sugli armamenti, e nell'imminenza dell'apertura dell'Assemblea della Società delle Nazioni H punto di riferimento essenziale della politica internazionale dell'Italia fascista, in questo particolare mom•ento.

L'azione della deiega:llione italiana a Ginevra, in questo mese laborioso, procede da questo principio e si svolge secondo questa direttrice che il Capo ha fissato non solo nelle istruzioni che Egli ha regolarmente impartito a noi suoi rappresentanti ma anche nelle parole che· Egli ha rivolto, ;in uno degli arenghi più suggestivi e pieni di umanità pulsante, al popolo italiano.

Durante l'incontro di Londra del mese di luglio i quattro Ministri deglli Esteri Henderson, Briand, Curtius ed io abbiamo ad un certo punto preso in esame i lavori della futura Assemblea di Ginevra. Era opinione ded miei coLleghi che convenisse, quest'anno, ridurre l'importanza di questi lavori al minimo indispensabile, e convenisse soprattutto evitare il tema più delicato e p~ù attuale, quello relativo al disarmo. Il Rappresentante britannico, essendo Presidente della Conferenza che si aprirà :il 2 febbraio p.v. ed avendo nell'Assemblea dell'anno scorso esposto abbondantemente il punto di vista inglese, riteneva doversi rinviare il dibattito alla prossima Conferenza. I,l Rappresentante francese desiderava evitare il dibattito, estremamente pericoloso per la Francia ;in questo momento. Il Rappresentante tedesco desidevara a sua volta non fare cosa sgradita alla Francia in questo momento in cui i1l problema delle riparazioni tedesche dipende in gran parte, ormai, dall'atteggiamento del Governo francese. Io obiettai ai miei colleghi che non potevo impegnarmi su una Jinea di condotta consimile, dichiarando che non mi sembrava opportuno di sottrarre alcuno dei problemi interessanti la v~ta del mondo all'esame di Quella Società delle Nazioni, che precisamente ·la politica franeese e quella britannica hanno sempre conclamato debba regolare, in una specie di sovranità spirituale, lo svolgersi ininterrotto dei rapporti fra le Nazioni. Non conveniva evidentemente all'Italia fascista di lasciarsi sfuggire la buona occasione -a pochi mesi di distanza dal disaccordo navale italo-francese, all'indomani deU'iniziativa Hoover, dopo gli avvenimenti del luglio e dell'agosto trascorsi, tra cui la pubblicazione del memorandum francese cui nessun Governo di nessun paese aveva osato dare una risposta, e sopratutto alla vigilia deHa Conferenza del 2 febbraio -di fissare davanti al mondo, profittando del grande megafono ginevrino, la propria pol,itica costruttiva, realistica ed accusatrice nell'istesso tempo. Ho detto costruttiva, realistica e accusatrice. Qualcuno, stretto nella morsa d'una diaJettica che non perdona, l'ha definita ricattatrice. Io accetto di buon grado questa definizione, e sono certo che voi stessi, camerati del Gran Consiglio, non ve ne dorrete. L'ItaUa ha dovuto per tanto tempo acceHare, senza protestare, il ricatto degli altri. Non è male, anzi è bellissimo, che gli altri subiscano un poco quello che essi amano chiamare oggi il ricatto dell'Italia. Ma non è così. Io ricordo una frase d'altri tempi, che ho udito dalla bocca del Duce: • Non bisogna evocare troppo spesso i fantasmi. Essi finiranno coll'apparire sotto l'aspetto di persone vive •. Eppure, v1i sono dei Paesi che da dieci anni non fanno altro che evocare fantasmi, illudendosi che essi non appariranno giammai. Il disarmo è uno di questi f&ntasmi. La Francia l'ha evocato, per dieci lunghi anni, nelle sedute spi11itiche di Ginevra. L'ha evocato contando sopratutto sulla paura e sull'incredulità degli altri. Noi, increduli, abbiamo preso questo fantoccio nelle nostre braccia, senza paura, e glielo abbiamo buttato addosso. Glielo butteremo addosso sempre più. È tutto qui. Ma qui sta la p>iccola chiave del grande giuoco. Non lo può capire chi non lo guarda così.

Il Duce ha disposto perché Quest'anno, il primo dacché la Società delle Nazioni esiste, la Delegazione italiana si presenti a Ginevra con due Ministri fascisti in carica e attribuendo ad essi l'intera responsabilità dell'azione da svolgere. Insieme al camerata Bottai e al sottoscritto il Duce ha nominato un gruppo d'altri camerati che hanno lavorato egregiamente dentro e ~n margine alle discussioni, e che io desidero !"!ingraziare qui, in Gran Consiglio, per la collaborazione preziosa di cui mi sono valso dal primo all'ultimo giorno. Intençl.o parlare sopratutto del camerata Rossoni. dei camerati Bodrero, Tumedei, Sardi.

L'Assemblea ha tniziato i suoi lavori il 7 settembre. Essa è stata preceduta dalle riunioni del Consiglio e della Commissione europe·a. Vale 1a pena di fare un cenno particolare di queste riunioni e d'alcuni argomenti trattati che ci riguardano direttamente o :indirettamente. Va registrato innanzi tutto la parte attiva presa dal delegato russo Litvinoff ai lavori della Commissione :europea. Noi abbiamo appoggiato, discretamente, l'azione della Russia. Come ho detto or è un anno nella relazione al Gran Consiglio l'importanza dei nostri rapporti colla Russia non va né sopravalutata né sottovalutata. È una carta, una grossa carta di riserva, del nostro giuoco. La recente conclusione del patto di non aggr.essione franco-russo, patto non ancora tuttavia perfezionato, dimostra più che a suffi

cienza che una politica coUa Russia può, ad un certo momento, assumere dei contorni più netti e più attuali di quello che oggi non sia. Noi abbiamo, contro la Francia e malgrado la Francia, ottenuto che la Russia partecipi alla Commissione europea. Contro la Francia e malgrado la Francia la Russia ha preso posizione fra gli Stati europei. Così è avvenuto qUeLlo [che] il nostro memorandum del 4 luglio 1930 (1), di risposta al memorandum francese, prevedeva. L'azione convergente dell'Italia. della Germania, della Russia e, sino ad un certo punto della Gran Bretagna, ha ridotto ormai a proporzioni assolutamente modeste ed inoffensive, appena nel termine di un anno, questo ambizioso tentativo di raggruppamento continentale, l'ordigno che la Francia aveva immaginato ·ed escogitato per rinsalldal"'e, al di fuori della Società delle Nazioni, il suo programma d'egemonia continentale, programma che l'attuale sua posizione entro la Società delle Nazioni non le consente più di realizzare.

La Francia stessa ha dovuto constatare che l'ordigno può volgersi contro

di essa, più che giovarle. Così il famoso progetto di Unione federale europea

può considerarsi ormai praticamente sepolto. E l'Italia fascista ha certamente il

merito di avere contribuito, più di ogni altro, a questa morte, o almeno a questa

agonia ingloriosa.

Tl"'e sono i problemi più importanti trattati dal Consiglio: l) Unione doga

nale austro-tedesca. 2) Norme per la cessazione dei Mandati. 3) Connlitto cino

giapponese. Quest'ultimo non ancora esau11ito. Tutti tre i problemi ci riguardano

direttamente o indirettamente.

Anzitutto il progetto d'Unione doganaLe austro-tedesca. La Corte dell'Aja

con una sentenza non perfettamente chiara e piuttosto ambigua, con una mag

gioranza di 8 contro 7 ha dichiarato il progetto incompatibile col Protocollo del

1922. Il Governo austriaco e quello germanico hanno dichiarato di rinunciare

alla realizzazione dell'Unione progettata. Il problema non si pone quindi, almeno

per ora, più. L'Italia ha avuto piena soddisfazione su questo punto, sull'importanza del quale, ai fini della nostra azione politica ed economica nel centro-est dell'Europa, non mi intrattengo oltre. Ma il fatto che la Corte dell'Aja abbia emesso un verdetto, sia pure consultativo, su una questione così vitarle ed essen~ial'e per il nostro Paese; con l solo voto di maggioranza a nostro favore, vi dica quale è ormai l'importanza che hanno assunto nelle relazioni fra gli Stati questi organismi giuridici internazionali, e come sia urgente e necessario, ad èvitare sorprese improvvise, considerare più da vicino, con molta attenzione ed interesse, lo svolgersi di questi istituti che possono essere chiamati, in un momento delicato, a decidere o almeno a pregiudicare, in un senso o nell'altro, alcuni vitaili interessi della nostra vita nazionale.

Questione dei Mandati. Il Governo di S.M. Britannica credeva, come si dice, di farla • franca • effettuando senza opposizioni il trapasso dal regime di mandato sull'Irak a regime d'effettivo protettorato. Si è opposta l'Italia, in difesa di quei sommi principii che hanno dato vita all'Istituto del Mandato. Dapprima i nostri amici inglesi non hanno creduto sul serio che noi avremmo portato la nostra opposizione sino in fondo. Poi si sono accorti che noi facevamo davvero sul serio, né ci preoccupava gran che la circostanza di dare al mondo lo spettacolo di un contrasto i'talo-britannico. Così gli Inglesi hanno modificato le conclusioni cui 1intendevano in primo tempo di arl'ivare, in un senso favorevole alle nostre richieste. Le nostre richieste, esaminarte da un punto di vista pratico, non miravano e non mirano che a creare tutte le possibili difficoltà alle Potenze mandatarie, e ciò per l'licordare costantemente ad esse l'rerrore commesso durante le trattative della Pace di non avere attribuito all'Italia colonie e mandati. Nulila deve essere in questo campo trascurato per confermare ·la nostra insoddisfazione, la nostra qualità di creditori non ancora pagati, che considerano la questione non chiusa, bensì aperta oggi più che mai. Mi pare di essel."e riuscito a dare, su questo punto, un'impressione prospettica, per il momento, più che sufficiente.

Conflitto cino-giapponese. È superfluo ddchiari al Gran Consiglio che l'Italia, Potenza a interessi mondiali, non può mostrar·e di disinteressarsi di questa questione. De·l resto Tien-Sin non è gran che lontano da Mukden. La Hnea di condotta adottata è stata e sarà, nell'ulteriore corso degli avvenimenti, la seguente: dimostrazioni V'erbali di simpatia alla Cina, ma contributo effettivo ad aiutare l'azione del Giappone, tendente a liberarsi dalla procedura che il Consiglio della Società deLle Nazioni intenderebbe di imporre ad esso per r.egoélal"e il conflitto. La Cina, debole militarmente, domanda l'azione di Ginevra, lil Giappone, forte militarmente, tntende regolare Il conflitto da sé. Noi abbiamo il precedente di Corfù. Potrebbe darsi che momenti non dissimili potessero presentarsi alla politica litaliana in aV"Venire. Tutto quanto portremo dunque fare per evitare pericolosi precedenti di intervento della Società delle Nazioni sulla materia, sarà tanto di guadagnato nel futuro per noi. Ecco perché io ho aiutato ed aiuterò il Giappone. Non per il Giappone, beninteso, ma per noi.

L'Assemblea, come ho detto, ha liniziato i suoi lavori il 7 settembre. Apertasi la discussione politica generale, ho creduto utile di pa:t1lare per primo, fra i rappresentanti delle Grandi Potenze. Sin'ora, cedendo ad una consuetudine

che aveva determinato una specie di gerarchia arbitraria fra i delegati all'Assemblea, il capo della delegazione italiana aveva sempre parlato per ultimo. Chi parla per primo ha un vantaggio ed un rischio, quello d'impostare, se ~i va bene, sul piano da lui scelto il dibattito di politica generaile. Se gli va male, naturalmente, il primo oratore passa come un'ombra, e non... se ne parla più. Ecco perché è certamente più prudente d'attendere quello che dicono gli altri e

• regolarsi • poscia, come si dice, sulle dichiarazioni precedenti. Bisognava pure, una volta tanto, provare di costringe-re gli altri • a regoLarsi • sui principi esposti dai rappresentanti delil'Italia fascista.

Nulla di nuovo, o di peregrino almeno, è stato detto nell'esposizione della deLegazione italiana. Ma la novità è costituita dal fatto che per 'la prima volta, dacché la Società delle Nazioni esiste, l'Italia fascista ha fissato nell'Assemblea delle Nazioni, configurandoli il più nettamente possibile, alcuni principi fondamentali de~l:a sua politica estera, quali il Duce da dieci anni a questa parte ha detto e ripete nei suoi discorsi, nelle sue dichiarazioni, nelle sue interviste, nella sua quotidiana azione di governo.

Più o meno, questi i capisaldi. Poi la delegazione italiana ha enunciato l'idea di una • tregua degli armamenti •. Enunciazione vaga, generica da principio, da concretarsi in seguito a seconda di quelle che sal'ebbero state, come sono state, le sue ripercussioni concrete.

Donde nasce e perché abbiamo gettato. come un bastone fra le gambe degli altri, questa idea di una • tregua degLi armamenti • ?

Essa è nata a Nettuno, sul motoscafo del Duce, nell'ultimo incontro fra il Duce e il Signor Stimson (1). L'idea è itali,ana. Il Presidente Hoover l'ha accettata con soddisfazione, impegnandosi ad appoggiarla, ossia impegnando l'America ad applicare questa idea per prima. L'idea deve essere considerata sotto un triplice aspetto. Uno, di carattere vasto 'e generale. Ll mondo soffre di una malattia grave. Il gesto di Hoover, soLlecitato beninteso dall'urgenza d'interessi americani, si è presentato al mondo come un gesto • lirico •. Così il Duce lo ha definito. Questa vecchia Europa avrebbe dovuto trovare la forza di rispondere all'America con un gesto altrettanto lirico, destinato ad avere un'indubbia ripercussione favorevole nel campo morale per tutti i paesi senza eccezione: Ja tregua d'un anno negli armamenti (2).

Questo nel campo generale. Ma vediamo più direttamente nel campo degli interessi concreti, e più specialmente nel campo dei nostri interessi, dapprima politici, posoia militari. Nel campo politico il gesto italiano avrebbe, come ha avuto in tutta l'estensione della parola, messo !l'Italia in testa nella considerazione e nella simpatia di tutti i popoli del mondo. La considerazione e la simpatia, in momenti eccezionali come q_uesti che il mondo attraversa, non sono un valore trascurabHe per gli individui umani come per gli Stati. Sempre nel campo politico esso avrebbe servito da • reagente chimico • a risultato sicuro, contro la politica francese, ed avrebbe costretto quest'ultima sempre più ad uscire dalla sua contradizione dialettica, coagulando, per così dire, contro d'essa correnti sempre più vaste dell'opinione pubblica nei paesi anglosassoni, per non parlare della

Germania, ma sopratutto avrebbe costretto la Francia a valutare una volta di più, sul terreno poliitico e diplomatico, la forza e il peso dell'Italia.

Nel campo dei nostri interessi militari è chiaro, o camerati, che una tregua negli armamenti, qualora fosse stato possibile attuarla veramente e praticamente, ciò che purtroppo né hl. Duce né io .abbiamo creduto mai, essa sarebbe stata realiizzabile solo nel campo delle costruzioni navali, neU'unico campo cioè dove esiste UIIla misura per una sospensione degli armamenti. La sospensione delle costruzioni navali per un anno avrebbe fermato per un anno l'attuazione del coil:ossale statuto navale francese, obbligando la Marina francese a[ nostro ritmo sia pure negativo, ed avrebbe forse permesso di utilizzare altrimenti, sempre nel campo degli armamenti d'aria e di terra, le somme non impiegate nelle costruzioni navali.

La Francia si è aspramente battuta, usando ogni mezzo, per impedire che la proposta italiana, anche ridotta nei limiti modesti della risoluzione che conoscete, fosse accettata daill'Assemblea. Non vi è riuscita. La proposta è passata. Essa costituisce un impegno di carattere morale, assai più che giuridico, ma ciò è bastato tuttavia per dare alil'azione politica e diplomatica dell'Italia a Ginevra UIIla vastità ed una porta•ta che la Francia voleva a tutti i costi evitare. Ad un certo momento l'America è venuta anche a rincalzo dell'I!talia, accettando per la prima volta di entrare a discutere [in] uno degli organi costituzionali della Società delle Nazioni. Ciò ha servito a far risaltare, ancora più nettamente, l'isolamento morale e politico della Francia, proprio nell'istesso momento che se·gna, per ragioni obiettive, un accrescimento della potenza internazionale fascista. Il Fascismo è entrato a testa alta, circondato da unanime rispetto, nel massimo teatro ginevrino riservato sin'ora agli spettacoli della democrazia. L'odio è diventato dunque rispetto. Molti di voi avranno seguito la stampa internazionaile in queste settimane. Piacevole per noi, ed istruttiva anche, questa lettura. Il grosso sasso lanciato da:ll'Italia fascista ha seminato il disordine e la zizzania nel pantanò dove stavano gracchiando le rane della democrazia. • Non bisogna permettere a Mussolini e al fascismo d'organizzare la pace nel mondo •,

stampava a caratteri di scatola il più velenoso giornale cartetllista di Parigi, e il Direttorio della II Internazionale d'Amsterdam si è riunito in fretta per lanciare, pure lui (!?) un appello per la tregua degli armamenti... Non diverso è il terrore nel pollaio quando entra la volpe, o nella chiesa quando entra l'eretico a predicare in nome di Dio. Così la nostra azione cominciata durante la Conferenza navale di Londra, tendente a rompere in due iii fronte dell'antifascismo internazionale, è continuata recentemente a Ginevra. A Londra, due anni or sono, abbiamo isolato il laburismo dall'antifascismo delile democrazie continentali, portando il Segretario della II Internazionale in pellegrinaggio nella Sala del Mappamondo. Oggi a Ginevra, nello stesso recinto sacro ai successi internazionali della democrazia continentale, il Fascismo è entrato a creare una nuova debolezza e un nuovo scompiglio. La democrazia si era ormai abituata a combattere un fascismo che attaccava di fronte gli Immortali prdncipi. Non prevedeva che il Fascismo si sarebbe ad un certo punto servito propriÒ degli Immortali principi per battere in breccia la democrazia. Di qui un disorientamento di cui noi, nella nostra tattica che per riuscire deve essere mobile, duttille, empirica, dobbiamo profittare.

Ginevrismo, pacifismo, disarmismo parole vuote di senso, idoli di cartapesta. Apriamo bene gli occhi, come del resto li ha benissimo aperti H popolo italiano, che ha perfettamente capito, e intuisce nel suo istinto sicuro dove il Duce vuole arrivare. Siamo intelligenti almeno quanto lo è l'uomo della strada che sente cOli fiuto del cane.

Noi conti:nuiamo a combattere nel terreno internazionale, senza tregua la nostra battaglia rivoluzionaria, per il Fascismo e per il Regime. Nulla è cambiato nelle mète lontane da raggiungere, nulla è cambiato nella direttrice strategica che il Duce persegue ostinatamente. La tattica solo è cambiata. Ma la tattica è uno strumento, non è la mèta. La tattica è cambiata perché oggi ili Duce preferisce attaccare il nemico proprio nel suo covo, per snidarlo e Ginevra è un grosso covo. Poi, se Iddio ci aiuterà, comincerà la caccia.

Ecco perché, o camerata Giuria>ti, io sono perfettamente d'accordo con te nel ritenere che il momento è propizio per intensificare la propaganda del Regime all'estero. Ma per questa propaganda io non credo ai conferenzieri vaganti, che si recano a spese del Governo o del Partito, a fare il discorso ai nostri connazionali, e rimediano posoia i conti dell'albergo domandando a te o a me una mezza dozzina di croci di cavaliere. Né cr.edo all'opuscolo che si regala e non si vende. Io credo a quello che ha fatto il camerata Bottai a Ginevra, e a quello che vorrei facessero un po' tutti quelli che vogliono occuparsi ser.iamente della propaganda fascista all'estero. Il mondo ha le sue strade, i suoi [inguaggi, le sue nomendature, i suoi luoghi comuni, talvolta. Quando una rivoluzione è un'idea che non ha ancora trovato delle baionette, come la nostra, deve avere la forza di penetrare, lentamente, ma tenacemente e senza tregua, presentandosi come elemento organico assimilabile, nel corpo degli altri. Questa è la strada, nella quale il Duce ha incoraggiato l'opera nostra e in questa strada già cominciano a intravedersi, nel campo del Regime, i primi risultati concreti.

La politica italiana ogg1i ha il suo posto, individuato senza pericolo di sottintesi e d'incertezza, nella politica degli stati del mondo.

Fra tre mesi si aprirà 1la Conferenza del disarmo. Molto si è detto su questo argomento. Esiste una speciale demagogia in margine· a questa Conferenza, che serve direttamente agli interessi della nostra politica. Ma è certo che l'avvenimento è grosso. lo non credo che ailcun risultato positivo potrà essere raggiunto nel terreno concreto del disarmo. Il disarmo è una bandiera e un ·pretesto. Nulla più! Occorrerà tuttavia prepararoi a difendersi, su questo terreno, e· nel campo strettamente tecnico che è particolarmente difficile e delicato per noi. Vorrei che i nostri Ministeri militari preparassero e scegliessero degli uomini di prim'ordine, perché ll'a battaglia, e specialmente la loro battaglia sarà assai dura. Ma accanto alla discussione dei problemi particolarmente militari, la Conferenza affronterà dei grandi problemi d'ordine politico, finanziario ed 'economico.

La Conferenza del disarmo non dovrà affrontare p!'esumibilmente problemi d'ordine territoriale, ma sarà certamente la prima coruerenza dii revisione dei Trattati di pace, nel terreno finanziario, economico, e determinerà i primi orientamenti nel futuro equilibrio dei grandi Stati.

L'Italia interverrà a questa Conferenza nella pienezza del suo prestigio politico ·e morale. La Francia interverrà nella pienezza della sua potenza

finanziaria, che in questa tremenda universale crisi di miseria, rappresenta, in questo particolare momento, la misura della sua potenza politica. Sola, isolata, accusata davanti all'opinione pubblica del mondo come la responsabile di un malessere ognora crescente, la Francia è forte, è straordinariamente forte, anche nel momento in cui tutti sono contro di lei.

Come ebbi a dire l'anno scorso al Gran Consigilio un nuovo ciclo storico è cominciato coll'anno 1926 per la Francia, il ciclo che il Duce ha definito un giorno, parlando con me, conservativo-imperiale. La Francda della duplice tempesta napoleonica ha concluso il suo ciclo a Sedan. Oggi la Francia è tornata, in pieno, alla pdTitica pre-napoleonica della pace di Vestfalia e del testamento di Richelieu. • Le frontiere della Francia sono le frontiere della libertà • diceva Leone Bourgeois nel 1919 ed obbligava Wilson a ripetere: le frontiere ecc. ecc.

• -La sicurezza della Francia è la sicurezza dell'Europa • diceva Tardieu un anno fa. • -Armare la Francia e i suoi alleati, contro chiunque • dice ogg~i Lavai.

Due anni fa, alla vigilia della Confel'enza di Londra, l'Italia propose alla Francia un leale accordo preliminare. Il Gove11no fl'ancese rifiutò, ma oggi ne è pentito, e ci domanda l'alleanza. I Governi francesi da Poincaré a Bruand, da Tardieu a Lava! hanno sempre creduto che non fosse uti!l:e un accordo coll'Italia se non preceduto da una serie di accordi colla Germania, colla Gran Bretagna, coll'America. L'Italia si sarebbe avuta da ultimo, a buon mercato. Durante la Conferenza di Londra, la Francia ebbe la sua prima delusione. Non le riuscì di collocarci fuori dellla porta. Durante questi due anni, e adesso recentemente nell'episodio di Ginevra ha avuto la sua seconda delusione. Malgrado la sua potenza finanziaria e il:a sua forza militare l'Italia fascista [le] tiene .testa, non solo, ma assume, con un certo successo, l'iniziativa del contrattacco. La Francia ci credeva meno fol'ti, meno tenaci, meno duttili. Se ne sta accorgendo piano piano, e noi bisogna che ancora facciamo in modo che essa se ne accorga ancora più.

Si tratta, tranquillamente, di aspettare. Ill tempo lavora per noi. Noi non siamo ancora i protagonisti della vita dell'Europa. Ma i protagonisti non possono fare senza di noi. L'Italia è chiamata, e lo sarà più il giorno in cui l'attrezzatura militare della Nazione sarà compiuta, a decidere della vittoria o della sconfitta. La politica dell'Itallia è la politica del • peso determinante •.

Quello che la politica fascista compie oggi nel terr.eno internazionale non è altro che fase di preparazione, marcia d'avvicinamento. Nulla più. Bisogna avere la forza, la pazienza di aspettare.. Il momento che attraversiamo è grig~io. Esso ha il colore deU.e nebbie che si alzano dagli stagni, e che il sole disperde a fatica.

Questa breve giornata grigia passerà. E il fascismo riprenderà la sua marcia, tl'e volte interrotta e tre volte 11ipresa, con silenziosa tenacia.

Io sento che si avvicina sempre più il momento in cui noi potremo finalmente porre, in pieno, davanti al mondo, il problema del!l'Italia 'e cioè il problema di vita dell'Italia. Questo problema la grande guerra non lo ha risolto, ma d. miei occhi sperano, prima di morir:e, di vederlo risolto dall'Italia di

Mussolini.

(l) Si colloca sotto il 2 ottobre, giorno nel quale il Gran Consiglio si occupò della politica estera. La relazione sulla Politica estera fu tenuta da Mussolini. Anche Grandi, insieme ad altri membri del Gran Consi~lio, Prese la parola ma non risulta abbia letto la sua relazione. Cfr. il comunicato ufficiale nel Corriere della Sera del 3 ottobre 1931, p. 7. Tale comunicato è sostanzialmente analogo al seguente appunto preparatorio di Mussolini: • Quanto alla situazione mondiale il Gran Consiglio dichiara che essa non si avvierà a risoluzione senza misure da prendersi senza indugio che investano il problema globale degli armamenti e quello dei debiti e delle riparazioni.

(l) Cfr. serie VII, vol. IX, n. 133.

(l) -Cfr. serie VII, vol. X, n. 387. (2) -La minuta reca qui la frase seguente, poi cancellata: , Gesto di nessuna, o quasi,importanza concreta, ma di indubbio valore morale>.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 3 ottobre 193.1.

S. E. il Capo del Governo, al quale ho parlato ieri del viaggio del signor Lavai, proponendogli farmi dirigere una lettera del tenore dell qui accluso progetto, e, in caso diverso, di autorizzarmi ad una dichiaraZlione di pura cortesia, mi ha detto quanto segue:

Prima della visita occorre intervenga un regolamento di questioni. Il Signor Lavai regoli previamente, col rispondere di sì, le tre questioni seguenti: l) accettazione della tregua; 2) confermare e fissare la cessione all'Italia del triangolo ali: sud della Libia comprendente l'oasi di Giada, ed assicurante le comunicazioni col di là della Libia, che i Francesi già ci hanno offerto; 3) prorogare per dieci anni le Convenzioni Tunisine del 1896. In tal caso, e solo in tal caso, partirà il mio invi,to a<l signor Lavai di venire a Roma.

La conversazione successi,va di S. E. ha confe·rmato queste istruzioni ed ha approvato il mio prog.etto di recarmi a Parigi nei primi giorni della settimana prossima per fare una comunicazione al signor Lavai nel senso sopra indicato, riceverne la risposta e portarla personalmente a Roma, verosimilmente per la fine della settimana.

Prego V. E. oltre ad autorizzarmi a partire, di volermi indicare la formulazione esatta della domanda relativa alla • tregua navale • e di farmi conoscere se è approvata la formulazione seguente dei punti 2 e 3:

punto 2. -Cessione della sovranità completa ed assoluta all'Italia, per assicurare alla Libia le comunicazioni coi territori al dii là dei suoi nuovi confini, del triangolo -comprendente l'oasi di Giada e Giada stesso -indicato nella nota del signor de Beaumarchais del 21 dicembre 1928 (l) ma modificato in mand!era da comprendere senza contestazioni in territorio i1ta:Liano anche la località di In Ezzan da noi considerata italiana in base allllo scambio di note Bonin-Pichon del 12 settembre 1919.

punto 3. -La prossima scadenza delle convenzioni italo-·tunisine del 1896, oggi in vigore di tre in tre mesi, prorogherà le convenzioni stesse per un per1iodo non di tre mesi ma di dieci anni.

Se mi sarà chiesto, ovvero detto, che coU'accettazio:ne francese del punto 2, si intende soddisfatto l'art. 13 del Patto di Londra, risponderò affermativamente ma rilevando che resta pur sempre e completamente ap,erto il probìl.ema generale creato dalla situazione demografica italiana e dalla necessità italiana di rifornimenti indipendenti e propri di mate11ie prime per le sue industrie.

Procederò possibilmente soltanto verbalmente, per lasciare la firma degH atti necessari alla visita a Roma dell signor Larva!.

ALLEGATO

MUSSOLINI A MANZONI

PROGETTO. Roma, 2 ottobre 1931.

La prego recarsi dal Signor Laval, porgergli i miei saluti e dirgli in mio nome, !asciandogli copia della presente lettera, che ho preso conoscenza delle conversazioni avute con V. E. e che condivido il suo pensiero circa un nostro colloquio pel quale Egli è disposto a venire in Italia. Mi sarà quindi molto gradito il riceverlo a Roma, da Presidente a Presidente, come egli propone, ben lieto se l'incontro potrà preparare chiarimenti di situazione tra i nostri due Paesi. Voglia però pregarlo di farmi conoscere, con qualche anticipazione, in quale epoca egli potrebbe venire a Roma, affinché io possa predisporre le cose mie in correlazione alla sua intenzione.

(l) Cfr. serie VII, vol. VII, n. 121, allegato III.

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L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, VANNUTELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 3120/128. Varsavia, 3 ottobre 1931 (per. il 7).

Subito dopo ricevuto il telegramma di V. E. n. 41 da Ginevra (l) vidi Beck, che, come era naturale, mi pa11lò nel senso da me previsto coJ: mio telegramma n. 123. Mi fu facile rispondergli m base ai dati fornitimi dall'E. V. Capì e non replicò. Ebbi la precisa impressione della sua intima disapprovazione della condotta di Zaleski, ogni errore del quale non può in fondo non fargli piacere per quella permanente e sorda dncompatibilità esisteme fra lui, uomo della rivoluzione, ed il Ministro degli Esteri, che alla rivoluzione ha semplicemente aderito. E siccome, dopo il mio colloquio egli doveva recarsi a conferire lo stesso gtorno con il Pli.1sudski, son sicuro che le doglianze di V. E. sono state a quest'ora prese nella debita considerazione anche dal Maresciallo.

Pur essendo stato da me costretto a riconoscere la correttezza del nostro atteggiamento a Ginevra, Beck ha tuttavia insistito nel rappresentarmi la gravità obbiettiva della situazione in Galizia orientale e nel preannunziarmi che, poiché è stata convocata contro la sua volontà dinnanz,i al Consiglio della Società delle Nazioni, la Polonia si prepàra a condurre un attacco a fondo, facendo scalpore sulle mire germaniche a favore del sovversivismo ucraino.

Nell'atto di annettere definitivamente la Galizia orientale grazie alla deliberazione della Conferenza degli Ambasciart;ori del 18 marzo 1923, la Polonia -dice Beck -rimase vincolata soltanto dall'impegno di osservare colà, come in tutte le altre parti del suo territorio, gli obblighi da essa contratti firmando la convenzione delle minoranze. Ora essa è in grado di provare che non ha mancato a tale impegno se non in quanto la sua opera di conciliazione è stata resa inattuabile da fattori stranieri (ingerenza inglese· e sobillazione

tedesca) i quali, mantenendo il paese in uno stato di fermento cronico ed ecci

tando, più o meno indirettamente, le tendenze separatiste, hanno forzato il

Governo a misure di severità per tutelare l'ordine pubblico e per salvaguardare

l'integrità del territorio nazionale.

Debbo riconoscere che quest'ultimo è un argomento assai serio. Anzitutto mfatti, la Polonia ha buon gioco nel rifiutarsi a concedere dal canto suo un trattamento di favore agli ucraini di Galizia fintantoché rimane lettera morta t'obbligo, altrettanto formale, imposto dai trattati alla Cecosvlovacchia, di accordare una costituzione prop11ia ai ruteni della Russia subcarpatica. Inoiltre un'autonomia di fatto, se pur non di diritto, ed anche soltanto ltinguistica della Galizia orientale sarebbe per la Polonia estremamente pregiudizievole data la immediata contiguità, ilungo un confine aperto ed esteso, della Repubblica autonoma dell'Ucraina sovietica.

Non v'è dubbio che una Russia federale post-bolscevica riprenderebbe la sua marcia verso l'ovest e che una Galizia orientale non preventivamente polonizzata sarebbe il primo e logico obiettivo della sua espansione. La Polonia verrebbe così insidiata a sud est da un accerchiamento della sua nemica ereditaria, che si insinuerebbe come un cuneo fra la pianura della Visto,la ed i Carpazi privandola dell'unica sua frontiera naturale.

Se quarantadue milioni d'italiani intendono assolutamente ed a giusto titolo assorbire i nuclei allogeni della Venezia T11identirna e Giulia nonostante la loro insignificante esigui,tà numerica e J.a barriera delle Alpi che li separa dai contigui paesi tedeschi e jugoslavi, a maggior ragione sedici soai milioni di polacchi debbono preoccuparsi di ben cinQue di ucraini stabiliti nella parte migliore e più vulnerabile del proprio territorio e dietro i quali preme la massa affine di tutti i Piccoli e Grandi Russi. È bensì vero che, a differenza dell'Italia, la Polonia è firmataria del trattato per le minoranze. ma la sua applicazione coscienziosa (pretesa in buona fede daill'Inghilterra e provocata in mala fede dalla Germania) sarebbe un'ingenuità, da parte di qualsiasi Governo polacco, dal momento che essa equivarrebbe a scardinare le porte di casa.

La progressiV1a polonizzazione degli ucraini di Gailizia orientale o per lo meno l'astensione da qualsiasi provvedimento atto a rafforzare il loro nazionalismo è una condizione essenziale per l'integrità deJ.la Polonia e ciò tanto più in quanto una siffatta politica sarebbe di relativamente facile esecuzione ove non fosse turbata da iinfluenze estranee operanti a Berlino e a Girnevra. Mentre infatti g'Ji ucraini di Russia possono vantare una più o meno ininterrotta tradizione di indipendenza fino ad appena due secoli e mezzo fa, quelli di Polonia vissero sempre, sin dail medio evo, incorporati in Quest'ultima. Il J.oro risveglio nazionale è recentissimo e venne, come è noto, suscitato artificialmente dall'Austria, sia per controbilanciare e tenere a freno i suoi sudditi di stirpe polacca, sia per suscitare un movimento irredentista in Russia. Nè va dimenticato, infine, che polacco è ill 25 % della popolazione non soltanto delle città ma arnche nelle campagne della Galiizia orientale.

Da ultimo occorre tener presente che il saldo possesso della Galizia orientale da parte della Polonia è non soltanto in funzione della sicurezza di questa, ma di tutta la civiltà occidentale 'e porsi a tempo il quesito se convenga lasciar sussistere la possibilità, anzi la probabilità, che per la breccia aperta della

propaganda ucraina il mondo euroasiatico si spinga un giorno fino alle porte di Cracovia, e dilaghi nella pianura ungherese prendendo stavolta radice in modo ben più profondo di quanto :liecero duralllte la grande guerra, con le loro puntate sul Dunajez e sull'Ung, le armate dello zar.

La questione della Galizia orientale è dunque una questione organica dell'equilibrio europeo, che può venir relativamente trascurata e coosiderata come una molestia importuna, soltanto finché majora premunt e finché non sia superata l'attuale grande c:nisi finanziaria, economica e sociale del mondo intero.

Ma una vOlta superata tale· crisi, il problema ucraino si presenterà in primissimo piarno, e, siccome esso intanto matura, mi sembra conveniente sia ben sorvegliato anche da parte nostra, onde io mi permetto di insistere sulla proposta, da me ripetutamente fatta con i tèlespressi n. 1363/719 del 25 luglio e

n. 1605/839 del 19 settembre c.a. che cioè la rappresentanza consolare italiana in Polonia venga riordinata in maniera da consentirci, senza alcun aumento di spesa, di avere a Leopoli un osse·rvatore permanente, nella persona di un giovane funzionario di carriera.

(l) Con questo telegramma, del 25 settembre, Grandi comunicava che, nonostante i tentativi italiani in senso contrario, la questione ucraina sarebbe stata portata all'esame del Consiglio della Società delle Nazioni; Grandi aggiungeva che Zaleski era risentito contro l'Italia, che eeli ingiustamente accusava di aver abbandonato la Polonia in questa questione.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. S. 3869/2225. Vienna, 5 ottobre 1931.

Mio telespresso n. 2127 del 29 settembre 1931 (1). Ho avuto ieri H prearnnunciato colffoquio con Starhemberg e l'industriale austriaco Mandi.

Starhemberg si è dimostrato convinto della necessità di intendersi con l'esercito e con l'ala destra del partito cristiano-sociale. Ha già avuto, dopo la marcia di Pfrimer, una conversazione con Seipel, il quale gli ha dato qualche utile e pratico consiglio; cito, come caratteristico, quello di non gettare a mare Pfrimer • non sapendosi se ,il giorno non verrà in cui le " Heimwehren " potranno ancora trarre vantaggio dal non esserselo 1inimicato •. Starhemberg rivedrà fra giorni Seipel, e vedrà poi il Geng, che è !J'uomo di fiducia di Vaugoin e uno dei più intelligenti energici e fattivi generalli di questo ministero della guerra. Il generale ha confermato a Mandi l'intenzione di Vaugoiri di lavorare d'accordo con le • Heimwehren • per lo scopo comune, e come prova delle sue buone disposizioni ha assicurato che le truppe linviate contro i seguaci di Pfrimer avevano avuto ordine di agire con ogni riguardo verso di essi e di non fare uso deille armi se non in caso di assoluta necessità. L'idea di Geng, accolta da Vaugoin, è che la preparazione della collaboraziooe delle • Heimwehren • con le truppe debba essere diretta allo scopo di attendere il momento propizio per passare le une e le altre all'azione: l'importanza dell'intervento delil'esercito riguarderebbe particolarmente la città di Vienna di cui esso, al momento oppor

tuno, potrebbe. trovandovisi già ed essendo meglio armato e organizzato, impossessarsi più facilmente che non le • Heimwehren •. Queste infatti, oltre al difetto di un minor armamento e· di una minore disciplina, incontrerebbero la difficoltà di dovervi venire dal di fuori (in Vienna il loro numero è assai esiguo) e di dover quindi assediarla e vincere, oltre al malanimo suscitato dal terrore nei cittadini, la resistenza delle truppe rosse, le quali hanno probabilmente i loro deposiU di .armi nelle grandi case municipali poste sulle maggiori strade che conducono dailla provincia dn dttà. Starhemberg, dopo visto Seipel, avrà un colloquio con Geng ed eventualmente anche con Vaugoin per precisare e stringere i necessari accordi. Questi per il momento sarebbero segreti affine di evi,tare i sospetti e la reazione dei socialisti; a un pubblico proclama di Starhemberg per dichiarare il nuovo contegno e programma di azione delle • Heimwehren • ·Si penserebbe in seguito quando si presentasse l'occasione favorevole. Dopo stipulati tali accordi Geng ha detto che troverebbe modo di farmi incontrare segretamente con Vaugoin affinché io udissi dalla sua stessa bocca i risultati conseguiti e il piano fissato. Da parte mia ho approvato questi progetti, mi sono astenuto da qua~lunque impegno e mi sono limitato ad assicurare che avrei di tutto informato V. E., per chiederLe le relative istruzioni, dopo che avessi udito da Starhemberg l'esito dei suoi colloa.ui e da Vaugoin l'esposizione del suo programma, riservandomi anche di intra,ttenere al riguardo Seipel.

Venendo alla questione dSlle armi l'i:ndustriale ha ripetuto essere assolutamente sicuro di poterne ricevere dall'Italia nelle sue officine quante si voglia a condizione che il ministero della guerra austriaco abbia dato il suo consenso e che non vi siano false dichiarazioni nella lettera di vettura: pare che con questo mezzo gli siano già pervenute delle armi dal nostro ministero dellla guerra per essere sottoposte a lavori di modificazione nelle sue officine e poi rispedite nel Regno. Quanto ai fondi sarebbe disposto a dare duemila scellini al mese: la quota nostra dovrebbe aggirarsi sui cinquemila. A tale proposito ha aggiunto che da parte dei Francesi si desidera entrare in rapporto con le

• -Heimwehren •, confermandomi così la notizia da me già data tempo fa a V. -E. Egli non sarebbe contrario a far contribuire la Francia a queste spese e suppone che neanche noi vi avremmo obiezioni visto che siamo al pari deUa Francia interessati ad evitare l'annessione e che abbiamo quindi un programma identico al francese nei riguardi dell'Austria. Senonché conoscendo le nostre simpatie e i nostri sacrifici per le • Heimwehren •, pur avendo già lettere di Parigi per questo ministro di Francia, non vuole far nulla prima di aver udito il nostro parere. Ho risposto chiedendo a Mandl perchè, data la relativa esiguità della sovvenzione mensile, egli non si rivolgesse anche agilli altri industriali austriaci i quali hanno finora sovvenzionato 1e • Heimwehren • : non dovrebbe essere difficile raggranellare fra una diecina di essi Queste poche migliaia di scellini. Mandi mi ha risposto ciò riuscirebbe dannoso. Gli industriali v1iennesi hanno eff•ettivamente a più riprese sovvenzionato le • Heimweliren • ma in un modo che non è in complesso riuscito a questo punto utile. Infatti, invece di consegnare tutti i loro aiuti a Starhemberg, ne hanno distribuito gran parte tra i vari sottocapi, un po' perchè non sapevano resistere allle loro insistenze un po' perchè non volevano che Starhemberg divenisse troppo forte e potesse alla fine acquistare anche verso di loro una eccessiva libertà di azione. In tal modo essi

hanno tenute vive ·le rivalità e le gelosie dei vari dirigenti e ostacolato l'unità e la disciplina del movimento. Ho allora soggiunto che naturalmente io non ero in grado di dare alcuna risposta e che avrei dovuto chiedere istrll2'lioni a V. E. Come mia osservazione personale ho fatto presente che vi erano effettivamente alcuni punti di contatto tra la nostra politica e quella francese nei riguardi dell'Austria, ma che questa parziale coincidenza non dipendeva da precedenti accordi di principio per un comune piano di azione. L'interessare la Francia alle • Heimwehren • mi pareva pericoloso per questo che essa, in cambio delle sue sovvenzioni, non si sarebbe di certo :limitata a chiedere alle • Heimwehren • ia loro rinuncia a qualunque idea di annessione, nel che ci saremmo trovati d'accordo, ma avrebbe certamente cercato di valersi di ·loro per l'esecuzione di quel suo proget·to di confederazione economica danubiana nel quale l'Italia non poteva consentire non volendosi che essa ne facesse parte. Ora, ch'io sapessi, tale progetto, oltre ad essere osteggiato da parte dell'opinione pubblica austriaca, non poteva essere inCluso nel programma delle • Heimwehren • , il quale era ristretto ad abbattere la potenza socialista e a rafforzare l'autorictà dello stato, senza toccare questioni di politica estera che avrebbero potuto sollevare divergenze nell'interno e sospetti all'estero. Ad ogni modo, per guadagnare intanto tempo, ho soggiunto ch'io non credevo poter chiedere le istruzioni stesse a V. E. se non quando fossi stato iln grado di fornirLe tutti gili elementi di giudizio e pertanto so•lo dopo i colloqui di Starhemberg e miei con Vaugoin e Seipel.

Con questa intesa e con quella che Starhemberg mi avrebbe informato dell'esito delle sue conversazioni, abbiamo posto fine al colloquio. Prima di separarci Starhemberg mi ha confermato una notizia ch'io avevo avuto l'altro giorno, e cioè che Pfrimer aveva mandato a Roma tempo fa un suo • ministro plenipotenziario •, il quale aveva chiesto di essere ricevuto da S. E. Giuriati, senza riuscirvi. Starhemberg, ridendo della cosa, mi ha raccomandato di non dar ascolto a messi di questo o di quel gruppo di • Heimwehr·en • che si rivolgessero a noi per sovvenzioni o altro. Lo ho rassicurato rispondendogli che per quanto riguarda iù R. Governo sapevo che V. E. aveva dato istruzioni di non dar retta a coloro che potessero presentarsi costà e di avvertirli che doveiVano seguire la via normale e rivolgersi alla R. Legaz.ione perchè trasmettesse a Roma i loro desiderata. Per quanto poi concerneva questo R. Ufficio, esso aveva sempre cercato evitare di ricevere simili persone, e nei rarissimi casi nei quali non aveva potuto esimersene aveva risposto loro che qualunque richiesta di qualunque specie doveva, indipendentemente da quals•iasi possibilità di accoglimento, essere presentata per mezzo di Starhemberg (e ciò anche per evitare gli errori e danni degli industriali austriaci); se essi non erano contenti di lui era cosa che li rdguardava; per suo conto quest'ufficio non trattava che con chi essi stessi avevano posto a capo del loro movimento.

Mi riservo di tornare sull'argomento dopo che avrò avuto i colloqui accennati. Dato quanto precede, non vi è per ora da stare .a dare alcuna risposta circa la questione dei fondi che appare la più urgente. Solo dopo che la faccenda del rapporto tra le • Heimwehren • e il ministro della guerra sarà stata chiarita e regolata, converrà comunicare qui la nostra decisione. Credo intanto dover far presenti due considerazioni che possono valere come elementi di giudizio. La prima è che assai verosimi!lmente i Francesi sarebbero disposti

a sovvenzionare le .-Heimwehren • e che Starhemberg, il quale non sembra molto desideroso di tale relazione, pur non volendo forzarci la mano o anche meno farci una specie di ricatto, finirebbe con l'accoglierla in mancanza di meglio. L'altra, che nel caso in cui si volesse da noi dar seguito alla sua richiesta, potrebbe esaminarsi se non vi sarebbe modo che il danaro, invece di essere dato a fondo perduto, fosse impiegato in acquisto di ll.egname di sua proprietà, oiò che sarebbe per noi meno dannoso materialmente e ci eviterebbe ~l pericolo di indiscrezioni. Una richiesta di acquisto di suo legname ci fu rivolta tre mesi sono (mio telespresso n. 1480 del 7 luglio) dal gruppo di • Heimwehren • di Gmunden. Io stesso coillSigHai di sospendere ogni decisione in proposito (mio telespresso n. 1948 del 5 settembre), giacché il contegno di Starhemberg non appariva allora molto chiaro, e d'altra parte non sussistevano più dubbi sulla possibilità del suo risanamento finanziar-io. Oggi però chiariti i suoi propositi e considerata l'eventuailità dell'acquisto dal punto di vista di altre ragioni, la cosa potrebbe essere ripresa in esame, sempre che in caso affermativo si potesse procedere all'immediato acquisto di una prima partita con relativa consegna del prezzo. Non so di che idea sarebbe Starhemberg: non ne ho finora tenuto parola con lui per non cominciare a toccare un argomento che ignoro se sarà positivamente trattato in seguito, e per non dargli speranze cui potrebbero seguire disillusioni che è meglio evitare. Ma con V. E. credo dovervi accennare fin da ora per quel conto che crederà farne. Se la mia proposta sembrasse in massima attuabile·, si potrebbe fin da adesso esaminare la eventualità di pratica attuazione. In caso contrario, non avendo io preso alcun impegno né detto checchessia che abbia potuto suscitare una minima speranza, saremmo sempre ~iberi di rispondere in modo negativo con i riguardi di forma necessari a salvare le apparenze.

(l) Cfr. n. 33.

41

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

(Ed., con data 5 ottobre, in R. RAINERO, pp. 459-463)

D.R. 4121.. Roma, 6 ottobre 1931 (1).

Ho sottoposto a S.E. il Capo del Governo il Suo rapporto datato da Roma hl 3 ottobre c.a. (2) -S.E. il Capo del Governo mi incarica di confermare le istruzioni V'erbalmente impartiteLe e riassunte nel rapporto citato.

Il problema franco-italiano, come V.E. ha altra volta chiaramente detto al Presidente Lavai (Suo rapporto n. 2687 del 20 agosto in risposta al mip dispaccio n. 3122 del 9 .agosto) (3) è un problema di vasto 11espiro che potrebbe

trovare piena soluzione solo in un'intesa di carattere generale basata su uno spirito di reciproca comprensione. Nel quadro di una siffatta eventuale· intesa generale, non dovrebbe essere difficile trovare equa e soddisfacente soluzione a tutti i problemi che costituiscono la sostanza delle relazioni italo-francesi.

Il signor Lavai sa che il Capo del Governo pensa come rJ:ui che Francia e Italia sono elementi di conservazione e di ordine sociale in Europa e che perciò dovrebbero avere un compi•to comune da svolgere, specie nelle delicate circostanze attuali. Ma il signor Lavai sa altresì che mentre la Francia per la sua si•tuazione geografica ed economica, per !'~immenso impero coloniaiJ:e, per i cospicui acquisti realizzati con la guerra può ritenere pienamente soddisfacente la sua situazione attuale ed ha quindi innanzi a sé, anche in ilinea politica, un solo problema di conservazione, il problema della sua • sicurezza •, tl problema dominante della vita del popolo italiano è invece pur sempre quello di ottenere le risorse indispensabili per lo sbocco della popolazione esuberante e pel rifornimento delle materie prime. Solo dopo ave·r dato a tale problema una soluzione sia pur modesta, :l'Italia potrà considerarsi nel novero dei Paesi anche politicamente conservatori. Credo che il signor Lavai non possa disconoscere tale situa~ione ma eg;li dovrebbe altresì convincersi che è interesse della stessa Francia di trovarvi insieme con noi [a migliore soluzione. La • sicurezza • francese ne trarrebbe altrettalllto e forse maggior vantaggio di quello che tragga dalla formidabile cintura di fortifica~ioni attualmente in corso.

S.E. -il Capo del Governo condivide il pensiero del Presidente La·val circa un loro incontro nel quale potranno molto utilmente essere discussi e chiariti i problemi che interessano i rapporti e l'a'VV'eilil'le dei due Paesi nonché ile possibilità di collabora~ione specialmente in vista della delicata situazione europea e mondiale. S.E. -il Capo del Governo ritiene però che un incontro tra il Presidente Lavall e lui potrebbe essere proficuo alle relazioni fra i due Paesi solo se fossero previamente eliminate alcune questioni che sono oggetto da troppo tempo di laboriose trattative e di polemiche spesso aspre sulla stampa, al di là della loro importanza effettiva.

Il Capo del Governo desidera quindi conoscere se il Presidente Lavai acconsente a regolare come appresso le tre seguenti questioni :

l •) Tregua navale per un anno, indipendentemente dai negoziati in corso per l'accordo navale ed in attesa di una loro conclusione. Per tregua navale il Capo del Governo intende • sospensione degli armamenti navali per l'anno finanziario in corso o riduzione degli armamenti stessi ad una cifra minima comune che sia in ogni caso il più possibile inferiore a quella raggiunta nello scorso anno finanziario •.

2°) Cessione aLl'Italia del triangolo, comprendente l'oasi di Giado e Giado stessa, come indicato nella nota del signor de Beaumarchais del 21 dicembr·e 1928 (1), modificata però nel senso che restano comprese in territorio italiano le piste congiungenti Giado attraverso In Ezzan con Gat da un lato ·e Tummo

dldl'altro. La località di In Ezzan, già da noi considerata italiana in base allo scambio di note Bonin-Pichon del 12 settembre 1919, dovrà quindi essere riconosciuta dal Governo francese come di nostra sovranità.

Nell'eventuale accordo dovrebbero inoltre essere soppresse quelle ed ogni altra servUù o limitazione alla cessione di detto 'territorio, che erano state formulate nel progetto di Trattato (all'art. 1", tre ultimi capovcersi) rimesso dali: signor de Beaumarchais con la nota 21 dicembre 1928.

3o) La prossima scadenza delle Convenzioni italo-tunisine del 1896, oggi in vigore di tre in tre mesi, prorogherà le convenZJioni stesse per un periodo non di tre mesi ma di dieci anni.

Di tali soluzioni la prima e ila terza hanno carattere dilatorio e la seconda è ampiamente transazionale. Nel farne l"lilevare tale carattere al signor Lavai

V.E. vorrà bene mettere in evidenza che il Capo del Governo ha voil'uto con ciò dare ancora una prova della sua comprensione del difficile momento politico internazionale che il mondo attraversa e del profondo convincimento che a tutti gli Stati e specialmente allle Grandi Potenze incombe il dovere di nulla tralasciare per renderne meno gravi le conseguenze, armonizzando soddisfacentemente i diversi :interessi dei popoli.

Circa il punto 2° V.E. mi informa che si propone, se le venga chiesto o

detto che con l'accettazione di esso si intende soddisfatto l'art. 13 del Patto di

Londra, di rispondere con l'affermativa, ma rilevando che resta pur sempre

e completamente aperto il problema generale creato dalla situazione demo

grafica italiana e dalla necessità italiana di rifornimenti indipendenti e

propri di materie prime per le sue industrie. Mi rendo conto che, ove il signor

Lavai accettasse le proposte di S.E. il Capo del Governo non vi potrebbe

essere da parte nostra risposta diversa. Se occorre infatti evitare da un lato

di accreditare la voce, o meglio la leggenda sulla insaziabilità italiana,

per cui ad ogni richiesta soddisfatta ne seguirebbe inevitabilmente una mag

giore, -dietro cui spesso il Quai d'Orsay ha trincerato la politica seguita finora

verso di noi, ancora più è necessario evitare che l'accettazione di questi punti

costituisca la sola ed unica ragione di un accordo con l'ltal<ia, disconoscendo

in seguito le nostre ragioni politiche ed economiche e le nostre vitali necessità.

Naturalmente V.E. non affronterà l'argomento dell'articolo 13 del Patto

di Londra senza essere direttamente chiamata in causa, ed è sperabile che il

Presidente Lavai ed il Governo della RepubWica sapranno questa volta sot

trarsi a quella miope grettezza che ha finora ispirato i loro negoziatori, poiché

è invero evidente, ed evidente dovrebbe tornare al Governo francese che il

problema <ita:lo-francese è molto più vasto e va ben al di là della soddisfazione

mediante una modesta rettifica di frontiera di questo impegno per cui recla

miamo invano da dodici anni una realizzazione più completa e più conforme

al suo spirito ed alla sua !lettera.

Come è naturale, V.E. procederà possibilmente solo verbalmente e non appena avuta la l"lisposta del Signor Laval, vorrà venire -in conformità alle istruzioni ricevute da S.E. il Capo del Governo -a riferirla personalmente.

(l) -Una minuta preliminare del doc. ha la data 5 ottobre. (2) -Cfr. n. 38. (3) -Cfr. serie VII, vol. X, nn. 429 e 438.

(l) Cfr. serie Vll, vol. VII, n. 121, allegato lll.

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IL DIRETTORE GENERALE PER L'AFRICA ORIENTALE DEL MINISTERO DELLE COLONIE, GABELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(ASMA!, fase. • Rapporti etiopico-giapponesi •)

TELESPR. 48621. Roma, 8 ottobre 1931.

Con riferimento al telespresso n. 233072 del 24 settembre u.s., trascrivo, per oppor.tuna conoscenza dell'E.V., il seguente telegramma inviato dal R. Governatore dell'Eritrea in data 6 c.:

• Marchese Paternò mi informa essere prossima ratidiica trattato l:.HapponeEtiopia e prevede aumento importazioni giapponesi. Osserva che anche sotto questo aspetto si va affermando tendenza Abissinia affrancarsi dall'Europa. Concordo pienamente. Se non si riuscirà ad un accordo fattivo fra le tre Potenze Tripartito, situazione andrà sempre peggiorando fino a divenire irrimediabile •.

43

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T.R. PER CORRIERE 3163/446. Parigi, 8 ottobre 1931 (per. H 10).

Faccio seguito mio telegramma filo di ieri N. 442 (1).

L'accoglienza Lavai alla mia comunicazione fu, come nei casi precedenti, comprensiva e cordiale. Il Presidente mi lesse, a proposito de.Ua tregua navale, alcuni brani della l~ette·ra del Ministro Dumont, lettera che estrasse dalla sua tasca, per precisarmi le difficoltà che-la proposta stessa avrebbe certamente ,incontrato presso la Marina. Il Ministro Dumont infatti si esprimeva nel senso che occorre provvedere al più presto alla rinnovazione di vari incrociatori anziani che sono da considerarsi come ferrovecchio. Mi chiese se sarebbe stato possibille accordarsi sugli altri due soli punti. Al che io risposi con un gesto negativo. Disse che egli manteneva intatte 1e precedenti dichiarazioni fattemi o1rca il suo pensiero al riguardo deùll'Itatlia e delle relazioni .tra i nostri due Paesi: disse che avrebbe informato il Consiglio dei Ministri della mia comunicazione e mi pregò di informare il sig. Bevthelot che gli avrebbe tecnicamente I"iferito sui punti due e tre, mentre la Marina avrebbe studiato il punto prtmo circa .la tregua navale.

Mi recai subito dal sig. Berthelot col quale avevo già preso appuntamento di mia iniziativa.

\l) T. s. 3133/442, trasmesso alle ore 21, col quale Manzonl riferiva in breve quanto ripetuto più largamente nel testo.

L'accoglienza del sig. Berthelot fu, è proprio il caso di dirlo, quasi sgarbata. Appena ebbi formulata ~a proposta di rettifica dei confini libici, osservò, rudemente, che la nostra domanda circa le piste carovanie,re, e quella per In Ezzan, erano inaccettabili in quanto toglievano ai francesi tla possibilità di comunicazioni tra oasi sahariane loro appartenenti ed in quanto comprendevano la cessione di In Ezzan che egli disse francese e già occupata da truppe francesi. Quando gli ebbi formulata la terza ed ultima proposta, il sig. Berthelot, con tono rude e sarcastico disse che le tre proposte erano tutte a favore dell'Italia, che nulla in e,sse vi era a favore della Francia: che era una curiosa maniera di impostare un negozdato quella mia di domandar tutto per una sola delle parti, che i coloniali non avrebbero mai accettata la nostra proposta circa la rettifica libica. Il tono delle sue parole fu tale che dovetti rispondergli esprimendogliene la mia sgradevole sorpresa. Devo inferirne, gli dissi, che nei miei 15 giorni di assenza le relazioni nostre da para1l:ele che erano, erano divenute nettamente divergenti: cosa voleva che proponessi a favore della Francia quando l'Italia ha già fatto onore, e largamente, a tutti i suoi obblighi, Illienitre è dal 1919 che attende che la Francia paghi la sua cambiaile per la rettifica di frontiera,

e dal 1918 che essa è debitrice insolvente per le Convenzioni Tunisine? Aggiunsi che se vi era chi poteva criticare la maniera di negoziare questi eravamo noi in occasione delle proposte Beaumarchais 21 dicembre 1928, giacché allora la Francia che doveva far fronte agli impegni della nota Barrère per le convenzioni tunisine, anzi che regolare la questione ne aveva aperta un'aUra molto grave e contraria agli impegni assunti dal sig. Barrère stesso. La conversazione continuò per qualche tempo con questa asprezza di sostanza, pur affermando il sig. Berthelot che egli esprimeva solo osservazioni sue personali giacché egli, ufficialmente, si sarebbe limitato a 11iferire tecnicamente al suo Ministro. Circa la questione degli italiani in Tunisia egli osservò che la nostra proposta negava ogni soddisfazione in materia, disse che noi mostravamo una intransigenza che gli stessi inglesi non avevano mostrata, che questa era linvece una questione che doveva essere pur regolata e mise in dubbio i nostri stessi diritti basati sulle convenzioni del 1896. Risposi a tono in tutto, rilevandogli che gli inglesi avevano ceduto pei soli maltesi, sudditi coloniali: che mai l'Ita:Ua

avrebbe rinunciato ai propri figli. Insomma l'accogLienza della burocrazia fran

cese non avrebbe potuto essere più strettamente burocratica, e, per quanto si

scusasse dicendo che esprimeva solo impressioni strettamente personali, l'ac

coglienza del Segretario Generale di un Ministero degli Affa11i esteri non avrebbe

potuto essere più grettamente assente da ogni concezione, visione, politica

diplomatica.

Stamane ho chiesto di vedere il sig. Briand. Mi ha dato appuntamento

per domattina alle ore 9 e mezza. Gli avrei fatto visita in ogni caso per ragioni

di cortesia: ma domattina mi potrò sincerare de1 risultato del rapporto che

gli avrà fatto il signor Berthelot, e trarne tle opportune deduzioni e decisioni (1).

(l) Con t. 3150/440 del 9 ottobre, ore 12,15, per. ore 14,45, Marnzoni riferi sul colloquio con Briand. • Complessivamente sua risposta mi dà, come quella del Signor Lavai. qualche speranza che criteri politici e larghi dei ministri responsabili potranno forse riuscire vincere difficoltà tecnica degli Uffici •.

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APPUNTO (l)

Roma, 8 ottobre 1931.

Con lo scioglimento della Camera anche la Conferenza della Tavola Rotonda dovrà interrompere con i suoi lavori. Sarebbe, anzitutto, opportuno informarsi a Londra se i delegati intendano .11imanere in Europa 1in ,art;tesa della rioonvocazione o rito,rnino in India. Tanto nel primo caso come nel secondo,-e cevto molto più nel primo,-vi è probabilità che alcuni di questi delegati vengano in Italia.

1°) L'Accademia d'Italia ha già invi,tato il dott. Sir M. Iqbal; in occasione di tale seduta èertamente verranno anche altri leaders musulmani.

2°) I due rappresentanti della Federazione delle Camere di Commercio indiane mi espressero già in India, il desiderio di visitare l'Italia e di entrare in contatto con i dirigenti del nostro mondo economico. Uno di questi è il signor Dirla, la cui Ditta controlla il merca,to della juta in Calcutta. (Due anni fa in onore della figlia del Duce, di passaggio a Calcutta, diede nella sua villa un thè di 300 invitati).

Riguardo a questi delegati, per i qual!i non credo ci possa essere alcuna obiezione, si tratta di conoscere quale forma di assistenza debba loro darsi e se debba essere loro rivolto un particolare invito (dalla Federazione Fascista deU'Industria, dall'Università Bocconi o simili).

3°) Rimane l'eventuale visita dei due Leaders hindù, Gandhi e Malaviya (rettore dell'Universi,tà di Benares, dove venne tenuta una speciale riunione presenti 200 professori e tutti gli studenti, per una Conferenza sul Fascismo e sul Duce, due anni fa in occasione del passaggio della Lega).

Vi è la possibilità che intendano visitare anche il Papa.

L'Agenzia Vaticana, nell'aprHe del 1930, aill'inizio della campagna di Gandhi

pubblicò una nota in cui si dichiarava che il Vaticano non aveva alcuna obiezione

ad una possibile autonomia dell'India nè in particolare aUe idee di Gandhi, desi

derava solo essere assicurato sulla situazione dei cattolici in uno stato indiano.

La visita avrebbe eventualmente lo scopo di dare tali assicurazioni e di

guadagnare allo stesso tempo la simpatia del Vaticano.

Desidererei avere istruzioni per il caso di una visita di questi due Leaders.

Potrebbe sotto un certo aspetto essere conveniente, dato che è stato invitato

dall'Accademia un leader musulmano, che venga anche invitato H !leader hindù,

per non urtare la suscettibilità di questa comunità che è costituita da 280 mi

lioni di persone. Gli hindù e in particolare i nazionalisti rifiutano ogni appog

gio alla recente campagna di calunnie e di boicottaggio contro l'Italia per la

quale e per :il Duce hanno generale simpatia.

Per la conoscenza che ho di Gandhi posso dire che è uomo di una stoffa molto diversa dal Tagore e che si è sempre rifiutato di dare giudizi su persone e regimi di altri Paesi nè credo si dipartirebbe da questa norma nel caso presente.

Qualora però si vitenesse opportuna la sua visita, crederei indispensabile che egli fosse convenientemente avvicinato prima e che gli fosse spiegato quanto poco vantaggioso sarebbe agli interessi dei due paesi se egli dovesse poi esprimere qualche giudizio sul re~ime, e si accertassero le sue idee al riguardo. Qualora egli condividesse questo punto di vista si può fare completo affidamento sulla sua discrezione (1).

(l) L'appunto, anonimo, è forse del console Scarpa. Lo stesso Scarpa redasse un c Promemoria per S.E. il Ministro • con notizie sul movimento nazionalista indiano e sulle sue analogie col fascismo. Il promemoria, privo di data, sembra di poco anteriore all'appunto pubblicato nel testo.

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PROMEMORIA DELLA DIREZIONE GENERALE AMERICA, ASIA ED AUSTRALIA PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 9 ottobre 1931.

Non era ancora sc9mparsa !J.a tensione fra la Cina ed i'l Giappone, determinata dai gravi incidenti della scorsa estate in Corea, quando l'uccisione di un ufficiale e di un sergente giapponese in Manciuria da parte di soldati cinesi, venne a suscitare una profonda reazione nell'opinione pubblica del Giappone contro la pol<itica del suo Gov·erno perché ritenuta troppo remissiva nei riguardi della Cina.

D'altra parte le autorità militari giapponesi, che, a norma del trattato russocinese per la Manciuria (ereditato dal Giappone col consenso della Cina) occupavano le ferrovie mancesi del sud, presero delle misure forse oltrepassanti le necessità di:rensive.

Lo stesso consigLiere dell'Ambasciata giapponese dichiarò infatti a questa Direzione Generale che le autorità militari in Manciuria avevano di loro iniziativa dato esecuzione nella loro integrità ai piani preparati per il caso di guerra, occupando parecchie posizioni strategiche; azione che egli quaHficava quanto mai inopportuna sia nei riguardi dei cinesi poco arrendevoli di fronte ad una minaccia, sia nei riguardi internazionali e per la forma offensiva data all'operazione e per il momento scelto, in cui, per la gravità della cl"isi economica, in tutti i paesi e specialmente negli Stati Uniti, grandemente si desidera la riuscita della Conferenza del disarmo.

Cfr. anche un a))punto del ministero, privo di data ma probabilmente della fine del 1931 oppure del 1932. Nell'appunto si legge: • Nei riguardi della questione indiana a noi conviene rimanere neutrali, sia per i riflessi politici, che per quelli economici. È noto che è stato dichiarato il boicottaggio contro le merci e contro le società di trasporti e di assicurazioni inglesi; che noi abbiamo una linea di navigazione alla quale sono stati assegnati dal gennaio due piroscafi celerissimi, in concorrenza diretta con gli inglesi, e stiamo tentando di introdurre in India le nostre compagnie di assicurazione; che le nostre merci sono in concorrenza con le inglesi e il boicottaggio può aiutare a vincere H vantaggio che la svalutazione della sterlina ha dato negli ultimi mesi all'importazione brita.nnica •.

Tale apparente o reale divergenza di vedute tra le autorità miHtari ,e quelle politiche giapponesi si è rivelata anche nel,la stridente contraddizione tra le aspre dichiarazioni delle prime e quelle meno rigide delle seconde.

Secondo i'nfatti le dichiarazioni pubblicate dal Gove:mo di Tokio, le occupazioni avrebbero un carattere semplicement,e difensivo e dovrebbero essere abbandonate non appena il Governo cinese avrebbe preso le misure necessarie per tutelare la vita e gli averi dei giapponesi e si sarebbe astenuto dal minare g~li interessi nipponici in Manciuria.

La mancanza di un vero e proprio esercito ha indotto la Cina ad un atteggiamento di remissività; e la sua fiducia nella Società delle Nazioni, il cui appoggio ha sollecitato anche a S. E. il Capo del Governo, l'ha indotta a vifiutare la proposta giapponese di deferire la vertenza ad una Commissione mista sino-nipponica.

Il Giappone d'altra parte si è recentemente ritirato da alcune posizioni occupate, ma si dimostra deciso a difendere i suoi interessi senza intromissioni estranee, né della Società delle Nazioni né di terze Potenze.

H consigliere dell'Ambasciata giapponese ha recentemente detto a questa Direzione Generale che la Manciuria è pel Giappone un punto così vitale quanto lo è la .Jugoslavia per l'Italia, e come questa non permetterebbe l'intromissione di Ginevra o di altre Potenze in una vertenza con essa, così non v'è Governo giapponese che potrebbe permettere qualsiasi intromissione di terzi per Ia Manciuria.

In modo parimenti reciso si è espresso il Ministro del Giappone con il R. Incaricato d'Affari a Shanghai, e il Governo di Tokio ha dichiarato a S. E. Majoni che • qualunque offerta di mediazione sarà respinta come qualsiasi Commissione mista d'inchiesta •.

Circa l'atteggiamento di Washington il predetto consigUere accennò che il Governo degli Stati Uniti, dopo il primo momento di attesa nèlla speranza che quello di Tokio prendesse il sopravvento sugli elementi miilitari, pare che abbia esercitato pel tramite di Londra un'azione di arresto a Ginevra temendo forse che un ulteriore sviluppo dell'intervento ginevDino avrebbe potuto costringere il Governo di Tokio a lasciare il potere ai militari aggravando così ancor più la situazione.

Il Governo di Mosca pare mantenersi in uno stato di osservazione e di attesa mentre spinge la stampa ad accusare l'imperialismo in Giappone (1).

• Un diffuso giornale locale ha pubblicato ieri. con un carattere quasi di informazione, la notizia che alcune influenti personalità militari avevano deciso di inscenare una campagna per la revisione del Trattato di Versaglia, allo scopo di modificare le condizioni imposte alla Germania per la limitazione delle sue forze di terra. Motivo di tale determinazione sarebbe la preoccupazione che desta nelle personalità di cui si tratta l'aumento incessante dell'esercito russo ed il conseguente pericolo per il Giappone. Un incremento dell'esercito tedesco servirebbe a controbilanciare l'efficienza militare sovietica e tenerla quindi in iscacco.

Stamane la notizia è stata smentita da parecchi giornali. E poiché ho avuto oggi l'occasione di incontrare il Ministro degli Esteri ~liene ho fatto cenno. Il Barone Shidehara l'ha qualificata come una grossa assurdità, deplorando che simili cose ::>ossano essere stampate. Tali le parole del Ministro. È indiscutibile però che da qualche tempo specialmente, la stampa in genere accentua in ogni occasione le sue simpatie per la Germania •.

Dello stesso ambasciatore Majoni cfr. il rapporto 780/383, datato Tokio 25 settembre 1931, relativo al conflitto cino-giapponese: • Converrà pensare in un futuro non troppo remoto ad arginare la potenza in continuo aumento di questo Paese [il Giappone]. piena di pericoli non solo per gli altri Paesi del Pacifico •.

Ll 4 corrente il R. Incaricato d'Affari a Shanghai telegrafò che il reggente il Ministero degli Esteri cinese aveva inviato un telegramma alle Legazioni ricordando le decisioni prese dal Consiglio della Società delle Nazioni e gli impegni assunti dai Governi cinese e giapponese per risolvere la vertenza, e pregando i rappresentanti diplomatici dei paesi che costituiscono il Consiglio di inviare dei delegati • personal<i • per sorvegliare e riferire circa il modo in cui i due paesi direttamente interessati mantengono i patti.

L'adesione alla richiesta cinese evidentemente non può riuscire gradita al Governo giapponese (che anche a Ginevra ha fatto presente l'inutilità di inviati speciali avendo già le Potenze i loro rappresentanti consolari in Manciuria), e verrebbe d'altra parte a riportare di fatto la vertenza alla Società delle Nazioni, ciò che non appare per noi desiderabile.

Avendo però questa Ambasciata d'Inghilterra comunicato che il suo Governo ha dichiarato a quelilo francese che, se esso accoglierà la richiesta cinese, anche il Governo britannico è disposto ad accettarla, un nostro rifiuto dopo l'avvenuta accettazione francese ad inviare una rappresentanza in Manciul"ia, oltre a riuscire sfavorevole ai nostri rapporti con la Cina, ci metterebbe in una posizione di inferiorità nell'ulteriore svolgimento della vertenza e verrebbe interpretato come un rifiuto di collaborare con la Società delle Nazioni e per la causa dellla pace.

Gli Stati Uniti hanno inviato in Manciuria i1l loro vice console ad Harbin ed un segretario della loro Ambasciata a Tokio. La Francia invierà l'addetto navale e quello aeronautico in Cina.

La nostra rappresentanza in Manciuria, per riuscire meno sgradita al Governo giapponese, potrebbe essere costituita oltre che dal R. addetto navale a Shanghai, come ha proposto il Conte Ciano, anche dal consigliere della R. Ambasciata a Tokio.

La Direzione Generale A.A.A. ha pertanto l'onore di sottoporre all'approvazione dell'E. V. il Qui unito telegramma (l) aNa R. Ambasciata a Tokio e del quale prenderà visione la R. Legazione a Shanghai (2).

• Sembra dunque che i vari Ambasciatori (e naturalmente, soprattutto il Signor Sato, accreditato a Bruxelles, noto societario) abbiano telegrafato a Tokio in senso piuttostofavorevole alla conciliazione, tranne però l'Ambasciatore del Giappone a Roma, il quale -secondo l'espressione usata dal Signor Sugimura -ha indossato ormai la camicia nera -e si è lasciato indurre dalla sua ammirazione per il fascismo a telegrafare in senso nettamente contrario, incitando cioè alla resistenza.

Il Signor Sugìmura mi ha poi accennato a certi interessanti scambi dì idee che sarebbero avvenuti in questi ultimi tempi a Londra e forse anche a Ginevra stessa tra Giappone e Inghilterra. Sarebbe stato detto cioè al rappresentante del Giappone che fin dai tempi di Lord Grey il Governo Britannico aveva in certo modo riconosciuto gli "interessi speciali " del Giappone in Manciuria accordandogli libertà di penetrazione pacifica. Questo riconoscimento inglese valeva tuttora e l'Inghilterra non si opponeva affatto a che il Giappone continuasse ad estendere la sua pacifica presa di possesso della Manduria. Quello che l'Inghilterra voleva evitare era la presa di possesso troppo apparente e rumorosa, compiuta manu militari, e implicante la necessità di mettere in moto il meccanismo della Lega. In altri termini l'Inghilterra non si opponeva in sostanza alla politica del Giappone, ma si vedeva costretta a intervenire soltanto per salvare il prestigio della Società delle Nazioni, per il quale l'occupazione violenta della Manciuria era un pericoloso atto di sfida.

La Francia non sarebbe stata aliena, per levarsi d'impaccio, dall'ammettere simile idea, senonché si preoccupava che potesse costituire un precedente nei riguardi di casi analoghi che la toccassero più da vicino •.

(l) Cfr. una lettera di Grandi a Giuriati del 10 ottobre, in risoosta a una lettera di Giuriati del l o settembre: • Assai probabilmente il signor Shinkari Singh Seth, mittente della lettera allegata in copia alla tua del l o settembre, è un nazionalista indiano, e quindisarebbe forse preferibile astenersi dal rispondergli direttamente anche perché, qualora una lettera del Partito capitasse nelle mani delle Autorità britanniche in India, essa potrebbe fornire loro il pretesto per sospettare che il partito si mantiene in contatto col movimento indiano anti-britannico •.

(l) Cfr. quanto aveva comunicato l'ambasciatore a Tokio il 18 giugno 1931:

(l) -Non si pubblica. (2) -In un rapporto datato Ginevra 4 novembre 1931 Paulucci così scriveva:
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. PER CORRIERE 1096. Roma, 12 ottobre 1931.

Rapporto di V. S. n. 3703/2113 (1).

Anche a me questo Ministro di Austria, nel corso di una conversazione avuta con lui l'otto corrente, ha accennato all desiderio di Schober che 1io mi fermassi a Vienna, al ritorno dal mio viaggio a Berlino, per restituirgli la nota visita.

Ho risposto a von Egger che non ritenevo l'attuale momento opportuno per questa visita. E ciò per vavie ragioni. In primo 1luogo è troppo evidente che la mia visita a Vienna non può aver luogo giungendovi direttamente da Berlino.

Non posso d'altronde dimenticare che se avessi effettuata, come era stato progettato, la mia visita nel marzo scorso, mi sarei trovato nella stessa incresoiosa posizione in cui venne in seguito a trovarsi il Conte Bethlen, di fronte alll'improvviso annuncio dell'accordo doganale austro-tedesco, di cui nessuna notizia venne data al Governo italiano, che pure è legato alla Repubblica austriaca con un ,trattato di amicizia. Ho confermato al signor von Egger che permaneva il mio desiderio di recarmi a Vienna, ma che tale visita non potrà aver luogo che quando la situazione si sia ben chiarificata, e le condizioni dell'Austria siano tali che dalla mia visita possano derivare quei benefici effetti nei rapporti fra i du!e Paesi, che ,entrambi i Governi debbono ripromettersi (2).

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L'AMBASCIATORE A TOKIO, MAJONI, ALLA LEGAZIONE A PECHINO (3)

T. 3215/833. Tokio, 12 ottobre 1931, ore 2,30 (per. ore 22).

Prego telegrafare quanto segue al R. Ministero dandone conoscenza codesto incaricato d'affari:

c N. 75. Questo Vice Ministro Affavi Esteri mi ha detto ieri:

Cfr. anche un precedente rapporto n. 3982/2272 del 17 ottobre, nel quale Auriti riferiva su un colloquio con Seipel:

« Ho accennato con Seipel confidenzialmente al tentativo di Schober per cercare di ottenere da V.E. la restituzione della visita in occasione del Suo ritorno da Berlino e alla risposta cortese ma negativa fattagli dare dall'E.V. Ho osservato che, oltre alle altre comprensibili ragioni le quali vi ostavano, doveva evitarsi anche, nell'interesse del miglioramento degli ulteriori rapporti fra i due stati, che l'E.V. rendesse la visita a un ministro il quale non era da escludersi potesse cadere poco tempo dopo. Seipel si è evidentemente compiaciuto di queste considerazioni •.

l •) Situazione Manciuria lievemente mig:liorata quantunque truppe e popolazione cinese persista spirito anti-giapponese ciò che ritarda ritiro truppe imperiali ed ha indotto Comando Giapponese azione ricognizione contro centro agitazione Chin-Chow cui bombardamento fu provocato soltanto da fucileria cinese. In tale senso verrà risposto oggi telegramma Presidente del Consiglio Società delle Nazioni.

2•) Complesso rapporti cino-giapponesi presenta invece gravi pericoli a causa crescente agitazione specialmente Oina centrale contro Giapponesi cui vita proprietà sono esposte imminente pericolo. Governo Giapponese ha perciò invia.to ieri Nota protesta e rinforzato sue forze navali acque cinesi disposizione Ministro del Giappone. È da smentirsi però in modo assoluto intenzione bombardamento capi:tale od altre città cinesi.

3•) Sono infondate notizie atteggiamento sfavorevole U.R.S.S. che si mantiene pienamente corretto.

4•) Unica via soluzione rimane negoziati diretti per cui sollecito inizio Governo Giapponese spera Società delle Nazioni vorrà fare premure Nanchino anche perché esso produrrebbe attenuazione animosità popolazione.

Condivido opinione Vice Ministro. Aggiungo che conflitto, a prescindere dalle sue origini e sviluppi, deve essere, a mio avVliso, considerato dalle Grandi Potenze e da Società delle Nazioni nell'ampio quadro degli interessi mondiaJli specialmente nell'attuale momento politico. Si deve cioè tener presente che contro Potenza costituente unico esponente ordine e civiltà in Estremo Oriente sta uno Stato in preda caos suscitante continuamente pericoli per la pace.

È interesse genera1le quindi appoggiare discretamente il primo pur contenendone amore strapotere. Imprudente azione anti-giapponese della Società delle Nazioni troverebbe resistenza intera NaZJione e potrebbe al;la fine determinare persino ritiro Giappone dalla Società delle Nazioni con incontestabile pregiudizio per la stessa.

Ho trasmesso presente telegramma via Pechino pregando darne conoscenza

R. Incaricato d'Affari •.

(l) -Del 28 settembre, che non si pubblica. (2) -Auriti rispose con t. 4007/2283 del 21 ottobre: c Finché Schober rimane al potere è meglio averlò amico che nemico, perché qualche servizio può sempre renderlo; conviene quindi tenerlo nella speranza, come del resto aveva già fatto V.E. nel suo colloquio con Egger •·

(3) La legazione a Pechino era retta dal segretario di legazione Anfuso. Incaricato d'affari presso il Governo cinese era Ciano, console a Shanghai.

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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, A ROMA

L. P. R. 245124/592. Roma, 12 ottobre 1931.

Nella prossima riunione della Commissione dei Mandati verrà, come ti è noto, in discussione la proposta britannica per l'emancipazione deU'Irak, proposta che il Consiglio ha inviato alla Commissione perché !l'esamini • à la lumière de la résolution du Conseil en date du 4 septembre 1931, relative aux conditions généra~es qui doivent etre remplies pour qu'un mandat puisse prendre fin • , e perché emetta conseguentemente il proprio avviso.

In previsione di tale discussione credo opportuno farti conoscere alcune idee che possono utilmente essere tenute presenti, a meglio lumeggiare gli intendimenti e gli scopi avuti di mira dalla nostra De[egazione al Consiglio, nella sessione testè chiusasi; scopi parzialmente raggiunti con le note modifiche apportate alla risoluzione, proposta dal relatore, circa la questione delle condizioni generali da prevedersi perché possa essere posto fine ad un mandato.

a) Il Consiglio, nella risoluzione del 4 settembre, ha deciso che la maturità di un Paese posto sotto mandato debba essere determinata, seulement après

c

un examen approfondi de chaQue cas particulier •. Era intenzione della nostra Delegazione di cercare di ottenere una risoluzione che affermasse esplic,itamente la necessità di studiare a fondo lo stato di un popolo sottoposto a mandato mediante un'inchiesta speciale societaria, da svolgersi localmente, che esaminasse con un'indagine diretta se ill popolo stesso fosse maturo per l'emancipazione.

La nostra Delegazione non è riusdta ad ottenere su questo punto il consenso britannico, ma è riuscita però a far conoscere neNa risoluzione il principio della necessità di un previo esame approfondito, caso per caso, e a non fare escludere a pl'iori alcun mezzo di indagine, e quindi neppure quello della inchiesta diretta.

La questione quindi è rimasta teoricamente impregiudicata: di fatto però, con accordi riservati presi fra noi e gli inglesi, noi ci siamo impegnati a non insistere perché per l'Irak, questa indagine diretta si compia.

Ciò non toglie tuttavia che sarebbe bene che la proposta delJl'inchiesta diretta per l'Irak venga ripresentata e discussa nella Commissione dei Mandati, e ciò non solo per confermare che dal testo della risoluzione 4 settembre del Consiglio una tale procedura è tutt'altro che esclusa, ma anzi per affermare che, pur non applicandola per il caso speciale delll'Irak, tale esclusione ha carattere particolare ed eccezionale, e che ciò non può costituire un valido precedente da invocarsi in .futuri casi analoghi. Si tratterebbe insomma di ·far risultare espliCiitamente dal rapporto della Commissione l'eccezionalità della procedura proposta per la cessazione del Mandato irakiano: o quanto meno ribadire il pl"lincipio che talle procedura deve essere esaminata ed adottata caso per caso, e che quindi quanto si stabilirà ora di fare per l'Irak non dovrà conse·guentemente adottarsi come regola in futuri casi analoghi.

b) Nella risoluzione del Consiglio del .4 settembre si determina altresì che esso c devra examiner avec le plus grand soin tous les engagements pris par les pays sous mandat envers la Puissance mandataire, pour s'assurer qu'ils sont compatibles avec le statut d'Etat indépendant •.

Sembra che la Commissione dei Mandati, nel parere da formulare circa la proposta britannica per la cessazione del Mandato irakiano, debba quindi, inspirandosi alla risoluzione del Consiglio prendere in esame anche il traUato angloirakiano firmato a Bagdad il 30 giugno 1930, ed accertare se ed in auanto esso contrasti con lo statuto di Stato indipendente che deve essere attribuito all'Irak.

Nei suaccennati accordi riservati fra noi e gli inglesi, noi ci siamo riseNati di presentare in ConsigHo delle osservazioni ·teoriche circa tale trattato, osservazioni da valere per i casi futuri, ma è inteso che in definitiva non ci opporremc. ad approvare il complesso degli accordi anglo-irakiani.

Sarebbe tuttavia desiderabile che la Commissione dei Mandati facesse un esame approfondito e dettagliato del contenuto del trattato anglo-irakiano, sollevando dubbi e critiche, e che, se pure in definitiva il suo rapporto sarà favorevole, ne risulti che il complesso delle relazioni anglo-irakiane quale è stato costituito da detto trattato è in certo modo il limite estremo a cui si può giungere senza infirìnare l'indipendenza deHo Stato novellamente creato.

Non ti sfuggirà quale portata avrebbe tale affermazione per i casi futuri, dato che, se nel complesso ed agile organismo de1la Comunità degli Stati britannica è possibile la inserzione di uno Stato, sottoposto come sarà l'Irak a particolari servitù verso l'ex Potenza Mandataria, senza sostanzialmente distruggerne l'indipendenza, molrto più difficile sarà che relazioni analoghe si possano in futuro stabilire fra Francia e Siria, considerata la uniformità e la rigidità del sistema coloniale francese che non ama staccarsi troppo dai vieti schemi della colonia di divetto dominio e del protettorato.

c) Sulla questione dell'eguaglianza economica, la risoluzione del Consiglio del 4 settembre è esplicita; il desiderio quindi espresso nel rapporto della Commissione dei Mandati sui lavori della 20• Sessione dovrebbe tradursi in un impegno formale da assumersi dall'lrak per un tempo il più possibile esteso. È d'altra parte evidente che agli Stati membri della Soc,ietà delle Nazioni non potvebbe essere fatto in Irak, a mandato cessato, un trattamento diverso e meno favorevole di quello già assicurato dall'lrak agli Stati Uniti col trattato angloamericano-irakiano firmato a Londra il 9 gennaio 1931. Per assicurare a detti Stati tale trattamento, pur subordinato al principio della reciprocità, non vi sono che due vie: o un impegno collettivo da assumersi dall'Irak al momen,to della cessazione del mandato, ovvero trattative dirette con i singoili Stati. Quest'ultima via è lunga e malagevole. La prima è da prescegliersi anche per riaffermare, per i casi futuri, che :il principio dell'eguaglianza economica è una delle condizioni perché il Mandato possa aver fine.

d) Una questione che non è stata esplicitamente risolta nella risoluzione del

Consiglio del 4 settembre è quella dello stabilimento delle capitolazioni nel

l'lrak. Il Consigl,io ha, è vero, preso atto delle note suggestioni in materia del

relatore, ma credo opportuno anche ricordare le osservazioni che feci su questo

punto, così riassunte nel processo verbale: • Le rapporteur a fait allusion au

rétablissement ipso jure des privilèges et immunttés des étrangers à la suite

de la cessation d'un mandat. Le représentant de I'ItaUe ne veut pas éiiminer en

principe la possibilité de remplacer ce rétablissement par un accord judiciaire

spécia'l qui fournirait les garanties indispensables pour assurer à tous les ressor

tissants des Etats membres de la S.d.N. la mème protection légale dans des con

ditions de parfaite égalité. Mais cela devrait ètre subordonné, bien entendu, à la

realisation de l'indépendance de l'Etat précédemment sous mandat, telle que le

Pacte l'a voulue, et comme M. Grandi vient de l'envisager dans ses observations,

et, par conséquent, à la condition qu'aucune Puissance ne soit admise à jouir,

dans le nouvel Etat, d'une situation privilégiée •.

Non mi sembra dubbio a questo proposito che il vigente accordo giudlziarlo anglo-ira~iano stabilisca una situazione di privilegio per gli ingLesi, i quali forniscono fra l'altro alcuni giudici ai Tribunali irakiani. Tale accordo dovrebbe quindi essere modificato, mettendo sullo stesso piede tutti gli Stati membri delia Società delle Naz,ioni, per quanto riguarda l'amministrazione della giustizia nell'Irak.

La quest,ione è complessa: le proposte della Commissione dei Mandati potranno avviarla ad una soluzione, o quanto meno non comprometterla con il proporre senz'altro la permanenza dell'attuale accordo giudiziario anglo-irakiano.

49

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA

L. P. Parigi, 12 ottobre 1931.

Poiché leggo che Ella ha lasciato Roma per Ginevra, e che anche il signor Briand sarà stasera a Ginevra, dove quindi Ella lo ,incontrerà domani alla Società delle Nazioni, accludo per V. E. la copia della mia corrispondenza uffi'ciale che è giunta a Roma col corriere arrivato stamane (l) e che V. E. quindi non ha potuto leggere ancora, e aggiungo le seguenti notizie sulla situazione, le quali potranno esserLe di utile conoscenza per la conversazione col Signor Briand ed anche per la questione in discussione a Ginevra.

La situazione tra Italia e Francia è nuovamente spostata dane linee paraUele su quelle divergenti. L'impressione similare che trassi dall'atteggiamento del signor Berthelot (2), appare essere quella effettiva, e tale appare dalle informazioni confidenziali indirettamente assunte in conformità di quanto scrivevo a

V. E. col documento annesso. La causa di Q.uesto mutamento dello stato d'animo francese è l'azione italiana a Ginevra nella scorsa sessione settemb11ina. La proposta fatta da V. E. per la tregua di armamenti è stata considerata come una mossa contro la Francia, ha più che spiaciuto: ha irri<tato. Se è dubbio che abbia prodotto cambiamento nell'atteggiamento del signor Lavai (personalmente non lo credo, almeno finora), non ,escludo lo abbia alquanto raffreddato: in ogni caso ha girato contro di noi alcuni ministri che prima erano favorevoli

(non il Flàndin, ma il Maginot, ma, dicono, anche i1l Dumont): cosicché la mossa da me ora compiuta ha sorp!'eso, direi anzi ha disorientato, ed in più ha messo nell'imbarazzo. In queste condizioni, anche se il signor Lavai rimane fermo nelle sue precedenti disposizioni, troverà difficoltà nella discussione al Consiglio dei Ministri, come sembra ne abbia già trovate <in quello di giovedì scorso: i nostri avversarii hanno terreno facile: le difficoltà tecniche che verranno create daJ. signor Berthelot serviranno come il cacio sui maccheroni per i mal disposti verso di noi. Ma... resta la difficoltà e l'imbarazzo di darci una risposta negativa, anche sulla proposta di tregua navale temporanea e limitata

5 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

alle costruzioni del 1932, e di darcela alla vigilia della visita a Washington. Gli stessi nostri avversari ne sono preoccupati. Perciò la soJuzione che si prevede come la più probabile è quel!la di un rinvio, scusato da qualche plausibile ragione. L'assenza del signor Briand, che verosimilmente non potrà assistere al prossimo Consiglio dei Ministri, l'assenza del Ministro Dumont che non avrà perciò avuto il tempo di studiare a fondo la proposta che concerne il suo Dicastero, od un altro consimile motivo potranno indur11e il signor Lavai a rispondermi semplicemente che pur apprezzando la nostra mossa egli non è in grado di sostanzia[mente risponderv'i prima di partire per Washington; lascia agli Uffici l'ordine di studiarla a fondo durante il suo viaggio in America: quando tornerà mi darà risposta concreta.

Tutto ciò non modifica il mio pensiero espresso nel documento qui accluso (l) della tempestività e dell'opportunità della nostra attuale mossa. Se non vi fosse stata, il signor Lavai avrebbe potuto fare cadere su noi la responsabilità della situazione !taio-Francese se a Washington ~li fosse stato detto o semplicemente chiesto qualcosa in proposito: oggi non lo può più, perché gli abbiamo chiesto (per quel che riguarda il disarmo e la questione navale) una modestissima e ragionevolissima tregua (!asciandogliene la precisazione) alla quale deve dire che non ha potuto ancora rispondere: abbiamo preso contatto con lui prima di Washington: abbiamo assicurato quale è il sentimento. attua[e del Gabinetto Francese a nostro riguardo. Possiamo dunque informare Washington di tutto ciò, appena avremo tutti i fatti concreti in mano nostra, ossia dopo che avremo la risposta Lavai, affinché Washington sappia cosa comporta l'assumere atteggiamenti come quelli di Ginevra, in merito a ripercussioni col vicino Francese. Possiamo informarlo tanto più giustificatamente in quanto questo nostro atteggiamento ci viene, almeno per la metà attribuito come riflesso di scambi con Washington.

Quanto al signor Briand non è improbabile che, data la rivalità tra lui e il signor Lavai ed i fidi seguaci del Lavai nel Gabinetto, egli, in sostanza, operi per procurare difficoltà al Lavai quasi a mostrargli quanta abilità ed esperienza si richieda nel manovrare nel quadro della politica estera.

Mi resta ora, a completare il quadro politico qui trovato, di dire a V. E. che mi felicito dell'occasione che Eltla avrà di incontrare Lord Reading e farsi personalmente un'idea dell'esito del suo recente viaggio a Parigi. A mia impressione l'Inghilterra ha p11eso respiro, sul terreno delle relazioni cordiali e di stretta coUaborazione che tanto nel suo quadro generale, come specialmente in quello delle sue speciali contingenze attuali, sono il suo più favorevole terreno colla Francia. Ma è soltanto dopo le prossime elezioni che si potrà avere una situazione tra Inghilterra e Francia, più defini,ta. Siamo in situazione di transitorietà. L'Inghilterra oggi deve soprattutto cercarsi la tranquillità estera per pensare il più liberamente possibile ane sue difficoltà interne.

Quanto al viaggio del signor Lavai a Washington, mi permetto accluderle copia della corrispondenza spedita a Roma col corriere di stamane. Ad essa mi permetto aggiungere che nel pubblico qui si parla assai ed assai facilona

mente, della molto prossima crisi del dollaro: e che i ritiri di oro da New York da parte francese irritano mOilto gli americani i quali parlano di un'offensiva del franco contro il dollaro. Forse non è che l'offensiva del gruppo ebraico Rothschild contro il gruppo ebraico avverso Tedesco Americano Inglese. V. E. sa cosa intendo. È la lotta dell'oro tra i due gruppi, svolgentesi al di fuol'li degli interessi nazionali degli Stati interessati. Non sembra dubbio che la lotta esista, per quanto sia nascosta.

Mi permetta una osservazione ~l riguardo della questione g1iapponese cinese, nel senso dell'interesse che noi possiamo avere a ménager più il Giappone della Cina, sia per la forza di ordine che esso rappresenta in Estremo Oriente, sia per far capire alla Cina che deve dare meno fastidi al mondo col suo nazionalcomunismo, brigantesco e distruttore di energie, sia per creare qualche preoccupazione al Bolscevismo Sovietico, sia perché vi è contrasto di vedute tra noi e Giappone in quella questione del disarmo che nel 1932 influenzerà tutta la politica mondiale, sia infine perché nell'incidente di Corfù il Giappone, nella Conferenza degli Ambasciatori, se non ci aiutò, non ci contrastò. Perciò dire'i di non dare motivo di doglianza alla Cina, ma essenzialmente ménager il Giappone. Scusi questa mia incursione in un terreno non mio. Ma il mondo oggi diventa più che mai collegato (1).

• Situazione Italia-Francia. Aveva fatto molto cammino verso un chiarimento; ora è intorbidita nuovamente. La causa? La forma data alla nostra mossa a Ginevra a favore della tregua degli armamenti. La mancanza di ogni preventivo accenno amichevole, ma soprattutto i commenti delle corrispondenze italiane da Ginevra e della stampa del Regno hanno dato al Governo francese l'impressione che la mossa aveva sì uno scopo puramente programmatico italiano ma ne aveva anche un secondo, quello di manovrare contro la Francia, solo ed unicamente per annoiarla, per punzecchiarla. A che pro, hanno allora pensato a Parigi, cercare, favorire un chiarimento quando l'altra parte accoglie le nostre buone disposizioni in questo modo? E quando hanno letto l'articolo del Ministro Rocco sulla Stampa [cfr. n. 31] hanno concluso che si era di fronte non ad un'azione di soli giornalisti ma del Governo visto che un suo membro si esprimeva come la stamPa. Ne è conseguito una fermata sul cammino del chiarimento, favorita dal contemporaneo avverarsi dell'invito Hoover, della crisi inglese che sempre più innalzavano, per forza di cose, la posizione francese.

Trattasi di malumore sostanziale e duraturo? Sostanziale si ma duraturo no, sempre che da parte nostra si sappia operare. Il quadro della situazione interna ed estera della Francia sopra tratteggiato, quello della situazione mondiale e della situazione speciale europea, nel quale il fatto caratteri

stico è la esistenza dell'Italia e della Francia come le sole Potenze sane e robuste. con

comune capacità e con comune interesse contro la minaccia di una catastrofe della comune civiltà, indica il vantaggio comune di un chiarimento e di una collaborazione. Il nostro recente passo a Parigi, nel quadro diplomatico, se ha imbarazzato, ha pure mostrato che noi non siamo alieni dal giungere al chiarimento: se ha servito a mantenere e riprendere le fila che si erano venute distendendo prima di Ginevra in base alle disposizioni manifestate dal signor Lavai, ha pure ricreato a Parigi l'impressione di una nostra azione su doppio quadro nel senso che da una parte si mostrano disposizioni al chiarimento e dall'altra, quella più appariscente e la pubblica, si fa dell'azione antifrancese, più che per essere conseguenti e stare esclusivamente nell'azione a favore del nostro programma nazionale, per annoiare la Francia, per crearle imbarazzi, per contrastarla, per denunziarla a\ mondo come egemonica, come isolata, come sola sostenitrice della teoria degli armamenti. Questo contrasto, questa azione duolice, disorienta, ma più che disorientare irrita, ed oggi la Francia che ha di nuovo sentito il riavvicinamento dell'Inghilterra, che vede la possibilità di una collaborazione cogli Stati Uniti e di far prevalere le sue vedute, chiaramente si dispone verso di noi al chiarimento se veramente noi operiamo con esclusiva direzione di consentirlo e di consentirlo per collaborare poi insieme in Europa e nel mondo; in caso diverso, ci abbandonerà a quella che essa considera poter divenire anche una situazione di isolamento, ed anche semplicemente una situazione che potrà apparire come la conseguenza di atteggiamenti nostri malgrado quanto essa Francia avrà fatto, od asserirà di aver fatto, oer cercare la nostra collaborazione.

Qual è l"' enjeu ", oggi, di un chiarimento italo-francese? Un diverso atteggiamento della nostra stampa. SI sostengano le tesi italiane, ma si cessi di farlo in contrapposto ed in denunzia della Francia; si cessi di mettere la Francia sulla "sellette" mondiale; si cessi di spingere il popolo italiano verso un contrasto con essa; si adotti insomma un atteggiamento puramente obiettivo e nazionale.

(l) -Questa corrispondenza non si pubblica. (2) -Cfr. n. 43.

(l) È certamente il t. per corriere 3201/451 del 10 ottobre, che non si Pubblica.

(l) Lavai rispose, in modo dilatorio, alle proPoste italiane il 16 ottobre. Su questa risposta non si è trovata documentazione diretta. Cfr. comunque più avanti il n. 108; e cfr. quanto riferiva Manzoni a Grandi in una relazione datata Roma 20 ottobre 1931 (Archivio Grandi):

50

IL MINISTERO DEGLI ESTERI AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO' (l)

T. 1100/281. Roma, 13 ottobre 1931, ore 24.

Suoi telegrammi 457 (2) e 465.

D'accordo con Ministero Colonie, approvasi azione di V. S. nonché Sua intenzione di opporre, al momento opportuno, nostre formali controriserve alle viserv~ formulate da Governo etiopico, cercando tuttavia di evitare che ciò possa dar luogo all'apertura di discussioni circa delimitazione frontiera, che com'è noto a V. S. non ci conviene affrontare specialmente neì momento attuale.

51

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI

(ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Gentile 7/R; copial

Roma, 16 ottobre 1931.

Il Ministro Grandi mi telegrafa da Ginevra, per dirmi che il libro di Curzio Erik Suckert, di soprannome Malaparte, ha suscitato penose impressioni fra gli hitleriani e ha fornito materia1e ana speculazione degl:i anti-fascisti (3).

Ho fatto mandare al Malaparte la documentazione di questa speculazione. Ma ritengo necessario per le vie che V. E. crederà le più opportune, di far sapere a Hitler, che io deploro quanto è detto su di lui nel libro di Malaparte e che il Malaparte stesso è un letterato che non ha mai avuto, salvo qualche breve pe-

Siamo giunti ad un momento che è di svolta, e di svolta importante nelle nostre

relazioni colla Francia. Nessuna rinunzia viene da me consigliata, nemmeno cotccennata, alle

nostre linee programmatiche; invoco invece e colla maggiore convinzione, un cambiamento

di metodo; abbiamo finora oltre al difendere le nostre tesi combattuto e denunziato la

Francia; cessiamo questa parte accessoria nello sviluppo delle nostre vedute internazionali;

limitiamo i dissensi nostri verso la Francia a quegli atteggiamenti che essa assume di

fronte a questioni del puro campo italo-francese; facciamolo con obiettività, senza aggettivi,

senza eccessi di nessuna forma, ma esprimendo invece il rincrescimento di vedere tanta

incomprensione della Francia dei nostri interessi, delle nostre tesi, delle nostre giuste esi

genze, non facilitando in tal modo il nostro desiderio e le nostre disposizioni per una

comune collaborazione nei campi di interessi superiori comuni e di composizione nei campi

di contrasto. .

Cosa perdiamo con questo cambiamento di atteggiamento esterno e dimostrativo?

Nulla. Non ne avremo che guadagno, sopratutto di fronte ai terzi.

Ripeto che siamo arrivati ad un momento di svolta decisivo e ripeto che non invoco

che un cambiamento di metodo per dare alla diplomazia la possibilità di un'a~ione svilup

patrice ed efficace verso il chiarimento tra Italia e }"rancia, in un momento in cui la

Francia trova questo chiarimento presso tutte le altre Grandi Potenze, in un momento in

cui Italia e Francia sono rimaste le due sole Potenze sane in Europa ed in un momento

in cui si sostanziano atteggiamenti di fronte a problemi gravi, sostanziali e decisivi della

Pace e dell'Ordine in Europa e nel Mondo.

Se così agiremo, ho speranza che chiariremo molti problemi e ci assicureremo un'azione

che ingrandirà l'Italia internazionalmente e le darà maggior potenzialità di sviluppi anche

all'interno •.

riodo di attività giornalistica, né ha attualmente responsabiilità o posti di comando nella politica del Fascismo.

Il prof. Giovanni Gentile andrà a Colonia il 26 corr. mese, per la inaugurazione delil'Istiltuto itala-tedesco, ma prima V1errà a Berlino, per il centenario hegeliano e per una conferenza. Può darsi che i tempi non siano i più felici per la inaugurazione di Colonia, ma è mio convincimento che !le date, una volta fissate, sono come le cambiali, una volta firmate. Bisogna farvi onore.

(l) -Il tel. è privo di firma. (2) -Cfr. n. 25. (3) -Cfr. J. PETERSEN, Hitler e Mussolini, pp. 99-102, in particolare p. 101 dove si fa riferimento al documento pubblicato.
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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE RR. P. 426/237. Belgrado, 17 ottobre 1931.

Il 13 corrente ho avuto un colloquio con Jeftic (l) che, come preannunciatomi mi ha rimesso un suo progetto scritto contemplante le basi di un accordo sull'Albania.

Premetto subito che a parte numerose questioni di forma, tale progetto non tiene conto stato di diritto fra Italia e Albania, e tende a mettere su stesso piede Jugoslavia ed Italia. Esso segna un passo ,indietro sulle conversazioni avute fin qui. Non ho fatto ancora alcuna obiezione ad Jeftic cui mi sono limitato dire che lo avrei attentamente esaminato, e dopo riflessione g1i avrei fatto parte delle mie prime osservazioni. A considerare lo svolgimento delle conversazioni da un punto di vista ottimista (dal che sono peraltro lontano) tale testo potrebbe essere giudicato come un primo abbozzo cui contrapporre altro nostro sì da arrivare poi, faticosamente, ad un testo comune.

Ho per domani appuntamento con Jeftic ed avrò un nuovo colloquio.

Dopo di ciò mi è indispensabile prendere nuove istruzioni da V. E. Pertanto, salvo tempestivi ordini in contrario che dovrebbero giungermi al più tardi al mattino di martedì 20 corrente, partirò da Belgrado nel pomeriggio di quel giorno e g·iungerò a Roma giovedì mattina 22 corr.

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IL MINISTRO A ADDIS ABEBA, PATERNO', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. s. 3328/518. Addis Abeba, 19 ottob1·e 1931, ore 18 (per. ore 3,15 del 20).

Incaricato d'Affari di Francia mi ha direttamente accennato argomento oggetto noto annesso segreto (2), informandomi aver spedito rapporto a suo

Ministro Plenipotenziario attualmente a Parigi. Tale rapporto conterrebbe esposizione precisa attuali relazioni franco-etiopiche e nuovo accenno necessità conversazioni con noi. Ho tenuto con Incaricato d'Affari linguaggio riservatissimo e ho evitato discutere sotto qualsiasi aspetto sue aperture. Mi sono limitato a raccomandargli massima riservatezza. Gli ho spiegato che la natura mia missione qui esclude io possa aprire eventuali conversazioni a riguardo che potrebbero eventualmente essere di esclusiva compet,enza dei Governi e non delle loro rappresentanze in Etiopia.

Data natura notizie che precedono esprimo subordinato parere necessità assaggio di controllo che potrebbe però essere pericoloso se fosse fatto in via ufficiale specie se non fosse preceduto da qualche apertura da parte francese. Si potrebbe rischiare che la cosa giungesse e fosse rappresentata come una iniziativa italiana il chesarebbe oltre che dannoso per noi assolutamente contrario al vero.

(l) -Cfr. n. 66, allegato e annesso. (2) -Cfr. serie VII, vol. X, pp. 711-712.
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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. PER CORRIERE 432/241. Belgrado, 20 ottobre 1931.

Telegramma filo di V. E. n. 145 di ieri (l) e mio telegramma filo n. 430/239 anche di ieri (2). Mancami tempo materia,l·e esporre· in dettaglio miei colloqui con Jeftic del 13 e 18 corrente sì ·da poter·e affidare mio rapporto al corriere oggi in partenza.

Debbo peraltro far subito nvto a V. E. che Jeftic alle mie obiezioni ha ammesso nel colloquio del 18 la possibilità di modificazioni così importanti da attenuare la impressione ricevuta dal progetto.

Come telegrafato, stasera a~le 18 sarò 11icevuto da Re Alessandro. Confermo quindi assoluta necessità conferire con V. E. e prego la V. E. farmi conoscere se potrei venire a Roma subito dopo ritorno V. E. da Berlino (3).

S.E. Grandi>. Con t. (P.r.)lOOOl/146 del 23 ottobre, ore 20,50, Grandi autorizzò Galli a venire a Roma subito dopo il suo ritorno da Berlino.

(l) -T. 1118/145, delle ore 18,30: «Dato mio imminente viaggio a Berlino sarà bene che V.S. si astenga per ora dal muoversi da Belgrado tanto più che sembra da escludere che progetto consegnatoLe possa formare base di alcuna discussione ». (2) -T. 3323/430-329 u. rr. delle ore 17,50, r>er. ore 21: «Ho avuto altri colloqui con Jeftic e domani tardo pomeriggio sarò ricevuto da Re Alessandro. Non potrò quindi partire domani ma, salvo ordini contrari, mercoledì per essere costà venerdì mattina 23 corrente •. (3) -Cfr. l.p. di Galli a Indelli, del 20 ottobre, colla quale trasmetteva copia del tel. pubblicato nel testo e fra l'altro diceva: • Vedi dunque di far partire l'autorizzazione a venire costà per il ritorno di S.E. Grandi. Io arriverei un paio di giorni prima. Cosi con Guariglia e te sbarazzeremo il terreno da ciò che ci potrà sembrare accessorio e presenteremo al Ministro una o più conclusioni, facendo quindi perdere il minor tempo possibile a
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CONSOLE A GEDDA, SOLLAZZO (l)

TELESPR. RR. 246354/56. Roma, 22 ottobre 1931.

Rapporto di V. S. n. 343 A 18 del 4 giugno (2).

Questo Ministero, tenuto conto delle considerazioni svolte nel succitato rapporto della S. V., ritiene che siano da accettarsi, in definitiva, i testi dei due trattati e delle note annesse, quali sono stati concordati tra la S. V. ed i negoziatori hegiazeni, testi che rappresentano quanto di meglio, nelle intercorse circostanze, è stato possibile ottenere dopo il lungo e laborioso negoziato.

Questo Ministero non nasconde alla S. V. che avrebbe preferito l'adozione di una diversa dizione del'la seconda parte della nota italiana relativa alla manomissione degli schiavi, una dizione cioè con la quale non si chiedesse la facoltà, ma si affermasse senz'altro il diritto delle RR. AutoJ'Iità di manomettere e rimpatriare gli schiavi che ne facessero richiesta, in base ai principi umanitari che inspirano tutte le nazioni civili nella lotta contro la schiavitù.

Ad ogni modo H fatto di avere incluso le note anzidette qua[e annesso al trattato può valere come argomento da invocarsi per affermare che resta immutato il punto di vista del R. Governo sulla questione della manomissione degli schiavi.

Il R. Ministero delle Colonie ha provveduto a comunicare i testi dei trattati concordati (3) a S. E. il Governatore dell'Eritrea, il quale ha sollevato qualche obiezione circa gtli artt. 3 e 5 del trattato di amicizia. Secondo S. E. Astuto, la dizione della seconda parte dell'art. 3 potrebbe essere dallo Yemen inter

• I negoziati per il riconoscimento del Re del Higiaz e del Neged e sue Dipendenze

e per la contemporanea stipulazione di due distinti trattati di amicizia e di commercio

furono effettivamente iniziati il 18 luglio dello scorso anno, allorché il governo locale aglischemi da me rimessigli per suo invito contrappose un suo progetto di trattati.

Questa prima fase delle trattative si chiuse il 10 settembre successivo con una comunicazione del governo higiazeno con cui veniva chiarito il suo punto di vista in ordine ad alcune materie da noi comprese nei trattati e dal governo medesimo ritenute non accettabili.

In base alle istruzioni ministeriali contenute nel telesoresso n. 241262/63 del 16 dicembre scorso, curai la redazione di un terzo schema di trattati da presentare all'approvazionedi questo governo; comunque, da servire di base alle nuove trattative. Detto schema subi in seguito una variazione conforme all'>nterpretazione dell'art. 3 del trattato di amicizia e alle raccomandazioni fattemi con telegramma ministeriale n. 1736/5 del 26 febbraio scorso.

La seconda fase dei negoziati s'iniziò soltantl;>. con la presenza a Gedda dell'Emiro Faisal, luogotenente del Re per l'Higiaz e Ministro degli Esteri, e del Signor Iusef Iasin, funzionante Sottosegretario agli Esteri (31 gennaio c.a.) e si chiuse il 31 maggio u.s.

Il faticoso, difficile e talora torbido procedere delle trattative risulta dalle dichiarazioni da me fatte 1'11 maggio scorso ai delegati higiazeni Sigg. Fuad Hamza e Iusef Iasin, dichiarazioni ch'io volli, ad ogni buon fine, consacrare nello scritto. Mi parve questo l'unico mezzo di mettere fine ad un sistema inaugurato proprio dal Signor Iusef Iasin, nel quale non so quanta parte avessero la sua malafede e la paura di contrarre troppe obbligazioni verso l'Italia...

Non credo superfluo aggiungere che le dichiarazioni a cui mi sono or ora riferito cadevano in un momento in cui il paese era sotto l'impressione di accuse rivolte all'Italia di pretese atrocità in Cirenaica, le quali rendevano perplessi i negoziatori higiazeni sull'opportunità di venir subito ad una intesa con noi •.

pretata in senso che avrebbe ripercussioni dannose nei nostri rapporti con quello Stato (l); mentre 'l'art. 5 riesce poco chiaro.

Il R. Ministero delle Colonie pur non disconoscendo la fondatezza delle osservazioni formUJlate da S. E. Astuto ritiene che sia praticamente poco rilevante la ·loro importanza, e lascia a questo M·inistero di decidere circa un'eventuale modifica degli artt. 3 e 5.

Questo Ministero ritiene, allo stato delle cose, che sia inopportuno di rimettere in discussione i detti articoli. Per quanto riguarda il testo dell'art. 5 è noto alla S. V. che esso è volutamente non chiaro poiché non si è voluta esplicitamente risolvere la delicata questione dell'esercizio della giustizia penale per i cittadini e sudditi italiani nello Hegiaz. Si è quindi adottata una formula analoga a quella del trattato anglo-hegiazeno di Gedda. Per quanto riguarda ['obiezione fatta circa l'art. 3 è stato sempre proposito di questo Ministero che, al momento della f,irma dei trattati con l'Hegiaz, si dovesse svolgere una opportuna azione chiarificatrice verso l'Imam Yahia, ricordandogli in primo luogo che fin dall'inizio delle trattative con Ibn Saud il R. Governo curò di avvertirne l'Imam, il quale ebbe a far conoscere che da parte sua vedeva con piacere lo stabilimento di normali rapporti fra l'Italia e l'Hegiaz; ed aggiungendo che, mentre nei trattati con l'Hegiaz nulla vi è che possa in qualche· modo dar ombra all'Imam o che tanto meno contrasti con quei rapporti di cordiale amicizia instaurati con lo Yemen fin dalla firma del trattato di Sanaa, il R. Governo non intende in alcun modo procedendo al riconoscimento di Ibn Saud riconoscere esplicitamente od implicitamente le pretese di Ibn Saud su:Il'Assir, e tanto meno la situazione di fatto da lui creata in detto terrHorio. Il R. Governo ritiene la questione dell'Assir tuttora aperta; ed in alcun modo intende comprometterla a vantaggio del Re Ibn Saud, procedendo al suo riconoscimento.

Sul punto, rimasto sospeso, relativo alla durata del trattato di commercao, questo Ministero, d'accordo con quello delle Corporazioni, è d'avviso che V. S. debba insistere perché la durata del trattato sia fissata in 10 anni; tuttavia ove il Governo hegiazeno si dimostrasse assolutamente contrario ad accettare tale durata, la S. V. potrà proporre una durata intermedia, quale ad es. di 8 o 7 anni, ·ed infine ove neanche questa propos•ta transattiva fosse accolta la S. V. potrà anche aderire alla proposta hegiazena per la durata di 5 anni.

Circa la questione dell'atto di riconoscimento, che il Governo di Gedda desidera avvenga sia pure un .istante prima della firma dei due trattati, la S. V. è autorizzata a dichiarare in modo formale, ove necessario anche per iscritto, ma nella riunione in cui avrà luogo la fi1·ma dei trattati, che S. M. H Re d'Italia riconosce S. M. Ibn Saud quale Re dell'Hegiaz e del Neged e Dipendenze.

Questo Ministero non ha in massima difficoltà a che, avvenuta la firma dei

trattati a Gedda, lo scambio degli strumenti di ratifica abbia luogo a Roma, dove

è intenzione di codesto Governo inviare in missione un Principe Hegiazeno.

Questo Ministero fa tuttavia riservatamente presente alla S. V. che, neHe

intenzioni del R. Governo tanto la cerimonia del riconoscimento e della firma

dei trattati a Gedda, quanto l'evrentuale missione del Principe hegiazeno a Roma, per lo scambio degli strumenti di ratifica, non dovrebbero assumere un carattere di particolare solennità, in considerazione dei noti rapporti esistenti fra noi e l'Imam Yahia, rapporti che non desideriamo siano turbati per il fatto dello stabilimento di relazioni normaili con l'Hegiaz.

Le istruzioni che precedono astraggono dalla particolare situazione che si è venuta creando in questi ultimi tempi nelle relazioni tra l'Hegiaz e lo Yemen. Dalle notizie di cui è in possesso questo Ministero appare che ormai un aperto conflitto è scoppiato fra il Re Ibn Saud e l'Imam e che operazioni militari sono in corso per il predominio deH'uno o dell'altro nell'Assir.

Il R. Governo ritiene che, nell'attuale momento non sia tempestivo il procedere alla firma dei trattati concordati. L'Italia non solo non intende in alcun modo intervenire nelle questioni territoriali che dividono i due Potentati arabi, ma vuoi far del tutto perché sia ristabilita al più presto una situazione pacifica nellla Penisola arabica, sia nell'inter,esse stesso dei due Potentati arabi in conflitto, sia per lo sviluppo dei propri interessi commerciali e mercantili al quale essa unicamente mira. D'altra parte il procedere alla firma dei trattati mentre l'Hegiaz è in guerra costituirebbe un fatto nuovo che potrebbe essere interpretato quale una affermazione di solidarietà per una delle parti in conflitto, il che contrasterebbe con il principio di rigorosa neutralità e di non intervento che il R. Governo intende seguire.

È perciò che la S. V. dovrà, nel prendere contatto con codesto Governo dichiarare che, mentre il Governo italiano è d'accordo sui testi di progetti di trattati concordati ed auspica il momento nel quale potranno essel'e firmati, intende soprassedere a tale firma fino a che non sia chiarita la situazione determinata dagli ultimi avvenimenti nell'Assir. Non dubito che codesto Governo si renderà conto delle ragioni che hanno indotto il R. Governo a ta:le decisione, ragioni che si ispirano soprattutto al desiderio di facilitare in ogni modo il ristabilimento dei rapporti pacifici fra ll'Hegiaz e lo Yremen.

In base alle suesposte istruzdoni la S. V. non solo non vorrà fare uso dei pieni poteri per la firma dei trattati (pieni poteri che vengono allegati al presente dispaccio), ma anche dovrà attendere l'espressa autorizzazione di firmare da questo Ministero il quale sri riserva di inviarglliela al momento più opportuno, a seconda degli avvenimenti e tenendo conto della situazione complessiva nella Penisola araba (1).

« Il 10 febbraio u.s. è stato iJroceduto a Gedda fra il R. Console. Comm. Sollazzo. ed i rappresentanti del Re Wahabita, Ibn Saud. alla firma di un trattato di amichia e di stabilimento e di un trattato di commercio fra il Regno d'Italia ed il Regno dell'Hegiaz e Neged e dipendenze...

Tali trattative hanno avuto alterna vicenda, e sono andate in lungo, particolarmente a causa degli speciali rapporti di amicizia intercedenti, in base al trattato di Sanaa del 1926, fra l'Italia e lo Yemen, Stato con il quale l'Hegiaz si trovava in rapporti tesi per la questione delle frontiere nell'Assir. Nell'anno decorso le trattative per detti trattati erano già completamente definite; ma non si credette da parte nostra opportuno in quel momento di procedere alla stipulazione, dato lo stato di guerra, se pur non dichiarata. esistente tra lo Hegiaz e lo Yemen. Recentemente però fra questi due Stati è intervenuto un accordo che. se non elimina ogni contrasto per la questione delle frontiere nell'Assir, la regola in parte; e contemporaneamente Yemen ed Hegiaz hanno concluso un trattato di amicizia e di stabilimento •.

(l) -Il doc. fu trasmesso anche al ministero delle colonie e alla legazione al Cairo. (2) -Con questo rapporto Sollazzo riferiva sul negoziato per la stipulazione di un trattato di amicizia e di un trattato di commercio con l'Hegiaz. Del rapporto si pubblicano qui di seguito due passi:

(3) I testi definitivi, dei due trattati, con scambio di lettere, in Trattati e convenzioni, vol. 44°, pp. 75-88.

(l) U l!6 giugno il ministero delle colome aveva suggerito di rimandare la firma dei trattati a quando le relazioni fra Ibn Saud e lo Yemen fossero migliorate. In un prjmo tempo il ministero degli esteri aveva accettato questo suggerimento.

(l) Cfr. un Promemoria di Guarnaschelli oer l'Ufficio Trattati del 25 marzo 1932:

56

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

D. 4472. Roma, 23 ottobre 1931.

Ho ricevuto il Suo telespresso n. 2127 del 29 settembre 1931 (l) ed approvo

l'atteggiamento tenuto dalla S. V. Per quanto concerne la richiesta di nostri

aiuti, ritengo, come del resto V. S. conviene, che sia opportuno, prima di dare

affidamenti di sorta, attendere gli ulteriori sviluppi dei c~lloqui di cui V. S.

accenna, e mi riservo pertanto di inviarLe le istruZlioni del caso dopo che Ella

avrà riferito in proposito.

Circa 'la forma che un nostro eventuale aiuto dovrebbe assumere, non posso tacerle che se, anche per evitare un interessamento della Francia alle Heimwehren, potrà considerarsi favorevolmente la possibilità di concedere un aiuto finanziario, sia diretto sia indiretto sotto forma di acquisto di legname, non sono invece favorevole nel!l'attuale momento all'invio di armi, che mi sembra _:_ anche nella forma indicata dal Signor Mandi -presentare notevoli rischi. Se le Heimwehren dovranno agire, e agire sul serio, si potrà sempre trovare al momento utile il modo di aiutare anche in questa forma. D'altronde, col fornire denaro, si fornisce indirettamente anche la possibHità di fornirsi di armi. Ma su tutto ciò mi riservo di ritornare al momento opportuno, quando sarò in possesso di maggiori elementi (2).

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APPUNTO DEL VICE CAPO DELLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO, SEBASTIANI, PER IL GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI

RISERVATO. Roma, 23 ottobre 1931.

Si trasmette copia di un rapporto del maggiore Giuseppe Renzetti, in data 15 ottobre corrente da Berlino.

S. E. il Capo del Governo, che ne ha presa visione, si è espresso nel senso che la visita, di cui nel rapporto stesso si tratta, non possa per ora avvenire.

p. -191 nota 3. Con lettera del 13 ottobre Balbo protestava presso Mussolini perché dalla pubblicazione dell'Ufficio Statistica della Direzione delle Dogane risultava l'esportazione in Ungheria di 12 aerei da caccia. • I dodici famosi della nota polemica e della nostra smentita ufficiale • (ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Balbo 278/R).

Cfr. anche (ibid.) una relazione dello stesso Balbo per Mussolini del 31 ottobre su un viaggio compiuto in Jugoslavia, Romania e Ungheria. A Budapest Gombos aveva mostrato a Balbo i programmi segreti per il riarmo aereo • modellati sul nostro ordinamento secondo le dettagliate informazioni da me fornite, qui a Roma, all'Addetto Militare

Ungherese •·

Se ne dà comunicazione a codesto On. Gabinetto con preghiera di voler provvedere per la risposta del caso (l).

ALLEGATO.

RENZETTI A ...

(ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Hitler 442/R, copia; ed. in DE FELICE, l rapporti, pp. 152 sgg.) (2)

Hitler è stato molto lieto del colloquio avuto con Hindenburg il quale lo avrebbe accolto e sentito con molta simpatia e promesso, qualora il Gabinetto Bri.ining non ottenesse la necessaria maggioranza, di chiamare il partito nazionalsocialista per affidargli l'incarico di costituire il nuovo Gabinetto. Il Presidente ha riaffermato nel colloquio con Hitler la volontà di mantenersi sul terreno strettamente costituzionale.

In seguito al colloquio la posizione di Hitler è diventata • legale •. Hitler quindi mi ha detto che esso poteva fare una visita ufficiale a S. E. il Capo del Governo e mi ha pregato di esprimere questo suo desiderio al Duce.

Hitler mi aveva parlato alcuni mesi fa di tale suo divisamento: io gli ho detto che non avevo creduto opportuno farlo presente date le difficoltà che allora si sarebbero frapposte per la sua visita.

Hitler ha aggiunto che i capi del partito socialista hanno fatto le loro visite a Londra e a Parigi: che esso voleva farla prima a Roma per la simpatia per l'Italia, l'ammirazione per H Duce e per riaffermare la sua volontà di giungere a strette relazioni italo-tedesche da completarsi poi con quelle tedesco-inglesi.

Cosa debbo rispondergli? (3).

In ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Hitler 442/R, si conserva un appunto del seguente tenore: • Relazione del Magg. Renzetti su la politica di Hitler in Germania e l'intenzione di questi di poter conferire con S.E. il Capo del Governo •. La relazione fu vista da Mussolini e inviata a Ghigi agli Esteri 1'11 dicembre 1931. Sui progetti di Hitler di compiere un viaggio a Roma fra ottobre e dicembre 1931 cfr. PETERSEN, Hitler e Musso!ini, pp. 44-45. /

omissioni.

Questo allegato e il senso dell'appunto di Sebastiani furono trasmessi da Palazzo Chigi il 24 ottobre a Berlino, incaricando Orsini Baroni « di voler provvedere in conformità, informando di quanto precede S.E. il Ministro, che si troverà costà al momento in cui Le perverrà il presente telespresso • (telespr. gab. r.u. 4485).

Cfr. infine una lettera, priva di firma ma certamente di Renzetti, datata Berlino 12 dicembre 1931, con la quale Renzetti chiedeva l'invio di alcune fotografie di Mussolini.

• Avrei scritto al riguardo a S.E. il Segretario del Partito se non vi fosse stato in questi giorni il cambio della guardia a Palazzo Vidoni. Io non so se S.E. l'on. Starace sia al corrente della questione ed in genere di tutte le questioni con le destre tedesche e pertanto mi oermetto rivolgermi alla Segreteria particolare di S.E. il Capo del Governo per pregarla di volersi compiacere voler dare le indicazioni opportune al Partito stesso •.

(l) -Cfr. n. 33. Il 22 ottobre Grandi aveva fatto chiamare a Roma Auriti, volendo conferire con lui sullo stesso argomento prima della sua partenza per l'America. (2) -In settembre erano state consegnate all'Ungheria le armi di cui a serie VII, vol. X,

(l) Balbino Giuliano, in una relazione (archiviata il 5 settembre 1931) per Mussolini su un viaggio compiuto in Germania, si dichiarava scettico circa Hitler. • Non nego però che per un momento, alcuni mesi or sono, ho creduto anch'io che il movimento Hitleriano potesse superare queste difficoltà e -assolvere, sia pure in tono minore, il compito che il movimento fascista ha risolto per l'Italia. Ma da quanto ho sentito ora in Germania mi pare da escludere questa possibilità. Persone dall'apparenza seria e dalla parola molto sensata mi dicevano che manca in Hitler sopratutto la capacità di agire. Egli non riesce ad uscire dalla contradizione tra socialismo e nazione, fra utopia e realtà, e finisce quindi per restare asservito ai partiti sovversivi ».

(2) L'allegato non si è trov·ato in ASMAE. Esso è ed. anche in R. CoLLIER, Duce! The Rise and Fa!l of Benito Mussolini, London, 1971, il quale pubblica, in traduzione inglese, i rapporti di Renzetti conservati nei Mussolini Pa:oers di Washington (sono i microfilm del fase. Hitler della Segreteria particolare del Duce). La traduzione è scorretta e con

(3) Il 4 novembre 1931 Renzetti fu ricevuto da Mussolini. In tale occasione Mussolini decise, su richiesta di Renzetti, di assegnargli un mensile di L. 4.000, da pagarsi sui fondi del Ministero esteri. Non fu invece accolta un'altra richiesta di Renzetti, cioè che l'udienza concessagli da Mussolini fosse oggetto di un comunicato alla stampa. (Cfr. Renzetti a Ferretti, Roma, 6 novembre 1931, e la risposta negativa di Ferretti. Questa risposta non fu spedita. In calce si legge: • parlato personalmente con Renzetti 15 novembre 1931 ».

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L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, VINCI GIGLIUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 6198/3390. Parigi, 24 ottobre 1931.

Il Marchese Alberto Theodoli mi ha riferito una sua conservazione avuta

col signor Flandin.

Parlando del miglioramento delle relazioni franco-italiane il Ministro delle Finanze fra:qcese si è espresso col maggior pessimismo. Ciò, a suo dire, sarebbe dovuto non s~Ìo al nostro atteggiamento d'ordine generale che avrebbe raffreddato molto Je buone volontà francesi, ma anche al!le nostre ultime proposte, di cui egli ha messo al corrente, nei lloro dettagli, il Marchese Theodoli.

Questi gli ha accennato all'Abissinia, attenendone le solite frasi vaghe: Flandin non ha mancato di aggiungere che • naturalmente la bandiera francese non si ammaina mai in nessun luogo e per nessuna ragione •.

Flandin ha ripetuto i soliti argomenti che cioè ll'Italia aveva chiesto qualche cosa senza offrire nulla in cambio, mentre a suo dire ci sarebbe tanto da fare insieme nella politica generale.

Quanto ane ultime conversazioni mi sono limitato ad ascoltare il Marchese Theodoli evitando di confermargli o smentirgli comunque le asserzioni del Flandin, più o meno esatte nella sostanza per quanto presentate e spiegate a suo modo.

59

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUI COLLOQUI COL CANCELLIERE TEDESCO, BRUNING

Berlino, 25-26 ottobre 1931.

l) Questione disarmo. -Ho ripetuto a Brtining il mio punto di vista, non convenire cioè alla Germania presentarsi ailla prossima Conferenza del disarmo in veste di Potenza che domanda la libertà di armarsi, bensì come Potenza che avendo sola adempiuto agli obblighi del disarmo contemplati per tutti gli Stati nei Trattati di pace, è oggi creditrice morale verso tutti ed esige quindi un analogo disarmo da parte degli altri Stati. Le conseguenze pratiche sono in fondo le stesse, ma la posizione morale della Germania viene ad essere notevolmente rafforzata. L'ultima formula presentata dalla Delegaz,ione tedesca a Ginevra consistente nella richiesta di • parità nei metodi di limitazione • mi sembra particolarmente felice.

Brtining mi ha dichiarato condividere il mio punto di vista. La condotta che la Germania terrà a Ginevra è ormai fissata. Il Governo tedesco riaffermerà all'inizio della conferenza la questione di principio. Non può farne a meno. Ma non si opporrà a che i lavori della conferenza continuino senza aver risolto la questione essenziale per la Germania, salvo poi riprendere la discussione su questo punto al momento opportuno e prima che la conferenza finisca. A proposito della convocazione della conferenza anche il Cancelliere Briining condivide l'opinione, avuta del resto direttamente dall'Ambasciatore degli Stati Uniti a Berlino, dell'esistenza di dubbi da parte americana sull'opportunità effettiva di mantenere la data di convocazione per il 2 febbraio p.v., malgrado le dichiarazioni pubbliche che continuano ad essere fatte in America sull'urgenza di tale convocazione. BrUning mi ha domandato se ritengo possibile da parte del Governo francese una meno intransigente attitudine in fatto di armamenti. Gli ho risposto che, a mio av\"iso, non dobbiamo farci Hlusioni intorno a tale possibilità, almeno sino alle prossime elezioni francesi. Lavai, anche se come non ho purtroppo motivi di sperare, avesse in animo di fare qualche conc,essione su questo campo, non lo potrebbe sino a che le correnti militariste francesi capeggiate da Tardieu e Maginot conUnueranno a dominare, come fanno oggi, la politica effettiva del Gabinetto francese. L'unica eventualità favorevolle piuttosto che dagli uomini occorre ricercarla nel graduale· peggioramento della situazione economica e del bilancio francese. Soltanto tale peggioramento potrà, nel caso, fare rinsavire la Francia. Occorre quindi aspettare. BrUning è d'accordo su ciò (1).

2) Incontro Hoover-LavaL e mio prossimo viaggio Washington. -Brlining è rimasto • deluso • ed effettivamente impressionato dell'esito dell'incontro Hoover-Laval nel quale egli forse aveva riposto eccessive speranze. Briining mi ha dichiarato di contare mo,lto sul mio prossimo viaggio a Washington durante il quale io potrò rappreseilitare-agli esponenti della politica americana una situazione europea ·e particolarmente tedesca diversa da queHa che Lavai ha certamente descritto. Ho assicurato Brlining che su questo punto :io farò il possibile per dissipare negli americani qualsiasi dubbio al riguardo. BrUning ha aggiunto essere veramente una fortunata coincidenza ila mia \"isita a Berlino alla vigilia della partenza per Washington. Ho pregato Brlining di chiarirmi qualche punto che specialmente interessa la psicologia e la poHtica americana. GH americani, mentre nutrono una effettiva simpatia per la Germania, non si rendono conto perché la Germania rifiuti di accettare la famosa • tregua politica • rkhiesta dalla Francia come condizione di una favorevole attitudine francese nel campo delle obbligazioni di guerra e del disarmo. BrUning mi ha messo più dettagliatamente al corrente di quello che è stata effettivamente 1la proposta fran

cui riunione vedono avvicinarsi a gran vassi.

Ritengo per certo che qualora all'Italia convenissero accordi di tal genere, essi tro

verebbero nelle Autorità Militari Tedesche tutta la possibile entusiastica accoglienza, anche

se esse dovessero cedere su qualche !)unto controverso.

Ho riassunto per sommi capi le dichiarazioni di S.E. l'Ammiraglio Raeder al Ministro

Guariglia, Direttore degli Affari d'Europa e Levante al Ministero degli Esteri, e che ha

accompagnato S.E. a Berlino •.

Sull'atteggiamento dei militari tedeschi in merito alla questione del disarmo cfr.

E. W. BENNETT, German Rearmament and the West, 1932-1933, Princeton, 1979, cap. I e, in generale, anche i capp. II e III.

cese di così detta • tregua politica •. I francesi intendono legare a tale impegno (il quale consisterebbe specificatamente nell'impegno da parte tedesca di rinunciare durante un determinato periodo di tempo, a valersi della facoltà contenuta nell'art. 19 del Patto dffila Società delle Nazioni) un complicato sistema di a~iuti finanziari da parte francese alla Germania, che metterebbe quest'ultima nell'automatica necessità di rinnovare all'infinito, una_volta scaduti, gli impegni politici per non compromettere la continuità, divenuta necessaria, di quelli finan

ziari. Una specie di quello che le Potenze hanno fatto nei riguardi dell'Austria col famoso protocollo del 1922. Ciò non è evidentemente possibile. Briining mi ha dichiarato a questo punto che ciò significherebbe un vero e proprio tradimento verso il Paese. che nessun Governo tedesco potrà mai accettare. Nessun Governo tedesco venderà mai (ha continuato Briining con calore) quello che tutto il popolo tedesco considera lo scopo determinato se non immediato di t·14tti i suoi sforzi, il diritto cioè alla revisione delle frontiere orientali. Questa revisione gli esponenti della politica tedesca, non la considerano così lontana come può apparire a prima vista. Ad ogni modo nulla può essere fatto che possa compromettere questa eventualità. Se vi fosse un Governo tedesco che per avventura facesse ciò, esso sarebbe spazzato via immediatamente. Oltre la revisione delle frontiere orientali, ha detto Briining, vi è anche il probllema, minore ma esistente pur esso, dei famosi distretti di Malmédy e di Eupen, alla frontiera belga. Ma egli ha la speranza che ciò forse potrà essere sistemato con un accordo diretto, a base finanziaria ed economica, col Belgio.

Continuando a parlare dei risultati dell'incontro Laval-Hoover essi, secondo Briining (1), sono scoraggianti per la Germania, almeno secondo le prime notizie pervenute. Lavai nulila ha ottenuto nel campo della sicurezza, ma Hoover nulla ha ottenuto nel campo del disarmo. Dove invece Lavai ha ottenuto molto, secondo Briining, è nell'aver convinto Hoover a non insistere oltre, con una nuova iniziativa americana diretta a prolungare la moratoria di un anno per le obbligazioni finanziarie interstatali, lasciando all'Europa Q.ua<lsiasi ini~iativa sull'argomento. Iniziativa all'Europa significa praticamente, in QUesto campo, illlziativa alla Francia. L'attitudine francese dal giugno ad oggi, di ostilità alla moratoria Hoover, avrebbe quindi ottenuto nell'incontro Hoover-Laval una conferma ed un successo. Oggi gli Stati Uniti non ripeteranno più il gesto del giugno scorso, scoraggiati dal cattivo accoglimento fatto dall'Europa alla loro offerta di collaborazione senza restrizioni. Siamo Quindi da capo. Ciò (continua Briining) è molto preoccupante per la Germania, per la cruale scadrà nel mese di febbraio la proroga dei crediti a breve scadenza concessa dalla Conferenza di Londra e scadrà a giugno la moratoria delle riparazioni. È evidente che la Germania non pagherà, non potrà pagare un soldo più delle riparaz,ioni. Ma cosa potrà accadere in quel momento? Secondo Briining gli Stati Europei che hanno una linea di politica comune dovrebbero intendersi per fare maggiormente sentire alla Francia il suo isolamento, posizione quest'uUima cui i francesi sono particolarmente sensibili. Ho detto a Briining che converrà per iJ

momento attendere di conoscere qualcosa di più di quello che sarà effettivamente per essere l'atteggiamento americano, che per ora non conosciamo se non dai comunicati ufficiali, e così pure occorrerà attendere il r1torno di Laval a Parigi per farsi un'idea esatta non di quello che la Francia pensa (lo conosciamo perfettamente) bensì di Quello che, in consideraZlione dell'attitudine americana, sarà consentito alla Francia di fa11e.

Ad ogni modo siamo rimasti d'accordo di tenerc'i in istretto contatto, sia nella prossima settimana che precederà la mia partenza per l'America, sia durante H mio soggiorno in America per tutte le uti!li reciproche informazioni.

3) Intese economiche. -Briintng mi ha dichiarato non avere alcuna fiducia nei risultati dei lavori della Commissione Mista franco-tedesca che i francesi hanno insistito nel mantenere ristretta alla Germania ed alla Francia e che invece il Governo del Reich vorrebbe vedere allargata in modo da farvi entrare e comprendervi le altre Potenze. È troppo chiaro (dice Briining) che i francesi hanno una mira precisa: mettere gradualmente le mani suille industrie tedesche più importanti specia'lmente quelle che più interessano la difesa nazionale della Germania. Ecco perché da parte tedesca si è estremamente diffidenti di questa commissione, la quale d'altronde è troppo numerosa per poter utilmente funzionare. Briining invece ha altri ben più importanti progetti ed intenzioni su questo problema. Egli mi ha detto di essere ormai più o meno d'accordo con la Gran Bretagna e con i Paesi scandinavi per una vasta intesa economica che dovrebbe compr·endere per ora i Paesi del Nord, intesa economica destinata a determinare condizioni più favorevoli per i rispettivi mercati. Briining, e con lui tutti gli esponenti dell'economia tedesca, desiderano che l'Italia non sia lasciata da parte, anzi considerano 'l'Italia come elemento indispensabile di questa intesa che dovrebbe creare un nuovo assetto degli scambi internazionali. Una volta assicuratasi l'adesione 'italiana, l'adesione degli Stati Uniti di America e degli Stati dell'America Latina sarebbe grandemente facilitata. Il Governo tedesco, dice Briining, non vuole far nulla in questo campo senza il concorso ·italiano avendo l'Italia soprattutto negli Stati dell'America Latina forti correnti di traffico e di interessi. Ho risposto a Briining che l'economia italiana ha caratteristiche particolari. Mentr·e grandi Potenze come la Germania e, fra poco la Gran Bretagna, possono trovare compensi e integrazioni tra gli interessi dell'economia agricola e quelli dell'economia industriale, quest'ultima destinata principalmente all'espansione del mercato estero, ~a prima destinata al mercato interno, l'Italia si trova nella situazione tutta particolare di avere due economie ambedue destinate al mercato interno ed ambedue destinate aill'espansione del mercato estero. Gli interessi dell'esportazione agricola italiana non possono essere sacrificati agli d.nteressi dell'esportazione industriale

e viceversa. Di qui le difficoltà per l'Italia di assumere un'attitudine decisiva e stabile alla propria politica economica. Personalmente ho espresso a Briining le mie simpatie per il progetto da lui esposto, e l'ho pregato di tenermi al corrente dei suoi sviluppi. Occorre, gli ho detto, favorire vieppiù i contatti tra gli esponenti dell'economia italiana e di quella tedesca. Io ho la convinzione che molte preoccupazioni possano venire eliminate, e si possa trovare una più solida base d'intesa tra le nostre due economie, nell'interesse reciproco.

4) Ho messo al corrente Brlining dell'attuale situazione dei nostri rapportt

colla Francia, del passo fatto recentemente dal nostro Ambasciatore a Parigi

direttamente col sig. Lavai (1), della risposta dilatoria francese, dello stato delle

discussioni in materia navale. Ho confermato a Brlining che anche da parte

italiana, come da parte tedesca si desidera un miglioramento nelle relazioni

colla Francia, pur essendo n~lle intenzioni del Governo itaHano di mantenere

la propria libertà di azione nelle grandi questioni di ordine generale. Circa la

questione navale ho ripetuto essere desiderabile, seppure assai difficilmente

realizzabile, che un accordo itala-franco-britannico sia raggiunto prima della

Conferenza del Disarmo, e ciò anche nell'interesse deHa Germania. È troppo

chiaro che la politica francese te~de a mantenere n negoziato aperto, sino a

tutta ,la Conferenza del Disarmo allo scopo di negoziare, soprattutto colla Gran

Bretagna, le eventuali concessioni nel campo navale con analoghe concessioni

da parte britannica nel campo terrestre, e magari nella questione specifica

deUe clausole militari dei Trattat·i di Pace. Questo soprattutto interessa la Ger

mania, la quale non deve dimenticare il compromesso anglo-francese del 1928.

Brlining mi ha detto che il ricordo di quell'intesa franco-britannica lo preoccupa

tuttora.

Siamo rimasti d'accordo di tenerci informati su tutto quanto possa inte

ressare i rapporti itala-francesi da una parte e franco-tedeschi dall'altra.

Circa i risultati delle elezioni inglesi tanto io quanto Brtining abbiamo riconosciuto che se da una parte dobbiamo rammaricarci della sconfitta laburista per evidenti ragioni, dall'altra non dobbiamo sottovalutare il vantaggio che può derivare da una virile ripresa della politica britannica, elemento di ordine e di equHibrio in Europa. Occorrerà sorvegliare, tuttavia, molto attivamente le tendenze del nuovo Governo conservatore verso la Francia.

Osservazioni generali sulle mie conversazioni con Brilning e sulla visita a Berlino. -l) Pe·r J.!a prima volta dopo 1a guerra si è verificato uno scambio di vedute italo-tedesco, al di fuori delle consuete conversazioni generiche, su problemi di interesse specifico •e diretto. Né da parte tedesca, né da parte nostra si è parlato di accordi particolari in vista di un'azione comune. Però la maniera franca e senza sottintesi con la quale ciascuno ha esposto i rispe<ttivi punti di vista ha determinato un'atmosfera di collaborazione che occorre valutare neLla giusta importanza, in vista di possibili eventuali sviluppi futuri. Importante la netta dichiarazione da parte del Cancelliere tedesco della volontà di revisione delle frontiere orientali. Finora il Governo tedesco lasciava dive queste cose: oggi le dichiara apertamente. Importante anche la circostanza che, mentre Brlining l'estate scorsa a Londra riaffermava con me la necessità di non dare l'impressione alla Francia di una politica comune diretta al suo isolamento, oggi Brlining ha accennato espliC!itamente alla necessità di perse,guire una politica opposta diretta cioè ad un'azione comune di tutte 1e Potenze che possa meglio determinare l'isolamento della Francia. Questa differenza di opinioni deriva probahllmente dallo scoraggiamento da parte tedesca

di un effettivo riavvicinamento colla Francia e da una maggiore fiducia nella utilità di una politica coll'It~lia (l)~

2) Va rimarcata l'unanime cordialità con cui il Governo tedesco, la stampa di tutti i partiti e la popolazione di Berlino hanno salutato l'incontro italatedesco. Sintomo interessante del mutato spirito della Germania nei nostri riguardi.

3) Dall'incontro di Berlino ho portato anche con me l'impressione della necessità, da parte nostra, di adeguare l'azione politico-economica internazionale dell'Italia alla sua attuale az,ione politica. La nostra azione politico-diplomatica ha raggiunto un piano soddisfacente. La nostra azione politico-economica nel campo internazionale è inadeguata, incerta e manchevole. Il momento è importante. Occorrono visioni complessive. La piccola difesa del • pezzo per pezzo • non basta più. Essa è destinata ad arrecarci più danno che vantaggio. Non può continuare in ogni modo ad essere la politica economica di un grande Paese (2).

(l) Sulla visita a Berlino di Grandi riferì anche l'addetto navale Trebiliani, con rapportodel 29 ottobre (USM, cart. 3240/4), del quale si pubblica l'ultima parte: « Dall'insieme della conversazione avuta con l'ammiraglio Raeder [Ca~o della Marina tedesca] ed anche di quelle avute con altri influenti ufficiali della Marineleitung, ho tratto la convinzione che i militari apprezzano moltissimo gli attuali avvicinamenti Politici ed i relativi scambi di vedute, ma in questo particolare momento, incoraggiati dalla parola del Duce, aspirerebbero ardentemente ad un'intesa che andasse al di là del "flirt politico" e che stabilisse precisi accordi, soprattutto sulla condotta da tenere alla futura conferenza di Ginevra, la

(l) Nell'originale anziché Briining si legge Hoover.

(l) Cfr. n. 43,

60

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, MARCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 3418/804. Washington, 27 ottobre 1931, ore 22,15 (per. ore 6,50 del 28).

Mio telegramma N. 801.

Ho chiesto oggi al Segretario di Stato che cosa. vi fosse di esatto nella notizia (mio telegramma N. 796) riportata poi anche da qualche giornale che

visita a Berlino i rappresentanti a Angora, Berlino, Londra, Mosca, Parigi, Varsavia, Budapest,

Praga e Vienna. Di questo tel. si pubblicano qui di seguito alcuni passi: « Il mio viaggio a Berlino non aveva beninteso per iscopo di raggiungere alcuna intesa particolare col Governo tedesco né si è parlato di speciali situazioni italo-germaniche cosicché deve escludersi ogni ragione di preoccupazione da parte di altri Stati, per quanto diffidenti della politica tedesca. Ma gli amichevoli contatti personali da me avuti con i dirigenti germanici possono considerarsi utili allo svolgimento dei buoni rapporti fra i nostri due Paesi...

(Per Londra) Mentre questi concetti potranno essere utili a V.E. per le Sue conversazioni con cotesto Governo, Le trasmetto a parte una mia lettera personale a Lord Reading sullo stesso argomento. Nel consegnargliela V.E. vorrà far presente a cotesto Ministro degli Affari Esteri che ho tenuto a continuare con lui quegli opportuni scnmbi di notizie cui solevo procedere col suo predecessore, conscio dell'utilità che ne può derivare per l'amichevole svolgimento delle direttive politiche italiane e britanniche tanto nell'interesse generale che in quello particolare dei due Paesi.

(Per Budapest) La S.V. vorrà informare personalmente a mio nome di quanto precede il Conte Karoly ed il signor Walko continuando nella opportuna consuetudine di quegli amichevoli e franchi scambi di notizie che abbiamo già avuto continuatamente col Conte Bethlen •.

La lettera di Grandi a Lord Reading, del 30 ottobre, non si pubblica (Archivio Grandi). La risposta di Reading, del 4 novembre, tbid. ·

La consuetudine di scriversi confidenzialmente continuò, per iniziativa di Grandi, anche con Simon (cfr. l.p. Simon a Grandi, Londra 16 dicembre 1931, Archivio Grandi; e DB, II, n. 310).

fosse stato chiesto a Lavai di esaminare possibilità di aderire al Patto navale

a tre di Londra; e.d in genere se ed in che termini fosse stata trattata la que

stione navale.

Circa il primo quesito egli mi ha escluso nella forma più esplicita che simile

domanda sia stata fatta alla Francia. Mi ha detto: • Voglio che il mio amico

Grandi rimanga assolutamente persuaso che nulla è tanto lontano dalle mie

intenzioni che il dare comunque l'impressione di voler lasciare da parte l'Ita

lia •. Ha aggiunto di credere che la notizia possa essere venuta da parte

francese.

Circa il secondo quesito, dopo di essersi alquanto schermito, mi ha detto che la questione del problema navale franco-italiano è stata sollevata da Lavai. Ha detto di credere superfluo assicurarmi di essersi espresso in modo da non poter esser·e comunque interpretato lesivo del prestigio dell'Italia (derogatory to Italy). Stimson ha manifestato a Lavai rincrescimento che accordo con l'Italia non si sia ancora potuto raggiungere mentre vi si stava così vicini nel marzo scorso; e la speranza che esso possa divenire al più presto un fatto compiuto. Stimson ha fondata sensazione che le sue parole hanno fatto impressione su Laval.

Per parlte mia mi sono fatta 'l'idea che segretario di Stato, che appariva come sempre sincero e cordiale, abbia usato con Lavai, sull'argomento, un linguaggio anche più fermo di quanto mi ha indicato.

Ad analoga mia domanda circa il significato da darsi alla frase del comunicato Hoover-Laval relativo arl disarmo, egli mi ha assicurato che Stati Uniti America non hanno per nulla modificato loro atteggiamento. Dal canto suo la Franc,ia non ha modificato il proprio ed è rimasta sulle sue posizioni insistendo sulla solita tesi della necessità della sicurezza. Stimson ritiene tuttavia che qualche cosa di buono vi sia stato, nel senso che è risul,tato definitivamente stabilito che Conferenza del disarmo si terrà a febbraio. Egli però prevede molto gravi difficoltà alla riuscita della Conferenza stessa.

Segretario di Stato mi ha detto ancora che un successo della Conferenza si è avuto • nel campo economico e finanziario •. Ciò in quanto si è sgombrato terreno da malintesi e da timori di nuove mosse a seguito di quella del giugno

u.s. e si è tracciata una nuova linea per la condotta avvenire in tema di • riparazioni e debiti •.

(l) Con t. 1150 del 1° novembre, ore 12, Grandi mise al corrente dei risultati delln

(2) Guariglia seguì Grandi a Berlino. Il giorno 26 ebbe un ampio colloquio con Btilow, sul quale riferì a Grandi con una relazione pari data ed. in GuARIGLIA, pp. 131-140 (l'originale in Archivio Grandi).

61

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 2465/1026. Angora, 27 ottobre 1931.

Come avevo informato anteriormente, H telegramma circolare che questo Presidente della Repubblica doveva inviare ai capi di Stato balcanici in seguito alla II Conferenza Balcanica di Stambul, era stato concepito anche nel pensiero

di questo Ministro degli Affari Esteri come occasione propiZia per mettere in relazione Mustafa Kemal pascià con S.M. il Re Zogu e pertanto come una ripresa di fatto delle relazioni tra i due paesi.

Per ottenere tale scopo avevo (v. mio telespresso N. 2431/10 del 23 corr.) spinto la delegazione albanese a venire, malgrado le istruzioni contrarie che aveva dal suo Sovrano, ad Angora, onde poter portare a compimento il mio piano.

Non era possibile infatti fare altrimenti se si doveva venire, nello spazio di una settimana, al riconoscimento de1l'Albania.

Quando Mehmet bey Konitza si presentò da me il 19 corr. egli non aveva idea alcuna né sulla maniera come intavolare le trattative né sulla condotta da tenere alla Conferenza Balcanica.

Preferii allora di servirmi del bisogno che egli aveva della R. Rappresentanza per ottenere ~l riconoscimento turco del suo paese onde indurlo a manovrare la Conferenza Balcanica ai nostri fini.

A tale scopo gli spiegai opportunamente la politica balcanica, naturalmente dal punto di vista italo-turco, e lo convinsi che se in così poco tempo il governo turco si fosse prestato a riconoscere il nuovo regno d'Albania, questa sarebbe stata una nuova prova della necessità per H Governo Albanese di unirsi alla nostra p01litica balcanica.

Mehmet bey Konitza mi dichiarò che egli condivideva a pieno la mia maniera di vedere e bisogna che io riconosca la sua attività nel mettere in pratica, durante i dibattiti della Conferenza tutti i sugger,imenti che gli ho dato. Egli si è addimostrato così opportunamente intransigente di fronte alle questioni delle minoranze che, malgrado la condotta dubbia della Delegazione bulgara, ha potuto a gran vantaggio morale della sua delegazione e del suo paese, isolare la delegazione jugoslava ed incagliare così le questioni politiche del patto e delle minoranze, la risoluzione delle quali avrebbe potuto solo dare un significato al Congresso di Stambul (1).

Inoltre una intesa tra l'Ufficio turistico itallo-albanese e la Turchia ha completato il lavoro della Delegazione albanese la quale con 11'invio di ier-i del telegramma del Presidente della Repubblica a S.M. il Re Zogu, è ritornato in Patria con la coscienza di aver ben compiuto i1l suo compito.

Mi è sembrato pertanto, come ho accennato nel mio telespresso al quale mi riferisco, che sarebbe opportuno di valorizzare presso il Governo albanese quanto sopra perché nel giuoco balcanico quale ho avuto l'onore di spiegare

« Una quindicina di giorni fa circa, è pervenuto a questo comitato albanese perle Conferenze Balcaniche la lettera, in copia allegata, del comitato nazianale jugoslavo; documento che non manca di un certo interesse, specie per la punta espressamente di~etta contro gl'intimi rapporti italo-albanesi.

II comitato albanese, sotto la presidenza di Mehmet Konitza, ne ha riferito al .Re; e insieme combinarono di preoccupare il terreno dirigendo a Belgrado una lettera, antidatata al foglio jugoslavo, e di cui V.E. troverà la riproduzione subito a seguito della comunicacione jugoslava. Con tale lettera viene posta in modo inequivocabile la pregiudiziale del proJ;>l.ema delle minoranze. Alla comunicazione jugoslava si penserà poi di dar risposta, fac1lltata dall'esistenza della lettera già inviata.

Il testo della lettera albanese, come era stato sottoposto al Re era molto più aspro nelle espressioni; e riconosco che gli addolcimenti, introdotti per iniziativa del Sovrano sono opportuni.

In ogni modo, ritengo che possiamo essere soddisfatti del contegno albanese in questa faccenda, tanto più che io ho avuto conoscenza dei documenti per via di confidenti, e non ho avuto ad esercitare alcuna pressione in proposito>.

ulitmamente a V. E. a Roma ci sarebbe sommamente utile di avere a disposizione un altro fattore, per quanto meno importante del turco, per sorvegliare e dirigere il Governo di Angora, il di cui prestigio nei Balcani, come ho potuto pure constatare durante la Conferenza di Stambul è fortemente aumentato.

Pertanto ho detto pure a Mehmet bey Konitza di riportare esattamente a S.M. il Re Zogu quanto gli avevo detto sulla politica balcanica e d'indurlo, nel caso di una 11ipresa delle relazioni diplomatiche tra i due paesi, di dare istruzioni al suo nuovo rappresentante in Turchia di coadiuvare con me nell'espletamento di tale politica.

(l) Cfr. quanto aveva comunicato Soragna con r. 1895/821 del 5 agosto:

62

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 2493/1039. Angora, 28 ottobre 1931.

Seguito mio 2431/1010 del 23 ottobre c.a.

La conferenza balcanica si è chiusa ieri, come riferisco con mio telespresso a parte, dopo aver continuato dal 20 al 25 ottobre i suoi lavori a Stambul. L'importanza politica di questo avvenimento al quale la stampa di certi paesi non solo balcanici ha dato una grande risonanza, è stata molto scarsa. In fondo, n solo interesse vivo di. tutto il dibattito è stato dato dal duello tra le due delegazioni jugoslava e albanese a proposito delle minoranze -duello che è in fondo l'evento che ha dominato l'atmosfera di tutto il congresso.

La questione del patto politico, al qua;l'e la delegazione jugoslava avrebbe voluto dare H carattere d'una vera e propria alleanza, è tramontata per l'opposizione delle altre delegazioni -prima fra tutte l'albanese -fedele alle mie suggestioni. Così la seconda conferenza ha provato ancora una volta che nel campo politico le questioni che dividono i popoli balcanici sono tuttora profonde e insanabili e non è, comunque, attraverso l'azione di delegati non ufficiali che i vari governi interessati riusciranno a trovare ila via per un'intesa che sgombrando il terreno dalle numerose difficoltà esistenti, possa creare le condizioni favorevoli alla formazione d'una unione politica. Nella sostanza rinviata la questione del patto allo studio d'una commissione speciale, e rimessa la controversia delle minoranze all'esame diretto dane parti interessate, la conferenza ha fallito in pieno ai suoi scopi essenziali politici mentre ha raggiunto alcuni pratici risultati nel campo economico, ferroviario, postale, del dir~itto privato, ecc. risultati che esamino dettagliatamente nel mio telespresso 1032. Date le speranze che si erano riposte sui risultati di questo convegno bisogna ammettere che il fallimento delle principali questioni discusse ha suscitato una viva delusione tra i vari delegati, e molti di essi ancora si chiedono se la nuova conferenza che si prospetta per Bucarest potrà aver luogo e con Quali fini. In ogni modo confermo il mio parere già esposto precedentemente che, malgrado i risultati di questa conferenza siano stati inferiori a Quelli della prima di

Atene, tuttavia è innegabile che attraverso gli articoli della stampa, i contatti degli uomini politici, il ripetersi di queste riunioni, una coscienza balcanica stia certamente formandosi. Il processo di formazione non potrà che essere lentissimo, date le questioni vitali che ancora dividono alcuni degli stati fra loro, ma l'idea di un blocco di 50 milioni di uomini che possa eventualmente sottrarsi ad ogni forma di tutela delle grandi potenze europee, patrocinato anche vivamente da alcuni capi di stato fra cui lo stesso Gazi, non è certo poco allettante per questi giovani stati che, come ha detto lo stesso Mustafà Kemal pascià nel suo discorso di chiusura, hanno una storia comune, sono legati gli uni agli altri da catene di acciaio e devono la loro nascita al dislocamento graduale dell'impero ottomano.

Che questa idea si faccia strada in tutti i paesi balcanici ne è prova la frase pronunziata da Mehmet bey Konitza durante la sua discussione col delegato jugoslavo sig. Jonitch: • Se la Jugoslavia cesserà la sua alleanza con la Francia, noi cesseremo quella con l'Italia •. E questa frase è stata ripresa e commentata da molti delegati. Essa sta a provare che la vecchia idea politica • I Balcani ai popoli balcanici • va, spogliata dal suo significato territoriale d'un tempo, riadattandosi al!le nuove concezioni e alle nuove idee; potrà diventar,e, nel concetto balcanico, geloso esclusivismo contro ogni forma d',intervento e di protezioni straniere e potrà essere, una volta che molti errori saranno sanati, molte difficoltà appianate e le più imprevedibili intese nel campo delle minoranze raggiunte, l'idea madre dalla quale potrà veramente scaturire una vera e propria coscienza balcanica -germoglio incerto ed esile oggi -entità politica piena e completa nell'Europa di domani.

Mi sembra perciò che, a sfrondare tutto il complesso vago e ideologico della conferenza e a prescindere dai modesti risultati raggiunti anche nel campo economico, sia auesto l'elemento essenziale da segnalare alla vigile attenzione dell'E.V., ,la formazione d'una coscienza supernazionale nel seno d'una Balcania tuttora slegata e irrequieta -con manifesto carattere -primo segno d'indipendenza e primo accenno di vitalità a sostituire questo tentativo di unità federale alla protezione non disinteressata dell'Europa.

63

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO DELL'EDUCAZIONE NAZIONALE, GIULIANO (l)

(Fondo Ambasciata presso la Santa Sede, busta 27)

TELESPR. R. 819. Roma, 29 ottobre 1931.

Qui unita mi pregio di trasmettere all'E.V. copia di una recente nota (2) con la quale la Nunziatura Apostolica insiste per l'allontanamento dall'inse

gnamento, o quanto meno il trasferimento ad altra sede, dei Signori Paolo La Vespa e Rosario Scalabrino, ex preti ed apostati, insegnanti nel Regio Liceo classico di Trapani. La richiesta riguarda specialmente il Vespa, poiché il medesimo, oltre ad insegnare, riveste la carica di Vice Preside di quel Liceo.

Sarò grato a V.E. Qualora, esaminate che abbia le circostanze prospettate dalla Nunziatura Apostolica, vorrà cortesemente farmi conoscere se e quale seguito avrà creduto di dare alle richieste della Santa Sede, e ciò anche per la risposta alla predetta Rappresentanza Vaticana.

(l) II doc. fu inviato per conoscenza anche all'Ambasciata presso la Santa Sede. Il testo che si pubblica è quello ivi pervenuto.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, E A PARIGI, MANZONI (l)

TELESPR. R. 247233. Roma, 31 ottobre 1931.

Telespresso di questo R. Ministero N. 245273 del 13 ottobre c.a. Il R. Ministro in Addis Abeba, con suo telegramma in data 12 ottobre ha comunicato quanto segue:

• Alla riunione del Corpo Diplomatico Ministro d'Inghilterra ha riassunto le varie fasi delle trattative sinora svolte tendendo a mettere in rilievo la violazione del Trattato da parte abissini con l'istituzione delle note tasse consumo. Ha proposto che Governi interessati esaminino soprattutto tale violaz,ione per evitare che si crei negli abissini persuasione possibilità mutare un Trattato senza il consenso delle altre parti contraenti.

Incaricato d'affari di Francia ha riferito circa i suoi privati accordi con Imperatore mettendo in rilievo che due delegati più volte avevano precisato in suo nome (cosa che Imperatore aveva approvato) che aumento della tariffa da accordare consisteva nel 50% sulla tariffa stabilita da articolo 3 del Trattato. Incaricato d'affari ha fatto anche presente che ,la Francia è unica Potenza priva di clausola della nazione più favorita e che quindi H promesso annullamento di detto articolo, sia pure fra qualche anno, e libertà fiscale che ne consegue porrebbero la Francia nel rischio d'essere esclusa da vantaggi che potrebbero essere accordati ad altri.

Ministro degli Stati Uniti ha ripetuto sua conversazione con Imperatore, e ha soggiunto che in questo momento il Sovrano dà impressione di essere prigioniero dei nazionalisti ciò che spiega le sue continue contraddizioni, perché, ogni volta che egli concorda qualche cosa con un rappresentante diplomatico, i nazionalisti che sorvegliano il Sovrano Jo costringono a mutare parere. Ministro Stati Uniti ritiene che per superare tale difficile momento convenga dare impressione agli abissini che Potenze tutte non (sentono) affatto il bisogno di

far cosa gradita in simili circostanze. Un atteggiamento (forte) non mancherebbe di preoccupare gli abissini e potrebbe creare a poco a poco un clima più adatto ai negoziati.

Ministri del Belgio e di Germania consenzienti hanno constatato che se anche si accordasse agli abissini di disdire senz'altro articolo 3, nessun Paese sarebbe disposto ad accettare una tariffa doganale nella misura proposta.

Ministro d'InghHterra e Incaricato d'affari di Francia hanno infine sostenuto che al!la ripresa dei negoziati le Potenze debbono essere pronte alla rappresaglia ovvero a sottomettere l'interpretazione del Trattato Kloboukowsky al tl'ibunale dell'Aja.

Detti rappresentanti volevano altresì nelle Note di risposta al Governo Etiopico mettere in evidenza atteggiamento tenuto da Imperatore.

Ho esortato tutti ad accettare una procedura sospensiva e ad evitare di polemizzare col Sovrano. Ho spiegato che allo stato attuale delle cose i Governi dovevano essere posti in condi:z!ione di liberamente esaminare ila situazione senza trovarsi già di fronte ad un vicolo cieco, cui si arriverebbe certo se si agisse frettolosamente costringendo l'Imperatore ad assumere una definitiva posizione contro le Potenze; si arrischierebbe altresì irreparabilmente compromettere il prestigio delle Potenze stesse.

Sono sempre del parere già a suo tempo espresso che occorrono certamente le rappresaglie ma mi rendo conto diffico!ltà che s'incontreranno per realizzarle. Se un accordo tra le Potenze tripartite potrà realizzarsi sarà più facile nella direzione della Lega delle Nazioni e dell'Aj a.

Ciò naturalmente nel caso che alla ripresa dei negoziati non si trovasse una nuova sistemazione, sia nei riguardi di eventuali intese a tre sia nei dguardi Abissinia... (l) avrebbe dovuto l.'endersi conto che fra qualche mese le tasse avranno ridotto di molto le loro stesse antiche entrate.

Si è quindi approvata unanimamente proposta. sospensiva e i tre rappresentanti tripartiti hanno redatto seguente telegramma collettivo in cui viene specialmente messa in rilievo la vdolazione del Trattato e 1la necessità di sanzioni:

'Les représentants de Grande Bretagne, d'Italie et de France ont l'honneur de faire connaitre à leurs Gouvernements qu'à la Note collective protestant contre les taxes édictées par le Gouvernement éthiopien le Négous nous a promis de l'examiner avec bienveillance et exprimé le désir d'entrer en négociations. Le Ministre des Affaires Étrangères nous a transmis sa réponse dans une forme irrecevable dans 1aquelle il essayait de prouver la légalité des taxes (à part l'augmentation déjà dénoncée) ainsi que son droit absolu d'en établir et créer de nouvelles (ce droit n'étant atténué par aucun traité signé par l'Ethiopie) il mettrait comme condition, l'abrogation de l'artide 3 [sic.].

Cette réponse étant contraire aux assurances préalables données par l'Empereur, les représentants des trois Puissances ont remis au Ministère des Affaires Ètrangères une Note suspensive par laquelle ils nnforment qu'ils ne pourront, en raison de forme et du fond inadmissible de la réponse du Gouvernement éthiopien, entamer les négociations et le prient d'en informer l'Empereur.

... (1) dont les représentants d'Angleterre, d'Italie et de France... (l) termes nets et précis pour Iaisser à leurs Gouvernements le soin de juger les documents de mauvaise fois du Gouvernement éthiopien et les pdent de vou~oir bien leur donner des instructions quant aux mesures à prendre; représailles, ou Cour de La Haye' •.

L'atteggiamento assunto dall'Imperatore sin dal momento in cui, mediante l'emanazione dei noti dazi doganali, ebbe a violare l'art. 3 del Trattato di Kloboukowsky, e da lui mantenuto, con sostanziale intransigenza, nonostante l'apparente desiderio e le ripetute promesse di voler addivenire ad una conciliazione, durante questa prima fase delle trattative laboriosamente e pazientemente condotte in Addis Abeba dei Rappresentanti italiano, francese ed inglese, costituisce un altro sintomo, palese e preoccupante, delle direttive che il Negus Neghesti ha ormai impresso alla sua azione di governo, la quale se in fatto di politica interna tende alla costituzione di uno Stato centralizzatore ed autoritario, mira attraverso ad una politica estera sempre più nazionalista, a demolire a poco a poco il sistema che regola le relazioni economiche e politiche fra l'Etiopia e le Potenze Europee, sistema che ha reso possibile quella collaborazione fra europei ed abissini da cui l'Etiopia più di tutti ha tratto incalcolabili benefici e al quale, allo stato attuale dello sviluppo sociale e politico di quell'impero, non sembra che i paesi civili, ed in particolare le Pote:p.ze che hanno diretti ed importanti ,interessi nell'Africa Orientale, possano ancora rinunciare.

Dalle discussioni svoltesi nella riunione del Corpo Diplomatico accreditato in Addis Abeba, circa la quale il Marchese Paternò riferisce nel soprariportato telegramma, visulta chiara -pur attraverso l'esame specifico della particolare questione oggetto delle discussioni stesse -la preoccupazione dei Rappresentanti delle Potenze per lo stato di cose che va creandosi in Abissinia, e sembra si sia fatta strada la tendenza a riconoscere la necessità di tma più intima e fattiva coHaborazione, fra le Potenze maggiormente interessate, per frenare la politica etiopica sulla pericolosa via per la quale si è incamminata.

Questo R. Ministero non può vedere se non con simpatia l'eventualità di

tale intima collaborazione la quale, venendo a consolidare l'Accordo Tripar

tito del 1906, risponderebbe ai particolari interessi delle tre Potenze in Abis

sinia, e ritiene quindi di dover secondare l'azione del marchese Paternò e dei

suoi colleghi di Francia ed Inghilterra, prendendo opportunamente contatto

coi Governi di Parigi e Londra per esaminare e ricercare d'accordo con essi

i mezzi meglio adatti a richiamare H Governo Etiopico all'osservanza dei patti

da esso Governo sottoscritti, e degli impegni assunti.

A tal fine questo R. Ministero prega l'E.V. di volere opportunamente com

piere qualche sondaggio per conoscere quali siano, in merito alla comunica

zione collettiva dei tre Ministri ed alla situazione da essi denunciata, !l'impres

sione e le intenzioni di codesto Ministero degli Affari Esteri.

Per opportuna norma di V.E. si fa inoltre presente che questo R. Ministero

ritiene sia da scartarsi, per ovvie ragioni, la proposta di un eventuale ricorso

all'Aja o a Ginevra.

Dell'esito dei sondaggi svolti dall'E.V. questo R. Ministero rimane in attesa di cortese comunicazione.

(l) Il telespresso venne inviato per conoscenza anche al Ministero delle Colonie e all'Ambasciata a Washington.

(l) Gruppi indecifrati.

(l) Gruppi indecifrati.

65

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 2667/1023. Bucarest, 31 ottobre 1931.

Facendo seguito al mio rapporto riservatissimo n. 761 delli 28 luglio u.s. (1), con cui pregavo l'E.V. di voler trasmettere a S.E. il Capo del Governo un mio rapporto circa alcune pretese rivelazioni del Ministro romeno presso la Santa Sede, mi onoro ricorrere alla sua grande cortesia per pregarla di voler far pervenire a S.E. il Primo Ministro ·l'acclusa mia nuova comunicazione, sull'argomento stesso.

ALLEGATO.

PREZIOSI A MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. S.N. Bucarest, 31 ottobre 1931.

Mio rapporto del 28 luglio scorso.

Ho incontrato ieri il Ministro romeno presso il Vaticano, signor Petresco Comnen, qui di passaggio. È stata mia premura trarne occasione per espletare presso detto diplomatico discrete indagini circa le pretese sensazionali dichiarazioni che a lui sarebbero state · fatte dal Sommo Pontefice, in un'udienza dell'estate scorsa, nei riguardi della vertenza sorta, a causa dell'Azione Cattolica, fra il Governo italiano e la Santa Sede.

Come al solito, il signor Comnen ha cominciato col decantare la speciale situazione di fiducia di cui godrebbe presso il Vaticano, portando quindi spontaneamente il discorso sulla suindicata vertenza.

Dalle cose dettemi dal signor Comnen, ho ritenuto i seguenti principali punti:

0 ) che il Pontefice avrebbe sempre tenuto ad escludere la persona di

V. E. da ogni responsabilità negli incidenti sopravvenuti;

2°) che Sua Santità, nel mostrarsi col Comnen estremamente indignato dell'accaduto, avrebbe tenuto nello stesso tempo a ben specificargli che la sua reazione non era dovuta ai lamentati incidenti, ma al fatto che il Governo italiano -pur nell'ipotesi di un assoluto buon fondamento dei suoi reclami -non avrebbe mai dovuto farsi giustizia da sé, • in pieno e diretto contrasto colle procedure di conciliazione stabilite dal Concordato •;

3°) che infine sia tutte le manifestazioni cui il Pontefice era ricorso nei nostri riguardi, e sia tutte • quelle altre gravissime misure di ritorsione •, che Egli avrebbe avuto pur in animo di prendere contro l'Italia, erano state attuate ed ideate da Lui personalmente, in modo del tutto indipendente dal Sacro Collegio, constando al mio interlocutore che parecchi cardinali, come S. E. Gasparri, non le avrebbero affatto condivise.

Non ho mancato di approfittare dell'accenno del signor Comnen a dette

• altre gravissime misure di ritorsione •, escogitate dal Pontefice, per chiedergli quali mai esse avessero potuto essere, dopo quelle cui già si era ricorso. Ed il mio interlocutore, pur asserendo di non potermele assolutamente specificare, ha tuttavia accennato, di passaggio, che avrei potuto io stesso desumerle, risalendo il corso della storia: Avignone.

Nel prosieguo della conversazione, ed a malgrado il mio studio, non mi è riuscito di precisare se il Comnen avesse voluto riferire detto cenno a dirette apertucre del Papa od invece a voci raccolte negli ambienti del Vaticano.

Il signor Comnen mi ha infine pregato di considerare tutto quanto aveva formato oggetto della nostra conversazione come assolutamente segreto e confidenziale.

(l) Cfr. serie VII, vol. X, n. 414.

66

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Copia)

... (1).

Il Ministro Galli mi ha oggi rimesso l'accluso suo pro-memoria che riassu~ me i punti essenziali delle sue ultime conversazioni con Jeftic (2), a proposito della questione albanese, e delle dichiarazioni fattegli da Re Alessandro nel lungo colloquio col quale questa fase della sua azione si è conclusa.

Il Ministro Galli mi ha, verbalmente, Hlustrato tale sua relazione in rapporto anche alla presente situazione interna jugoslava, che egli considera indubbiamente grave -e più ancora per H fatto che essa è tale nella vecchia Serbia, nella qualle serpeggiano anche correnti repubblicane -ma, a suo avviso, non al punto che possa normalmente prevedersi radicali trasformazioni del Governo dittatoriale, molto più che nessun serio sintomo esiste finora che faccia dubitare della saldezza dell'esercito.

A conclusione della sua esposizione, Galli ha fatto rilevare ;la chiusura delle dichiarazioni di Re Alessandro -espresse, egli ha aggiunto, con tono di particoiare sincerità -che cioè : egli è pronto anche a fare dei sacrifici pur di raggiungere con noi un accordo, al quale egli ,intenderebbe subordinare tutto l'orientamento della sua futura politica, accordo che egli porterebbe, lealmente, ad ogni estrema conseguenza; che egli attende, al mio ritorno da Roma, di sapere se S. E. il Capo del Governo è disposto a rendere possibile quleisto accordo.

Ho detto a Galli :

Croazia -Ln argomento di situazione interna, pur non dando decisiva importanza al movimento croato come fattore immediato di una trasformazione radicale dell'assetto interno jugoslavo, ritengo che i nostri appoggi ed aiuti indiretti, attraverso organi non ufficiali, a1l partito croato, debbano continuare, perché comunque la questione croata è, oramai, posta sul tappeto internazionale, ed a noi conviene, allo stato presente delle cose, che sia mantenuta viva.

Albania -La questione albanese è non solo il perno principale della situazione Italia-Jugoslavia, ma anche il punto di sviluppo della nostra politica balcanica e centro-europea. L'avere rifiutato, fino all'anno scorso, anche solo di pronunciare la parola Albania nei nostri rapporti con la Jugoslavia, ci ha

consentito di sistemarci in Albania in tal modo da poterei permettere, oggi, di parlarne con Belgrado senza preoccupazioni di perdere le posizioni di diritto irriducibilmente acquisite.

Il progetto di accordo albanese che Jeftic ha rimesso a Galli non può, naturalmente, essere preso neppure in generica considerazione. Non è serio, e Galli dovrà esplicitamente confermarlo al suo ritorno a Belgrado. Esso non tiene alcun conto né delle nostre situazioni di base nella questione specifica dell'Albania, né dei nostri postulati politici per l'Europa Orientale. Non consente, quindi, né discussioni né contro-progetti. Non ci conviene, del resto, per ora almeno, procedere a formulazioni scritte nei riguardi dell'Albania, sia per la constatata distanza dei due punti di partenza, sia anche perché non è opportuno creare documenti che possano essere, eventualmente, fatti conoscere a Re Zogu.

La questione albanese troverà, dunque, più conveniente terreno per una trattazione pre-cisa, sulla base di un nostro progetto, quando essa potrà essere considerata nel quadro generale delle intese e dei sacrifici jugoslavi, di cui alle dichiarazioni fatte da Re Alessandro. H che non toglie che Galli dovrà, ciò nonostante, continuare a far sentire a Belgrado che l'accettazione deHa situazione italiana di fatto e di diritto oggi esistente in Albania rimane pur sempre il terreno su cui dovrà essere costruita una nuova eventuale politica di intesa itala-jugoslava.

Accordo generale itala-jugoslavo -Dal momento che Re Alessandro ha insistentemente accennato a GalU al desiderio che egli gli porti da Roma una parola delle disposizioni generiche dell'Italia nei riguardi dei suoi intendimenti di intese politiche generali fra i due Paesi, ho prescritto a Galli, salvo approvazione di S. E. il Capo del Governo :

-di dire al Re, da parte di S. E. il Capo del Governo che 1e nostre disposizioni favorevoli non sono mai mutate;

-di mantenere vivo lo scambio di idee col Re e con Jeftic sul terreno della politica generale italo-jugoslava cercando di far precisare quali siano in concreto le loro intenzioni e le disposizioni di venire realmente incontro ai nostri essenziali interessi e quindi, anche nel quadro generale, in materia di Albania;

-di condurre tali scambi di idee con la indispensabile prudenza per evitare per il momento, oltre a possibili indiscrezioni, impegni e soluzioni precise, pur avendo cura di non giungere ad un punto morto;

-di valersi, come eventuale elemento dilatorio, del fatto della mia partenza per Washington, che appare naturale mi impedisca di dedicare all'argomento, per il momento, l'esame approfondito che comporta.

ALLEGATO.

PROMEMORIA

Ho avuto con Jeftic due convegni il 13 ed il 18 corrente. Sono stato ricevuto da Re Alessandro la sera del 20 corrente.

Do qui di seguito un rapido sommario di quanto detto in queste tre occasioni.

n colloquio del 13 fu brevissimo. Yeftic, premesso che gli sembrava giunto il momento di fissare qualche cosa per iscritto, mi ha rimesso il progetto qui unito, riferentesi allo statu quo balcanico ed all'Albania.

Una rapidissima lettura mi fece subito comprendere che tale progetto non era non dico discutibile, ma certo non accettabile senza profonde modificazioni. Non credetti però dirgli subito tale mio pensiero, anche perché effettivamente occorreva leggere il progetto con sicura attenzione e riflettervi. Gli chiesi quindi tempo per esaminarlo e rispondergli e ci separammo fissando rivederci di lì a pochi giorni.

Nel colloquio del 18 gli dissi:

a) che avevo esaminato con ogni attenzione il suo progetto. Non avevo avuto tempo e modo di mandarlo a V. E. Ma forse era meglio perché se egli potesse darmi qualche chiarimento e spiegazione forse la impressione che l'E. V. ne potesse riportare sarebbe stata meno cattiva. Il progetto come tale avrebbe potuto essere forse accettabile nel 1924, non oggi dopo tanti avvenimenti intercorsi e la nuova situazione totalmente differente da quella di allora;

b) il suo progetto spostava totalmente il punto di vista dal quale ci eravamo messi, cioè da una riconosciuta preminenza italiana;

c) a parte la necessità di armonizzarlo con tutta la fraseologia già obbligatoria della S.d.N. pur trattandosi di documento che doveva restare fra noi, vi erano i patti che noi avevamo con l'Albania che non potevano essere obliati. Se quello del '26 stava per scadere ed io ignoravo se sarebbe rinnovato o no, quello del '27 fissava una alleanza difensiva della durata di 20 anni. Questo patto non poteva essere annullato, e nemmeno ignorato dalla nuova situazione che Italia e Jugoslavia si riconoscessero per la reciproca posizione in Albania;

d) il punto III ,rinnovava l'ostacolo davanti al quale eravamo sempre fermi ed io non avevo che richiamare alla sua memoria le obiezioni che gli avevo già fatte. In ogni caso v'era una situazione fissata dalla dichiarazione del '21 (l) che non poteva essere annullata da nessuna nostra comune volontà perché ormai acquisita al meccanismo della S.d.N. Il nostro punto di vista in proposito era: noi siamo interessati non solo alla esistenza ed indipendenza albanese che nelle nuove condizioni di amicizia fra Roma e Belgrado non correrà più pericolo, ma anche all'ordine interno. Se questo sia minacciato, dato lo sviluppo degli interessi italiani in Albania, e la funzione strategica dell'Albania nei riguardi adriatici, volevamo essere noi a rimettere l'ordine. Poiché questo fatto non doveva né poteva mai essere interpretato come ostile alla Jugoslavia, fosse la Jugoslavia a dirci quali garanzie e cautele desiderava perché il nostro intervento temporaneo non fosse interpretato come minaccia ostilità pericolo qualsiasi. Io gli aveva enumerato: intese fra i due Stati Maggiori, limite massimo di tempo e di forze armate italiane. Che mi rispondeva?

J eftic ha risposto : a) che la superiorità degli interessi albanesi era riconosciuta dalla Jugoslavia, che l'art. III non escludeva la esistenza e l'eventuale funzionamento della convenzione del '21.

Ho replicato: Se allora consentite che in uno od altro modo cw sia esplicitamente detto, con riserva delle altre osservazioni che potranno essere fatte da Roma, mi pare che la possibilità di sottoporvi altro testo vi sia. J eftic ha concluso: N o n ho obiezioni a tutte le modificazioni di forma che vorrete, e ad armonizzare il testo con i patti esistenti fra Italia ed Albania, quindi ad esaminare un testo con le modificazioni che voi proporrete.

Ho trovato il Sovrano in ottima salute, pronto e deciso con espressione di volontà bene maturata. Il colloquio, durato dalle 18 alle 19,15, è stato nella prima parte freddo formale e quasi studiato dal Sovrano che certo aveva preparato il preambolo col quale si è iniziata la discussione vera e propria. Si è animato dalla metà in poi, acquistando verso la fine un calore cui non sono mancati da parte sua accenti di sincerità. Ho parlato col Re con piena franchezza, non celando anche qualche durezza di pensiero, pur riguardosissimo nella forma.

Dopo breve preambolo personale il Re mi ha dichiarato:

a) la sua ferma vecchia volontà di giungere ad un accordo con noi, il desiderio di dargli ogni più ampio sviluppo. Ha affermato la necessità della intesa, mostrandosi fiducioso di raggiungerla se quanto egli vuole sia interamente da noi sentito e condiviso;

b) per l'Albania ha dichiarato conoscere il testo presentatomi da Jeftic, si è mostrato stupito della mia affermazione non corrispondere esso a quanto ci eravamo detti fin qui. Ha ripetuto che il massimo ostacolo era la eventualità di una nostra occupazione che la Jugoslavia non potrebbe ammettere. Del resto quando sarebbe necessaria? Poiché esistenza ed indipendenza albanese sarebbero ormai state fuori questione nei nuovi rapporti sperati!! (gli ho detto: ordine interno). Ha concluso che se la questione albanese era di primaria importanza per i nostri rapporti, ne perdeva molta se la si inquadrava nel piano generale di una comune politica itala-jugoslava che aveva obiettivi ben più ampi e generali (ha alluso alla pericolosa situazione bulgara che potrebbe creare alla frontiera sorprese di carattere comunista, alla possibilità che i russi, cadendo il regime Kemal, occupino Costantinopoli portando i soviet nei Balcani). Ha per incidenza negato che l'Albania e Valona tutelino appieno i nostri interessi strategici in Adriatico, come egli ne aveva fatta personale esperienza durante la guerra;

c) quanto alla Francia ha affermato sopratutto gli indistruttibili sentimenti di riconoscenza dei serbi. Ma fuod dei sentimenti l'interesse jugoslavo portava il suo Stato ad accordarsi con l'Italia della quale i serbi erano sempre stati sinceri amici;

d) ha affermato con forza e mi ha pregato ripeterlo a S. E. il Capo del Governo ed a V. E. che egli vuole fermamente l'accordo con l'Italia e che se a tale accordo si giungerà egli assicura che sarà eseguito con piena e schietta volontà, che nessuno nel paese penserà opporsi, poiché del resto tutti saranno contenti

• a cominciare dall'esercito •, che la politica jugoslava è determinata dal timore dell'aggressione italiana e ricerca ad ogni costo una difesa contro di essa. Cessi questo timore e vi sarà la piena incondizionata cooperazione jugoslava all'Italia. È pronto a fare un cambiamento di 90 gradi nella sua politica e di ciò prega S. E. il Capo del Governo (col quale spera incontrarsi poiché lo ammira incondizionatamente, e spera trovare in lui piena rispondenza di pensiero) e S. E. Grandi tenere conto nello svolgimento del1e trattative per la ricerca di una formula compositrice dei nostri interessi comuni. Nel congedarmi mi ha detto queste testuali parole: La prego tornando da Roma di venire a vedermi, e dirmi schiettamente se vi è

o no possibilità di intesa. Se non vi sia, abbiamo atteso tanto, attenderemo ancora una migliore occasione, se vi sia io sono pronto anche a sacrifici per raggiungerla.

Dal canto mio mentre stimo superfluo ripetere quanto gli ho detto e replicato specie per l'Albania poiché non si tratta che degli argomenti già sviluppati con Jeftic, credo solo utile ricordare che gli ho sopratutto messo in evidenza la funzione fiancheggiatrice militare della Jugoslavia accanto all'esercito francese (1).

Annesso.

COPIA PROGETTO JEFTICH 13 OTTOBRE 1931

I -''' Reconnaitre la stabilisation définitive et immuable du Statu Quo balcanique constituée d'après les traités de paix (y compris le Traité de Trianon) * (1). Les deux puissances s'engagent de collaborer efficacement au maintien de ce

Statu Quo.

II -Reconnaìtre bilatéralement que l'Albanie, dans ses frontières actuelles et définitives, représente par son existence par [son] intégrité territoriale et son indépendance les intéréts vitaux et stratégiques de la sécurité des deux puissances signataires.

Par respect et reconnaissance de ces intéréts et pour leur sauv,egarde, * les deux puissances s'engagent de ne rien faire ni de permettre, tant qu'il est dans leur pouvoir, aucune action dirigée contre l'ordre public et la paix intérieure d'Albanie ou contre son libre développement et intégrité territoriale garantie par les deux puissances "'.

III -Dans le cas où l'ordre public et la paix intérieure en Albanie deviennent tellement compromis par les désordres et la révolution qu'un état anarchique se répande dans le pays, les deux puissances signataires, sans rien entreprendre avant de se concerter, *s'adresseront en commun ou simultanément à la Société des Nations demandant son intervention efficace pour le rétablissement de l'ordre

e n Albanie '''. Cette intervention de la Société des Nations aura le but unique de la formation en Albanie d'un gouvernement d'autorité et stable.

IV -Considérant que l'intégrité territoriale et l'indépendance d'Albanie so n t reconnues et garanties par les actes internationaux différents et par ce pacte spécial entre l'Italie et la Yougoslavie, les deux hautes parties contractantes s'engagent de faire ce qui est dans leur pouvoir et de veHler que l'armement et l'organisation militaire de l'Albanie ne dépasse nullement le besoin du maintien effectif de l'ordre intérieur.

(l) Il doc. è privo di data, ma certamente della fine di ottobre, quando Galli si recò a Roma (cfr. p. 94, nota 3).

(2) Cfr. nn. 52 e 54.

(l) La dichiarazione della Conferenza degli ambasciatori del novembre 1921.

(l) Con t.r. per corriere 1149 del 31 ottobre, diretto a Parigi, Grandi richiese a Manzoni di informarsi se il trattato franco-jugoslavo del 1927, in scadenza 1'11 novembre prossimo, sarebbe stato rinnovato con o senza modifiche, con t. per corriere 4066/550 del 10 dicembre, Manzoni comunicava di non essere riuscito a ottenere le informazioni richieste e che continuava le sue indagini.

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L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GEISSER CELESIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. s. s. N. Vienna, 5 novembre 1931, ore 21.

Torno ora da un colloquio di un'ora con Starhemberg. Causa la ristrettezza del tempo chiedo venia a V. E. di 11iassumerlo telegraficamente:

a) In risposta al mio quesito circa una fusione delle • Heimwehren • con nazionalsocialisti (mio telegramma n. 346 in data 3 corrente) mi ha confermato trattarsi di iniziativa spontanea del gruppo Pfrimer che ha redarguito.

Mi ha detto che egli accetta una collaborazione parallela coi nazionalsocialisti per combattere il presente stato di cose in Austria e il suo Governo, ma che non può impegnarsi a una politica comune:

l) perché non vitiene debba oggi pensarsi all' • Anschluss •;

2) perché non è d'accordo con Hitler sui presupposti religiosi, desiderando non urtare i sentimenti cattolici delle masse austriache;

3) perché ritiene· che, contrariamente a q_ue1Ho che pensa Hitler in Germania, qui occorra una soluz:ione di forza.

b) Gli ho chiesto se avesse finalmente. visto Vaugoin e che cosa questi gli avesse detto.

Mi ha risposto aver avuto ieri il colloquio col ministro della Guerra e che purtroppo si era convinto come non si potesse fare assegnamento su una sua adesione fattiva a proposte di collaborazione tra esercito e Heimwehren in caso di un colpo di Stato. Vaugoin era troppo politico, troppo pavido, troppo parlamentare, così che pur ammettendo egli che occorreva porre fine ad uno stato di cose che H Governo peggiora ogni giorno con concessioni palesi e latenti alle sinistre, non si sentiva di garantire 1la partecipazione dell'esercito ad un colpo di stato.

Starhemberg si dichiara però certo del favore di vari generali (Geng, Schiebel e altri) e dei reparti armati della polizia.

c) Seipel continua con lui i contatti e ho l'impressione che le idee di Starhemberg ne abbiano tratto notevole profitto.

d) Relazioni tra i gruppi provinciali delle • Heimwehren •. Si adopera per un'unione effettiva che è già praticamente conclusa per il gruppo viennese del maggiore Fey.

Sta per ·iniziare le trattative anche con Steidle. A questo proposito egli non ha nulla in contrario che da noi venga accolta un'eventuale (gli dissi eventuale) richiesta di fondi delle • Heimwehren • tirolesi purché si ponga a Steidle la condizione che li riceverà solo Quando l'unione col gruppo Starhemberg si sia perfezionata. Ha insistito per ottenere da noi il contributo di cinquemiila scellini mensiH che gli occorrono per le spese della centrale di propaganda e per l'organizzazione dei trasporti e che gli urgono.

Gli ho lasciato intendere che tutt'al più da noi poteva attendersi solo degli aiuti finanziari e morali; mi ha risposto che coi primi può procurarsi l'equipaggiamento e che i secondi lo assicurano contro l'animosità e le difficoltà di paesi e partiti a lui ostili.

e) Programma. È convinto che l'inverno segnerà la fine o l'affermazione delle • Heimwehren •, dello stesso parere sono anche vari capitani provinciali coi quali ha parlato tra cui Rintelen della Stiria. Non ha nessuna preoccupazione per Quanto riguarda difficoltà costituzionali e di politica interna, se il presidente Miklas farà delle riserve costituzionali, Jo si metterà da parte: tanto il varlamento e le diete provinciali vanno .liquidati. Quello che occorre è profittare del momento psicologico, dello scontento dei contadini e della sensazione che pervade ognuno che il sistema di governo d'oggi non può durare. Il Governo potrebbe durare soltanto appoggiandosi a sinistra e in questo caso si scioglierebbero le • Heimwheren •, si metterebbero i loro capi in prigione e colla legge per la protezione della repubblica si porrebbe termine a qualsiasi tentativo di opposizione spianando così la via a un Governo puramente socialista.

A mia precisa domanda, mi ha detto che spera iniziare l'azione con l'esercito ma che, se non riesce ad assicurarsene la collaborazione, marcerà da solo con le • Heimwehren •. Mi ha detto pure che ritiene non poter far nulla (salvo imprevisti incidenti locali che diano fuoco alle po:lveri) prima della metà di dicembre, e ciò contrariamente alle notizie socialiste che annunziano un colpo di stato per il giorno 9 (1).

Egli mi ha detto che ha pronti i suoi piani in ogni particolare ma che ha impegno d'onore di non rivelarli e che se l'esercito sarà con lui, tra le undici di una notte e le sette del mattino successivo, tutto sarà regolato; se sarà da so:lo ci vorrà forse di più, ma non molto certo.

f) Rapporti con l'estero. L'unica cosa che lo preoccupa è l'attitudine che, di fronte a un colpo di mano, assumerebbero la Cecoslovacchia e la Francia. Ritiene che la prima non oserebbe in fin dei conti entrare in Austria perché si tratterebbe di auestione interna e senza alcun carattere di restaurazione asburgica che potrebbe giustificarne l'intervento. Ma teme la Francia specie per riflessi finanziari.

A questo proposito mi ha chiesto di informarmi a Roma se sembrerebbe cosa opportuna che egli, per tramite di. persona sua amica, facesse chiedere a questo ministro di Francia come il suo Governo vedrebbe un'andata delle

• Heimwehren" al potere. Darebbe assicurazioni anti-• Anschluss" e di una politica non lesiva degli interessi finanziari francesi. Non gli ho nascosto i pericoli di un tal passo, egli però ritiene che i Francesi pur essendo avversi ai movimenti come il suo, sarebbero lieti di liquidare Schober, di avere un affidamento contro l' • Anschluss " e una assicurazione che non verrà seguita la politica di Hitler. Quello che a lui preme è • uno Stato austriaco politico economico che consenta all'Austria di non trasformarsi in un nucleo del bolscevismo al centro dell'Europa ". Mi ha garantito che non pensa a sussidi finanziari da parte francese.

Ho preso accordi con Starhemberg, che riparte stasera per i suoi giri di propaganda, per vederlo con ogni cautela -e da solo la settimana prossima. Egli desidera vivamente aver notizie in merito a Quanto ha esposto Ministro Auriti costì e in merito alla Questione del finanziamento mensile. A mio subordinato parere per questo sarebbe preferibile il sistema « manuale • dello scorso anno, anziché l'acquisto del legname che è troppo suscettibile di lungaggini e di indiscrezioni (2).

(l) Questo e i successivi passi posti tra asterischi sono stati postillati a margine con un punto interrogativo da una mano non identificata.

(l) -Su queste nctizie cfr. quanto riferiva lo stesso Geisser Celesia con r. 4120/2343 del 3 novembre 1931, che non si pubblica. (2) -Annotazione a margine: «Visto dal Ministro Auriti ». Evidentemente in quei giorui Auriti si trovava a Roma.
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IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 49437. Roma, 5 novembre 1931.

In relazione al telespresso n. 247233 del 31 ottobre u.s. (l) stimo doveroso notificare come io per mio conto concordi colla proposta fatta dal Ministro Paternò. Però a me sembra che se le tre potenze dell'accordo tripartito si regolassero in modo da favorire le imprudenze e le ,esagerazioni nazionalistiche del Negus e dei suoi accoliti si potrebbe per tal modo creare il pretesto per chiedere a suo tempo l'esclusione dell'Abissinia dalla Società delle Nazioni, il che sarebbe tanto di guadagnato per tutte tre le potenze, ma specialmente per noi.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, AL MINISTRO AL CAIRO, CANTALUPO, E AL CONSOLE A GEDDA, SOLLAZZO

TELESPR. RR. U. 247727/1032 (2). Roma, 6 novembre 1931.

Il R. Console in Aden con telegramma del 27 ottobre riferisce quanto segue:

• Dal segretario po1itico del Protettorato app11endo che l'Imam Yahia ha inviato a questo Residente Generale offerta per un modus vivendi suLla base dello statu QUo in attesa di addivenire a definitivi trattati politico-commerciali. Lo schema di tale modus vivendi sarebbe composto delle stesse clausole contenute in quello rimesso dal Governo inglese all'Imam Yahia fin dal 1929 e che questo allora non accettò, salvo alcune varianti che, a parere del Signor Champion, darebbero adito ad amichevoli discussioni, le quali dovrebbero avere quasi certamente un felice esito. È parere dello stesso che Questo viraggio nella condotta dell'Imam Yahia sia dovuto al suo timore che il Governo britannico riconosca quanto prima la sovranità dell'Hegiaz sull'Assir.

La situazione al confine del protettorato è calma. Asmara informata •.

(Solo per Colonie Gedda Cairo). Non sfuggirà a cotesto M~nistero l'importanza delle notizie sopratrascritte, in base alle quali potrebbe verificarsi la conclusione di un accordo anglo-yemenita, col quale sostanzialmente l'Imam abbandonerebbe il punto di vista tenacemente per anni da lui sostenuto nella questione della frontiera col Protettorato di Aden, unico ostaco[o ad una sua intesa con gli inglesi.

6 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

Nei nostri riguardi un eventuale accordo anglo-yemenita comprometterebbe in parte, come è ovvio, i risultati delle conversazioni di Roma del 1927.

Ciò posto, questo Ministero, mentre prega codesto di far indagare dai nostri medici nello Yemen e comunicare quanto loro risultasse circa le intenzioni dell'Imam al riguardo, pensa che sarebbe assai utile se fosse possibile agire in modo da rafforzare l'eventuale proposito dell'Imam di pretendere, come condizione al raggiungimento dell'accordo con l'Inghilterra, che il Governo britannico si impegni a non procedere al riconoscimento della sovranità dell'Hegiaz sull'Assir.

Tale richiesta dell'Imam renderebbe infatti più difficile la conclusione dell'accordo anglo-yemenita.

Questo Ministero resta in attesa di conoscere il pensiero di codesto Ministero al riguardo, nonché avere comunicazioni delle istruzioni telegrafate in proposito all'Asmara (1).

(Solo Londra). Questo Ministero sarà grato a codesta R. Ambasciata di voler assumere al riguardo informazioni presso codesto Governo, e resta in attesa di comunicazioni in merito.

(l) -Cfr. n. 64. (2) -Con questo numero il telespr. fu inviato al ministero delle Colonie.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, A VITTORIO MAZZOTTI, A VIENNA

TELESPR. S. 249198 (2). Roma, 11 novembre 1931.

In merito a quanto dia ha esposto col telespresso citato in riferimento (3), tengo a chiarire alcuni punti perché Ella possa tenerli costantemente presenti nei rapporti con Pristina:

l) La conciliazione Pristina-Re Zog non ci interessa se non in quanto essa possa essere proficua ai fini di un'azione seria per il Kossovese e nel Kossovese. Che anzi ove di questo non si trattasse_, preferirei che Hassan Bey si tenesse nell'attuale posizione di opposizione al regime costituito in Albania. Pristina è una riserva da impegnare in occasione di straordinaria emergenza.

2) L'azione per il Kossovese può esercitarsi su due vie che vanno tenute perfettamente distinte: la via rivoluzionaria sull'esempio dei comitagi macedoni e la via della propaganda e deH'organizzazione irredentistica. Finora mi era parso di capire che Pristina volesse tenersi sulla seconda, e, siccome Re Zog non può batterne un'altra, era opportuno che i due si intendessero prima di marciare.

3) Le nostre decisioni sugli appoggi da dare direttamente, su quelli da sollecitare a Tirana, sui rapporti da tenere con Pristina, su quelli che si devono patrocinare presso Re Zog ecc. devono necessariamente essere precedute dalle decisioni di Pristina sulla via che vuole e può battere. Tutte e due le strade non si possono tenere dallo stesso uomo, e gli appoggi nostri e le intese con noi, gli appoggi albanesi e le intese con Re Zog devono necessariamente variare nell'un caso e nell'altro.

In ogni caso quello che a noi interessa è di fare del Kossovese una questione che scavi un fossato sempre più profondo tra Albania e Jugoslavia, quindi effetto indiretto di politica generale più che perseguimento di un fine immediato. Questo stesso effetto indiretto deve risultare più da una compromissione albanese che nostra, non siamo noi che dobbiamo alimentare un irredentismo Kossovese ma gli albanesi: più gli albanesi si scoprono e si compromettono, meglio è; più ci scopriamo e ci compromettiamo noi, peggio è.

Tenendo presenti questi punti, l'azione della S. V. presso Pristina, e soltanto presso di lui, non si deve tanto esplicare in progetti concreti quanto nel far sentire ad Hassan Bey l'interessamento italiano, sempre però a rincalzo di quello albanese.

(l) -De Bono rispose il 14 novembre, comunicando di avere trasmesso :>.l governatore dell'Eritrea la preghiera espressa dal Ministero degli Esteri, " ma raccomandando la massima prudenza, allo scopo di evitare l'impressione di un nostro eccessivo interessamento, che sarebbe attribuito a supposte nostre mire politiche sullo Asir. Tale è infatti il mio pensiero al riguardo •. (2) -Il doc. fu inviato t-ramite la legazione di Vienna. (3) -È il telespr. s. 4111/2334, del 3 novembre, che non si pubblica. Anche questo doc. fu trasmesso tramite la legazione di Vienna.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO AD ATENE, BASTIANINI

TELESPR. 249494/1534. Roma, 14 novembre 1931.

La S. V. è stata tenuta al corrente del corso delle ormai lunghe trattative tra Grecia e Albania per la definizione delle due QUestioni che le dividono : la Chiesa autocefala albanese (l) e l'indennizzazione degli albanesi espropriati dalla Grecia.

Come era da attendersi, H Govevno albanese invoca ora il nostro aiuto per spingere il Governo greco verso la soluzione della auestione che più gli sta a cuore, cioè la seconda, merutre la prima interessa quasi esclusivamente i greci, i Quali -a auanto si è potuto capire -sperano con la connessione delle due questioni di riuscire a rialzare le sorti del Fanar nei riguardi della Chiesa autocefala albanese.

Ed ecco come dovrebbe nell'idea del R. Ministro a Tirana concretarsi almeno per ora -il nostro aiuto alla causa albanese: • Pel momento si chiede

• Pesato il pro ed i contro, non muto l'avviso che a noi convenga tutto quanto concorre a sminuire il credito, estero ed interno, e ad affievolire le forze e 1:. fecondità alla Chiesa Ortodossa Autocef~la albanese; e non essere quindi interesse nostro che essa Chiesa s'avvantaggi di successi e favori nei concilii delle Chiese sorelle e delle Confessioni in genere.

Prescindo in questo giudizio, dalla considerazione che all'unione eventuale colla Chiesa Romana, attraverso conversioni parziali o di masse, l'assodarsi della Chiesa Autocefala sarebbe di ostacolo sempre maggiore.

Ma mi basta osservare che l'elemento ortodosso si mostra, nel suo complesso e salvo eccezioni, il più ostile alla nostra azione in Albania •.

soltanto che il nostro Ministro ad Atene· colga l'opportunità per far cadere il discorso, conversando, sull'argomento. Michalacopoulos è, mi si assicura, personalmente avverso ad un componimento, anche a causa di ruggine privata che ha col Governo albanese per certi presunti torti arrecati ad un cognato suo; ma Venizelos ha dimostrato a più riprese la propria buona volontà, e sarebbe specialmente con lui che gioverebbe iniziare il discorso.

È noto che l'altro principale obbietto del conflitto greco-albanese è lo Statuto e l'episcopato della Chiesa ortodossa autocefala; ed è noto che il Governo ellenico ha sempre cercato di abbinarlo con l'aUro dei beni sequestrati, di cui sopra; abbinamento, a dire il vero, che non è teoricamente molto logico, perché nella questione della Chiesa il Governo greco non può dirsi in alcun modo parte in causa, e l'Albania sarebbe in diritto di declinare ogni sua immissione nelle faccende fra se stessa ed il Patriarcato, come ila declinerebbero, putacaso, la Serbia o la Rumania ove sorgessero contrasti fra quei governi e le loro chiese nazionali ed il Fanar.

Se, Quindi, l'interlocutore o gli interlocutori greci avessero a cercar di condurre il nostro Ministro sugli argomenti religiosi, questi può facilmente disimpegnarsi schermendosi dall'arrischiarsi su terreno sì delicato e fuor di proposito. Non sarebbe al tempo stesso superfluo che egli rammentasse ai greci stessi che il Fanar è uso ad inaugurare conflitti annosi colle Nazioni Ortodosse di nuova formazione ove si organizzano le chiese autocefale; e che essi stessi greci ne hanno fatto la prova. Onde appare sommamente ingiusto che la causa, tutta secolare, di gente espropriata ed in attesa di un risarcimento, si trascini per anni ed anni per colpa di diuturni conflitti religiosi di origine affatto diversa.

Tanto più che, nel corso delle conversazioni periodicamente annodate e troncate fra albanesi e greci all'oggetto dei beni, un bel progresso verso l'accordo si è fatto; progresso costituito, in realtà, da una serie di ritirate albanesi. Ripeto lo schema che mi ha esposto il Ministro Vrioni dello stato attuale delle cose:

l) Tutti gli albanesi, già proprietari di beni in territorio greco, hanno avuto già notifica individuale della sentenza deftnitiva dei tribunali, che stabilisce l'ammontare dell'indennità dovuta loro, pari a quella dei sudditi greci.

2) Il Governo albanese accetta e riconosce le cifre fissate in dette sentenze.

3) I pagamenti ai sudditi greci vengono effettuati non in valuta ma con buoni, al valore nominale, fruttanti 1'8%. Il Governo albanese si contenta anzi desidera che i suoi sudditi siano pagati individualmente e nell'identico modo.

4) Il Governo greco propone un trattamento diverso:

a) pagamento, non ai singoli interessati, ma al Governo albanese, che penserà poi a ripartire la somma;

b) pagamento non in buoni, ma in valuta (dracma) ed in cinque rate annuali. Queste proposte vengono trovate strane dagli albanesi e li insospettiscono. Perché, se ciascun albanese interessato ha le sue notifiche individuali dal Tri

bunale, saltarlo per sostituirgli il Governo di Tirana? Perché, al pagamento in buoni, applicato anche ai sudditi locali, voler sostituire quello 'in valuta e in cinque anni? Si fanno supposizioni varie e tutte, a dire il vero, concordano nel concludere che c'è dei tranelli. Si sospetta che, incominciati i pagamenti, il Governo greco li sospenderebbe a un dato momento, servendosi della sospensione per premere di nuovo su questioni di scuole, o di minoranze, o di chiese. Oppure che, appena il Governo greco avesse sostituito il Governo albanese ai singoli creditori, eleverebbe improvvisi reclami per crediti anteriori

(p. es. somme pagate ad Essad Pascià?) e pretenderebbe conteggiarli in partita avere. Viceversa se gli ex proprietari venissero pagati coi buoni, questi, scontato il caJlo deU'8 o del lO% che subiscono sul mercato dei valori, rappresenterebbero l'intera somma dovuta e sarebbero realizzabili anche in breve tempo; evitandosi infine dagli albanesi il pericolo, se entro i cinque anni la dracma avesse a subire qualche infortunio, di perdere effettivamente un'altra porzione dell'indennità.

La ragione, poi, più convincente e più atta ad essere esposta ai greci, per cui il Governo albanese desidera che i suoi siano pagati interamente e subito coi buoni, piuttosto che in cinque anni con valuta sta in ciò, che i più di Questi disgraziati ex proprietari, già facoltosi, ma privati da anni dei loro beni e dei redditi si sono indebitati fino all'osso, e in molti casi, le singole annualità dell'indennità basterebbero appena a pagare gli interessi dei debiti, che, in questo paese, raggiungono facilmente il 20 ed il 30 % : sicché, dopo cinque anni si troverebbero aver consumato l'indennità e conservati i debiti. Invece la somma paga,ta in una sola volta, se pure in obbligazioni, permetterebbe loro di soddisfare gli uomini.

Non mi dilungo sugli altri argomenti politici o morali che può sviluppare il nostro MinJistrç> ad Atene, o gli aLtri che V. E. stimasse del caso, perché meglio e più ampiamente noti costì che qui.

Ripeto quanto dissi a Hussein Vrioni: nessun passo, che sarebbe imprudente perché forse di poco effetto; ma qualche opportuno e discreto discorso tenuto in occasione opportuna •.

Così lill).itata la portata dell'aiuto che ci si richiede, ritengo che la S. V. possa darvi corso nella maniera che riterrà più conveniente e più discreta. Ella potrà, per es., addurre a pretesto che Enti e privati italiani creditori a più riprese hanno richiamato la attenzione del R. Governo sUil :liatto che privati albanesi debitori si prevalgano della mancata liquidazione delle indennità dovute dal Governo greco per giustificare l'inadempienza delle loro obbligazioni. Un siffatto pretesto Le offrirebbe la maniera di sentire anche • la campana greca • sulla questione delle indennità agli espropriati e, eventtualmente,

ove questa non fosse molto stonata a confronto della • campana albanese •, di spendere qualche cauta parola in senso conciiliativo. La avverto ad ogni buon fine che occorre evitare a codesto Governo l'impressione che vogliamo far da pacieri e da intermediari fra i due Paesi, tanto più che questo, mentre non ci è ancora richiesto da Tirana, non riuscirebbe gradito ad Atene per comprensibili ragioni riferentisi al<la particolarità della nostra posizione in Albania, né in fondo ci spiace che cualche • rogna • vi sia ancora nei rapporti fra Albania e Grecia. A noi può interessare di entrare nella faccenda per quel

poco che consenta poi al R. Ministro a Tirana di attribuire all'efficacia del nostro patrocinio quella qualsiasi soluzione a cui presto o tardi i due Governi interessati fossero per arrivare.

(l) Si pubblica qui un passo del telespr. 2666/1176, Tirana 4 novembre 1931, nel quale Soragna esprimeva il suo parere circa la condotta da tenere nei confronti della chiesa ortodossa albanese, che il metropolita ortodosso di Sofia, mons. Stefan, avrebbe desiderato rafforzare.

72

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

T. 1228/176. Roma, 16 novembre 1931, ore 24.

Prego V. S. darmi qualche notizia telegrafica sul corso Sue pratiche per rinnovo Patto amicizia dei cui termini si approssima scadenza.

73

L'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 3703/573. Addis Abeba, 17 novembre 1931, ore 19 (per. ore 4,30 del 18).

Telegramma questa legazione 520 in data 19 ottobre.

Circa viaggio ministro degli Stati Uniti America nell'ovest etiopico credo Qpportuno informare che sembra esso, lungi aver scopo turistico, si riallacci invece a un concreto programma di espansione americana nella regione di Caffa e del Gimma. Esiste a tale riguardo, e ne ho conferma da monsignor Barlassina, un programma redatto dal dottor Lambie (capo delle opere missionarie protestanti americane in Etiopia) sul quale mi riservo riferire. Americani avrebbero fissato loro preferenza in quelle regioni avendo constatato che esse costituiscono ila parte più ricca e interessante dell'Etiopia.

È certo che da uualche tempo si nota un crescente interesse per quella zona anche da parte dell'Imperatore e ricordo a tale proposito la iniziata costruzione della strada camionabile da Addis Abeba al Gimma (telegramma

n. 503), la proposta dell'Imperatore alla Consolata di cui a mio telegramma seguente; nonché l'annunzio venuto prematuramente di un prossimo viaggio dell'Imperatore nel Caffa e Gimma. Questi sintomi, trattandosi di una regione che è stata finora campo esclusivo della nostra azione e del nostro sforzo (basti ricordare i nomi di Bottego, Massaia, Chiarini, Cecchi ed altri) meritano la più grande attenzione da parte nostra, giacché si delinea indubbiamente l'azione di nuovi fattori potentemente attrezzati che possono costituire grave pregiu

dizio ai nostri interessi e debbono indurci a favorir-e e potenziare nostre iniziative in quel paese. Ho pregato monsignor Barlassina di fornire a questa le·gazione una relazione confidenziale sull'argoment~ al ritorno dal suo viaggio.

74

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI

T. u. 3724/183. Tirana, 18 novembre 1931, ore 20,15 (per. ore 4,25 del 19).

Suo telegramma N. 176 (1).

Dopo due settimane di pressioni e trattative, nel corso deHe quali io e Pariani abbiamo messo in opera ogni utile argomento, stamane ho avuto col Re conversazione che gli ho detto essere definitiva. Gli ho esplicato lungamente la necessità per lui di rinnovare il (patto), l'ho messo di fronte alla promessa data; gli ho fatto sentire che il suo sottrarsi avrebbe offeso il Duce e distrutto la fiducia che Egli fin qui aveva riposta in lui.

Tutto è stato inutile.

Re Zog non nega di aver promesso a me e a Pariani il rinnovo del Patto, ma si è mostrato sicuro che il Capo del Governo avrebbe compreso che non è dignitoso per lui Re Zog di rinnovare un Patto unilaterale e che l'opinione pubblica albanese ne sarebbe rimasta con ciò offesa, con danno dell'alleanza; quindi egli era sicuro che Mussolini lo avrebbe capito e approvato. Ha aggiunto anche altri argomenti assolutamente privi di serietà.

Si dichiarò disposto rinnovare Patto mutandone articolo l" da unilaterale in bilaterale.

Ho respinto la sua proposta senza ammettere altra discussione, avendogli del resto già i giorni scorsi ripetutamente spiegato impossibilità di accedere ad una simile proposta.

Congedandomi gli ho detto che non ero in grado di prevedere quali conseguenze pratiche immediate avrebbe potuto avere il suo contegno per la ragione che nessuno a Roma aveva preso in considerazione il caso che egli mancasse alla sua parola d'onore. In ogni modo io declinavo ogni responsabilità in proposito.

Mezz'ora dopo uscito dal Re Abdurraman Pvesidente della Corte de1i Conti mi mandò a dire che egli avrebbe continuato le sue personali insistenze e mi assicurava eventuale azione condurre Re Zog al rinnovo. Anche Sereggi indirettamente e Libohova continuano ritenere che S. M. capitolerà all'ultimo momento.

Sebbene io sia certo di aver interpretato il pensiero di V. E. rifiutando assolutamente di rifare il Patto estendendo anche all'Italia la garanzia dello statu quo, tuttavia prego V. E. telegrafarmi d'urgenza conferma.

Dopo conversazioni di questi giorni e H modo stupefacente con cui Re Zog si è rimangiato la parola data a me ed a Pariani tre mesi fa, senzn neppure negare di aver preso allora gesuitico impegno, io credo che il Re rinnoverà il Patto soltanto se lo prenderà una grande paura. Egli è ormai persuaso che egli può tutto permettersi e tutto ottenere perché il Duce non può far senza di lui e l'Albania pei propri piani milital'i. Egli è sicuro che il nostro Governo manderà giù questo e ben altro ,in avvenire, per amore delle tre Divisioni Albanesi e dei molti milioni... (l) Sua Maestà che si crede grandissimo in cose miilitari e perciò ritengo che nessuna delle mie pressioni è stata capace di levargli di testa la persuasione che egli poteva benissimo non rinnovare il Patto e che il mio odierno strepitare non avrebbe impedito che dopo tutto le nostre carte continuassero ad essere puntate su di lui e sul suo esercito come prima.

Farò seguire poi più ampio rapporto. È superfluo aggiungere che un telegramma urgente e molto preciso a tale proposito sarebbe rilevato avere daJl canto suo qualche effetto.

Avanzo preghiera mandarmi almeno breve telegramma cui arrivo verrà tosto segnalato al Re e mi darà occasione di rinnovare attacco facendogli sapere che il R. Go,verno approva mia intransigenza.

(l) Cfr. n. 72.

75

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. CONF. 3711/11. Washington, 18 novembre 1931, ore 8,08 (per. ore 5 del 19).

Seconda intervista Casa Bianca con Presidente Hoover durata due ore e mezzo. In attesa di riferire ampiamente (2) desidero informarti subito che conversazione ha rivestito per ampiezza di argomenti e franchezza di discussioni maggior interesse di (lUanto era possibile prevedere. Hoover ha tenuto a ripetermi sua grande simpatia e fiducia per [politica] da te condotta per ricostruzione finanziaria economica dell'Italia. Tue previsioni che mia visita avrebbe avuto successo maggiore delle altre visite precedenti sono pienamente confermate. Non solo ,posizione diplomatica dell'Italia ne ha guadagnato ma in primo luogo prestigio del Fascismo e grande autorità politica del suo Capo. Non esito dichiarare che se le cose continuano come sono cominciate, questa settimana italiana è destinata liquidare definitivamente non solo residuo attività gruppo fuorusciti ma anche guadagnare quella parte opinione pubblica americana che appariva riservata circa Regime. Unanimità tono simpatico stampa è di ciò prova migliore.

(l) -Gruppi indecifrati. (2) -Cfr. n. 100.
76

IL DIRETTORE GENERALE PER GLI ITALIANI ALL'ESTERO, PARINI, AL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GHIGI

L. Roma, 19 novembre 1931.

Per dare modo a S. E. il Ministro di appoggiar.e sempre più presso il Capo la famosa richiesta dei 12 milioni ho preparato Questo • grido di allarme • che ti mando.

ALLEGATO.

PROMEMORIA DI PARINI PER GRANDI

N. 1803 s. P. Roma, 19 novembre 1931.

In relazione alle precedenti segnalazioni mi permetto attirare l'attenzione dell'E. V. sùlla peculiare situazione dei capitoli di bilancio attinenti alla difesa ed alla propaganda dell'Italianità all'estero, nonché alla assistenza dei nostri connazionali emigrati oltre confine, capitoli che -come è già noto all'E. V. -hanno sempre presentato un sensibile supero di spese in confronto ai rispettivi stanziamenti.

La ragione di tale differenza tra uscita ed entrata, risiede essenzialmente nel fatto che alle predette categorie di spese si è dovuto, sino ad oggi, provvedere non con regolari e congrue assegnazioni annue di bilancio, bensì con mezzi di fortuna o con stanziamenti di carattere eccezionale, intesi [più] a sanare il disavanzo di trascorse gestioni, che non ad assicurare la necessaria continuità nell'azione statale di difesa e di ricupero delle nostre collettività all'estero.

Si deve, pertanto, affrontare e risolvere, una volta per sempre, il problema dei mezzi necessari per controbattere l'opera di snazionalizzazione che i vari Paesi conducono -con un crescendo impressionante -ai danni dei nuclei italiani d'oltre confine.

È urgente anche contrastare una violenta e organizzata ripresa dell'attività dei fuorusciti e dei comitati antifascisti intesa ad avvelenare le masse di nostri connazionali.

A tale proposito però non mi resta che richiamare qui gli esaurienti pro

memoria che, tanto la Direzione Generale degli Italiani all'Estero, quanto l'Ufficio

Amministrativo (nell'ambito delle rispettive competenze) hanno avuto l'onore di

presentare a V. E. nel gennaio, aprile, maggio, ottobre 1930 e nel febbraio, marzo,

agosto 1931 nell'intento sia di denunciare la rilevante eccedenza d'impegni dovuti

assumere allo scoperto sui capitoli su ricordati, sia di far presente l'urgente

necessità di promuovere opportuni provvedimenti che permettessero di risolvere

una situazione che minacciava -come minaccia -di diventare ognor più grave

e precaria.

È da rilevare, tuttavia, come gli sforzi sinora compiuti per far rientrare nella

normalità, la gestione dei capitoli in parola, si siano di fatto esauriti nella ricerca

e nell'adozione di rimedi ed espedienti di transitoria efficacia, mentre è rimasto

ancora insoluto il problema che più ne affatica e preoccupa. Detto pcroblema può

ormai essere riassunto nel seguente dilemma: o assicurare ai servizi dell'Italia

nità all'estero propri e continui e cospicui cespiti di entrata, o abbandonare del

tutto i servizi stessi (in quanto essi non sono suscettibili di ulteriori limitazioni

e riduzioni) sconfessando, così, pienamente le ragioni ideali che ne determinarono

la creazione e gli sviluppi.

L'E. V., nella Sua alta ed illuminata saggezza, vorrà giudicare quale via convenga seguire valutando le ripercussioni connesse tanto all'una quanto all'altra soluzione (l).

77

IL MINISTRO AD ATENE, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Archivio Grandi, copia)

R. RR. 7408/970. Atene, 19 novembre 1931.

Come ho informato V. E. col mio telegramma N. 145 in data di oggi, il signor Venizelos, pronunciando ieri alla Camera un lungo discorso su tutta l'opera del Governo, si è intrattenuto abbastanza a lungo su una questione che ha nei riguardi della politica interna, come in quelli della politica estera ellenica, una grande importanza. Mi riferisco all'irredentismo greco che il binomio Cipro-Dodecanneso caratterizza e definisce e che gli avvenimenti del mese scorso in Cipro hanno -com'era stato facilmente previsto -considerevolmente rafforzato.

Anziché addentrarmi nella materia -il che in sostanza non sarebbe che un I'icapitolare di precedenti rapporti (2) che già ritennero l'attenzione di

V. E. -ritengo opportuno limitarmi ad un breve cenno sull'influenza che tale irredentismo è venuto ad acquistare nel Pa·ese e sulle cause di essa, anche perché possa essere più facilmtmte compresa e spiegata la ragione che può aver consigliato il signor Venizelos a fare dalla tribuna parlamentare dichiara~ioni dell'importanza di quelle che ho avuto l'onore di segnalare.

È un fatto, starei per dire storico, che J.'attaccamento per il loro Paese dei greci avulsi in qualche modo dal territorio ellenico, è molto superiore a quello di cui danno prova coloro che ne fanno parte, ma è altrettanto sicuro che questi si volgono verso i primi con attenzione ed affetto particolare, come se li considerassero vittime di un triste destino che la solidarietà ellenistica deve poter addolcire e, se possibile, mutare.

C'è dunque in ogni greco un irredentista in potenza ed è forse per questo che è nata in Grecia e qui ha avuto esecuzione l'idea dello scambio delle popolazioni. Di questo stato d'animo va tenuto conto per giudicare le agitazioni

irredentiste che negli ultimi due anni -soprattutto sotto l'incentivo della celebrazione del primo centenario dell'indipendenza ellenica -sono aumentate di numero e d'intensità e che hanno culminato nella rivolta di Cipro e nella generale emozione ellenica per la sorte dei greci soggetti a Paesi stranieri.

Le questioni di Cipro e del Dodecanneso non hanno mai cessato di esistere in Grecia anche se il Governo mostrava ufficialmente d'ignorarle e tanto più anzi la stampa di ogni partito e tendenza tendeva a rilevarle, anche con pubblicazioni molto spesso insensate e bugiarde, quanto maggiore appariva la volontà del governo di non farsi strumento degli agitatori irredentisti. Fu per questa ragione e per l'altra, non essere cioè le ripetizioni sempre giovevoli in diplomazia, che per lungo tempo mi astenni dal chiedere ail governo di rifare dichiarazioni precise sulla questione dodecannesina e d'intervenire decisamente contro i capi dell'agitazione, i quali, non così screditati come poteva sembrare, godevano già di molte simpatie e sarebbero apparsi eroi nazionali se il governo, dietro mia richiesta, li avesse fatti oggetto di persecuzione.

Per la verità debbo qui riconfermare quanto già ebbi occasione di riferire a V. E. e cioè che delle due parti di cui si compone l'irredentismo ellenico, quella del Dodecanneso era e restò :la più attivamente agitata e la più sentita, fino a quando i fatti di Cipro non recero convergere sull'altra· parte la commozione generale, spingendo pe-rsonalità di ogni campo e condizione ad uscire dal loro riserbo per diventare i portabandiera dell'irredentismo dell'isola, rafforzando dn tal modo la questione tutta intera.

L'agitazione non fu dii poco conto. Se si pensa quel che rappresenta nella storia e nella finanza della Grecia l'Inghilterra, e si leggono i giornali greci da un mese a questa parte, vien fatto di pensare che la eco delle fucilate di Cipro è riuscita a far tacere per tutto questo tempo le voci del rispetto, della riconoscenza, dell'ammirazione e della devozione che volta a volta i greci avevano sentito risuonare nell'animo loro per il Paese di Byron e di Gladstone, filelleno per tradizione. I risultati che la causa irredentista ne ha ottenuto sono tre ed assai importanti:

l o -la questione dell'aspirazione dell'isola di unirsi alla Grecia è stata imposta all'Inghilterra in due forme che non potevano Jasciare insensibili gli inglesi, quena del plebiscito degli abitanti e quella della sommossa;

2o -una parte della stampa inglese più autorevole e qualche alta personalità britannica si sono dichiarate in principio favorevoli alle aspirazioni cipriote;

3o -la commozione ellenica per i morti ed i fedti d,i Cipro ha fatto sì che il Paese si rivolgesse intero con la maggior simpatia a tutti i greci soggetti di altri Stati ed alle associazioni che ne sostengono le aspirazioni.

Questi sono i motivi che devono aver consigliato il signor Venizelos a tenere in Parlamento un linguaggio molto più sentimentale di quello che la preoccupazione di complicazioni indesiderate gli aveva suggerito nei primi giorni successivi alla rivolta, e meno severo di quello che qualche giorno prima dei fatti di Cipro aveva tenuto con me a proposito degli agitatori filododecannesini.

Le dichiarazioni su Cipro e sul Dodecanneso contenute nel discorso pronunciato ieri dal signor Venizelos sono, nel loro testo tintegra'le, le seguenti:

• L'aspirazione nazionale, che non si spegne mai, dei greci di Cipro, non essendo stata contenuta come conveniva, dagli uomini politici dell'isola nei limiti legali delle manifestazioni, ha portato a degli eccessi che non sono proprio destinati a servire lo scopo prefisso. L'agitazione di Cipro doveva naturalmente trovare una eco molto profonda e molto simpatica nell'anima di tutta la nazione greca. Nessuno avrebbe nulla a ridire a Queste testimonianze di simpatia, dal momento sopratutto che alcuni organi seri della stampa inglese hanno contestato non solamente la sincerità del sentimento etnico degli elleni di Cipro, ma anche la ripercussione che quei sentimenti trovano generalmente nell'anima greca. Purtroppo le manifestazioni di Questa simpatia non si sono confinate nei limiti convenienti. Alcuni organi della stampa ateniese tra i più seri, non solamente non hanno trovato una sola parola di biasimo per gli incendi commessi a Cipro, ma hanno qualificato di delitto degno di essere stigmatizzato la difesa che ogni potere legale ha il diritto di opporre contro un tentativo diretto a rovesciarlo con la violenza. Ogni informazione irresponsabile sugli eccessi attribuiti ai soldati di un popolo, che è pervenuto al più alto grado specialmente della cultura psichica, era raccolta dagli organi seri della stampa greca senza considerare che ciò avrebbe potuto turbare l'amicizia tradizionale tra le due Nazioni.

La mancanza di coscienza della responsabilità che impone l'uso della forza della stampa nelle questioni estere sopratutto, fu in questa occasione letteralmente stupefacente. Se il sano sentimento popolare che ha, durante più di un secolo, considerato l'Inghilterra come un'amica provata e preziosa, fosse meno profondo e se non si fossero impedite le manifestazioni progettate non vi è alcun dubbio che si sarebbero prodotti degli incidenti atti solamente a rallegrare i nemici della Grecia. Io sono obbligato in ogni caso di portare a vostra conoscenza che, secondo una comunicazione del Ministro britannico in Atene, il Ministro degli Affari Esteri Sir John Simon avrebbe giudicato necessario di procedere ad una protesta ufficiale molto energica per la campagna calunniosa ed ostile intrapresa dalla stampa ateniese contro le truppe inglesi e la polizia a Cipro, se l'attitudine seguita dal mio Governo fosse stata meno vigorosa.

'

Colgo ad ogni modo questa occasione per dichiaral'e in forma più ufficiale quali sono le concezioni del governo attuale circa le rivendicazioni nazionali dei ciprioti nonché dei dodecannesini. Benché l'eco che trovano nell'anima greca le aspirazioni nazionali dei greci abitanti in quelle isole sia profonda, è impossibile allo Stato ellenico di sostenere la loro realizzazione o di tollerare che il suo suolo venga utilizzato per organizzare una reazione sistematica contro la tranquillità delle isole in questione.

Intel'essi vita!li, molto vitali de11a Grecia le impongono di conservare rapporti d'imperturbabile amicizia con la Gran Bretagna e con la Grande Potenza Mediterranea nostra vicina. Questa amicizia sarebbe fatalmente scossa se lo Stato ellenico fomentasse o favorisse le aspirazioni nazionali degli abitanti di quelle isole. Noi abbiamo anche il diritto di chiedere ai loro abitanti di razza greca di mostrarsi meno egoisti. Essi debbono convincersi che cercando di turbare i rapporti amichevoli e armoniosi della Grecia con la Gran Bretagna e l'Italia nella speranza insensata di favorire così la realizzazione del

loro ideale nazionale, essi non faranno avanzare di un solo passo la loro causa ma potrebbero invece attirare' delle disgrazie sulla Grecia con la quale essi cercano di accomunare le loro sorti.

Ho il dovere, indirizzandomi agli elleni abitanti delle isole di dichiarar loro quanto segue: Sino a quando le grandi Potenze alla sovranità delle quali essi sono oggi sottomessi, stimeranno che i loro interessi essenziali impongono loro di mantenere la propria sovranità su di esse, nessuna forza potrà scuoterla. Soltanto nel caso in cui l'Inghilterra si persuadesse che Cipro non le è di alcuna utilità o che l'utilità che essa può avere potrebbe assicurarsela conservando una parte dell'isola, è solamente in questo caso che vi sarebbe probabilità di vedere esaudite le aspirazioni nazionali dei ciprioti. Tuttavia con una presu:pposizione aggiunta che i rapporti della popolazione verso la Potenza sovrana ridivengano a tal punto normali che sia impossibile di pensare che quest'ultima abbia ceduto alla violenza.

Per ciò che concerne H Dodecanneso, si può prevedere che due o tre di tali isole, quelle che presentano un interesse particolare per l'Italia, resteranno definitivamente in possesso dell'Italia. Circa le altre, forse non si deve considerare come esclusa per gli interessati la speranza che un giorno esse potranno essere cedute dall'Italia alla Grecia. Ma ciò non sarà possibile se non alla condizione che la stretta amicizia inaugurata negli ultimi anni con l'Italia si consolidi durante un lungo periodo di prova, ed a condizione pure che la Grande Potenza mediterranea giudichi che essa ha un interesse morale a fare questo nobile gesto verso una nazione i cui legami di amicizia si saranno dimostrati durante il corso del tempo infrangibili. Se nell'intervallo inoltre i rapporti degli abitanti delle isole con la potenza sovrana saranno così buoni che questo gesto non possa essere considerato come strappato dalla loro attitudine.

Ecco signori Deputati ciò che ho creduto dovervi dire alla Camera sulle questioni più importanti che sono sorte dopo la chiusura della sua ultima sessione •.

Quando il Presidente del Consiglio, fra gli applausi dell'assemblea ritornava al suo posto, un Deputato lo ha avvicinato dicendogli: • Ma lei ha delle buone notizie! Noi abbiamo dunque qualche indizio che potremmo acquistare Cipro e il Dodecanneso! •. Il signor Venizelos ha creduto allora necessario ritornare alla tribuna e fare la seguente dichiarazione:

• Scendendo dalla tribuna uno dei miei colleghi, seduto alla sinistra, mi ha avvicinato e mi ha detto: 'Ma lei ha de11e buone notizie! Noi abbiamo dunque qualche indizio che potremmo acquistare Cipro e il Dodecanneso'.

Ebbene questa osservazione mi fa risalire alla tribuna per dichiarare che io non ho nessun indizio, nè dalla parte del Governo britannico, nè dalla parte del Governo italiano, circa le loro intenzioni. Vi ricordate d'altra parte con quale circospezione io ho parlato dell'Italia. Per la questione cipriota io posso dire che le mie speranze hanno un po' più di fondamento (applausi). Non che io abbia dalla parte del governo attuale britannico qualche indizio sulle sue intenzioni, ma perché mi è accaduto di dirigere molto sovente gli affari della Grecia durante gli ultimi venti anni e che perciò ho avuto l'occasione di sapere che l'Inghilterra ha acconsentito a offrire Cipro alla Grecia non solamente nel 1915 alla condizione dell'adempimento delle nostre obbligazioni d'alleanza verso la Serbia, ma ancora precedentemente quando alcuni Ministri del GoV'erno britannico parlando, non cevto 1n nome del Ministro degli Affari Esteri, ma in nome del Primo Ministro di allora, mi hanno dichiarato che il Governo britannico era disposto a cedere Cipro alla Grecia a certe condizioni che io non posso, in questo momento, rendere pubbliche ma che io posso affermare alla Camera che non contengono alcun rischio di guerra per la Grecia.

È per questo e anche perché ad un'epoca ulteriore, al tempo dei negoziati della pace, ho avuto •l'occasione di discutere a più riprese queste questioni con [ circoli competenti britannici, che ho dei motivi di credere che l'idea della cessione di Cipro alla Grecia non è un'idea da escludersi per l'avvenire. Beninteso se la Gran Bretagna considera la questione chiusa, la questione è, a mio avviso, chiusa •.

Il Signor Zavitzianos (Capo del Partito Progressista) osserva: • Nessuna questione in questo mondo si chiude mai, signor Presidente, tutte le questioni rimangono pendenti •.

Il signor Venizelos così continua il suo discorso:

• Se, ripeto, l'Inghilterra persiste a considerare la questione come chiusa questa è chiusa. Ma da parte mia ho stimato che nel momento in cui mi rivolgevo ai greci di Cipro per parlar loro con una sincerità assoluta e forse con qualche rudezza, avevo anche il diritto di aggiungere che non credevo che la questione dell'esaudimento delle aspirazioni cipriote era definitivamente chiusa.

Ma io sono cevto di una cosa, cioè che la violenta sollevazione di Cipro non può servire realmente all'esaudimento delle aspirazioni nazionali del popolo cipriota. Sono sicuro di un'altra cosa: che dal momento che un nobile gesto, che noi speriamo che il Governo britannico possa fare un giorno, potrebbe essere interpretato come il risultato di una pressione, noi non potremmo mai aspettare questo gesto •.

Da esso è risuitato anche più chiaramente essere non del tutto ingiustificato il suo ottimismo per Cipro e si è riconfermata al contrario la fermezza italiana che non gli dava adito ad un simile sentimento nei riguardi del Dodecanneso.

Esaminando quello che il signor Venizelos ha detto con tanta chiarezza risulta che tutta la questione irredentista è posta oramai su queste basi:

-La Grecia non ha alcun diritto da reclamare nè dall'Italia nè dall'Inghilterra e il Governo non tollererà che nel Paese si svolgano azioni capaci di turbare i rapporti di amicizia fra I'Ellade e quelle due Potenze.

-Soltanto se l'Italia e l'Inghilterra vorranno compiere un nobile gesto, le isole ad esse appartenenti potranno diventare greche.

-La Grecia offre all'Inghilterra di mantenere in suo possesso una parte dell'isola e si mostra pronta ad accogliere quelle condizioni che l'Inghilterra stabilisse per la cessione di Cipro.

-La Grecia riconoscendo il grande interesse italiano a possedere alcune isole dell'Egeo, spera che per le altre l'Italia voglia fare in avvenire un gesto generoso cedendole alla Grecia in cambio di una amicizia infrangibile.

In sostanza il signor Venizelos sembra vogHa servirsi di qualche isola del Dodecanneso per discutere con l'Italia le basi di un'amicizia infrangibile. L'aggettivo adoperato, le ripetizioni marcatissime della parola amicizia nei nostri confronti e le reiterate accentuazioni del concetto che tale amicizia la Grecia deve consolidare sempre più nel tempo, potrebbero essere segni non trascurabili di un orientamento un poco più preciso della politica estera ellenica.

A che cosa mira il signor Venizelos stabilendo con molta chiarezza per la prima volta una relazione diretta fra gli sviluppi dell'amicizia verso l'Italia e il possesso di alcune isole del Dodecanneso?

Ha voluto il signor Venizelos lanciare soltanto un ballon d'essai od ha invece ritenuto che il momento fos~e arrivato di offrire all'Italia qualcosa di realmente utile e di più convincente, ricevendone in cambio qualcosa che appaghi l'opinione pubblica ellenica? Pensa forse il signor Venizelos che una concessione italiana gli permetterebbe di giustificare un più stretto legame ed una utile collaborazione con l'Italia, abbandonando la politica seguita finora di sedersi su tre sedie? Avranno potuto influire in qualche modo su di lui 1e notizie che arrivano da Washington a rilevare il successo della tesi Mussolini ed a sottolineare· maggiormente lo scacco francese?

Venizelos mi ha sempre detto che la sua volontà di consolidare l'amicizia con l'Italia è ferma e sincera. Durante la sua visita a Roma non gli è stata data l'impressione che l'Italia abbia bisogno di lui e del suo Paese, ma egli sa benissimo che una amicizia infrangibile di questo, cioè stabilita su basi solidissime potrebbe essere un apporto considerevole che nel Mediterraneo sposterebbe sensibilmente a nostro favore la situazione, e pertanto non è da escludere che in Questo momento, vedendo la politica italiana di isolamento della Francia affermarsi con successo, egli ritenga opportuna l'iniziativa di offrire una possibilità di discussione adoperando un argomento che gli servirebbe sia a giustificare all'estero una più stretta amicizia con l'Italia, sia a disarmare in Grecia gli avversari di una tale politica, sollevando l'entusiasmo popolare.

Mi ritorna alla memoria una frase che durante la visita ad Atene dei Ministri turchi, apparve nell'ufficiosissimo Ethnos la Quale suonava presso a poco nella maniera seguente: • Salutiamo gli ospiti turchi con sincera amicizia perché le nostre lotte sono fi~ite e le nostre divergenze risolte. I sentimenti che ci legano oramai alla Turchia sono caldi e fraterni, non altrettanto lo sono quelli verso l'Italia perché fino a quando questa occuperà il Dodecanneso, il popolo ellenico non potrà sentire per lei quella amicizia sincera e spontanea che gli accordi scritti non bastano a stabilire •.

Di questa frase va tenuto conto perché essa per quanto si riferisce all'Italia esprime uno stato d'animo assai diffuso del quale ho avuto più volte occasione di accertarmi nel corso di private conversazioni con persone del mondo intellettuale, politico o affaristico, non meno che con altre di più modesta condizione. Su questo stato d'animo hanno fatto finora assegnamento quei Paesi stranieri e quei gruppi politici antivenize1isti che non hanno interesse al rafforzamento dell'amicizia italo-ellenica. Taluni commenti di giornali francesi alla visita del signor Venizelos a Roma ed alla • Settimana Italiana • qui svoltasi nel maggio scorso, provano che anche in certi ambienti responsabili francesi la questione dodecannesina viene considerata come il solo impedimento a quella stretta collaborazione italo-greca che a Parigi non si vuole e che a Belgrado si teme.

Realizzato l'accordo greco-turco, incamminate sulla buona via le conversazioni greco-bulgare, non difficili a risolversi le questioni greco-albanesi, la situazione del suolo balcanico si avvicina ad una stabilizzazione che appare a taluni, forse più di quanto non sia, favorevole all'Italia e nell~ quale la Turchia cerca di affermare un prestigio che non le compete e che non sarebbe in grado di esercitare specialmente nei confronti delle forze che agiscono, secondo le direttive francesi, in senso panbalcanico.

In tali condizioni l'Italia sembra chiamata a realizzare, profittando della circostanza più favorevole per assicurarsi garanzie sicure e maggiore libertà di azione su auel mare dove l'Inghilterra si appresta forse a rinunciare ad un pegno del resto alquanto svalutato e dove invece si riconosce ancora una volta al nostro Paese il diritto, starei per dire il dovere, di mantenervisi con la sua forza ed il suo prestigio; i,l signor Venizelos pensa -a quanto pare di trovare le basi di un accordo che al tempo della visita di Angora gli era sembrato pericoloso forse perché non gli offriva una contropartita tangibile ed immediata.

Vi sono, è vero, altre interpretazioni meno ottimiste da dare alle dichiarazioni del Capo del Governo greco, ma sarebbe egli così ingenuo da ritenere di poter offrire un pugno di mosche all'Italia di oggi?

La grande ammirazione e la stima sincera che egli nutre per il Capo del nostro Governo, la sicura comprensione della nostra azione politica, fanno credere piuttosto ad un suo veale desiderio di stabilire una collaborazione attiva con l'Italia su una base che trovi fondamento sicuro e durevole nel sentimento del popolo ellenico. Se come sarebbe da ritenere, egli avesse anche altre ragioni non dichiarate alla tribuna parlamentare, per essere condotto a sperare bene circa le aspirazioni di Cipro, bisognerebbe tener conto del fatto che concessa prima o poi l'isola di Cipro alla Grecia, l'irredentismo ellenico non avrebbe più che un solo nome e un solo obiettivo, l'Italia e il Dodecanneso, e che la nostra situazione in Grecia ne riceverebbe un contraccolpo sensibile.

Tali considerazioni rendono sommamente interessanti le dichiarazioni del

signor Venizelos e le deliberazioni che Londra crederà di prendere per quanto

la riguarda.

Da parte nostra ritengo necessaria una presa di posizione che equivalga

ad una chiara e franca risposta all'appello del Presidente ellenico (1).

(l) -Insieme al promemoria pubblicato nel testo, Parini fece avere in pari data a Grandi, sempre tramite Ghigi, una lettera riservata in cui ribadiva la stessa richiesta. (2) -Sull'irredentismo greco nel Dodecaneso ed a Cipro Bastianini aveva riferito di recente con telespr. rr. 6826/880 del 17 ottobre, con altro telespr. rr. 6909/890 del 22 ottobre e ancora con altro telespr. r. 6912/893 del 25 ottobre, che non si pubblicano.

(l) Con l.p 20 novembre Bastianini ripeté a Indelli quanto detto nel doc. pubblicato. Cfr. sullo stesso argomento altre due l.p. a Indel!i del 18 e del 26 novembre 1931 (ASM...o\E).

78

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

T. uu. 1259/178. Roma, 20 novembre 1931, ore 20.

Suo telegramma 183 (1).

Confermo V. S. inammissibilità della proposta di bilateralità del patto di amicizia. Dica al Re Zog che mi attendo da lui il mantenimento dell'impegno preso.* Senza ulteriori tergiversazioni e proposte che rasentano ridicolo per lui e per tutti * (2).

79

IL MAGGIORE RENZETTI A... (3)

(ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Hitler 442/R; ed. in CoLLIER, op. cit., pp. 382-383)

Berlino, 20 novembre 1931.

Ho comunicato oggi a Hitler l'opinione del Duce sul pericolo che correrebbe il nazionalsocialismo se si legasse mani e piedi al centro per formare un gabinetto di coalizione. Hitler mi ha pregato di assicurare S. E. il Capo del Governo che terrà sommo conto del Suo avvertimento e che non procederà ad accordi senza prima essersi assicurato di poter effettivamente comandare. Non farà neppure procedere ad accordi nei vari Li:inder finché non sarà stata risolta la questione centrale.

Le trattative con i rappresentanti dei vari gruppi continuano e sono a buon punto: anche il partito economico che poche settimane fa ha votato a favore di Briining si sta schierando pro Hitler. Non è da attendersi però prestissimo un mutamento di governo.

Continuano gli screzi fra i Nazi e gli altri gruppi della destra. Per tentare di eliminarli, almeno in parte, riunirò a casa mia venerdì 27 i rappresentanti dei gruppi stessi.

Io vorrei giungere a far fondere il partito tedesco-nazionale in quello

nazionalsocialista e a far diventare gli Elmetti la milizia del partito di Hitler.

Pur sapendo che ostana a ciò difficoltà non lievi, non dispero di riuscire.

Hitler è felicissimo di poter venire a Roma a rendere omaggio al Duce,

di essere considerato ospite del Partito fascista. Esso potrebbe partire la sera

del giorno 11 dicembre da Monaco per giungere a Roma nel pomeriggio del giorno 12. Verrebbe accompagnato dal sottoscritto, da Goring, dal segretario Hess e da un funzionario del partito. La permanenza sua a Roma sarà breve data la situazione tedesca e le trattative che q_ui si conducono (1).

Alla visita di Hitler seguiranno le visite, a scopo di studio, di parlamentari, capi degli S. A. capi delle organizzazioni giovanili ecc. Con Hitler ho infine progettato dei viaggi studio da compiersi da comitive formate dai migliori membri del partito, -capi e gregari -, in Italia, non solo per osservare le realizzazioni del Fascismo, ma anche per fare affiatare nazionalsocialisti e fascisti.

Hitler mi ha detto di aver saputo con rincrescimento la notizia della costituzione a Monaco, auspice il R. Console Generale, di una società italotedesca a capo della quale è un noto capo della massoneria, il signor Zentz, nemico del nazionalsocialismo. Mi ha detto che il suo partito costituisce la miglior società italo-tedesca.

Gli ho risposto che quelle associazioni possono espletare qualche funzione utile in particolari campi ed occasioni e che certamente nel fondarlle non si era avuta l'intenzione di compiere una azione politica.

A proposito di tali società è mio parere che, data la situazione tedesca, non si prenda posizione. Monaco intanto non ha che una ben lieve influenza nella vita tedesca: la leggenda che quella città sia il centro importante, vitale, della Germania deve venire sfatata. Monaco è sì la capitale della Baviera ma è anche una città come tante altre in Germania e null'altro che questo. Hitler vi ha fondato il partito, è vero, ma la direzione si sposterà a Berlino presto: del resto Hitler per condurre le trattative viene qui spessissimo ormai.

Noi, a mio modesto parere, dobbiamo solo osservare le società italotedesche che si costituiscono senza prendere parte alla loro formazione. Dette società risentono dell'ambiente e noi non dobbiamo acquistarci an-tipatie ed inimicizie favorendo l'una o l'altra, secondando le aspirazioni e non di rado le ambizioni o gli interessi di uomini e di gruppi. Noi dobbiamo solo sfruttare tali sodalizi, con il dovuto tatto.

La società di Berlino * presieduta dal Sontag *, non è benvista negli ambienti di destra tanto che un'altra se ne sta costituendo. È saggio rimanere fuori da entrambe per ora, pur esternando loro, con le dovute riserve, simpatia ed attendendo che esse o quella che rimarrà, compia davvero opera utile per il nostro Paese. Tale condotta, a mio modesto giudizio è quella che sopratutto conviene alle nostre autorità. D'altra parte per ora almeno, non vi è di positivo ben poco o nulla da attendersi da q_uesti piccoli gruppi tra cui non vi sono che personalità di secondo o terzo ordine, dotate di pochissima influenza.

(DB, II, n. 304). Il 4 dicembre successivo Graham riferiva che Mussolini era sicuro che Hitler sarebbe andato al potere la prossima primavera o estate; che Hitler gli aveva chiesto di poter venire a Roma ma che egli aveva rifiutato (ibid., n. 305).

L'ambiente tedesco è tutt'altro che facile e tutt'altro che semplice e bisogna conoscerlo bene per non lasciarsi influenzare e non fare poi il gioco degli interessati!

(l) -Cfr. n. 74 (2) -Il passo fra asterischi è stato aggiunto da Mussolini. (3) -Il documento è indirizzato con ogni probabilità alla Segreteria particolare del Capo del Governo.

(l) Allegato al doc. si conserva il seguente appunto della Segreteria particolare del Capo del Governo: • Fargli sapere subito a mezzo Esteri che è meglio che H. [itler] rimandi la sua venuta in Italia •. Un altro appunto dice: • provveduto. 27 novembre 1931 •. Sul progettato viaggio di Hitler cfr. quanto disse il 30 novembre il principe d'Assia a Graham

80

PROMEMORIA DEL MAGGIORE RENZETTI PER IL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRIGI

Berlino, 20 novembre 1931.

Oggi durante la colazione alla quale hanno preso parte Hitler ed alcuni membri del suo partito, sono riuscito a portare la conversazione sulla questione -vexata quaestio in verità, -dell'unione doganale austro-tedesca. Hitler confermando così quanto mi aveva dichiarato in passato, ha definito • bestiale • la maniera con cui l'azione è stata concepita e condotta da Briining e da Curtius desiderosi, a suo giudizio, di un successo • nazionale •, da sfruttare a scopi interni. L'unione, a prescindere della sua inopportunità in un momento così delicato, non avrebbe apportato certo benefici ai due Paesi, che si trovano nelle note situazioni: si affila forse una lama riunendone due che non tagliano?

D'altra parte qualora si fosse voluto effettivamente raggiungere l'unione, Germania ed Austria avrebbero dovuto preventivamente assicurarsi <l'appoggio dell'Italia prima e dell'Inghilterra poi. Avendo fatto osservare ad Hitler che l'Italia non rinuncerebbe alla posizione acquistata nei Balcani, esso mi ha risposto che il desiderio italiano era perfettamente giusto e naturale; che la Germania deve disinteressarsi dei Balcani per trovare altrove, soprattutto in Oriente, mercati sui quali compiere la propria opera di penetrazione.

Hitler ha poi avuto aspre parole di rampogna per l'Austria, per la sua politica, per i suoi funzionari. La Germania si è fatta mettere nel sacco anche in occasione della unione doganale, come nel 1914 si fece giocare dall'Austria la quale avrebbe dovuto essere lasciata al proprio destino.

La Germania ha attualmente una serie di seri problemi da risolvere, molto più importanti ed urgenti e· sentiti di quello dell'unione all'Austria alla quale, io ritengo, per lungo tempo non si penserà più. D'altra parte se è vero che teoricamente, ideologicamente, i tedeschi progettano una grande Germania che raccolga tutti coloro che parlano la lingua tedesca in Europa, è anche vero che praticamente esistono forti difficoltà, difficilmente ap'pianabili (dico difficilmente e non impossibilmente per non escludere che una lieve probabilità) di ordine economico, politico, religioso, etico le quali rendono ben difficile la realizzazione di tale progetto.

Sono stato lieto di essere riuscito a far compiere ad Hitl:er le dichiarazioni surriportate alla presenza di vari nazionalsocialisti qualcuno dei quali era ancora imbronciato verso l'Italia per la condotta tenuta da Scialoia all'Aia.

81

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

T. UU. PRECEDENZA ASSOLUTA 1286/180. Roma, 24 novembre 1931, ore 20.

Suo telegramma 184 (1). Vedo che Re Zog continua a giuocare secondo il suo solito salvo a giungere alle opportune resipiscenze all'ultimo minuto. Egli ha inviato a S. M. il Re ed a me telegrammi calorosi per acc,entuare il valore del Trattato di Alleanza nella ricorrenza dell'anniversario della sua stipulazione facendo intendere che vuole il mantenimento dell'amicizia italiana attraverso la sola alleanza. Al telegramma a me diretto non darò risposta se non dopo chiarificata la situazione del rinnovo del Patto di garanzia. Il mio intendimento è che questo rinnovo si consegua senza però farne oggetto di passi che finirebbero con essere oramai contrari alla nostra dignità. È dunque il caso di agire sul Re con operazioni indirette sia mettendo in moto le persone del suo ambiente e sia facendo prevedere con qualche mossa sintomatica quale potrebbe essere il nostro orientamento in caso di mancato rinnovo. Occorre quindi che innanzi tutto il generale Pariani compia da parte sua le dimostrazioni del caso presso il Re per metterlo sull'avviso e far comprendere la inammissibilità di una ulteriore collaborazione sopra un terreno che dhniene infido in seguito al1l'inconcepibile mancamento di parola del Re.

V. S. manderà a chiamare il Ministro della Real Casa od altra persona di Sua scelta per ricordare che non sono mancate le nostre chiare parole allorché firmammo il Patto finanziario; parole che denotavano che non avremmo mai supposto questa inadempienza di fede senza passare al riesame della nostra situazione politica in Albania. Come prima conseguenza di questo riesame potrebbe farsi intravedere l'insabbiamento dei lavori della commissione finanziaria con conseguente ristagno del contributo e forse anche la presa in consegna dei pegni della Svea con l'immissione di una nostra gestione civile nelle dogane albanesi.

Come mossa sintomatica per una minaccia di nuovo orientamento, potrebbe considerarsi quella di un Suo ostentato colloquio con Verlazi ed altri esponenti politici per indurii a considerare anch'essi la gravità del mancamento reale; ciò che si presterebbe a far credere invece che noi prendiamo contatto per creare con essi nuove combinazioni politiche di cui il Re non avrebbe che a temere.

si pubblica qui di seguito il primo capoverso: « Re Zog è rimasto o ha finto rimanere scosso dal contenuto del telegramma di V.E.

N. 178 [cfr. n. 78] del quale ho cercato di fargli rilevare specialmente tono freddo e brusco. Ma ciò non l'ha impedito dal ripetere i soliti appelli a S.E. Mussolini e le altre solite frasi che rivelano soltanto la ferma risoluzione presa di mancare alla parola data e non rinnovare il Patto fidandosi di essere troppo indispensabile al Duce perché questi possa mutare politica a suo riguardo. Mi ha anche esposto idea di mandare al Capo del Governo una lettera a mezzo di qualche alto personaggio per rinnovare espressioni amicizia e fedeltà, ma gli ho consigliato di astenersi perché so che S.E. Mussolini non gradisce surrogati».

Prego V. E. di conformarsi a queste direttive con rapidità tale da farne risentire gli effetti entro le 48 ore che rimangono per la rinnovazione del Patto.

(l) È il t. u. 3778/184, Tirana 23 novembre 1931, ore 19, per. ore 2 del 24, del quale

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IL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRIGI, AL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A LONDRA, MAMELI

L. P. 250741/834. Roma, 25 novembre 1931.

Grazie per la tua lettera personale del 18 corrente (1).

Sono perfettamente d'accordo con te nel ritenere che, se è comprensibile la risposta del Foreign Office circa il Gran Mufti ed il prossimo Congresso islamico a Gerusalemme (2), è meno comprensibile la lamentela, pur fatta in via confidenziale da Rendel circa il nostro atteggiamento per la Palestina, atteggiamento che non è di c costante critica •, ma che tende, per alcune particolari materie, soltanto a tutelare come tu hai giustamente risposto, nostri interessi garantiti dalla Carta del mandato e dallo scambio di note italo-inglesi per la Palestina. Che le nostre argomentazioni abbiano fondamento lo prova fra l'altro il fatto che lo stesso Ufficio politico del Foreign Office ne ha ammesso, almeno parzialmente la giustezza, e che se n'è fatto difensore verso gli Uffici tecnici e verso il Colonia! Office.

Il Governo britannico non può lagnarsi del nostro generale atteggiamento politico nei riguardi dell'azione inglese in Palestina; mai a Londra o a Ginevra abbiamo sollevato difficoltà sostanziali per la politica inglese in Palestina; ma è d'altra parte chiaro che anche per non creare pericolosi precedenti, mai non possiamo silenziosamente assistere ad uno c svuotamento • di fatto del

Gli articoli dei vari giornali locali -di cui trascrivo un succinto elenco -e che furono da me riportati nelle periodiche recensioni della stampa, sono tutti articoli editoriali e dimostrano a luce meridiana come la stampa araba palestinese, tanto cristiana che musulmana, tanto legata al Mufti che a lui contraria, si sia fatta iniziatrice di una vera e propria campagna anti italiana in seguito alla nostra azione coloniale in Libia ed alla esecuzione di Ornar el Mukhtar...

Per troppo lungo tempo, ad onta degli avvertimenti ricevuti, la Potenza Mandataria ha mostrato tollerare l'azione provocatrice del Mufti di Gerusalemme e gli attacchi sistematici della stampa araba contro di noi che hanno servito ad agitare la pubblica opinione e a creare quell'atmosfera di ostilità nella quale si è costantemente svolto il Congresso Islamico dello scorso dicembre. Ed anche adesso, a distanza di quasi un anno, permane negli strati superiori della popolazione araba ed in alcuni centri giornalistici un lievito di passione avverso a noi di çui risente l'attività delle nostre istituzioni scolastiche ed ospedaliere, specialmente delle nostre scuole rurali e dei nostri ospedali della Palestina e di Amman...

Anche la questione della deliberazione del Municipio di Gaza per esaltare la memoria di Omar el Mukhtar attende la sua soluzione. Ed il cartello con il nome del ribelle libico fa ancora bella mostra di sé in una delle vie principali di quella città. Si comprende facilmente come questi funzionari coloniali inglesi abbiano maggiormente a cuore il non urtare i sentimenti delle popolazioni arabe musulmane che il far rispettare il prestigio delle Potenze Mandanti in Palestina».

contenuto del mandato, restando agnostici di fronte a discriminazioni, più o meno velate, nell'eguaglianza economica, che è uno dei principi basilari dei testi dei mandati. Del resto, con quale spirito amichevole verso il Governo britannico noi trattiamo tale questione, è anche provato dal fatto che, in luogo di ricorrere alla sede competente di Ginevra, noi abbiamo pazientemente, malgrado le risposte negative inglesi, continuato ad insistere con Londra. Ma il Governo 'inglese non dovrebbe metterei alla fine con le spalle al muro, cioè nella dura necessità di portare la questione a Ginevra.

Quanto al suscitare da parte nostra, in materia di privilegi consolari qualche difficoltà ai Consoli britannici, si può studiare la cosa; che però a prima vista non mi sembra agevole: non mi pare il caso di farlo verso i Consoli britannici in Italia; e d'altra parte il farlo verso i Consoli britannici nelle nostre Colonie o in Egeo potrebbe avere sfavorevoli conseguenze nel riguardo del trattamento dei RR. Consoli nelle assai più numerose dipendenze britanniche. È da considerarsi anche che la situazione dei RR. Consoli in Palestina è particolare, trattandosi di paese di mandato; e non trova corrispondenza in territori da noi dipendenti. Ad ogni modo, se la risposta che al riguardo il Foreign Office darà all'ultimo memorandum sarà negativa, curerò di far approfondire la cosa dall'Ufficio competente.

lqbal è giunto, e gli saranno usate tutte le possibili cortesie, egli ripartirà da Brindisi il 29, e quindi farà in tempo a partecipare al Congresso di Gerusalemme fissato per il 7 del prossimo mese. La nostra stampa ha avuto direttive di commentare simpaticamente il viaggio in Italia dell'Iqbal, ma di non occuparsi del suo atteggiamento nei riguardi del problema indiano.

(l) -Non si pubblica. (2) -Gran Mufti di Gerusalemme era Hadj Amin El-Husseini. Per gli accenni a questo personaggio e al congresso islamico si pubblicano qui alcuni passi del rapporto 2442/470, Gerusalemme 12 agosto 1932, del console generale Gabrielli. Questi smentiva l'affermazione fatta dal Foreign Office, • e cioè che la stampa araba palestinese si sia limitata a riprodurre notizie anti italiane provenienti dalla stampa di altri paesi, non corrisponde assolutamente alla verità.
83

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. u. 3809/185. Timna, 26 novembre 1931, ore 0,45 (per. ore 12).

Telegramma di V. E. n. 1286 (1).

Ho attuato durante giornata istruzioni di V. E. completando e accentuando

passi già in corso, secondo quanto prescrittomi. Ma ogni pressione si è urtata contro una specie di negativa fatalistica del Re di cui i familiari stessi non sanno rendersi conto.

Pariani, che stamane ho spedito nuovamente dal Re Zog, mi riferisce di avergli significato precisamente quanto a lui aveva già detto gli scorsi giorni, e cioè che la propria permanenza diventava impossibile in caso di non rinnovazione del Patto aggiungendo che tale decisione era ormai sancita

da ordini superiori, spiegò anche la propria partenza avrebbe significato per forza una revisione degli indirizzi militari italiani in Albania, colle conseguenze poltiche e economiche del caso.

Re Zog, sebbene turbato, sostenne il colpo e non esitò a dichiarare che la cosa gli rincresceva ma che se Pariani parte, partisse. Sicché Pariani, il quale è molto amareggiato per questo contegno, è da oggi da considerare come dimissionario.

Se situazione non si muta improvvisamente egli partirebbe per Roma domenica, conferire.

Ho poi chiamato Abdurraman Mati che ho incaricato della missione confidenziale di cui al telegramma di V. E. Ho con lui marcato e precisato con più forza conseguenze finanziarie di ogni genere che già avevo prospettato al Re. Abdurraman, a dire H vero, da dieci giorni fa del suo meglio perché sente il pericolo di incognite !llentre è insensibile ai pruriti del Re. Mi ha promesso di adoperarsi in ogni modo, incitandomi a sperare in una capi-tolazione dell'ultma ora.

Ho lasciato intravvedere che l'arrivo Gambino non era fortuita coincidenza e l'ho spedito dal Ministro delle Finanze a parlargli in tono stringente della inadempienza albanese di fronte prestito S. V. E.A. e della necessità in cui si trova gruppo finanziario di esigere suoi crediti.

Gambino ha parlato gravemente, lanciando idea che S. V.E.A. assuma amministrazione dogane come migliore mezzo risolvere questione. Domani mattina sarà ricevuto da Pandeli Evangheli cui Ministro delle Finanze, stordito da piega allarmante del discorso Gambino, si è tosto riferito per telefono, non senza anche egli accennare al solito ricorso delle spese militari.

Circa determinazione sulla precisa linea di condotta da adottarsi da noi, se per venerdl Patto non viene rinnovato non ho naturalmente che da attenderç istruzioni di V. E.

Mi sia tuttavia consentito esprimere parere che qualsiasi conseguenza immediata visibile della attitudine del Re venga accuratamente evitata, specialmente di fronte ai terzi, e che non si proceda da noi ad alcuna ritorsione rumorosa qualunque possa essere.

Suppongo che dagli avvenimenti V. E. intenderà sopratutto trarre norma per quelle modificazioni della sua politica e dei suoi programmi in questo Paese, che crederà del caso.

Grande o piccola che sia, questione Patto non (dico non) sembra a me, che guardo le cose soltanto di qua, una piattaforma favorevole, giacché si presta atteggiamento Re Zog a vittima imperialismo italiano. Invece situazione ed avvenimenti giornalieri ci offriranno, quando vorremo, ogni agio a quegli atti ed a quegli sviluppi che V. E. crederà opportuni e nella direzione prescelta.

Anche viaggio Roma da fare Pariani dovrebbe essere giustificato motivi famiglia. Salvo ordini in contrario, mi atterrò queste direttive e analoga linea di linguaggio con colleghi esteri. Verlazi non è a tiro, ma conferisco stasera con suoi fiduciari ben noti a questo Governo.

(l) Cfr. n. 81.

84

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA (l)

T. u. 1301/184. Roma, 26 novembre 1931, ore 24.

Suo telegramma 185 (2).

Ho il dubbio che resistenza del Re sia dovuta ad impegni presi con altri. Sarebbe bene accertarsene o cercarne indizi probativi perché in tal caso il nostro rallentamento finanziario non farebbe che aprire più facilmente la porta agli altrui finanziamenti esponendoci a farci soppiantare· nella nostra posizione di privilegio.

Tutto ciò induce a procedere senza scosse nel riesame della nostra politica. Ecco perciò le direttive che Le indico:

l •) Sono assolutamente alieno dal dare al mondo lo spettacolo di una reazione ab irato che darebbe la dimostrazione di un nostro scacco.

3•) È vero che lo schieramento delle nostre minacce .iln questi due giorni ha dovuto essere intenso ed integrale: ma ciò dipendeva dalla ristrettezza del margine di trattative rimastoci ed era consentito dal fatto che si trattava di atteggiamenti destinati a rimanere riservati.

3°) lil passaggio dalle minacce agli atti di pressione o di reazione deve essere graduale ed insensibile e deve cominciare dopo trascorso un periodo di silenzio durante il quale tutto deve fingere di essere rimasto immutato. Durante questo periodo il Re abbonderà forse in sollecitudini e cortesie formali che dovremo accogliere con fredda correttezza.

4•) Quando l'idea immediata di una connessione tra il mancamento del Re ed una nostra rea:llione non balzi alla vista allora potranno essere iniziati gli atti ostruzionistici mano mano che si presenterà l'occasione per farli senza ricorrervi appositamente.

5•) La nostra politica in Albania non deve mutare, bensi deve mutare il canale attraverso cui la svolgevamo. Ogni nostro atto deve essere improntato da questo momento ad incunearci tra il popolo albanese e Zogu e concentrare sul primo, nelle forme ostentate che appariranno opportune caso per caso, le attenzioni che sinora abbiamo rivolto al secondo.

6•) Questo capovolgimento dovrebbe allargare la nostra piattaforma nel paese sfruttando l'odio accumulato contro il Re e di conseguenza non ci dovrebbe essere alcuna azione precisa diretta da noi contro Zogu ma un'abile manovra che lasci al popolo albanese di assumere i nuovi orientamenti senza la paura di vedere più dietro la persona del Re l'ombra protettrice dell'Italia.

di Mussolini.

7°) Il mancato rinnovo del Patto deve diffondere la sensazione che l'Italia si sia stancata dei metodi del Re e lo lasci alla sua sorte; il resto verrà da sé.

8°) Bisogna guardare attentamente all'orientamento dell'esercito. Anzitutto, sia o non sia il genera1e Pariani l'organizzatore, l'esercito non deve sfuggire dalle nostre mani; per il che dobbiamo considerare la convenzione militare come intangibile essendo essa legata al Trattato di alleanza tra i due Stati e non al Patto di garanzia. Bisogna che l'ufficialità senta il timore di essere congedata e di perdere gli stipendi se l'Italia dovesse mollare la sua assistenza organizzativa. Essi diverranno così nostri sostenitori.

9") La azione Svea, una volta esercitata inutilmente la minaccia, deve anch'essa entrare in una zona di silenzio sino a nuovo ordine.

10°) Per dare completa applicazione a queste istruzioni prego evitare partenza Pariani che darebbe nell'occhio e sarebbe contraria alle linee di insensibile ingranamento della nuova tattica. Egli potrà partire dopo mio nuovo ordine e per ora manterrà atteggiamento corretto ma passivo verso il Re, ed invece atteggiamento sollecito ed attivissimo per guardare all'esercHo.

11°) Ogni cura deve essere posta per evitare che il popolo albanese giudichi favorevolmente l'azione del Re o solidarizzi con lui per effetto di nostri eccessi. La parola d'ordine è di mantenere tutte le posizioni sostituendo al termine Re il termine popolo albanese. Ritengo che in tal modo gli avvenimenti odierni possano essere lo spunto per una nuova fase felice di nostra penetrazione costà.

(l) -Il tel. fu minutato a Palazzo Chigi e sottoposto da Fani all'approvazione e firma (2) -Cfr. n. 83.
85

IL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Roma, 26 npvembre 1931.

Mi giunge in questo momento --per via aerea -l'annessa lettera del generale Pariani, da Tirana. Data la sua importanza e l'urgenza degli argomenti trattati, la rimetto immediatamente a V. E.

ALLEGATO.

PARIANI A GAZZERA (l)

N. R. P. 160 Tirana, 25 novembre 1931.

Il giorno 27 corrente scade il Trattato di Tirana.

Nella scorsa settimana, in seguito ad incarico avuto dal R. Ministro Soragna,

ho ricordato a Re Zog la promessa che sostanzialmente (se non formalmente)

aveva fatto di rinnovare il Trattato stesso.

Con l'occasione gli ho anche ricordato che il non rinnovamento del Trattato mi avrebbe indotto a chiedere il mio richiamo in Italia, avendo contribuito con mie assicurazioni a dare la persuasione che egli avrebbe rinnovato il Trattato in parola.

Il Re ha risposto che egli, pur ritenendolo oramai sorpassato, intendeva rinnovare il Trattato di Tirana ma che desiderava chiedere una variante (V. annesso).

Soggiunsi che avevo assistito al colloquio che il Capo del Governo aveva avuto in proposito col Ministro Soragna, durante la recente riunione avvenuta a Roma, e che non ritenevo quindi possibile alcuna variante.

Egli mi rispose che avrebbe parlato in proposito col Ministro stesso. Questa mattina (in seguito a colloquio col Ministro Soragna derivante da nuove istruzioni ricevute nella notte da Roma) ho chiesto una udienza speciale

c

per comunicare a Sua Maestà che S. E. il Capo del Governo riteneva inammissibile una mia ulteriore permanenza e collaborazione • qualora non si addivenisse alla firma del Trattato.

Il Re mi ha ricevuto con la consueta cordialità.

Appena gli feci la comunicazione, arrossì e mi disse: c non credevo che si andasse così lontano. Io ho voluto difendere l'onore mio e del mio Paese perché non si continuasse a dire che la mia opera è volta soltanto a conservarmi il Trono.

Ero pronto ad impegnarmi in cose ben più gravi, ma non posso fare cosa che ritengo contro l'onore •.

Aggiunse che egli sperava che a Roma fosse compreso questo suo sentimento.

Ho risposto che non potevo far nulla in proposito perché non si trattava ora di valutare il Trattato ma solo di tener fede ad una promessa e che, quindi, qualora il Trattato non fosse firmato, io sarei partito il giorno 29 per Roma allo scopo di concretare le modalità pel mio rimpatrio. Re Zog si profuse in lusinghiere frasi, in dichiarazioni di assoluta fedeltà all'alleanza, mi dichiarò di ritenere insostituibile la mia persona, e grave di danni la mia partenza, ma rimase fisso nella idea di non voler firmare il Trattato.

Solo, nel salutarmi, aggiunse che mi avrebbe chiamato ancora per parlarmi

c

da amico •.

Non credo però che cederà all'ultimo momento, tanto più che mi è sembrato

di notare che il mio allontanamento non fosse da lui inatteso.

Ritengo pertanto necessaria una mia venuta a Roma, per conferire sulla situazione e per concretare le modalità del mio richiamo, che importano particolari provvedimenti data la complessità dell'organizzazione affidatami (1).

Annesso.

Le varianti che Re Zog avrebbe desiderato introdurre consistevano, essenzialmente, nel modificare l'articolo l del Trattato in modo da togliere l'impressione che esso costituisca un atto di protettorato dell'Italia sulla sua persona.

In sostanza egli, sebbene non Io confessi, soffre di sentire che se egli è Re, ciò è dovuto a noi. Naturalmente su questa leva agiscono i nostri avversari palesi od occulti (e cioè quasi tutti).

Le varianti stesse non possono essere prese in considerazione: la prima perché poco seria, le altre due perché ledenti interessi di terzi. Esse consistono :

l. -Aggiungere nell'articolo l del Trattato dopo la parola: • Albania •,

il nome • Italia •. In sostanza rendere il Patto bilaterale.

• le istruzioni di cui al telegramma di ieri n. 184 [cfr. n. 84] e cioè che generai" Pariani non si muova !"-:enza nuovo ordine», invitando Soragna a comunicare tali istru:::ìon1 a Pariani. Cfr. t. 1321/186 del 27 novembre 1931, ore 20,30, firmato da Fani.

2. --Variare l'articolo l in modo da poter sostituire il nome: • Adriatico •, alla parola: • Albania •. 3. --Variare l'articolo l in modo da poter sostituire alla parola: c Albania •, la parola: c Balcani •.

(l) Il doc. fu inviato per conoscenza anche a Soragna.

(l) Dopo la lettura del rapporto di Pariani, Mussolini ordinò di confermare a Soragna

86

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. S. N. Parigi, 26 novembre 1931.

A seguito del mio rapporto n. 6561/3591 del 9 novembre corrente, accludo copia della risposta (l) che il Quai d'Orsay ha dato alla mia nota del 9 corrente.

Ho già fatto rispondere, a voce, neì seguente senso. Per quel che concerne la prima parte della nota, l'Ambasciata, la quale non ha basato le sue osservazioni su informazioni inesatte ed incomplete e la quale, per quel che concerne l'.esplosione di una bomba a Chambéry si è limitata a constatare un fatto ed a rispondere ad un'insinuazione giornalistica di probabile origine non redazionale, mantiene le sue conclusioni circa l'insufficienza dell'azione preventiva e repressiva dell'Autorità di polizia. L'Ambasciata non può pensare infatti che l'Autorità di polizia non fosse a sufficiente cognizione della pubblicamente minacciata offensiva, della natura e scopi di quest'offensiva antifascista-comunistaanarchica, contro le commemorazioni patriottiche Italiane, e l'Ambasciata non può dimenticare, che tra tutte le sue preventive segnalazioni ne esiste una dell'agosto scorso al Quai d'Orsay denunciante l'attività a Digione del comunista Roncato, di colui cioè che è stato il provocatore dei disordini del l • novembre in Digione e provocatore a tale segno da obbligare il fascista Musso a difendersi arma alla mano.

Per quel che concerne la seconda parte della nota, nella quale ~ sollevata dal Quai d'Orsay Ja questione politica circa l'attività delle organizzaziond. coloniali patriottiche Italiane in Francia, l'Ambasciata, per quanto la nota del Quai d'Orsay non celi una ingiusta visione sfavorevole di questa attività, è ben lieta di leggere che il Quai d'Orsay riconosce finalmente la ripercussione di questi fatti sulle relazioni generali Italo-Francesi. L'Ambasciata, dai cinque anni che è sotto la mia direzione, ed anche prima, ma più intensamente dopo, lo ha detto, scritto e più volte ripetuto al Quai d'Orsay: essa ha, volta per volta, quando si era di fronte a situazioni, e preparativi ed a realizzazioni di gravi fatti, denunciato il chiaro disegno e scopo delle organizzazioni antifasciste -semplici antifasciste, o antifasciste comuniste, o antifasciste massoniche settarie, tutte organizzazioni irresponsabili -di creare disordine e zizzania nelle relazioni tra Italiani e Francesi, di impedire chiarimenti di rapporti e riavvicinamenti tra i due

Paesi ed i due Gove:rmi. Le sue denuncie, le sue insistenze l'hanno portato una volta, di fronte alla materialità di un fatto come Quello che fu allora denunciato, alla soppressione de'l Corriere degli Italiani (l); se hanno portato un'altra volta, di fronte pure alla materialità dei risultati di una perquisizione, all'arresto e alla condanna de'l Berneri, del Cianca e del Tarchiani, non hanno mai ottenuto provvedimenti né ammtnistrativi né politici significativi come per esempio quello che il Governo adottò verso agitatori politici spagnoli (ora Ministri della Repubblica) che furono invitati dal Ministro dell'Interno a risiedere a Nord della Loira se volevano restare in Francia; il Governo Francese non ha mai impedito ad agitatori italiani antifascisti, comunisti antifascisti, di risiedere tranquillamente nelle Alpi Marittime, nella Savoia, regioni di confine; non si è mai preoccupato seriamente della costituzione a Nizza, Annemasse, Modane, di società o di sezioni di Leghe antifasciste, di viaggi colà di agitatori antifascisti, quali il Campolonghi, l'Amedeo, il Rondani.

Non meraviglia che oggi, pur di intorbidare le relazioni !taio-Francesi in momenti in cui si avvicinano delle importanti realizzazioni internazionali, in momenti in cui l'opinione pubblica Italiana è impressionata dal vedere azioni partire e ripartire dal suolo francese per raids politici sull'Italia, e noti antifascisti portare dalla Francia materiale a raids aviatori preparati in altre regioni, si tratti di Lugano (Bassanesi) si tratti di Costanza (Tarchiani, Rosselli, Bassanesi e de Bosis); non meraviglia che questi agitatori approfittino della longanimità teorica e pratica usata a riguardo loro per avvalersene e ottener successo nel loro scopo politico.

Perché allora dare responsabilità degli incidenti avvenuti alle organizzazioni patriottiche Italiane? Rimproverar loro di non discriminar le persone all'entrata delle loro private riunioni?

Se lo avessero fatto di più di quanto lo fecero avrebbero fatto il giuoco di chi era deciso a provocazioni.

Si rimprovera loro di fare troppo frequenti riunioni? Ma gli altri non agiscono differentemente e mai i nostri li hanno provocati a incidenti. Le organizzazioni Italiane patriottiche non hanno mai turbato una qualsiasi riunione di elementi avversi.

Disciplinate e strette sotto la guida dei loro capi e dell'autorità consolare esse rispettano l'ospitalità francese, subiscono aggressioni, vedono Consoli e gregari cadere vittime di criminalità antifasciste: sono esasperate ma si contengono. Ogni rimprovero che loro si facesse, ogni intenzione ostile che loro si attribuisse non sarebbe né equa né fondata, e la R. Ambasciata, lieta che vedasi finalmente il terreno politico della questione e nelle linee dei rapporti !taio-Francesi si tiene a disposizione del Quai d'Orsay per chiar.ire ogni particolare, sentire ed apprezzare ogni desiderio. Giacché gli Italiani a sentimenti d'ordine dimoranti in Francia non disperano tuttora che le Autorità della Repubblica, di ogni grado, finiranno per rendere loro giustizia e comprenderne i sentimenti.

In questi sensi preparo risposta scritta al Qual d'Orsay. Quanto alla situazione delle nostre organizzazioni patriottiche in Francia mi riservo intrattenere V. E. con un successivo rapporto.

(l) Non si pubblica.

(l) Cfr. serie VII, vol. V, n. 678.

87

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI

TELESPR. R. 2926/1269. Tirana, 28 novembre 1931.

Mio telegramma n. 186 del 27 corr. (1).

Più che la narrazione particolare ed aneddottica delle scene e retroscene attraverso le quali si giunse al definitivo rifiuto da parte di Re Zog di rinnovare il Patto di amicizia, interessa, secondo il mio modo di vedere, di rimettere conclusivamente in chiaro perché e come il Re sia giunto al rifiuto stesso e come non abbiano avuto su di lui alcun effetto operativo le argomentazioni e gli ammonimenti coi quali cercai di persuaderlo a tener fede alla parola data, a camminare secondo la linea che gli tracciava il suo grande amico, il Duce, ed a non disgustare chi aveva fatto, a lui ed alla Albania, tanto bene nel passato, tanto ne faceva nel presente, e tanto altro ne poteva fare ancora nell'avvenire; e che, viceversa, aveva in mano molte possibilità di genere opposto, se gli fosse venuta meno la fiducia, che è la base di ogni amicizia e collaborazione.

Ora, credo di aver già significato altre volte che il Re Zog come animatore e valorizzatore di sane e costruttive energie politiche, economiche, etiche, culturali, vale meno che nulla. Eccelle invece nell'intrigo diplomatico e politico; nel conoscere a fondo e nello sfruttare non le virtù ma le debolezze ed i vizi degli uomini; nel fare agire a suo prò le forze di dissoluzione; e, in politica estera, nello scorgere e nello sfruttare i punti deboli delle posizioni altrui. Corona a tali doti è la non comune capacità alla menzogna; e la parimenti straordinaria indifferenza ad essere colto in mendacio. Purissimo orientale, dunque, un turco bizantino della vecchia scuola.

Questo scaltrissimo individuo è entrato in pieno nella politica così detta di collaborazione italiana; e non già ad occhi chiusi ed a guisa di agente, come fingono di credere i suoi nemici, bensì con gli occhi spalancati ed abbattendo ad una ad una le sue carte colla cautela vigile del giuocatore provetto ed ardito, che molto arrischia, che scherza col fuoco, ma che conta di uscirne a partita chiusa, avendo guadagnato in pieno la posta. Ed è entrato nel giuoco con tanta maggiore fiducia, in quanto maggiore è la coscienza chiara che ha della propria abilità, e minore è la stima che ha della nostra. Dirò anzi, che il Fascismo gli

deve aver dato assai più confidenza del vecchio regime italiano; perché questo, più debole, più irrisoluto, quindi apparentemente più volpino, doveva sembrargli aver maggiori affinità colla propria psicologia ed i suoi metodi; mentre il Fascismo, giovane, fresco, robusto, ardito, sincero, gli apparve certamente come un movimento irruento, ma poco cauto, come una belva selvatica e pericolosa, ma facile a dare ad occhi chiusi nei lacci; una specie di giovane Sigfrido, nobile ma ingenuo istrumento del piccolo e debole Mime.

È difficile pronunciarsi sul problema se Ahmet Zogu, quando, nel 1925, optò per la politica italiana, si fosse già formato un piano, del quale la situazione attuale del 1931 rappresenta lo svolgimento. Comunque, le cose si sono svolte come se il piano fosse esistito, e in due tempi molto ben caratterizzabili. Nel primo tempo, quando ancora sembrava che la situazione in Albania fra Italia e Jugoslavia non fosse ancora stabilizzata, e si potesse temere un voltafaccia, Zog e i suoi chiesero e chiesero: e fu loro dato e ceduto continuamente, per tenerseli avvinti, dai milioni fino alla corona. In un secondo tempo, impostasi più fermamente la preponderanza italiana sulla jugoslava, si è sviluppata invece man mano la figura dell'Albania come di presunto valido strumento militare per l'Italia; e si chiese e richiese, per mantenere artificialmente in vita lo strumento. Ed oggi, Re Zog reputa che l'Italia ha già tanto fatto e speso, ha riposto tali e tante speranze nello strumento, vi ha talmente connesso e subordinato i suoi piani; ed è così certo di essere lui solo, Zog, riputato in grado di tenere a dovere ed in efficenza il paese che, non solo egli sente di poter chiedere, non solo sente di poter tergiversare, ma di arrivare anche a cose più grosse: agli aperti rifiuti di ciò che non gli garba. Così, sicuro che l'Italia non può nulla contro di lui, senza ferire la propria stessa politica adriatica, Re Zog ha osato ingannare il Duce, promettere e non mantenere, resistergli faccia a faccia, negargli un atto internazionale che l'Italia sostenev,a essenziale; ed ha fatto ciò sicurissimo del perdono, dell'oblio: perché, lui, Zog, e l'esercito albanese, e la nazione armata albanese valgono dieci milioni di franchi annui e valgono la falsa promessa e la negativa del patto.

Il Re stesso ha caratterizzato la situazione pochi giorni fa, quando il Generale Pariani gli stava facendo le proprie rimostranze rispettose per l'impegno preso con lui e che ora intendeva rimangiarsi con tanta disinvoltura; e gli mostrava di sentirsi compromesso ed offeso, ed accennava a chiedere il proprio richiamo. A tante altre argomentazioni, il Re aveva fino ad allora risposto con ragionamenti ed arzigogoli: ma a Questa del richiamo (è il Generale Pariani che me lo ha narrato) rispose uscendo in una franca risata, esortando il Pariani a non dire enormità, perché mai S. E. Mussolini avrebbe voluto privarsi di uno strumento come lui, Pariani, che gli è tanto necessario in Albania. Beninteso non è solo all'insostituibilità di Pariani a cui alludeva il Re: bensì alla sicura immutabilità della politica militare mussoliniana di fronte all'Albania, e specialmente di fronte a lui, Zog; immutabilità di cui la presenza di un Pariani è la prova e l'effetto. È su questa persuasione, su questi reconditi criteri politici fondamentali che il Re ha proprio basato la sua difesa contro le pressioni dei suoi intimi favorevoli al rinnovo del Patto: Abdurrahman Mati, Sereggi, Musa Juka. Egli si fece garante a Questi filibustieri minori imbarcati, con lui, nella grande avventura del potere, che, in seguito al suo rifiuto, non sarebbe successo proprio nulla, ma, dopo qualche giorno di broncio, tutto sarebbe andato come prima: si fidassero di lui, che li aveva sempre ben condotti dalla primitiva indigenza, alla grascia presente, chè anche questa volta l'avrebbe indovinata; del resto, sebbene Abdurrahman dica sospirando di aver molto e molto battagliato, in realtà nessuno ha mostrato di aver saputo molto scaramucciare col sovrano. Tutti erano, a buon conto, favorevoli al rinnovo, infischiandosene dell'onore della bilateralità e del disonore della garanzia unilaterale, e portati semplicemente a star sul sicuro; ma nessuno ha mostrato la minima capacità di pressione, paurosi tutti di spiacere al despota e pagarla più tardi; e persuasi facilmente dal suo fiuto di infallibile pesatore delle circostanze.

Re Zog, lui, non è già più quello che si infischia degli onori della parità. Nel 1926 bisognava parare al peggio, la ribellione dei Dukagini era un brutto monito (1). Nel 1931, 'egLi calcola invece che chi gli ha dato ricchezza, potere, corona reale, e che gli sta ora creando un esercito, non vorrà mandarlo a picco per così poco. Ed ha quindi voluto approfittarne per cancellare l'ultima macchia che offuscava l'immacolato blasone: essere garantito ufficialmente da Benito Mussolini.

Conseguenze pratiche, dannose alla sua dinastia ed a se stesso, assolutamente non ne teme finché vive. Quanto al caso di una sua scomparsa, di quello che può succedere, non ne vuole neppure sentire parlare, e se la cava con la frase che il popolo albanese è ormai unito e cementato a sufficienza per non aver bisogno di garanti. Gli è che il suo orizzonte termina con la propria vita e che, seppur talvolta guarda al dopo di sé, gli è forse per compiacersi malignamente della confusione che seguirà alla sua morte e delle difficoltà in cui gli Italiani possono venire a trovarsi. Ho detto altrove come, lo scorso anno, il Vescovo Bumçi me lo definisse, non fondatore di dinastia, ma avventuriero coronato (2). La definizione mi ritornava alla mente l'altro giorno Quando, pressandolo io a rinnovare il Patto di garanzia, se non altro, per amore dell'Albania per il caso che egli venisse a mancare, quest'uomo malato al punto che per digerire deve stare sdraiato tutto il pomeriggio, fingeva continuamente di non comprendere che io parlavo della semplice e banale possibilità di morire.

Oggi, giorno susseguente all'ultimo utile per la firma del Patto, l'uomo sta già congratulandosi per averla indovinata ostinandosi al rifiuto. Nulla è accaduto. Persino il Generale Pariani, dopo avergli presentato le sue dimissioni, rimane. Egli sta ~~llustrando ai già tremebondi Sereggi ed Abdurrahman il concetto che l'Italiano ha la bocca per abbaiare, non per mordere. Mi rallegro che ciò avvenga, perché è segno che possediamo il nostro sangue freddo e sappiamo star zitti quando è opportuno ed attendere.

Il telegramma di V. E. (3) mi assicura tuttavia che l'Albania si accorgerà poi, o d'un tratto o a poco a poco. che non è sano per nessuno lo sfidarci così petulantemente.

(l) Cfr. t. 3829/186, delle ore 12.30, per. ore 15,10. col quale Soragna riferiva sugliultimi tentativi fatti per indurre Re Zog a rinnovare il patto. Soragna concludeva: « Per quanto abbia cercato informazioni, non mi risulta alcun indizio che sulla decisione del Re abbiano influito pressioni o intrighi di potenze straniere •.

(l) -Cfr. serie VII, vol. IV, nn. 496, 497, 498, 502, 507. (2) -Cfr. serie VII, vol. X, p. 48, nota 3. (3) -Allude evidentemente al n. 84.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI IN EUROPA, A WASHINGTON E A TOKIO (l)

T. 1365. Roma, 30 novembre (2) 1931, ore 18,30.

(Per Tirana). Ho telegrafato a tutte le RR. ambasciate e alle RR. legazioni in Europa quanto segue:

(Per tutti). Il patto di sicurezza e di garanzia tra l'Italia e l'Albania firmato a Tirana il 27 novembre 1926 ha compiuto ieri il suo ciclo di validità senza che il Governo fascista insistesse con eccessiva importanza nella necessità del suo rinnovo.

Nei cinaue anni trascorsi la solidità che l'assistenza fascista ha assicurato allo Stato albanese ha effettivamente reso superflua una formula di garanzia a cui si sono venute sostituendo le forze di organizzazione civile e militare che operano in mani nostre in Albania. Le f1nalità del patto, che erano quelle di creare, anche bloccando le velleità di torbidi sempre fomentati da altri, una piattaforma politica per l'inizio di una zona di collaborazione pacifica e civile dell'Italia in Albania, sono superate dall'imponenza degli interessi e delle connessioni che l'Italia ha costituito nel campo politico militare e civile sull'altra sponda.

Il Governo fascista considera inoltre che tale stato di fatto felicemente esistente non può che aggiungere il peso di una imponente realtà alle premesse ed agli scopi pacifici e giuridici della Dichiarazione di Parigi del 9 novembre 1921 la quale, provenendo dalla conferenza degli ambasciatori come mandataria di tutte le Potenze vincitrici, costituisce un atto generale connesso all'insieme dei trattati di pace e fa parte del complesso degli atti internazionali che hanno dato vita allo Stato albanese. Poiché la dichiarazione di Parigi prescinde dalla necessità del consenso albanese, la decadenza del patto di garanzia, che introduceva in questa situazione l'elemento della volontà albanese, reintegra nella sua pienezza l'efficacia di quello strumento internazionale.

V. E. (V. S.) vorrà astenersi per quanto possibile dall'addentrarsi in conversazioni in argomento, ma potrà conformarsi ~ tale norma di linguaggio in eventuali discorsi che le fossero da altri iniziati al riguardo, non senza aggiungere che la decadenza del patto di garanzia costituisce la documentazione che la nostra opera in Albania e la nostra volontà immutabile di esserci presenti è passata dal terreno dei patti volontari e transitori su quello perenne della storia (3).

« In considerazione anche della speciale e complessa delicatezza che questione stessa presenta particolarmente costà confermoLe essere preferibile in linea generale che V.S. si astenga, per quanto possibile, da addentrarsi in conversazioni in argomento. Ad ogni modo qualora questo dovesse venire in discorso, la S.V. dovrà soprattutto aver cura di eliminare

(l) -Annotazione a margine: « Visto da S.E. il Capo del Governo •. (2) -Ma minutato probabilmente il giorno 28. (3) -Con successivo t.r. 1366, firmato da Fani e visto da Mussolini, del 1° dicembre, ore 5,30, venivano date a Galli ulteriori istruzioni, comunicate anche a Angora, Atene e Sofia. Di questo tel. si pubblica qui il passo seguente:
89

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELESPR. RR. 251257/10110. Roma, 30 novembre 1931.

Telespr. di codesto R. Ministero n. 49437 del 5-11-1931 (1).

Col telespresso sopra riferito codesto R. Ministero nel confermare l'opportunità di una maggiore collaborazione fra le tre Potenze firmatarie dell'accordo tripartito, ha espresso l'avviso che, se le tre Potenze si regolassero in modo da favorire le imprudenze e le esagerazioni nazionalistiche del Negus, si potrebbe creare il pretesto per chiedere, al momento opportuno, l'espulsione dell'Etiopia dalla Società delle Nazioni, ciò che sarebbe particolarmente vantaggioso ai fini della nostra azione politica in quel settore africano.

Questo R. Ministero concorda con codesto nel valutare come un elemento negativo per lo svolgimento della nostra politica in Etiopia la presenza di questo Stato nella Lega Ginevrina, ed a questo proposito non ha bisogno di ricordare l'azione svolta a suo tempo, d'intesa con codesto Ministero, onde cercare di opporsi, sino ai limiti consentiti sia dall'atteggiamento assunto a tale riguardo dalle altre Potenze, sia dalle considerazioni di opportunità politica nei confronti deLl'Etiopia, acché questo Stato fosse ammesso alla Società delle Nazioni (2).

Analoga attitudine assunse questo R. Ministero, d'accordo con codesto, quando, in epoca più recente, si trattò di addivenire alla conclusione della convenzione per le armi, conclusione che fu da noi ostacolata sino a quando ragioni identiche a quelle sopra accennate a proposito dell'ammissione dell'Abissinia a Ginevra, non ci indussero ad assumere, pur con riluttanza, un diverso atteggiamento (3).

Questo R. Ministero concorda anche con codesto nel ritenere che una più intima collaborazione negli affari etiopici fra le tre Potenze del tripartito, dati gli atteggiamenti politici marcatamente xenofobi che quel Paese viene assumendo, sarebbe quanto mai utile ed opportuna, ed a questo proposito ricorda le istruzioni date in tal senso al R. Ministro in Addis Abeba e, recentemente (v. telespr. di questo R. Ministero n. 247233 del 31-10-31) (4), quelle dirette ai RR. Ambasciatori a Parigi e Londra per richiamare l'attenzione del Quai d'Orsay e del Foreign Office sulla convenienza di una più intima coUaborazione delle tre Potenze in Etiopia, particolarmente nel momento attuale.

nettamente qualsiasi eventuale dubbio circa un qualunque mutamento delle nostre situazioni e delle nostre direttive in Albania per effetto della decadenza del Patto, situazioni e direttive che permangono in diritto ed in fatto assolutamente immutate. Se lo scopo temporaneo per il quale il Patto venne a suo tempo stipulato può considerarsi ormai soddisfacentemente esaurito, la sistemazione sempre più proficua e definitiva dei risultati raggiunti è ora oggetto della nostra più attenta vigilanza e di concreto studio •.

7 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

Questo R. Ministero deve tuttavia fare qualche riserva sul concetto espresso da cotesto nel senso che tale collaborazione dovrebbe avere, sull'opportunità cioè di favorire le imprudenze e le esagerazioni nazionalistiche del Negus. Tale eventuale atteggiamento delle tre Potenze rischierebbe di compromettere, in via definitiva, le posizioni che dette Potenze ancora mantengono in Etiopia: il rinunciare ad esempio ai privilegi giurisdizionali, l'abbandonare le clausole economiche del Trattato Kloboukowsky etc. renderebbe ancora più difficile il tentare qualsiasi azione di penetrazione sia pur solo economica in Etiopia, e Quasi impossibile la stessa permanenza degli Europei in detto Stato.

Né è da ritenere, ad avviso di questo Ministero, che la situazione che ne deriverebbe potrebbe condurre all'auspicata espulsione dell'Etiopia dalla Lega delle Nazioni. Questa per evidenti ragioni tende ad aumentar il numero degli Stati ad essa aderenti e a favorire l'ammissione di quelli che ancora se ne mantengono estranei; e tutto lascia prevedere che non varrebbe alcuna esagerazione nazionalistica da parte del Governo etiopico per indurre la lega ginevrina a decretare l'espulsione dal suo seno di uno dei suoi membri.

Ginevra potrebbe tutt'al più considerare un suo intervento in Etiopia per qualche speciale materia, per la quale lo spirito societario è particolarmente sensibile; ad esempio la materia della schiavitù ma tale possibilità di intervento è tutt'altro da escludersi, anche senza previamente rinunciare da parte nostra a quelle poche garanzie che tuttora ci restano in Etiopia a tutela della nostra posizione.

A tal riguardo questo R. Ministero si riserva di intrattenere cotesto con un prossimo telespresso (l) circa la ricostituzione, recentemente deHberata a Ginevra, della Commissione per la schiavi,tù; onde concordare l'atteggiamento che ci converrà di assumere, particolarmente nei riguardi di un più attivo interessamento societario per la schiavitù in Etiopia.

(l) -Non si pubblica. Sulla questione cfr. n. 64. (2) -Cfr. la documentazione raccolta in serie VII, vol. II. (3) -Cfr. la documentazione raccolta in serie VII, vol. VIII e IX. (4) -Cfr. n. 64.
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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL GOVERNATORE DI RODI, LAGO

TELESPR. R. 251233/131. Roma, 30 novembre 1931.

Indipendentemente dalla favorevole situazione del Possedimento -della quale questo Ministero è stato lieto di avere conferma da V. E. -i recenti avvenimenti di Atene meritano la nostra attenzione: le dichiarazioni per Cipro e per il Dodecanneso fatte alla Camera greca da Venizelos (2), dichiarazioni che, in sostanza, hanno avuto, più che altro, come risultato, quello di rinfocolare e di abbinare le speranze dell'irredentismo ellenico, sotto l'egida

del Capo del Governo greco; la formazione di un Comitato di agitazione, cui hanno dato il loro nome eminenti personalità e finanche l'ex Presidente della Repubblica, Ammiraglio Condouriotis, che, per tale fatto, è all'ordine del giorno della politica interna greca ed ha influenze ed autorità anche presso qualche centro politico ed organo di stampa di altri paesi. Fino alle recenti dichiarazioni di Venizelos il Governo ellenico poteva farsi apparire come del tutto estraneo al movimento filododecannesino. L'occasione è stata, quindi, propizia -siano o· non siano seri i progetti degli agitatori di Egitto (l) -per ricollegare, ad ogni buon fine futuro, tali agitazioni alla responsabilità del Governo greco, in relazione alla questione postaci dalle ricordate dichiarazioni del suo Presidente. Da ciò le istruzioni impartite al R. Ministro ad Atene (2).

Quanto ai passi, confidenziali ed amichevoli, prescritti al R. Ministro al Cairo, soprattutto presso la residenza britannica, essi sono stati consigliati dalla opportunità di approfittare dello speciale momento e della solidarietà richiestaci da Londra per la difesa di Cipro, per stabilirla, con vantaggio di posizioni politiche e di fatto, anche per il Possedimento.

Comunque si svolgano in futuro gli avvenimenti per Cipro, è evidente che, malgrado le situazioni di fatto diverse alle quali l'E. V. accenna (3), essi non potrebbero non avere qualche ripercussione sul Possedimento. È utile, quindi, non essere rimasti inattivi nel campo internazionale, anche se la situazione interna appaia costà pienamente rassicurante.

(l) -Cfr. n. 120. (2) -Cfr. n. 77.
91

L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI

TELESPR. 5087/2495. Londra, 30 novembre 1931.

Telespresso dell'E. V. N. 247730!781 del 6 novembre corrente (4).

Al Foreign Office mi è stato in generale confermato quanto comunica il R. Console ad Aden con telegramma del 27 ottobre, trasmessomi dall'E. V. con il telespresso in alto citato.

L'Imam Jahia ha cioè fatto pervenire al ColonneHo Reilly, Residente e comandante in capo delle forze del Pro·tettorato, una lettera in data dei primi del mese di settembre scorso, in cui erano contenute delle offerte di accordo. Tali offerte sembrano ad un primo esame non così nebulose o incerte come le aperture o sembianze di aperture fatte in precedenza dall'Imam al Governo Britannico. Esse conterrebbero infatti alcune proposte che potreb

bero essere -secondo il giudizio del Foreign Office -accettabili. Ma ne contengono tuttavia delle altre che non potrebBero esserlo senza molte modificazioni e riserve. Comunque, l'offerta dell'Imam è attualmente oggetto di studio da parte degli Uffici competenti. Tale esame è sopra tutto diretto ad accertare se ·le proposte yemenite possano effettivamente costituire una base tale da consentire un ulteriore sviluppo di negoziati. Ciò che sarebbe tuttora incerto. Mi è stato ad ogni modo assicurato che l'esame di cui sopra durerà ancora per qualche tempo. Sicché la risposta all'Imam non potrà essere consegnata a troppo breve scadenza.

Circa le motivazioni che avrebbero 1ndotto l'Imam ad inoltrare la nuova offerta, esse sarebbero fatte risalire, piuttosto che a specifiche circostanze di fatto, all'indole stessa del Sovrano che torna ogni tanto, a seconda degli eventi e degli umori, a ribattere su vecchi propositi, pronto a rinunciarvi domani, riprendendoli ancora dopo qualche tempo.

Ho avuto da tutto il corso della conversazione l'impressione che il Foreign Office -a differenza di quanto par ritenere il Signor Champion -guardi con una certa generale diffidenza e scetticismo anche questa nuova apertura yemen1ta. Dalla quale cioè pare, almeno per ora, non si riprometta gran che.

La Gran Bretagna, dopo aver rioccupato gran parte delle zone di confine contestate, sulle quali intende mantenere il suo controllo in quanto contrattua·lmente legata a proteggere moltissimi capi di cabiLe e tribù che vi dimorano, può -mi si è detto -guardare la situa2lione con calma. Né ha l'intenzione, nonostante la sua buona volontà di addivenire ad una sistemazione generale precisa· dei rapporti anglo-yemeniti, di iniziare affrettati od incerti passi verso quello scopo.

Comunque, ha concluso il funzionario competente del Foreign Office, eventuali negoz[ati in proposito non potranno contenere per noi alcun elemento di sorpresa. In quanto la Gran Bretagna intenderebbe continuare in quello spirito di cooperazione e ili collaborazione amichevole col nostro Paese, che ha

già dato ottimi frutti.

(l) -Tali progetti erano attribuiti ad elementi dodecanesini residenti in Egitto. (2) -Queste istruzioni non si sono trovate. Ma cfr. nn. 97 e 142. (3) -Il doc. cui Guariglia risponde non si è trovato. (4) -Cfr. n. 69.
92

L'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 1987/1117. Madrid, 30 novembre 1931.

Mi è assai dispiaciuto di non aver avuto la buona ventura di poter essere ricevuto nè dall'E. V. nè da S. E. il Capo del Governo in occasione della recente mia breve gita a Roma. Io mi ero proposto di richiamare la seria attenzione del R. Governo sull'attuale nostra situazione in !spagna, specialmente nei confronti di quella della Francia.

È ben noto a V. E. il tradizionale prestigio di quel Paese in !spagna,

la ruffusione della sua lingua e del suo pensiero, aiutata da scuole, istituti

culturali dotati di larghi mezzi, riviste, libri, giornali, conferenze, biblioteche; le relazioni d'affari intensificate dalla vicinanza, dallo spirito d'iniziativa francese, e delle banche francesi che qui hanno le loro succursali. A queste grandi forze tradizionali, si è ora aggiunto il fatto, di primaria importanza, della comunanza di istituzioni, e delle strette relazioni che tutte le persone rappresentative del nuovo Regime, hanno contratto in Francia, dov',erano emigrate durante il periodo precedente alla caduta della Monarchia spagnuola, e di cui buona parte sono per mentalità ideologica nettamente antifasciste, ed infine l'arma potentissima, e non è davvero un mito, della Massoneria, che stringe in una fitta rete gran parte della classe politica e dell'intellettualità al potere, e che prende il suo verbo da Parigi. E la forza della Francia moderna è che si serve per la sua penetrazione e la sua propaganda indifferentemente e delle sue missioni (scuole) come della massoneria, come dei suoi deputati socialisti

o radicali, qui accolti come maestri.

Tralascio di parlare della stampa che è -e mi consta in modo sicuro largamente ora sussidiata direttamente ed indirettamente. Altra nuova forza politica di capitale importanza sono i prestiti che la Francia ha già fatto e che, pare certo, si proporrebbe di nuovamente concedere alle esauste finanze spagnuole. Già corre infatti la voce che si starebbe trattando un nuovo prestito di un miliardo di pesetas da impiegarsi specialmente in lavori pubblici e per la riforma a~raria. E non mancano altre manifestazioni esteriori dell'interessamento francese come la recente visita di una squadra, il recentissimo viaggio a Madrid, con seguito di banchetti e conferenze, dell'Alto Commissario francese del Marocco accompagnato dal Generale Nogués (telespresso N. 1825/1035 del 6 corrente) (1), gite di deputa·ti e conferenzieri ecc.

Da tutto questo movimento di interessi e di iintrighi noi siamo completamente assenti. Se la Francia continua la sua • main mise • sul Paese, grandi danni morali e materiali e politici ne possono derivare al nostro Paese, data specialmente la situazione geografica spagnuola. Ora è ovvio che l'azione diplomatica, nelle nostre condizioni, anchie se attiva, abbandonata a se stessa, dovendosi svolgere in uno stretto ambiente, non potrà giammai bastare non dico a controbattere una situazione avversaria troppo avvantaggiata da numerosi fattori storici e favorevoli circostanze attuali, ma nemmeno, forse, a sostenersi con qualche successo.

Dato uno stato di cose di non dubbia gravità anche perché il prestigio stesso dell'Inghilterra è di molto scemato in seguito al crollo della sterlina, a tutto vantaggio della Francia, io riterrei giunto ormai il momento che si ponga dal R. Governo la Spagna un po' • all'ordine del giorno •, se non si vuole perdere qui ogni influenza. Per raddrizzare la situazione nostra occorre a mio avviso che n R. Governo adotti i seguenti provvedimenti:

Per l'indole della nazione spagnola sarei portato ad escludere che questa prenda le armi a fianco della Francia.

Riterrei, invece possibile, una neutralità benevola verso la nazione vicina, !asciandole sfruttare la posizione delle Baleari, dello stretto di Gibilterra e concedendo il passaggio delle truppe •.

l) Propaganda politica nella stampa.

Provvedimento il più importante e di facile ed immediata attuazione.

Durante la mia recente visita a Roma fu rimaneggiato, dopo accordo con l'On. Ferretti, il fondo di L. 5.000 mensili che venivano versate alla R. Ambasciata. Fu deciso ed approvato dall'E. V. l'invio a Madrid di un corrispondente • Stefani • (nella persona del Prof. Cavacchioli) con lo stipendio mensile di lire 4.500; aggiunte L. 1.000 in più, furono assegnate così L. 1.500 al Dr. Tedeschi per continuare il servizio stampa interno dell'Ambasciata (finora detto funzionario percepiva pesetas 900, quindi viene ora a percepire assai meno). La nomina del Prof. Cavacchioli, che entrerà in servizio a giorni, potrà essere di buon giovamento, se la persona si mostrerà idonea ed attiva nell'ufficio affidatole, ma è ancora assai poco. Anzitutto mi viene, in questo nuovo assestamento, tolta la possibilità di continuare il sussidio di L. 1.000 mensili al redattore di politica estera dell'A.B.C., il principale dei pochissimi quotidiani a noi relativamente favorevoli. Detto vedattore illustrava nell'A.B.C. ed in Qualche giorna!le di provincia argomenti di attualità italiana secondo il nostro punto di vista e forniva anche informazioni sul movimento dei fuorusciti. Se il sussidio che percepisce, e che gli versai ancora questo mese, viene a mancare, nel migliore dei casi -e voglio essere ottimista -non si occuperà più di noi, ed anche questa unica voce in difesa dei nostri interessi, verrà a mancare.

Ora sarebbe invece indispensabile sussidiare con qualche larghezza non uno ma più giornali e specialmente di sinistra, ciò che si potrebbe fare con facilità e con risultati assai apprezzabili. A questo riguardo mi richiamo al rapporto di questa R. Ambasciata del 12 Novembre 1930 N. 1992/1041 nel quale v>eniva sottoposto all'approvazione di V. E. un progetto di coordinata valorizzazione delle somme che vengono qui spese come propaganda nella stampa dalle principali ditte italiane interessate in !spagna (Navigazione Generale Italiana, Lloyd Sabaudo, Puricel1i, Pirelli, Cinzano, Fiat ecc. ecc.) valorizzazione • anche • ai nostri fini politici. Ciò porterebbe un validissimo contributo ai sussidi che il R. Governo decidesse di accordare con discernimento alla stampa locale. A detto rapporto questa R. Ambasciata non ebbe alcuna risposta.

2) Propaganda culturale. a) Già da alcuni anni la R. Ambasciata ha avanzato delle proposte per la fondazione in !spagna di un Istituto di cuJ.tura italiano a somiglianza di quelli che qui tengono Francia, Germania, Stati Uniti d'America ecc. Il più pratico mi sembra quello patrocinato dal Prof. LeV1i, di cui al rapporto 28 Maggio 1930 N. 976!484.

b) A questo sarebbe da aggiungersi la fondazione di due biblioteche italiane circolanti, la cui gestione potrebbe essere affidata alla • Casa degli italiani • di Barcellona e Madrid, dove già esistono in embrione (ambedue le cose da me sussidiate personalmente ma la seconda versa in condizioni finanziarie assai precarie).

c) Invio di conferenzieri di valore e prestigio, nei principali centri spagnuoli.

d) Propaganda cinematografica.

3) Istituzione linee aeree italiane.

Dar sollecitamente seguito al progetto del prolungamento della linea aerea italiana attuale Genova-Barcellona fino ad Algeciras, di cui in ultimo luogo al rapporto di questa R. Ambasciata 8 Ottobre scorso N. 1645/930.

4) Interessi industriali commerciali.

Purtroppo manca una larga corrente di scambi commerciali fra i due Paesi, corrente ancora assottigliatasi in questi anni di crisi. È da augurarsi che si intensifichino in un prossimo avvenire. Assai desiderabile sarebbe l'apertura a Madrid o Barcellona di una Banca italiana. Tutti i miei sforzi per indurre la Banca Commerciale ad aprire Qui una succursale furono finora vani. Benché i tempi non siano certo favorevoli è da augurarsi che il R. Governo possa ottenerla facendo aperture con aualche altra grande Banca italiana.

(l) Non si pubblica. A questo doc. era allegato in copia il rapporto rr. 1437, in data 5 novembre, dell'addetto navale a Madrid, capitano di vascello Spalice, secondo il quale, « giudicando dai vari sintcmi, per questo quasi vassallaggio della Spagna verso la Francia, in caso di conflitto con quest'ultima nazione la situazione dell'Italia verrebbe ad essere fortemente peggiorata per tutto quello che -si riflette ai suoi rifornimenti attraverso lo stretto di Gibilterra.

93

IL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GIBILTERRA (l)

(Archivio Grandi)

L. P. [Roma], 30 novembre [1931].

S. E. Fani, che malgrado il grave incidente di cui tuttora soffre le penose conseguenze (2) ha continuato ora per ora a tenere, con vera abnegazione, la direzione del Ministero, mi ha incaricato di riassumere i principali avvenimenti della sua reggenza.

Credevo di poter disporre di un giorno o due di più, ma poiché il corriere deve partire a.uesta sera -30 novembre -per essere a Gibilterra in tempo utile, mi vedo obbligato a licenziare gli appunti così come sono stati da me affrettatamente dettati (3).

« Sul viaggio di V. E. in America Le ho già giornalmente riferito. Confermo la mia impressione che esso ha costituito un autentico successo: successo personale di V. E., successo politico per l'Italia e successo di propaganda e di affermazione per il Fascismo.

Ho riferito a V. E. le dirette ed indirette manifestazioni della viva soddisfazione di

S. E. il Capo del Govemo che mi sono giunte.

Snlla stampa italiana, nonché su quanto precede, Le scrive l'On. Ferretti. La stampa italiana mi è sembrata nel complesso buona. Naturalmente la perfezione non è di questo mondo, e tanto meno dei giornali italiani. Qualche lievissimo inconveniente, passato qui inosservato, si è avuto perché talora i servizi americani giungevano prima delle Stefani. Queste ultime venivano quasi costantemente rinviate da S. E. il Capo del Governo alla decisione di questo Gabinetto.

I titoli furono nel complesso essi pure buoni. Per mia iniziativa alcuni fra i principali giornali sintetizzarono nei titoli annuncianti le trionfali accoglienze di New York il successo che attraverso la persona di V. E. andava al Duce. Questa linea, che mi è apparsa opportuna e gradita. è stata seguita in genere dalla stampa.

[...]

Un incidente che ha fatto particolare sgradevole impressione a S. E. il Capo del Governo è stato l'atteggiamento germanico in seguito alla scoperta di tre italiani antifascisti che a Costanza stavano organizzando una incursione aerea su Roma. Si tratta dei nominati Bassanesi, Rosselli e Tarchiani.

Il Governo germanico ha fatto presente che in base ad una legge di oltre 50 anni fa non può procedere che su querela del Governo italiano. Ciò avrebbe significato un processo al regime, "more solito ". L'Ambasciatore Orsini ha ricevuto istruzioni di dichiarare che il R. Governo non intendeva sporgere querela, ma che si attendeva che il Governo del Reich sapesse impedire e punire simili criminosi preparativi, e che, se il Governo poteva ammettere la stretta \egalità del provvedimento, l'opinione pubblica italiana sarebbe rimasta sorpresa nel vedere che senza un •:liretto intervento del Governo italiano non era possibile punire atti delittuosi rivolti contro l'Italia.

Non sono anche mancati sgradevoli articoli in Germania, mentre la stami>a italiana si è limitata a smentire la falsa voce che il R. Governo avrebbe sporto querela. Conclusione: i tre antifascisti sono stati condannati ad una ammenda per passaporto falso e quindi espulsi.

Reputo infine interessante segnalare a V. E. che avendo l'Ambasciatore Orsini chiesto se esatta la notizia che con l'approvazione del Segretariato del Partito sono sorti in Merano ed a Roma gruppi di nazionalsocialisti [Annotazione a margine di Grandi: "è una pazzia!"],

S. E. il Capo del Governo ha affermativamente postillato il telegramma.

Infine S. E. il Capo del Governo ci ha dato istruzioni di far sapere al Maggiore Renzetti, che gli aveva comunicato il desiderio di Adolfo Hitler di venire a Roma a metà dicembre, essere opportuno che tale viaggio sia per ora rinviato [cfr. p. 138, nota 1].

[ ...]

Nulla di particolarmente notevole da segnalare nel settore danubiano, salvo, per quanto concerne l'Ungheria, una richiesta di intervento del Governo italiano per salvare un credito che la Fiat vanta verso il Governo ungherese per le note forniture di materiale ordinato dal Ministero della Difesa Nazionale.

Il Governo ungherese ha fatto presente che, nel fare le ordinazioni, aveva fatto assegnamento sul ricavato del prestito negoziato con noi, e che, il prestito essendo venuto a mancare, si trovava nell'impossibilità di far fronte al pagamento delle somme che ancora doveva alla Fiat.

Nel sottoporre la questione a S. E. il Capo del Governo sono state prospettate due soluzioni:

l o -Concedere alla Fiat la garanzia statale del suo credito o, qualora questa soluzione, alla quale l'Istituto per l'Esportazione si era opposto, fosse assolutamente impossibile,

2" -Concedere al Governo ungherese un prestito di 15 milioni, con l'intesa che la somma non verrebbe versata in contanti ma verrebbe utilizzata dal Governo ungherese per regolare il suo debito con la Fiat.

Tale prestito potrebbe essere messo in relazione con la mancata soluzione del noto accordo commerciale parafato al Semmering, che avrebbe assicurato all'Ungheria notevoli vantaggi e per la cui firma il Governo ungherese fa tuttora vive insistenze. Il prestito di quindici milioni di lire, se concesso ad interesse molto mite, potrebbe costituire un parziale compenso all'Ungheria per la mancata conclusione del detto accordo.

S. E. il Capo del Governo ha approvato questa seconda soluzione. Tale decisione è stata comunicata al Ministero delle Finanze per i conseguenti provvedimenti. [Annotazione

a margine di Grandi: "sempre ottimi affari!!!"].

[...] Non ho la pretesa di intendermi di economia ma mi pare che quanto sta succedendo

permetta di affermare che l'attuale regime internazionale degli scambi, ha subito, sta subendo

e subirà, trasformazioni, violazioni e modificazioni gravissime. II Signor Lavai ha detto al

nostro Ambasciatore che tra sei mesi tutta l'Europa sarà "'contingentata".

Di fronte a questo movimento quale è stato ed è il nostro atteggiamento?

Come abbiamo reagito di fronte ai tre ordini di provvedimenti che ho segnalati?

Di fronte agli accordi preferenziali, abbiamo dichiarato che facevamo ogni riserva

per la lesione dei nostri interessi che si fosse verificata in seguito all'applicazione di tali

accordi.

Di fronte ai contingentamenti impostici dalla Francia abbiamo finito o finiremo per accettarli.

Circa i provvedimenti relativi alle divise... abbiamo fatto alcune riunioni. Debbo dire che ho trovato la Banca d'Italia molto lenta e molto burocratica in questa questione. Con molta fatica sono riuscito ad ottenere che un funzionario della Banca stessa si rechi a Vienna per studiare con Auriti la grave situazione determinatasi colà nei riguardi della nostra esportazione. Proseguono intanto le riunioni.

In sostanza, di fronte a queste successive gravi patenti violazioni del regime vigente dei trattati di commercio noi non abbiamo opposto finora che il dignitoso atteggiamento di colui che, colpito con armi sleali, non vuole abbassarsi a difendersi con gli stessi mezzi. Solo di fronte ai contingenti impostici dalla Francia abbiamo risposto o ci proponiamo di rispondere fissando anche noi dei contingenti per le sue importazioni.

Abbiamo dunque continuato la nostra linea, di mantenerci cioè fedeli alla clausola della nazione più favorita. Questa tesi è stata sostenuta a Ginevra in occasione della tregua doganale e nella Commissione economica della Società delle Nazioni, è sostenuta con tenace ma non energica convinzione dagli organi competenti in fatto di politica economica.

La convinzione dei nostri tecnici è che qualsiasi modifica allo stato di cose attuale è sempre un danno per noi e che quindi quando ci è imposto qualche mutamento occorre subirlo, riducendone Per quanto possibile la portata.

V. E. ha presieduto numerose riunioni di carattere economico e si è sempre sentita dire che ogni innovazione ci fa correre pericoli e che i nostri trattati di commercio rappresentano tutti quanto di meglio si possa ottenere. Un solo tentativo è stato fatto finora da parte italiana che avesse carattere di originalità: i ben famosi accordi Brocchi, che il loro ideatore sosteneva si dovessero far passare come compatibili con la clausola della nazione piùfavorita.

Non so se avrai il tempo di leggerli prima del tuo arrivo: se sì, serviranno, spero, a darti una impressione dei più importanti avvenimenti di questo mese di tua assenza.

Se non avrai tempo, mi riprometto di aggiornare sugli ultimi sette giorni questi appunti e di ripresentarteli a Roma.

Ti segnalo solo l'urgenza di J.eggere quanto è accaduto in Albania.

Non posso chiudere senza rinnovarti le mie felicitazioni per il successo riportato e per il servizio reso all'Italia e al fascismo.

V. E. sa che quegli accordi, che in sostanza eontengono un premio all'esportazione, poterono giungere ad una certa fase di maturazione solo per la violenta fede del Consiglieredi Stato Brocchi, per la convinzione del Ministero degli Esteri e sopratutto per l'approvazione di V. E. che mi autorizzò ad insistere personalmente a suo nome, sfruttando anche la "convenienza politica" presso i Ministri delle Corvorazioni e delle Finanze; V. E. sa altresì che gli accordi furono modificati durante la malattia del Comm. Brocchi e che furono con senso di sollievo messi a dormire quando la morte tolse al Paese l'impareggiabile opera di quel suo servitore eminente quanto modesto. Oserei dire che mentre la scomparsa del Comm. Brocchi ha lasciato sincero rimpianto nell'animo dei tecnici che hanno lavorato con lui, li ha però liberati dalla grave preoccupazione che il suo dinamismo prepotente e mistico suscitava nell'ordine burocratico dei loro uffici.

Dopo due anni di discussioni attorno ai tavoli ministeriali sulla politica estera economica da seguire, la grande questione è risorta nel recente Consiglio Nazionale delle Corporazioni.

L'On. Tassinari, a nome della Confederazione Generale degli Agricoltori, ha spezzato una lancia contro il sistema della clausola della nazione più favorita. "Non bisogna considerare i sistemi di politica commerciale -egli ha detto -come dei dogmi intangibili di fede". Dopo di lui il Prof. Guarneri, a nome della Confederazione Generale dell'Industria, e a guisa di zavorra ha gettato più o meno nelle fauci degli agricoltori il trattato con la Jugoslavia, ha riaffermato però la sua fede nella clausola della nazione più favorita, ha sostenuto la bontà dei nostri trattati e rivolto un elogio ai funzionari che li hanno negoziati.

[ ... ] Sono pronto a riconoscere che la clausola della nazione più favorita sia per noi l'ideale e che il regime degli attuali trattati di commercio sia quanto di meglio potevamo ottenere, che ogni violazione dei trattati stessi da parte nostra quale conseguenza alle violazioni altrui e soprattutto in evasione alla clausola della nazione più favorita ci porterebbe a difficoltà cogli Stati americani che assorbono tanta parte degli scambi internazionali dell'Italia, ma non posso tacere come l'attaccamento e la difesa " coute que coute " dell'ordine costituito mi appaia un po' l'espressione tradizionale di una diligente burocrazia senza idee che difende il passato perché non sa ancora prepararsi ad affrontare l'avvenire. Mi pare impossibile che qualsiasi modifica debba sempre esser considerata come un disastro e non riesco a concepire come la circostanza di per sé sfavorevole che la nostra bilancia commerciale è fortemente passiva non riesca almeno a costituire nelle mani della nostra politica economica un mezzo di negoziato e di coazione.

Comunque, bene o male che sia (e ammetto che sia male), il regime economico internazionale subisce dure scosse: capirei la difesa accanita che ci portasse alla testa dei paesirigidi difensori dei trattati di commercio come lo è la Francia a capo dei difensori dei trattati di pace: capirei che entrassimo invece risolutamente nel movimento avanzando progetti e sfruttando a nostro vantaggio le richieste altrui facendo ingoiare più facilmente le nostre. Ma così? Continuando così in breve finiremo con l'accettare la situazione voluta dagli altri, a poco a poco, con miti proteste e senza ottenere corrispettivi.

È una tattica che mi sono talvolta permesso di deplorare in politica e che maggior

mente deploro nella politica economica.

Gli istrumenti V. E. li conosce. La Direzione Generale Produzione e Scambi del Ministero delle Corporazioni è tecnicamente capace, ma senza nessun'anima, senza nessuna iniziativa, fredda e burocratica. La Banca d'Italia è fredda, burocratica ed ostinata. Buona finanziera certamente ma senza vedute nel campo dell'economia. La Direzione Generale delle Dogane si limita ad azioni puramente fiscali.

Il nostro Ufficio di Politica Economica rappresenta certamente il numero migliore.Rinforzato nel personale e nei mezzi, lavora con molta diligenza, intelligenza e capacità tecnica.

Abbiamo in esso veramente un ottimo esecutore, un eccellente negoziatore di trattati.

Ma non ci si può aspettare da questi organismi idee ed iniziative nuove, sopratutto perché è doveroso riconoscere che Uffici relativamente modesti come organizzazione si sono trovati improvvisamente a far fronte ad una strabocchevole mole di difficile lavoro e che i titolari sono continuamente impegnati in negoziati fino ad averne due, tre, quattro contemporaneamente. Stiamo trattando si può dire con tutti i paesi del mondo e quandosi devono seguire migliaia di voci e di tariffe e dirigere estenuanti discussioni, è difficile pretendere che possa scaturire il lampo di genio di un'idea nuova.

Sarebbe invece questo il momento di avere un grosso organismo formato dai mig!iori funzionari circondato dai migLiori economisti, per tentare ogni via, tenere aperto ogni sbocco.

Invece anche gli uomini dirò cosi còté ", gli economisti politici, diventano sempre

11 à più rari. Gli On. Jung e Suvich sono pressoché inafferrabili, tante e tali sono le loro occupazioni ed ogni volta si deve fare uno sforzo per ottenere la loro partecipazione ad una riunione o la loro partenza per l'estero ove sia resa necessaria. L'industria ha uomini notevoli; notevolissimo il Prof. Guarneri, ma... sono industriali.

(l) -Questa lettera di Ghigi con l'allegato era annessa a una lettera di Fani, che non si pubblica. (2) -Fani era caduto e si era rotto un braccio. (3) -Di questa relazione allegata, che è impossibile per la sua lunghezza (57 cartelle) pubblicare integralmente, riproduciamo solo alcune parti qui di seguito:
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IL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA DEL MINISTERO DEGLI ESTERI, FERRETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GIBILTERRA

(Archivio Grandi)

L. P. Roma, 30 novembre 1931.

Desidero farti le mie più affettuose e sincere congratulazioni per l'esito trionfa~e della tua missione in America: gli amici veri -e tu ne hai molti, rara avis del nostro tormentato mondo politico -ne esultano per te che aggiungi un autentico successo personale ai molti già conseguiti al servizio del Duce e dell'Italia. Ma non ti avrei disturbato sin costà per esprimerti questi lapalissiani sentimenti, se non avessi invece voluto darti, sin dai primi contatti col vecchio continente, la sensazione precisa di come il Duce ti ha seguito, approvato, amato ·in questi giorni.

Sarebbe facile per me prendere le penne del pavone e farmi la mia parte di merito per il coro, spero intonato, certo unanime e altissimo, della stampa fascista, a proposito del tuo viaggio.

Ma compierei un atto sleale. La verità è che è stato il Duce in persona non solo a autorizzare ma a vo~ere che i tuoi successi fossero messi in grande rilievo, anche in quello che essi avevano di più personale.

Le Banche (Commerciale, Credito) traversano un periodo di sospetto nei loro dirigenti.

So che non ho detto a V. E. assolutamente nulla di nuovo e certamente nulla di allegro, ma mi pareva necessario tracciare la situazione quale si è venuta determinando più acutamente nel mese di Sua assenza. E la questione investe sempre di più il Ministero degli Esteri.

La politica estera finanziaria è stata fatta sempre all'infuori del nostro Ministero che si è soltanto preoccupato di eseguire con zelo le istruzioni che volta per volta riceveva dal Capo del Governo o dal Ministro delle Finanze, e può anche continuare così.

Ma la politica economica incide ogni giomo di più sull'attività diplomatica e il pros

simo anno prima e più che "disarmo" si chiamerà "economia". Né io credo che nel campo

economico noi siamo della gente totalmente disarmata: siamo un Paese fortemente importatore, siamo un grosso mercato e la rinrova ne è che tutte le ?Jrogettate sistemazioni economiche che concernono l'Europa Centrale non prescindono mai dal fattore italiano.

Con l'autorizzazione di V. E. il Ministro Plenipotenziario Sola è partito, dirò cosi, per un viaggio di ricognizione economica negli Stati danubiani, sul quale mi riservo di riferire a parte.

S. E. Fani ha accennato a S. E. il Capo del Governo l'idea di inviare un personaggio rappresentativo della nostra economia a fare un vaggio in Germania (Pensavo all'On. Jung): ma pare che l'idea non abbia per il momento incontrato gradimento. Non mi pare però che la cosa debba scartarsi, ed un analogo viaggio sarebbe molto utile fosse fatto in !spagna. Sottopongo a V. E. l'idea di un viaggio del Senatore de Michelis a Madrid per parlarvi della crisi e prendere contatti economici ed eventualmente, quale ginevrino, parlare del disarmo.

Tutto ciò è evidentemente molto poco, ma fin quando la strategia oermane quella di cercar di mutare il meno possibile le cose, la sola tattica possibile al Ministero degli Esteri è quella di tenere il maggior numero di contatti per evitare sorprese e non restare al di fuori delle eventuali combinazioni che contro la nostra attuale volontà venissero a formarsi.

[.•• ] • o

Ad ogni mattina ho avuto la sensazione (sai che, ormai, non posso sbagliarmi più!) della stima e dell'affetto ch'egli ti porta.

Più di una volta, poi, c'è stato qualcosa di più di una sensazione. Egli ha detto esplicitamente il tuo elogio non solo per l'intelligenza che in politica conta sì, ma... fino a un certo punto; egli, invece, ha anche dichiarato la sua piena fiducia nella tua fedeltà, nella tua probità, nel tuo stile: e questo conta moltissimo.

Io che ho la pretesa di conoscerti, caro Grandi, e la certezza di esserli amico, per lo spontaneo affetto e per la naturale riconoscenza che mi legano a te più d'ogni doveroso ma formale vincolo gerarchico, godo di tutto questo, e voglio fartelo sapere appena posso, sicuro di farti cosa molto gradita. Non è così?

Se non mi sbaglio, mi pare anche che Rocco si sia portato bene; non è vero? Se è così, rti prego, con la tua bontà, e con la tua autorità, di trovar modo di fargli sapere che anche a Roma abbiamo apprezzato la sua op~ra. E l'oceano come ti ha trattato? (1).

95

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO

T. RR. 1388/193. Roma, l dicembre 1931, ore 24.

Giunge notizia che Governo polacco avrebbe fatto apertura a codesto Governo offrendosi come mediatore per la negoziazione di un patto di arbitrato ed amicizia fra la Russia e la Romania, ma che Governo sovietico avrebbe dichiarato non poter accetta~e tale mediazione e esigere negoziati diretti.

Prego V. E. avere in proposito una conversazione personale con Litvinoff allo scopo di cercare di appurare reali intenzioni del Governo russo nei riguardi di un'eventuale trattativa coi romeni nonché limiti e condizioni che costì si vorrebbe mettervi.

Tali elementi ci sono necessari anche per formulare delle decisioni nell'eventualità di una richiesta romena di mediazione italiana a cui già ci si è fatto qualche accenno da Bucarest (2), ma della quale sarà bene che V. E. non (dico non) parli per ora costì.

(l) -Cfr. anche la lettera riservatissima che Federzoni inviò a Grandi il 7 dicembre (Archivio Grandi). • Hai conquistato un bellissimo successo. certamente il più brillante da te finora ottenuto, con ripercussioni eccellenti anche qui. Tutti i huoni Italiani se ne rallegrano con te. Bada che devi parlare in Senato del tuo viaggio in America. Cosi il tuo discorso sarà l'epilogo, o il riepilogo del viaggio stesso. L'ho detto anche al Capo, che ha mostrato di approvare pienamente l'idea •. (2) -Cfr. serie VII, vol. X, n. 143, p. 225.
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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA

L.P. 251504/316. Roma, 1 dicembre 1931 (1).

Ieri è venuto da me questo Ministro d'Ungheria e mi ha ex abrupto chiesto notizie circa lo stato delle pratiche per l'eventuale rinnovazione del patto di amicizia italo-romeno, aggiungendo che il suo Governo riteneva che tale patto e specialmente alcuni articoli in esso contenuti non rispondevano più alla situazione presente ed alle direttive attuali del Governo italiano pur essendo stati determinati -al tempo in cui furono conclusi -da circostanze e motivi ben comprensibili anche di indole personale nei riguardi dell'allora Presidente del Consiglio Romeno, Generale Averesco. Quasi quasi de Hory mi accennava alla convenienza di non rinnovare addirittura il patto italo-romeno. Per lo meno insisteva sulla opportunità di apportarvi profonde modificazioni.

L'ho lasciato parlare, e poi gli ho detto che il Governo ungherese doveva essere al corrente fin dal luglio scorso delle nostre idee e delle nostre intenzioni in proposito, poiché noi avevamo per prima cosa pensato ad informarlo, in omaggio alla lealtà ed alla sincerità dei nostri amichevoli rapporti, e tu avevi ricevuto istruzioni di tenerne parola personalmente col Conte Bethlen, cosa che non avevi mancato di fare, come mi risultava da un tuo telegramma del 18 luglio (2).

De Hory mi ha risposto che, a giudicare dalle recenti comunicazioni fattegli dal suo Governo, egli doveva credere che questi fosse completamente all'oscuro di tale tua conversazione con Bethlen, e che ciò era tanto più probabile in quanto il colloQuio era avvenuto quasi alla vigilia dell'abbandono del potere da parte dello stesso Bethlen, il quale in quei giorni laboriosi aveva probabilmente dimenticato di mettere il suo successore al corrente anche di questa faccenda.

Ad ogni modo, dopo di aver fatto constatare personalmente al de Hory (mostrandogli le date ma naturalmente non i testi delle comunicazioni scambiate fra questo Ministero e te nel luglio scorso), ho creduto di non dover tardare a mettere anche lui al corrente della situazione per evitare sempre possibili equivoci e sospetti.

Gli ho detto che ci sembrava difficile rifiutarci in principio al rinnovo del patto con la Romania, come avevamo fatto colla Jugoslavia e con la Cecoslovacchia. Anzitutto perché i rapporti italo-romeni erano diversi da quelli con questi ultimi due Stati, e poi sopratutto perché sembrava conveniente non solo per noi ma per la stessa Ungheria di cercare di legare in qualche modo

le mani alla Romania diminuendone la libertà d'azione nella Piccola Intesa. Lo stesso Governo ungherese ci aveva del resto insistentemente spinti a coltivare e consolidare buone relazioni col Governo romeno nella speranza di poterle utilizzare a proprio favore. e si era esso stesso più volte dimostrato desideroso di addivenire ad un accordo con la Romania, convenendo nella tesi politica italiana (per quanto gravi siano le difficoltà che essa presenta) della opportunità di una equa conciliazione fra i due Paesi.

D'altra parte però noi non volevamo neanche che un nuovo patto italaromeno legasse a noi le mani -come in realtà può risultare dal testo attuale -nei riguardi dell'Ungheria e neppure della Russia. Era quindi nostra intenzione di rivedere in amichevoli colloqui con i romeni le clausole del trattato del '26 per apportarvi le modifiche più adatte e raggiungere gli scopi suddetti. Dovevo confessare che la cosa non era facile, ma avremmo cercato di fare del nostro meglio. E aui non ho potuto esimermi dal prospettare al de Hory, come mia idea personale, l'ipotesi di una trasformazione dell'attuale clausola del • mutuo appoggio diplomatico • in una clausola di neutralità; idea di cui n Ministro ti informò nella sua lettera segreta sull'argomento (1), ma di cui credo tu non hai avuto più il tempo di parlare a Bethlen, come appare dalla seconda parte del tuo tel'egramma del 18 luglio. Né ho creduto di potermi esimere, per completargli il quadro della delicata situazione, dall'accennare al de Hory all'esistenza di quelle lettere segrete di carattere militare di cui intendiamo principalmente liberarci, aggiungendogli che questo scopo potrà meritare certo qualche sacrificio nel corso delle conversazioni con i romeni.

Inutile dirti che il Ministro d'Ungheria è rimasto soddisfatto delle franche spiegazioni ed informazioni da me avute, e che io l'ho pregato di trasmettere al suo Governo in via riservatissima, per corriere e non per telegramma. Mi è parso che egli fosse anche persuaso dei miei ragionamenti, ed ha finito col dirmi come egli credesse che in realtà il suo Governo voleva vedere se non fosse stato possibile di inserire nelle nostre trattative con i romeni la soluzione di qualche questione che gli sta a cuore. Ho pregato de Hory di chiedere a Budapest e farmi conoscere qualche cosa di più preciso in proposito.

Gli ho detto infine che nel luglio scorso, vista l'assoluta mancanza di tempo utile ad iniziare le necessarie trattative di fondo con i romeni, avevamo concordata con costoro la proroga di sei mesi del termine della denuncia del trattato. Che Ghika ci aveva poi fatto sapere di voler venire personalmente in Italia, prima della sessione di settembre della Società delle Nazioni, per cominciare le conversazioni. Invece egli si era recato da Bucarest direttamente a Parigi e da Pari~i a Ginevra. Io l'avevo incontrato colà nel settembre, ma naturalmente mi ero astenuto dal fargli parola del negoziato. Ghika era venuto poi in ottobre a Roma, mentre io ero assente, aveva parlato in modo generico della questione con S. E. Grandi ed era rimasto d'accordo con quest'ultimo che le conversazioni avrebbero avuto luogo a Roma fra l'Incaricato d'Affari di Romania e me. Successivamente il nostro Ministro a Buca

rest aveva espresso l'avviso che sarebbe stato più conveniente far cominciare le conversazioni colà fra Ghika e lui, ed io avevo riconosciuto che ciò sarebbe stato opportuno per varie ragioni, ove Ghika lo avesse voluto, ma avevo ad ogni modo dato istruzioni a Preziosi di astenersi rigorosamente dal farsi parte diligente in materia, lasciando ogni iniziativa ai romeni. Analogamente io mi ero astenuto ed avrei continuato ad astenermi dal parlare della cosa con questo Incaricato d'affari di Romania, il quale tuttavia per la verità non si è finora fatto vivo né con me né con altri.

Tempo ce n'è sino a marzo, e prima d'allora altri eventi matureranno, fra cui la Conferenza del disarmo, che potrà forse anche avere il suo peso sulle nostre decisioni definitive circa il patto con la Romania.

Noi intendiamo procedere senza fretta e tenendoci in contatto ed in accordo col Governo ungherese.

Mi è parso utile, caro Arlotta, informarti di quanto precede non solo per tua personale conoscenza ma perché tu possa giudicare della convenienza di ripetere anche da parte tua al Conte Karoly quanto io ho detto al de Hory, e sondare un po' meglio le disposizioni e le intenzioni del Governo ungherese. So che Karoly non ha la mente aperta e duttile di Bethlen, ma tu, meglio di de Hory, riuscirai a fargli capire la situazione e ad eliminare i suoi dubbi se egli ne abbia.

(l) -La minuta, autografa di Guariglia, ha la data 25 novembre. (2) -Cfr. serie VII, vol. X, n. 408.

(l) Cfr. serie VII, vol. X, n. 383.

97

IL CAPO DELL'UFFICIO III DELLA DIREZIONE GENERALE EUROPA LEVANTE ED AFRICA, INDELLI, AL MINISTRO AD ATENE, BASTIANINI

L. P. Roma, l dicembre 1931.

Rispondo subito alla tua del 26 novembre (l) e, con lieve ritardo -dal

quale può farmi assolvere il fatto che affogo fra le carte -. alle due prece

denti del 18 e 20 (1), che ho comunicato a Guariglia.

Insieme abbiamo, attentamente, letto il tuo rapporto n. 7408/970 del

19 novembre (2). Il rapporto verrà subito segnalato al Mirnistro, al suo pros

simo ritorno; ma, naturalmente, non so se sarà possibile che tu abbia cosi

immediata risposta come sembri desiderare. Per l'apprezzamento esatto della

questione, che, come tu stesso ti rendi conto, è particolarmente delicata, im

portante e complessa, uno dei vari elementi essenziali è la conoscenza, sia

pur approssimativa, delle intenzioni inglesi per Cipro, anche se nessuna con

nessione possa venir fatta fra gli argomenti Cipro-Dodecaneso e, soprattutto,

fra le posizioni Inghilterra-Italia nei confronti della Grecia e di Venizelos.

{l) Cfr. p. 136, nota l.

Bordonaro è stato incaricato di sondare il Foreign Office. Speriamo che egli possa, quanto prima, farci sapere qualche cosa di preciso che, bene inteso, ti verrà subito comunicata.

Ad ogni modo, nel frattempo, tutto sommato, sembra a Guariglia ed a me che tu possa continuare la tua consueta azione e trattare, anche personalmente con Venizelos, gli affari in corso, senza preoccuparti dell'argomento delle dichiarazioni, almeno sotto specie di punto interrogativo, se effettivamente lo sia, a noi rivolto. Le dichiarazioni hanno avuto, in sostanza, come si rileva dalla stessa stampa greca, un notevole effetto -forse quello stesso su cui Venizelos contava per ragioni di politica interna -dando materia nuova e più larga base ai filododecanesini. È, quindi, già atto amichevole da parte nostra il non parlarne genericamente; pur essendo, invece, opportunissimo segnalargli, ad ogni utile scopo presente ed avvenire, le informazioni dall'Egitto, che cadono in buon punto, a dimostrazione della responsabilità che egli si è preso.

Per quanto riguarda glii affari economici (1), e ile interessantissime proposte del tuo noto rapporto, sembra che converrà attendere una, anche modesta, • chiarita • dell'orizzonte. Con tutto quello che bolle in pentola in Europa, e fuori d'Europa, anche in materia di regime doganale e di traffici, e cogli impacci che la protezione della valuta greca, oltre alla crisi economica, crea costà, le possibilità attuali di concretare non appaiono, sul momento, essere incoraggianti.

Ad ogni modo, ne parleremo in dettaglio, con spirito ed intendimenti immutati, alla tua prossima venuta a Roma.

Rocco, come sai, è in viaggio col Ministro. Appena sarà di ritorno gli ricorderò i sussidi di stampa. Sento dire, però, che non è stata dimenticanza la realizzazione della proposta, ma unicamente esaurimento completo del liquido disponibile. Quest'anno, per i fondi stampa, la gestione deve, effettivamente, essere stata eroica.

(2) Cfr. n. 77.

98

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (2)

R. R. 7110/3889. Parigi, 1 dicembre 1931.

Faccio seguito al mio rapporto del 29 novembre n. 7112/3891 [sic] e 7080/3873.

Ho avuto il colloquio col signor Fougère.

Per quel che concerne il Comité d'Entente économique France-Italie siamo convenuti nella necessità di coordinare e unificare l'azione per impedire disordini e per ottenere risultati. La situazione sarà esaminata dalla Presidenza

della Camera Italiana di Commercio, dalla Presidenza del Comité France-Italie, che ha una sezione economica, e poi dal Signor Fougère e da me. L'attività della Signora Hivert Cappa sarà eventualmente contenuta dal signor Fougère in limiti fattivi e ordinati.

Il Signor Fougère ha detto esser stato spinto alla ripresa di attività del Comitato da me constatata, dalla Signora Hivert Cappa, sulla base di un consenso ottenuto da S. E. il Capo del Governo.

Gli ho risposto che infatti un consenso di massima era a mia conoscenza; ma che il Capo del Governo non lo ha dato che per un'azione ben organizzata, organica, efficace.

Il Signor Fougère ha detto che questo era pure il suo programma e la sua idea. Se non aveva preso prima d'oggi contatto con l'Ambasciata, era per mancanza di tempo.

Egli mi ha poi detto che ha un incarico dal Ministro degli Affari Esteri Briand di recarsi a Roma per contatti con personalità del R. Governo, in relazione ai rapporti economici tra i due paesi. Lo assolverà appena potrà; intanto comincerà col recarsi il 4 corrente per 24 ore a Milano ed incontrarsi ivi con personalità del mondo economico locale, il Cav. Gorio, il Comm. Pirelli, il Comm. Olivetti coi quali parlerà essenzialmente dei suoi intendimenti quale membro dirigente della sezione del Comitato economico Franco-Germanico che si occupa di stabilire chiarezza e normalità di relazione tra industniali tedeschi ed industriali francesi. Il Signor Fougère chiarirà che il suo programma tende a organizzare queste relazioni non •in esclusiva funzione franco-tedesca, ma in funzione europea: quindi non azione in compartimento isolato dalla quale gli altri abbian a temere, e che gli altri abbian a considerar con diffidenza o con pregiudiZii.ale diffidenza, ma azione in contatto per un coordinamento che possa appena possibile buttar giù, fino al più possibile, le barriere economiche e doganali che ora si stanno elevando tra Stati e Stati dell'Europa, per creare un'unità economica doganale di 250 milioni di Europei che prenda .il posto dell'attualmente minacciata polverizzazione europea.

(l) -Bastianini aveva scritto sulle relazioni commerciali italo-greche nella l.p. a lndelli del 18 novembre. (2) -Il doc. fu imviato per conoscenza anche al ministero delle Corporazioni.
99

PROMEMORIA DEL MAGGIORE RENZETTI PER IL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRIGI

N. 2. Berlino, l dicembre 1931.

In relazione al mio precedente in data 20 novembre (1), credo opportuno segnalare il discorso del Capo delle Heimwehren austriache Principe Starhemberg il 30 novembre scorso sull'Anschluss ed Hitler, discorso che è stato riportato fra gli altri dalla democratica B.[orsen) Z.[eitung) am Mittag di Berlino.

Credo anche opportuno segnalarle la riunione tenutasi ad Innsbruck anche il 30 novembre a favore del • Sud Tirol • ostacolata dai nazionalsocialisti austriaci.

È in preparazione un nuovo incontro tra Hitler o Goring ed il Presidente Hindenburg. Ciò avviene in seguito a mio consiglio ed in relazione ai noti fatti dell'Assia. Io ho suggerito di mantenere cordiali relazioni con il Presidente della Repubblica e di ripetergli solenni dichiarazioni sulla legalità del movimento nazionalsocialista.

Nel partito nazionalsocialista si ritiene possibile_ una sollecita riconvocazione del Reichstag (in gennaio) con la conseguente caduta del Gabinetto Briining. Briining è stanco, nervosissimo. Il prossimo incontro quindi con Hindenburg di Hitler o di Goring (il segretario alla Presidenza dott. Meissner andrà domani a casa di Goring per conferire in merito al colloquio), ha importanza anche dal punto di vista successione di Briining.

Ho posto in guardia i nazionalsocialisti (Hitler verrà a casa mia giovedì

o venerdì prossimo) sulla politica francese nei riguardi loro una volta saliti al potere. Ho suggerito loro di studiare bene la situazione poiché la Francia chiederà loro forse più di quanto non chieda oggi a Briining: di non provocare e di dichiararsi pronti ad un accordo.

I nazionalsocialisti, saliti al potere avrebbero l'intenzione di nominare Schacht dittatore alle finanze. Schacht mi ha detto che in tal caso desidererebbe venire in Italia a conferire con il Duce, H Ministro degli Esteri e quello delle Finanze.

(l) Cfr. n. 80.

100

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

(Archivio Grandi)

Da bordo dell'• Augustus •, 2 dicembre 1931.

Fare una relazione, anche brevissima, sulla mia missione in America, non

è, in verità, cosa facile. Non so ancora se la stampa italiana e quella europea,

abbiano potuto farne una cronaca fedele. Credo, ad ogni modo, che soltanto

la lettura della stampa americana può dare un'idea esatta di questo avveni

mento politico, delle fasi con cui esso si è svolto, dell'importanza e del valore

che va ad esso attribuito.

Mi limiterò a farne uno schizzo frammentario e sintetico. Mi sarebbe in

fatti molto difficile fare io stesso, la cronaca di queste dodici giornate, per un

mondo di ovvie ragioni. L'idea del mio viaggio negli Stati Uniti d'America

sorse durante la visita del Segretario di Stato Stimson a Roma, nel luglio u.s.,

visita che costitui, è superfluo ripeterlo, un notevole successo diplomatico

per l'Italia. Il giorno susseguente alla partenza di Stimson, il Duce mi disse

giudicare assai conveniente un mio viaggio negli Stati Uniti, viaggio che avrebbe

dovuto avere naturalmente un carattere privato, non ufficiale, simile a quello che aveva avuto il viaggio di Stimson in Europa. Il Duce aggiunse di preparare senz'altro questo viaggio per il mese di ottobre, cioè dopo i lavori dell'Assemblea di Ginevra. Non Ti nascondo che considerando le difficoltà ed i possibili inconvenienti cui un viaggio di tal genere avrebbe potuto dar luogo, non feci per il momento nulla che potesse impegnarmi definitivamente di fronte agli Americani ad effettuare questo progetto.

A metà del mese di settembre giunse inaspettata la notizia della visita ufficiale a Washington del Presidente del Consiglio francese Lavai. Inviai allor~ da Ginevra una lettera personale all'Ambasciatore Garrett, che si trovava a Parigi, per comunicargli di aver dimesso, per quest'anno, l'idea progettata di un mio viaggio a Washington. Mi sembrava infatti assai difficile • congegnare • il mio viaggio negli Stati Uniti secondo il progetto primitivo, ora che il Presidente Lavai, accettando un invito del Presidente Hoover (invito naturalmente sollecitato dallo stesso Lavai come è dopo chiaramente risultato), si recava in missione ufficiale a Washington.

Ricordo che Tu mi chiamasti al telefono da Roma per domandarmi a che punto stava la preparazione del mio viaggio. Ti risposi che era tutto sospeso. Mi confermasti allora il Tuo desiderio che si effettuasse ad ogni modo, e che riprendessi pertanto le fila interrotte. Ti domandai di paterne riparlare con calma al mio imminente ritorno a Roma, onde sottoporti i vari aspetti della situazione. A Roma, qualche giorno dopo, mi confermasti per la terza volta le Tue intenzioni, vincendo le mie ultime riluttanze, ed assicurandomi che la missione, anche se in condizioni formali diverse da quelle in cui si effettuava quella di Lavai, sarebbe stata coronata da successo. Allora spedii a Parigi un funzionario intelligente e fidato, il Comm. L. Vitetti, per far sapere all'Ambasciatore Garrett che ero disposto volentieri a riconsiderare il progetto del mio viaggio in America a due condizioni: l) che mi fosse pervenuto un invito ufficiale da parte del Governo degli Stati Uniti; 2) che in tale invito ufficiale, il quale naturalmente non poteva pervenirmi se non da parte del Segretario di Stato, fosse chiaramente indicato il desiderio del Presidente Hoover di invitare a Washington il Capo del Governo Fascista.

L'Ambasciatore Garrett domandò tempo per comunicare una risposta del suo Governo. Due giorni dopo il Governo americano rispondeva accettando i termini da me proposti, e tu ricordi con quanta amichevole premura, ed in quale forma deferente, lo stesso Governo americano proponeva il testo del comunicato ufficiale da diramarsi da parte dello stesso Dipartimento di Stato. L'annuncio della mia visita ad Hoover e Stimson fu accolto dall'opinione pubblica americana, all'indomani dell'esposizione di politica estera da me fatta all'Assemblea della S.d.N., e della discussione sulla tregua degli armamenti (durante la quale un rappresentante degli Stati Uniti era stato appositamente inviato ad appoggiare la proposta italiana) in modo molto simpatico.

Pochi giorni dopo si effettuava contemporaneamente la visita a Berlino e la visita di Lavai a Washington.

La visita di Lavai a Washington non è stata un assoluto insuccesso. Lavai non ha ottenuto nulla, è vero, nelle sue insistenti richieste di impegni politici e militari da parte degli Stati Uniti (Patto sulla sicurezza). Su questo punto

Lavai non è stato più fortunato di quello che non lo fosse stato Briand, quando, avendo questi proposto nel 1928 un patto di pace franco-americano, il Governo americano annacquò subito il progetto francese generalizzandolo nel famoso Patto Kellogg, cioè rendendolo praticamente inefficace. Per contro Lavai ha confermato ad Hoover l'intransigenza francese in materia di armamenti e di riparazioni, dimostrando agli americani la necessità di muoversi prudenti su questo terreno, sul quale Hoover e il suo partito hanno impostato la politica del partito repubblicano, senza possibilità oramai di cambiare, per molte ragioni, tale posizione. La visita di Lavai se da una parte ha inasprito il Governo americano nei riguardi della Francia, dall'altra ha costretto il Governo americano a rendersi conto che la ripetizione di un gesto come quello fatto da Hoover nel giugno scorso per la moratoria di un anno nei pagamenti di tutti i debiti interstatali (gesto che Hoover si stava preparando a ripetere perfezionandolo) avrebbe incontrato l'opposizione della Francia e quindi avrebbe rischiato di diventare, in ultima analisi, un insuccesso americano. Anticipo queste osservazioni di cui ho potuto constatare l'esattezza dopo e durante i miei incontri cogli

uomini di Stato, finanzieri e giornalisti americani.

Le condizioni in cui la mia missione si è effettuata non erano quindi delle più facili, e non Ti nascondo che, partendo da Napoli (1), non ero senza evidenti preoccupazioni. Mi sono reso conto subito che la cosa più difficile per me, era quella di indovinare il • tono • con cui parlare agli americani, per trovare la via diretta al loro spirito (così diverso dal nostro di europei), spirito di giganti e di fanciulli, ricco di forze ideali e allo stesso tempo di fredda, brutale praticità. Se fossi riuscito a indovinare questo • tono • sarebbe stato poi meno difficile superare il secondo punto : esporre cioè senza eufemismi e sottintesi, ma al tempo stesso con possibilità di successo i punti fondamentali della politica italiana così imperfettamente conosciuti in America.

Ricevendomi prima della partenza Tu mi avevi detto: • Non bisogna sottovalutare l'importanza di questo tuo viaggio. Intanto c'è un fatto, e cioè: gli Stati Uniti d'America, ossia lo Stato più grande, più potente e più ricco del mondo, dopo avere invitato il rappresentante deHa Francia, che è oggi lo Stato più potente e più ricco d'Europa, hanno fatto seguire analogo invito al rappresentante dell'Italia. C'è in questo fatto una valutazione dell'importanza dell'Italia, fatto di cui tutto il mondo, e la Francia innanzi tutto, sono costretti sin d'ora a prendere atto, e questo è già un. successo. Per il resto vedrai che andrà tutto bene •.

La missione è durata dodici giorni, ed ha avuto tre fasi distinte. La prima

a Washington (quattro giorni) è stata dedicata all'azione diplomatica propria

mente detta, e cioè agli incontri col Presidente Hoover, col Segretario di Stato

Stimson, con Ministri, Senatori, ecc., gli attori responsabili, in una parola, del

l'attuale politica americana. Il soggiorno nella capitale ha concluso col comu

nicato ufficiale che Tu conosci, redatto personalmente da Stimson, con lievi

ritocchi da parte mia.

La seconda fase (tre giorni) dedicata alla visita ufficiale alle città di New

York e Filadelfia.

La terza fase (cinque giorni) dedicata più specialmente alla classe dirigente americana nei diversi campi politici, finanziari, economici, culturali, classe dirigente che è fuori del Governo, ma che è senza dubbio, in un paese paradossale come l'America, più influente del Governo medesimo. Non so dire, in verità, quale delle tre fasi della mia missione, la fase ufficiale, la fase popolare, la fase più propriamente politica, sia stata la più importante, tanto esse hanno superato, per i risultati ottenuti, qualsiasi aspettattva, non dico mia, ma di quegli stessi miei amici americani, come ad es. Stimson, che mi hanno conf,essato non avere mai essi stessi presupposto un effetto così immediato, così vasto e profondo in tutto il popolo americano.

Prima del mio arrivo i gruppi antifascisti esistenti in America si sono molto agitati. Ma la reazione dell'opinione pubblica americana è stata così unanime, spontanea e violenta, da scoraggiare, prima che nascesse, qualsiasi tentativo da parte loro. Posso dire che i dodici giorni di soggiorno in America hanno seppellito l'antifascismo in America. Ed io debbo essere in fondo grato anche a questi antifascisti perché l'insuccesso dei tentativi fatti ha dato la misura della loro impotenza, e determinato un impeto di simpatia verso il Fascismo ancora maggiore. Un professore americano all'Università di Columbia mi ha detto: • Io non conosco il Fascismo, ma sono diventato fascista il giorno in cui ho ascoltato una conferenza del Prof. Salvemini. Ho capito subito che quell'uomo aveva torto, e che per conseguenza voi fascisti avete ragione •.

Ho cercato innanzitutto di trarre partito dagli errori fatti da Lavai. Lavai si è presentato in veste di un uomo che chiedeva per la Francia e solo per la Francia e che portava nelle sue tasche in dono all'America una serie di rioette adatte a curare i mali del mondo. Lavai aggiungeva, colla presunzione di ogni buon francese, che tutte le ricette diverse dalla sua erano sbagliate, e che l'antico motto • gesta Dei per Francos • è ancora la divisa della democrazia francese. Lavai si era presentato, nel Paese dove il Presidente dell'Unione riceve alla Casa Bianca i rappresentanti della stampa due volte al giorno, e tutte le regole della diplomazia consuetudinaria sono capovolte, dove non c'è segreto

o mistero di sorta che resista a mantenersi tale e soprattutto negli affari della politica internazionale, come un uomo che aveva una missione misteriosa da assolvere.

Ritornato dall'America Lavai aveva di nuovo profondamente irritato gli

americani per avere tentato di far credere che tale missione avesse raggiunto

finalità non suscettibili di essere portate a conoscenza della pubblica opinione

del mondo. Sapevo d'altra parte che gli avversari dell'Italia mi avevano dipinto

in America come uno che si recava negli Stati Uniti per un duplice scopo,

scopo che la mentalità americana non poteva se non considerare obliquo: l)

fare della propaganda di partito; 2) dir male della Francia.

Mi sono reso conto che il successo della mia missione dipendeva dal grado

di fiducia che fossi riuscito ad inspirare subito agli Americani, sospettosi sempre

(e non a torto) verso l'europeo che giunge dal vecchio continente balcanizzato.

Così, non appena giunto a Washington, prima ancora di essere ricevuto da Hoover, ho fatto alcune pubbliche dichiarazioni esplicite, sul significato e gLi scopi della mia visita. Ho dichiarato: l) che ero venuto in America senza piani particolari in tasca; 2) che l'Italia non chiedeva nulla all'America, ma solo offriva la sua leale cooperazione alla soluzione dei grandi problemi internazionali; 3) che l'Italia sta benissimo, fa da sé, e non ha bisogno di nulla; 4) che non ero in America per propaganda di questa o di quella dottrina politica; 5) che la ricchezza americana non mi fa nessuna impressione; 6) che l'Italia è amica della Francia e che il viaggio di Laval era stato seguito in Italia con cordiale simpatia.

Tali dichiarazioni hanno disorientato i dubbiosi, e mi hanno fatto guadagnare molte simpatie, ma soprattutto, hanno determinato attorno alla mia visita, immediatamente, un grande interesse ed una viva aperta curiosità.

La sera stessa il Club più importante della stampa americana di Washington (The Oversea's Writers) mi ha domandato un'intervista. La stessa domanda era stata fatta a Lavai e da questi rifiutata. Io ho fatto sapere che non solo avrei concesso un'intervista, ma che sarei stato lieto di potere rispondere a qualunque domanda mi fosse stata rivolta, e parlare in contraddittorio con chiunque. Sono andato io stesso al Club ed ho parlato per due ore in inglese ad un centinaio di pubblicisti americani, su tutti i problemi della politica internazionale, rispondendo a tutte le domande rivoltemi, e dando l'impressione di un uomo sicuro di sé, delle sue idee, che non aveva nulla da nascondere. Ho capito dal consenso unanime suscitato che l'impressione era stata ottima, che le cose si incamminavano bene, e che le prime ore passate in America non erano state male impiegate.

I miei colloqui col Presidente Hoover alla Casa Bianca, sono stati quattro. Li riassumo. Hoover è un quacchero, rude, taciturno, che non sorride mai. Esprime il suo pensiero a scatti, senza attenuazioni, preferendo gli assiomi al ragionamento, il che avv,iene spesso nelle persone timide che confondono la forza dialettica con altra cosa ben diversa, l'espressione dialettica. Ha l'aria di essere un uomo convinto dei suoi princìpi, mosso da motivi ideali, desideroso di rea:Lizzarli e perciò aspro ,ed amaro contro coloro che lo contrastano, riconoscente verso coloro che lo aiutano. Mr. A. Ochs. direttore del New York Times, così mi ha definito Hoover: • È un ingegnere dotato di qualità morali grandissime. Disgraziatamente, come tutti gli ingegneri, non ha che una soluzione sola. Se l'ingegnere sbaglia il suo calcolo l'edificio casca. In politica ci si può sbagliare spesso. Guai ad avere in politica una soluzione sola! ».

Nel primo colloquio Hoover mi ha detto, come prima cosa, che gli dispiaceva moLto aver saputo esservi negli Stati Uniti alcuni antifascisti che avevano mostrato l'intenzione di disturbare la mia visita, così gradita da lui e da tutta la Nazione americana. • Essi non esistono per noi americani, e non esisteranno neppure per voi, statene certo. Spero che voi non darete alcuna importanza a questo miserabile dettaglio », Mi ha ripetuto quindi, confermandolo in seguito, la sua stima ed ammirazione per quello che Mussolini ha fatto e sta facendo non solo per l'Italia, ma per il mondo, nell'interesse della pace e della ricostruzione economica e finanziaria. • Se tutti facessero o potessero fare nei loro Paesi quello che Mussolini ha fatto e sta facendo in Italia, potremmo sperare di uscire molto più presto dalla crisi •.

Mi ha domandato di esporgli 'ill punto di vista di Mussolini sulle principali questioni internazionali. Io gli ho detto presso a poco così:

• Il mio Capo anzitutto ringrazia Voi e il Segretario di Stato per il cortese invito di recarmi a w,ashington. Il Governo e il popolo italiano hanno apprezzato questo gesto come un gesto di amicizia da parte del Governo e del popolo americano. Non sono venuto per chiedervi nulla né nel campo politico, né in quello finanziario od altro. Noi crediamo di avere in noi stessi le forze sufficienti alla nostra ricostruzione economica e finanziaria. Non vi chiediamo patti politici perché non abbiamo intenzione di fare la guerra ad alcuno, né d'altra parte, temiamo nessuno. Mussolini ha bisogno di dare alla Nazione italiana lunghi anni di pace per ricostruire su nuove basi la vita del Paese. Non ho neppure l'intenzione di parlarvi della situazione particolave dell'Italia, delle sue aspirazioni e delle

sue necessità. Voi le conoscete come me. In Europa vi sono tre problemi: quello francese, che è un prob~ema di conservazione, chiamato dai francesi: sicurezza. Vi è un problema tedesco, che è essenzialmente un problema di libertà. Vi è infine un problema italiano, che è essenzialmente un problema di vita. Noi finiremo col soffocare un giorno o l'altro. Bisogna che il mondo pensi anche a questo problema, che non è meno urgente e importante degli altri. Ma non sono venuto a parlarvi di ciò né ho intenzione di parlarne ad altri durante la mia visita in America. Io sono venuto soltanto per offrire e confermare la leaLe aperta collaborazione dell'Italia alla soluzione dei problemi internazionali direttamente collegati ana crisi attuale, che è crisi di tutto il mondo. Nel campo del disarmo non ho bisogno di ripetervi le idee di Mussolini. Tutti le conoscono. Esse coincidono con la vostra. Nel campo delle obbligazioni finanziarie interstatali, l'Italia è disposta ad accettare qualsiasi soluzione parziale

-o totale, che defiJnisca o prepa11i il terreno alla soluzione della questione debiti-riparazioni. Non vogliamo tuttavia, avere l'aria di spingervi, perché nessuno possa pensare che è nel nostro intendimento di venire meno, direttamente -o indirettamente, ai nostri impegni, che rispetteremo fino all'ultimo. La posizione politica dell'Itailia in Europa è molto semplice. Noi siamo una Potenza di equilibrio. Noi non siamo né con la Francia, né contro la Francia. Né con la Germania, né contro la Germania. Siamo invece solidali con la Gran Bretagna, perché anche la Gran Bretagna è come noi direttamente interessata all'equilibrio in Europa. Quando i francesi esagerano, cerchiamo di riportarli sul terreno della realtà e della ragione. Così [non] facciamo una politica antifrancese per pvincipio. Quando sei mesi fa la Germania ha tentato di turbare !''equilibrio del centro-Europa con l'Anschluss doganale austro-tedesco ci siamo schierati contro la Germania. Allo stesso modo siamo contro la Francia nella questione degli armamenti. Non accettiamo la supremazia di nessuno in Europa. Non abbiamo accettato nel 1914 il tentativo di supremazia germanica. Non possiamo accettare nel 1931 il tentativo di supremazia francese. Tutto il mosaico delle piccole Potenze del centro-est e sud-est europeo non conta. Esse vivono del contrasto fra le grandi Potenze. Che Italia, Francia, Germania, Inghilterra si mettano con buona volontà d'accordo, e subito questa parte dell'Europa si metterà tranquilla. Mussolini spera che la politica che Hoover ha così genialmente iniziato nel giugno scorso con l'offerta di moratoria, politica di diretta

collaborazione americana ai grandi problemi mondiali, sarà continuata dall'America. In questo caso l'Italia sarà particolarmente lieta di trorvarsi a fianco degli Stati Uniti per un'azione comune •.

Hoorver premette mi parlerà con la stessa franchezza. Era nella sua iJntenzione di andare oltre, molto più oltre la proposta di moratoria dello scorso giugno ma l'ostilità della Francia ha in gran parte sciupato il rvalore morale, psicologico e finanziario di questo gesto, cosicché oggi il Gorverno americano non intende prendere più nuove iniziative. La Nazione americana ha ora avuto una nuova prova della cattiva volontà dell'Europa. Nel 1917 l'America è interrvenuta in guerra, ha sacrificato centinaia di migliaia dei suoi figli e miLiardi di denaro per salvare l'Europa. Oggi l'Europa non solo non è guarita ma è in condizioni peggiori di quello che non fosse nel 1914. Il cittadino americano, quello del sud, dell'est, del nord, del middle-west, ossia della più grande parte dell'America, non intende assumere nuovi • entanglements • rverso l'Europa, soprattutto constatando la cattiva volontà da cui l'Europa è animata. Voi mi dite che l'Italia è pronta a cancellare le riparazioni se i debiti saranno cancellati. Lo so. Il Gorverno degli Stati Uniti risponde all'Europa: • Cancellate le riparazioni e noi cancelleremo i debiti •. Questo è già un nuovo grande passo arvanti che l'America fa. Ma più in là non possiamo andare. E poiché la Francia non vuole saperne di cancellazione di riparazioni, noi abbiamo detto alla Francia: • Fate un po' voi. Provatevi voi francesi a riorganizzare la finanza e l'economia dell'Europa. Vediamo un po' cosa sarete capaci di fare. Bisogna che la Francia batta la testa contro il muro, e si renda conto che la sua politica di oggi è una politica irragionevole, che finirà col darle più svantaggi che vantaggi. Bisogna sapere aspettare. La crisìfinanziaria, che già in Francia comincia a farsi sentire, si srvilupperà ancora di più. Ne sono certo. La finanza francese di natura politica, così ha fatto con la Russia prima della guerra, così fa oggi coi suoi alleati dell'Europa orientale. La tensione cui il Governo e la banca francese sottopongono i risparmiatori francesi finirà col volgersi contro questa politica. Già si intravedono i primi segni evidenti. Allora la Francia si renderà conto che il suo programma di supremazia finanziaria e militare europea è un assurdo, e verrà a più miti consigli.

Bisogna aspettare quel momento •.

Rispondo a Hoover che sono in principio d'accordo con lui. In Francia i prezzi della vita sono tre volte più alti che in Italia. Si tratta soltanto di sapere se e quanto tempo l'Europa potrà aspettare, e se invece nel frattempo qualche grossa crisi, ad esempio in Germania, non rischi di compromettere i risultati del lungo e paziente lavoro di restaurazione economica e finanziaria fatto sin qui. Una crisi in Germania significa l'immediato estendersi di questa a tutta l'Europa orientale dal Baltico all'Egeo. D'altra parte gli Stati Uniti, per la loro potenza già acquistata, non possono fare a meno, anche se lo volessero, di interessarsi delle sorti del mondo. Ricordo a Hoover una frase di una lettera scritta da Roosevelt nel 1911: • As long as England will be able to maintain the balance of power in Europe not only in theory but in fact, all right; but if she were to come less to this task, the United States would be obliged, at least temporarily to intervene in order to restablish the balance of power in Europe, directing their efforts indiscriminately against any country of group of countries. In

fact, owing to our strength and our geographical position, we are becoming more and more the balance of power of the entire world •.

Hoover mi risponde dicendo che anche egli è certo che una eventuale crisi in Germania si comunicherebbe immediatamente a tutti i Paesi dell'Europa orientale. Cosa accadrebbe in questo caso? La Gran Bretagna e l'Italia hanno in sé forze sufficienti per resistere. Ma chi sarebbe in questo caso destinata a sopportare tutto il peso della crisi sarebbe la Francia. Forse l'esperienza la farebbe rinsavire.

Hoover mi domanda le impressioni avute in Germania durante la mia recente visita a Berlino. GLiene parlo ampiamente, confermandogli 1e buone impressioni avute della personalità di Bruening, e le cattive impressioni avute dello stato psicologico della Germania. Non si può abbandonare a se stesso questo Paese, bisogna incoraggiarlo ed aiutarlo, per evitare il peggio. È da augurarsi che Bruening possa raggiungere un accordo coi partiti di destra e dare così alla Germania un governo stabile. L'Italia lavora sj.nceramente al riavvicinamento franco-tedesco. Però ha perfettamente ragione la Germania di rifiutare le condizioni poste da Lavai, che nessun governo tedesco potrebbe accettare senza tradire il proprio paese. Hoover mi ha dichiarato essere perfettamente d'accordo su questo punto. Non si può domandare alla Germania a 13 anni di distanza dal Trattato di pace, di mettere per ila seconda volta una firma al Trattato che significhi per la seconda volta, l'accettazione della sua sconfitta. La Francia vuole attraverso il suo denaro mettere il cappio alla Germania. La Germania ha commesso dei grossi errori finanziari, ma non è questa una buona

ragione per mettere nella disperazione il popolo tedesco.

Hoover mi ha detto di aver letto con molta attenzione il recente discorso

di Napoli del Duce, e a questo proposito mi ha domandato quali sono le idee

di Mussolini sulla • revisione dei Trattati •. Gli rispondo che Mussolini pensa

che l'attuale situazione non può durare senza pericoli per tutti. Il principio

della vevisione fa parte integrale del Patto della Società delle Nazioni (art. 19).

Da Versailles in qua noi assistiamo infatti ad una continua opera di revisione.

la prossima Conferenza del disarmo sarà un altro passo in avanti nella revi

sione. Tutti i paesi sentono che la guerra è stata fatta nel vantaggio di un solo

paese: la Francia. L'unico paese a fare un grosso e sproporzionato guadagno

sulla guerra è stata la Francia.

Dal punto di vista della revisione territoriale è un po' difficile dire da

dove si può cominciare. Ma occorre mantenere lo stato d'animo mondiale at

torno a questo problema. Del resto qualche anno fa la parola • revisione • su

scitava ovunque delle reazioni generali. Dal campo della pubblica opinione essa

sta passando a quello più specifico dell'azione politica e diplomatica dei Governi.

Hoover mi parla a lungo delle recenti elezioni in Inghilterra, dicendomi

tutta la sua soddisfazione per questo avvenimento che avrà una benefica in

fluenza sulla situazione europea. Mi dichiaro perfettamente d'accordo con lui.

Altro argomento lungamente trattato è stata la Conferenza del disarmo.

Hoover mi ha dichiarato che di fronte alla resistenza francese non c'è da

aspettarsi, per il momento, alcun risultato positivo. Gli Stati Uniti interver

ranno alla Conferenza animati dalla maggiore buona volontà, sebbene non

con eccessiva fiducia. Ho detto ad Hoover che io vedo la Conferenza del disarmo sotto due aspetti.

La Conferenza del disarmo sarà un'altra buona occasione per portare davanti al giudizio della pubblica opinione del mondo la condotta dei diversi paesi e governi, i quali dovranno ancora più specificatamente assumersi delle precise responsabilità. Il peso della pubblica opinione mondiale può essere di grande importanza in quel momento nella condotta che i diversi paesi assumeranno. Cito ad Hoover la mia recente esperienza nell'Assemblea della S.d.N. per la tregua degli armamenti. Sul principio la mia proposta, pure essendo salutata dal consenso generale, ha incontrato molte perplessità da parte delle singole delegazioni. Ma il peso della pubblica opinione è stato più forte. Lo stesso Briand non ha osato mettersi contro la proposta italiana, lasciando ai suoi esperti la cura di osteggiarla. Il Governo tedesco, nonostante l'opposizione dello Stato Maggiore, specie QUello navale, è stato costretto ad appoggiarla apertamente. Il Governo britannico da principio si è mostrato assai riservato. Lord Cecil ha sempre infatti dichiarato di parlare per proprio conto. Quando il Governo britannico ha saputo del favore che la proposta incontrava negli Stati Uniti d'America, allora si è deciso e si è schierato a favore. L'intervento diretto del rappresentante degli Stati Uniti ha vinto da ultimo tutte le perplessità, ha attenuato la ostilità, e guadagnato gli incerti.

Io credo che senza attendersi dei miracoli qualcosa di concreto, di parziale potrà farsi a Ginevra, se gli Stati Uniti interverranno alla Conferenza decisi a volerlo. Ad ogni modo la Conferenza permetterà a tutto il mondo di giudicare la condotta e l'opera dei Gove!'ni. Hoover concorda. Mi domanda cosa io pensi di un'idea sulla quale egli sta meditando. Se la Conferenza ad esempio stabilisse il diritto ad un minimo di armamenti per ogni paese, pe1· la propria difesa, dopoché tutti gli armamenti in più di questo minimo che una Potenza possiede

o si prepara a possedere, dovrebbero essere considerati pubblicamente come armamenti di offesa, cioè rivolti non alla difesa del proprio territorio, bensì all'offesa contro altri. Gli rispondo che egli può contare sin d'ora sull'appoggio dell'Italia se la Delegazione americana farà o svilupperà una proposta di questo

genere. Ciò rientra perfettamente nel principio dei • bisogni relativi » che è la base fondamentale della politica italiana in materia di disarmo.

Hoover mi domanda infine notizie su quello che sono le idee di Mussolini sulla stabilità della lira. Di quando in quando gli giungono notizie secondo le quali il Capo del Governo italiano avrebbe in animo di modificare l'attuale· livello di stabilizzazione. Spiego lungamente ad Hoover la politica finanziaria di Mussolini, come è nata, come si è svolta, e quali sono i benefici risultati già raggiunti per la vita economica del paese. Lo prego di considerare sempre come fallaci e tendenziose voci che dovessero pervenirgli di tal genere. La lira italiana è solidissima. Essa ha vittoriosamente resistito all'uragano determinato dalla ondata della sterlina. La lira è una bandiera, è il simbolo della solidità non solo finanziaria ma economica, politica e morale della nuova Italia. Questo sentimento intorno alla propria moneta è il segno caratteristico della forza di un paese, e del suo diritto a sentirsi una grande Potenza. Del resto, l'unanimità del popolo italiano, specie in quest'ultimo anno, ha realizzato gli immensi

benefici della politica finanziaria di Mussolini, è tranquilla e soddisfatta. L'Italia

è il paese in Europa dove le popolazioni soffrono di meno per la depressione.

L'Italia fa da sé, ha in se stessa tutti gli elementi necessari per la sua re~

sistenza.

Hoover mi interrompe elogiando ancora una volta la politica di Mussolini

nel campo economico finanziario. È indubbio che si deve a questa sua politica

se oggi l'Italia si trova nella fortunata e privilegiata condizione di poter affron

tare con tanta sicurezza e fiducia questo momento così diffioile. Se altri paesi

avessero seguito il suo esempio senza dubbio molti punti oscuri della crisi

mondiale sarebbero stati già superati.

Le uLtime parole di Hoov,er prima di congedarmi, nell'ultimo colloquio avuto

prima della partenza da Washington, sono state di pregarmi ricambiare al Capo

del Fascismo le sue espressioni di amicizia e di personale simpatia.

Più esplicito ancora di Hoover è stato Stimson durante i cinque giorni

nei quali io sono stato in familiare contatto con lui. Difficile riassumere tutto

quello che ci siamo detti con Stimson, e dopo Stimson, colle personalità più

influenti del Senato come Hughes, Borah e Reed. Stimson mi ha raccontato

avere Lavai tentato di persuadere Hoover all'accordo navale a quattro, esclu

dendo l'Italia. Stimson ha rifiutato nettamente dicendo chiaro a Lavai che

nella questione navale l'Italia ha perfettamente ragione. Stimson, legato con

personale amicizia a Borah è in aperto favore della revisione dei Trattati.

Egli mi ha detto più volte: • La Conferenza del Disarmo, p1·esto o tardi, deve

diventare la seconda grande Conferenza della Pace •. Stimson si è espresso in

modo molto aspro contro la Francia. Insistendo io sulla necessità che l'America

non abbandoni la politica iniziata nel mese di giugno u.s., che il mondo attende

questo e che tutto il mondo seguirà l'America, e che d'altra parte oggi la

stretta connessione dei fenomeni finanziarì ed economici con quelli politici

non permette all'America di seguire una politica di intervento fina=iario cui

l'obbliga la sua stessa potenza finanziaria in tutti i paesi del mondo, dichia

rando nello stesso tempo la sua astensione da ogni collaborazione in senso

politico, e che l'America è obbligata ad uscire da questa contraddizione che

non regge più, Stimson mi ha risposto che i • leaders • sono già persuasi tutti

di questa necessità, ma che bisogna abituare l'opinione pubblica americana a

poco a poco, soprattutto l'opinione pubblica del centro e dell'est dell'Unione.

Ma che è questione di tempo. Stimson mi ha detto che sotto questo aspetto la mia visita è stata molto utile perché ha po1·tato l'opinione pubblica ameri

• cana ad occuparsi più da vicino e vede1·e più direttamente e più chiaro negli affari politici dell'Europa.

Col Sen. Borah ho avuto tre interessanti conversazioni. Egli è per il

disarmo, la revisione dei Trattati. Mi ha parlato con entusiasmo dell'ultimo

discorso di Napoli del Duce. Mi ha detto che il primo paese che egli visiterà,

uscendo dall'America, è l'ItaHa. Mi ha pregato di dire al Duce che desidera

molto avere una sua fotografia. Borah conta moltissimo in America. A New

York sorridono di lui, ma l'opinione pubblica di tre quarti dell'America, cioè

quella che conta di più, il West ed il Middle-West, segue Borah.

Più prudente, più riservato sebbene non meno cordiale, è stato l'ambiente

del Dipartimento di Stato, rappresentato da Castle, intimo amico di Hoover,

e non così di Stimson. Fra il Segretario di Stato ed il suo più diretto collaboratore Castle c'è, mi è apparso, una differenza di opinioni sul metodo che il Governo americano deve seguire negli affari europei. La finalità è la stessa, il metodo è diverso. Mentre è chiaro che Stimson desidera marciare avanti nell'azione d'isolamento della Francia, Castle lo trattiene conscio dei pericoli che questa aZJione potrebbe rappresentare per l'America, ed è in Questo più d'accordo coi suoi amici di New York, che colle grandi correnti politiche del Middle-West e dell'Est. Una constatazione è certa, e cioè il sentimento di ostilità diffuso in tutte le classi della popolazione americana contro la Francia, seppure esistano . differenze sul modo di esprimere questo sentimento.

I quattro giorni di Washington dove sono stato oggetto di accoglienze veramente eccezionali e sinora mai vedute per un rappresentante straniero, da parte di tutti, senza eccezione, sono terminati colla diramazione del comunicato, i cui termini molto più caldi, cordiali, sebbene meno enfatici e retorici di quelli usati per la visita di Lavai hanno dato subito l'impressione del valore e dell'importanza che il Governo americano desiderava fosse attribuito alla visita del Ministro degli Esteri Italiano. Le mie dichiarazioni franche, semplici, il senso di nessun mistero che io ho dato alla mia missione, il linguaggio misurato senza enfasi, senza troppe espansioni o effusioni, il tono di cordialità semplice usato colla stampa, e soprattutto la persuasione che tutti gli Americani hanno avuto subito che il mio viaggio non nascondeva alcuno scopo recondito come quello di guadagnare l'America nelle particolari polemiche tra l'Italia e la Francia, e da ultimo la sensazione che io non mi ero recato in America per una propaganda di idee fasciste, ma soltanto per collaborare sinceramente ad una causa di cooperazione internazionale, mi hanno subito guadagnato le simpatie di tutti e specie di coloro che diffidavano della mia missione come diretta ad un duplice scopo, quello di far propaganda di partito e sfruttare l'occasione per accentuare la polemica contro la Francia (l). L'America è un paese molto strano e curioso. Quando tutti si sono accorti che io non mi ero recato nel loro paese per questi due scopi specifici, ho ottenuto immediatamente che il mio viaggio si trasformasse in una esaltazione del Fascismo ed in una condanna deHa politica francese. Se avessi accentuato all'inizio questi due caratteri avrei ottenuto il risultato diametralmente opposto. L'America è un paese di titani e di fanciulli. Lo si conquista con un nonnulla. Lo si perde con un nonnulla. È come un'ondata gigantesca. Se la si prende bene si possono raggiungere delle altezze insperate. Se la si prende male si è trascinati sotto, senza speranza di rialzarsi. Laval ha preso l'ondata con grande inabilità. Egli ha dato l'impressione del tipico carattere francese, meschino, avaro, taccagno, incapace di vedere lontano, ignaro di

pagandisti •.

ogni senso psicologico, irritante e burbanzoso. Col suo discorso nehla City Hall a New York ha immediatamente guadagnato le antipatie generali.

Colle prime dichiarazioni fatte al mio arrivo a Washington gli Americani hanno constatato con stupore che io dicevo delle cose simpatiche per la Francia, per Laval, e che accentuavo il carattere di collaborazione internazionale della mia missione. Il risultato immediato è stato il seguente: che le ostilità alla Francia sono aumentate, che l'esaltazione del Fascismo è cominciata.

Confesso che ho vissuto le tre giornate susseguenti di New York e Filadelfia con reale senso di emozione. Duecentocinquantamila persone sono state calcolate in Broadway quel mattino, nella pubblica dimostrazione lungo la strada e nella piazza del!la City Hall. Non si udiva che un grido: • Viva Mussolini. Viva l'Italia •. Sentire che la più grande città del più grande paese del mondo imbandierata col tricolore vibrava tutta quanta, in un'esaltazione veramente impressionante, nel nome del mio Paese lontano, e del mio Capo, ciò è stato per me un'impressione che non dimenticherò mai. In queste tre giornate, come nelle altre cinque giornate di New York, che hanno seguito, ho sentito tutta la straordinaria importanza e valore della politica da Te voluta (malgrado ancora oggi cruesta politica non sia pienamente attuata per le difficoltà meschine avanzate da alcune amministrazioni dello Stato) verso le masse italo-ame11icane.

Come gli Accordi del Laterano hanno guadagnato all'Italia fascista milioni di italiani che avevano nel fondo dell'anima una riserva ed un dubbio, dubbio che la pace con la Chiesa ha subito trasformato in sentimento di gratitudine verso Mussolini e il Regime, così questa nuova politica ha guadagnato all'Italia Fascista l'amore e l'attaccamento di milioni di italo-americani, che un falso concetto nazionalista ci aveva fatto perdere irrimediabilmente prima e dopo la guerra.

Questi milioni di italo-americani rappresentano delle masse imponenti negli Stati Uniti, masse che contano direttamente nella vita politica, economica, finanziaria americana. Oggi che la Madre Patria ha sciolto il più grave dubbio di coscienza che gravava nella loro anima, essi sono diventati dei fanatici per l'Italia e per Mussolini. Bisogna che questa politica sia perfezionata se non vogliamo compromettere i grandi risultati raggiunti e che la mia visita in America ha consolidato. Basta infatti che un Regio Carabiniere dietro ordine del Distretto Militare o della Polizia metta le manette ad un italo-americano che sbarca a Napoli, perché la notizia, immediatamente sfruttata in America da tutte le forze che hanno interesse contrario a questa nostra politica (e queste forze sono molte e complesse) produca effetti che non esito a chiamare disastrosi soprattutto per il prestigio personale di Mussolini, che in questi casi viene definito come • mancatore di parola ».

I vapori delle linee inglesi, francesi e tedesche del nord partono dall'America e ritornano vuoti di passeggeri. Le nostre linee partono e ritornano piene di italo-americani che vanno e vengono daU'America e dall'Italia. Basta questo elemento per giudicare del valore e dell'importanza, anche finanziaria per il paese della nuova politica instaurata.

Ma occorre assolutamente che incidenti non avvengano più. Una dichiarazione pubblica del Duce è riprodotta su una colonna di giornale. La notizia

dell'arresto di un itala-americano è riprodotta su tre o quattro colonne. La seconda notizia distrugge tre e quattro volte la prima. Se nel 1919 avessimo avuto in America le masse itala-americane organizzate come oggi, Wilson avrebbe trattato l'Italia in altro modo, e oggi noi avremmo la Dalmazia, l'Albania, delle colonie e forse Corfù.

Le tre giornate di New York e Filadelfia hanno rappresentato il punto culminante delle manifestazioni popolari da parte degli americani ed italaamericani, e posso ben dirlo, manifestazioni fasciste. Le susseguenti cinque giornate di New York che secondo il programma dovevano rivestire carattere

privato, hanno invece assunto una importanza forse ancora maggiore delle precedenti, poiché da una parte le manifestazioni popolari sono continuate durante i cinque interi giorni della mia permanenza a New York, dall'altra, tutti gli strati della classe dirigente americana, mondo politico, bancario, economico, culturale hanno voluto dimostrarmi il loro interesse, il:a loro simpatia, festeggiarmi e sopratutto ascoltarmi. Durante dodici giorni io ho parlato in pubblico ben ventotto volte delle quali due volte soltanto in lingua italiana, sempre accolto dal più aperto consenso. All'inizio di ogni mio discorso ho sempre invitato alla discussione e al contraddittorio. Questo segno di franco coraggio ha accresciuto ancora la corrente di simpatia, ed ha dato un maggior senso di convinzione alle idee che andavo man mano esponendo. Non so ancora se, come, ed in quale estensione questi miei discorsi siano giunti al pubblico italiano, ma posso assicurarTi che ho detto tutto quello che dovevo dire e che tutto il senso profondo, la ragione d'essere della politica fascista non solo nel campo internazionale, ma anche nel campo interno, io l'ho spiegato ed esaurientemente esposto al pubblico americano. I tre discorsi più importanti sono stati quelli pronunciati al Council on Foreign Relations, all'Università di Columbia ed alla Foreign Policy Association. In questi tre discorsi (l'ultimo dei quali, sul disarmo, è stato ascoltato per radio da tutta l'America),

Tu troverai tutti gli elementi della poLitica da Te esposti in questi dieci anni al popolo italiano e alla pubblica opinione del mondo, dal Parlamento, dalle Assemblee del Partito, dai raduni del popolo. E non solo gli elementi della

politica estera propriamente detta, ma soprattutto gli elementi sostanziali e fondamentali della dottrina e della Rivoluzione fascista.

Tutte le personalità più eminenti del mondo americano erano ad ascoltarmi, ed il successo è stato autentico ,e reale. Così dicasi della riunione dei banchieri in casa Pierpont Morgan, in casa Lamont e in casa Mitchell. Tutti i re della finanza americana, Morgan, Rockfeller, Taylor, Mitchell, Lamont, Young, Otto Kahn, Harrison, lVCayer, Gilbert, Marshall, Field ecc. ecc., erano presenti. E tutti hanno desiderato esponessi loro le linee fondamentali della Tua politica estera, economica, finanziaria. E tutti hanno avuto parole di sincera lode ed apprezzamento. Soprattutto l'accoglienza fatta dai grandi banchieri di New York ha sottolineato l'importanza della mia visita in America ed accresciuto enormemente l'interesse attorno ad essa.

• Per la prima volta • mi ha detto il vecchio Pierpont Morgan • da due anni in qua vediamo arrivare in America un uomo che sorride, che si dichiara

ottimista, che ha fiducia nel domani, che invita noi americani ad essere fiduciosi e sicuri come lo sono gli italiani di oggi, sotto la guida di IVIussolini • (1).

Anche l'ultimo messaggio di saluto inviatoci sull' • Augustus • dal Segretario di Stato Stimson a nome del popolo americano dice: • .. .la vostra visita ci ha incoraggiato... •.

In un grande cinematografo di New York all'apparire della mia immagine sullo schermo un americano ha gridato: • Let us make him IVIayor of New York! • e tutto il pubblico ha applaudito, lungamente con grida di • Viva l'Italia ' • Viva Mussolini '. Questo uno soltanto degli innumerevoli caratteristici episodi del mio soggiorno a New Yòrk.

Molte considerazioni si possono fare intorno a questa mia missione negli Stati Uniti d'America. lVIi sia consentito, come Camicia Nera, l'ambizione di affermare che nessuna azione di propaganda fascista ha mai raggiunto l'altezza ed i risultati raggiunti in questa missione. La fatica, da Te perseguita giorno per giorno, ora per ora, da dieci anni a questa parte, tenacemente, di conquista della grande [opinione] pubblica americana al Fascismo, ha mostrato i suoi primi grandi effetti concreti. Si tratta oggi di consolidare e mantenere questa posizione favorevole. Essa ci è indispensabile perché lo Stato Fascista possa affrontare nei prossimi anni i problemi fondamentali della vita italiana. Io sento profondamente che i prossimi anni saranno decisivi per i compiti che la Rivoluzione fascista ha affidato alla presente generazione italiana. Dobbiamo sempre più • organizzare la simpatia • dell'opinione pubblica del mondo attorno al nostro Paese(2). È quesrta la prima delle condizioni indispensabili perché il balzo finale, che il nostro Paese dovrà fare ad un certo momento, sia coronato da successo. Avendo vinto la guerra, abbiamo perduto la pace per la mancanza di questo • senso ' indispensabile. La Francia deve in gran parte la sua sproporzionata vittoria all'essersi crearta delle condizioni di simpatia privilegiate nel campo dell'opinione pubblka mondiaile. Per le stesse opposte ragioni la Germania, più forte militarmente, ha dovuto soccombere. L'Italia sta traversando un periodo molto simile a quello traversato dal '48 al '60, il periodo cavouriano della storia del Regno. Cavour ha presentato allora il piccolo, reazionario, militarista, conservatore Piemonte come il paese antesignano delle nuove idee di libertà che correvano per l'Europa. Al Congresso di Parigi del 1856 nessuno ha veduto Cavour parlare della questione italiana e per ciò fu aspramente attaccato dai reazionari della vecchia Torino. IVIa egli

- i nostri problemi».

si prer>arava così a trascinare l'Europa all'accettazione dell'idea dell'unità italiana in nome di quei • miti • che erano la bandiera ed il feticcio del secolo. E l'Europa gli venne, per dieci anni, dietro. Cromwell diceva spesso:

• Gli inglesi debbono fare i loro affari in nome di Dio •. E dopo di lui, non so chi, ha continuato dicendo: • La politica estera di uno Stato consiste nell'arte di presentare i propri interessi come vantaggio altrui, e nel nome di· una grande ideologia universalistica che colpisca il cuore delle moltitudini •.

Napoleone III, mentre si irrigidiva in un sistema di governo dittatoriale all'interno, faceva dell' • idea della libertà dei popoli • il • mito • della nuova supremazia francese nell'Europa. Così lo Czar in nome dello stesso principio combattè lo strapotere del Primo NapoLeone (1).

La Francia ha tentato di ripetere lo stesso giuoco qualche anno fa. Non c'è riuscita perché Mussolini le ha strappato le carte di mano, ed ora è l'Italia che tiene, e dovrà sempre più tenere, il banco del grande e difficile giuoco.

La politica che Mussolini ha fatto nel campo del disarmo, delle riparazioni, della revisione dei Trattati, ecc. ecc., i grandi • miti • di questo secolo scontento ed inquieto che non vuole sentire parlare di armi e di guerra, pur preparandosi alle armi ed alla guerra, ci hanno permesso non solo di tenere il nostro posto di Grande Potenza accanto alla Francia, in questo anno difficilissimo in cui lo strapotere della Francia, dopo aver piegato la Gran Bretagna, rischia di piegare anche l'America, ma ha fatto guadagnare a Mussolini ed all'Italia fascista un prestigio incalcolabile. Oggi l'Italia appare veramente indispensabile alla ricostruzione politica del mondo (2).

(l) Il 7 novembre.

(l) Nell'Archivio Grandi si conservano degli appunti autografi di Grandi che dovevano servirgli come prima traccia della relazione nubblicata nel testo. Negli appunti si legge: « Il nazionalismo italiano è erede della prassi bulowiana e tedesca nel presentare i problemi della nostra politica estera. Io non ho narlato in America dei problemi italiani, e tutti me ne hanno parlato. Non ho parlato del fascismo, e tutti hanno applaudito il Duce. Occorre presentarsi all'opinione pubblica mondiale, possedendola abilmente. Cecoslovacchia è stata fatta colla propaganda d'opinione pubblica. Nella Conferenza della Pace noi non abbiamo risolti i nostri problemi perché non avevamo questa preparazione e questa abilità di pro

(l) -Il 27 novembre 1931 Lamont scrisse una lettera a Fummi, che questi trasmise in copia a Grandi il 9 gennaio 1932 (Archivio Grandi). Della lettera di Lamont si pubblica qui il passo seguente: (2) -Cfr. quanto scriveva Grandi negli appunti cit. a p. 179, nota l: • L'Italia deve "organizzare la simpatia" per essere pronta a porre i suoi grandi problemi nazionali. Fra poco, man mano che la Germania riprende forza sarà necessario rivedere molte cose Per dare espansione alla Germania. Verrà quindi molto presto momento in cui noi dovremo porre
101

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA

L. P. 251633/319. Roma, 2 dicembre 1931.

A complemento e parziale rettifica della mia lettera a te diretta in data l" dicembre ti comunico che, poiché la proroga ai patto d'amicizia italarumeno scade il 18 gennaio p.v. (non a marzo) l'incaricato di affari di Romania mi ha fatto presente il desiderio del suo Governo che si iniziassero le conversazioni in merito. Ho preso tempo sino alla ventura settimana.

• Credo infine che in America non si fosse sempre Perfettamente sicuri dei reali obbiettivi della politica italiana e che esistesse ancora qualche dubbio sulla sincerità dei fini pacifici da essa ufficialmente proclamati. Il tono di r>erfetta lealtà delle dichiarazioni del Ministro Grandi ha certamente contribuito a far scomparire, o per lo meno a diminuire, le preoccupazioni americane a questo riguardo e simile effetto della visita non poteva non essere apprezzato dal Governo di Washington.

La crisi economica e finanziaria che ha duramente colPito l'intera Nazione americana, e le cui cause vengono generalmente attribuite alla crisi di fiducia provocata nel mondo dalle incerte e inquietanti condizioni politiche euro!)ee, mi sembra stia provocando in

Quanto precede per tua personale informazione e per norma di quanto dirai al Conte Karoly: comunque gli ripeterai che noi intendiamo procedere senza fretta ,e tenendoci sempre in conrtatto e in accordo con Budapest (1).

(l) -Cfr. quanto scriveva Grandi negli appunti cit.: • Più si è despoti all'interno, più devesi essere liberali all'estero. Vedi Napoleone III e lo Czar... Altro errore compiuto dalla Germania essere despota all'interno e estero. Stresemann •. (2) -Nell'Archivio Grandi si conserva un • Appunto per S. E. il Ministro., di Rosso, datato da bordo dell'c Augustus. 4 dicembre. Di questo appunto si pubblicano qui i passi seguenti:
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IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, CAPASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 265/92. Monaco di Baviera, 2 dicembre 1931.

Facendo seguito al mio precedente rapporto in argomento, credo opportuno segnalare a V. E. quanto altro mi viene riferito, attraverso fiduciari, sulle

America una certa revisiOne delle vecchie idee e della tradizionale attitudine degli Stati Uniti nei riguardi dell'Europa.

Certo è che gli Americani si rendono conto, oggi più di ieri, dei legami di interdipendenza della loro economia con quella dei paesi europei e sentono maggiormente di non potersi disinteressare dagli avvenimenti d'Europa. D'altra parte essi hanno incominciato a capire meglio le difficoltà reali e la complessità dei problemi europei; per cui, mentre vorrebbero contribuire a risolvere tali difficoltà, si preoccupano sempre molto seriamente del pericolo di lasciarsi coinvolgere nelle intricate complicazioni della politica europea. Di qui un senso di incertezza che si rivela in situazioni tavolta contraddittorie, come quella che si constata per esempio nei riguardi della questione della revisione dei Trattati di Pace, per la quale esiste indubbiamente una forte corrente popolare in senso revisionista, mentre da parte del Governo si mantiene un atteggiamento di grande prudenza e riserva.

Una situazione analoga mi è parso rilevare quanto all'atteggiamento americano verso la Francia: da una parte un sentimento diffuso di ostilità alla politica francese, dall'altra una evidente preoccupazione dei circoli dirigenti di non incoraggiare quelle correnti che in Europa tendono ad agire in opposizione alla Francia.

La visita di Lava!, mentre non si può dire abbia avuto una ripercussione favorevole nel sentimento popolare americano, sembra però aver lasciato i circoli dirigenti e specialmente gli ambienti finanziari sotto l'impressione che la Francia rappresenta oggi il fattore più importante della politica europea, e che nella soluzione dei maggiori problemi internazionali non si può fare a meno di tener conto del punto di vista francese...

Ho chiesto tanto a Castle quanto a Marriner se esisteva qualche possibilità che gliStati Uniti accettassero di discutere, ed eventualmente partecipare a qualche patto di garanzia o di mutua assistenza che desse soddisfazione alla tesi francese della sicurezza. Entrambi lo hanno escluso, anche sotto la forma di un semplice patto di consultazione...

Constatando l'armonia che esiste fra i punti di vista italiano ed americano, ho rilevato l'utilità che le due delegazioni mantengano a Ginevra degli stretti contatti, cercando entrambe di lavorare in collaborazione con la delegazione britannica. Marriner ne ha convenuto. Ho però avuto la sensazione che egli sia personalmente abbastanza propenso a giustificare -se non ad appoggiare -alcuni punti di vista francesi sul disarmo. e che in generale i funzionari del Dipartimento di Stato siano molto più tiepidi per questo problema di quanto non lo sia la massa del pubblico americano...

Parlando con i Sigg. Rentshler e Blair, rispettivamente Presidente e vice-Presidente della National City Bank, ho avuto le seguenti impressioni: i sentimenti dell'ambiente bancario di Nuova York non sono in questo momPnto troppo favorevoli alla Germania. I banchieri americani hanno l'aria di rimproverare ai tedeschi di averli giuocati quando hanno continuato a chiedere prestiti a breve scadenza pur sauendo già che, tosto o tardi. avrebbero dovuto dichiararsi insolventi. Quello che oggi interessa ai banchieri americani è di ottenere la restituzione di questi crediti oppure di consolidarli in condizioni soddisfacenti. Sono naturalmente favorevoli ad un regolamento delle riParazioni che, migliorando il credito della Germania, faciliti la sistemazione dei loro propri crediti; non vorrebbero però che alla Germania si facessero delle condizioni eccessivamente favorevoli. Il pericolo che, trattando oggi la Germania in modo troppo liberale, essa risorga quanto prima come un forte concorrente anche per l'America, mi è stato accennato a più riprese. Non sembra che da parte dei finanzieri americani si attribuisca troppo !Jeso alla minaccia comunista o nazionalista. Entrambi i miei interlocutori hanno mostrato di essere stati molto favorevolmente impressionati dalla personalità di Lavai, che avrebbe saputo parlare ai finanzieri

americani in modo chiaro e convincente ».

Circa l'accenno di Rosso a un patto di garanzia, o di mutua assistenza, o di consultazione, cfr. una lettera di Grandi a Mussolini, del 15 ottobre 1931, nella quale riferiva su una conversazione avuta con lord Reading (Archivio Grandi): Lord Reading non aveva « nessuna idea concreta su una possibile proposta di patto di garanzia, o di consultazione cui gli Stati Uniti potrebbero ad un certo ounto persuadersi a partecipare, se non addirittura a prendere di questo l'iniziativa >.

trattative fallite per un accordo tra il socialnazionalismo austriaco e il movi· mento de1le Heimwehren e sulle divergenze insanabili che sembrano dividere attualmente le due tendenze di destra nella vicina Confederazione -secondo quanto, almeno, si conosce ,e si giudica alla Direzione del Partito nazionalsocialista in Monaco. Il contrasto, ormai chiaro, si appunta su due diverse concezioni politiche che riguardano il futuro dell'Austria: i socialnazionalisti seguono la corrente pangermanista (grossdeutsch) e non vogliono nulla che possa compromettere le possibilità avvenire dell'Anschluss; le Heimwehren, sotto la guida almeno di Starhemberg, deluse per il fallimento del progetto Curtius-Schober di Zollunion, e sotto la duplice pressione dei monarchici all'interno e del lavorio diplomatico di alcune Potenze straniere, pensano a una nuova funzione internazionale dell'Austria, alla possibilità della restaurazione degli Absburgo e ad intese economiche nell'ambito degli Stati Danubiani. I socialnazionalisti austriaci hanno sempre avuto di mira di guadagnarsi l'appoggio delle Heimwehren, la cui organizzazione ha sinora inceppato lo sviluppo del partito hitleriano in Austria, come quella che già per suo conto contrastava alle correnti marxiste e combatteva socialismo e comunismo nella repubblica danubiana. Nell'estate scorsa, il centro direttivo socialnazionalista di Linz su ordini venuti da Monaco iniziò trattative per stringere un'unione combattiva con le Heimwehren al duplice scopo di combattere il marxismo e il legittimismo absburgico; le trattative erano condoUe con Pfrimer che allora capeggiava le Heimwehren e condussero a una tregua che pose fine agli attacchi personali tra i capi dei due movimenti. Ma dopo il putsch di Pfrimer del 13 settembre, cui i socialnazionalisti non parteciparono e che, anzi, condannarono, l'avvicinamento fra i due partiti subì una sosta. Tornato Starhemberg sulla scena come capo delle Heimwehren, dopo la fuga di Pfrimer in Jugoslavia, i socialnazionalisti tentarono nuovi approcci con lui, ma il principe, senza neppure motivare o scusare la sua assenza, non si presentò alle conferenze indette per la continuazione delle trattative. Presto si scoprì che nelle Heimwehren le correnti legittimiste andavano pl'endendo il sopravvento sulle tendenze pangermaniste di Pfrimer. I socialnazionalisti insospettiti intimarono, atttraverso i giornali, a Starhemberg di fare dichiarazioni precise e non equivoche sulle sue 'intenzioni; ma poiché il direttorio delle Heimwehren credè opportuno trincerarsi nel silenzio, i socialnazionalisti passarono all'offensiva e all'appello diretto ai seguaci della Heimwehr in comizi pubblici a Graz, Klagenfurt, Wiener-Neustadt ecc... Molte mi~liaia d'iscritti alle file delle Heimwehren si dichiararoiio per l'unione o l'alleanza con il movimento hitleriano. Fu allora che Starhemberg e il suo stato maggiore mostrarono maggiore arrendevolezza e si dissero pronti a riprender~ i negoziati. Senonché Starhemberg avanzò la domanda che le organizzazioni socialnaZiionaHste in Austria fossero sciolte e che tutto il movimento di destra fosse sottoposto alla sua direzione. Il partito socialnazionalista si oppose alla richiesta del principe e ruppe le trattative. Allora il direttorio de1le Heimwehren, riunito a Linz, declinò pubblicamente la proposta unione con gli hitleriani. A.:il'indomani di questa riunione, le Heimwehren dichiararono di unirsi all'Heimatschutz legittimista del maggiore Fey e del Dr. Steidle, e il Conte Alberti, capo delle Heimwehren dell'Austria Inferiore ammise che nelle sue fila erano benvenuti

8 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

i legittirnisti. Nello stesso tempo la c Freiheit • di Vienna, organo dell'Heimatschutz, pubblicò un articolo editoriale che caldeggiava l'undone doganale tra Austria, Ungheria e Cecoslovacchia, mentre, a due giorni di distanza, il barone Werkmann, segretario del defunto imperatore C'.<J.rlo, teneva ad Hall presso Innsbruck un discorso per la restaurazione degli Absburgo. Intanto nella stampa delle Heimwehren agli attacchi contro Schober e al partito c grossdeutsch • sono seguiti gli attacchi contro il Cancelliere Buresch, e non sarà la dolce multa di 200 scellini, cui è stato condannato Starhemberg per la campagna contro il ministro degli Esteri austriaco, che li farà cessare.

In questi ambienti della direzione del partito hitleriano si è ormai convinti che le Heimwehren di Austria mirino a sostituire il governo Buresch con un governo Seipel e si vadano orientando definitivamente verso la restaurazione monarchica e gli accordi economici con Budapest e Praga, mettendosi nell'orbita della politica francese.

103.

L'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. (P. R.) 8537/246. Madrid, 3 dicembre 1931, ore 15 (per. ore 19,30).

Con telespresso stampa del 19 corrente 1079 ho inviato ritagli giornale El Socialista con articolo intitoJato: c Italia redenta •.

C001 te1espresso de!l 26 novembre 1110 ho inviato ritagli gJiornale Crisol con articolo invitante intellettuali spagnuoli a solidarizzarsi con protesta internazionale contro obbligo recentemente imposto ai cattedratici del Regno di prestar giuramento di fedeltà al Regime. Stesso giornale nel suo numero del l • dicembre ritorna sull'argomento e pubblica una prima Hsta adesione intellettuali spagnuoli alla protesta contro c imposizione tirannica dittatura fascista •; fra i primi nomi appare quello dell'attuale Ministro della Marina Signor Josè Girai professore di chimica, del quale detto giornale pubblica per intero lettera adesione concepita in questi termini: • Invio mia personale fervida adesione movimento internazionale protesta contro odioso attentato dittatura fascista a libertà pensiero e cattedre •.

Ho atteso giornali del 2 corrente sperando che pubblicassero rettifica tali sconvenienti manifestazioni, ma nulla essendo apparso mi sono recato stamane al Ministero Affari Esteri per protestare nella forma più energica. Ho detto al Sottosegretario di Stato (Lerroux è tuttora assente) che una simile manifestazione di un Ministro in carica rivestiva carattere di gravità eccezionale e che lo pregavo attirare su di essa personale attenzione del Presidente del Consiglio. Ho aggiunto che attendevo una precisa risposta in proposito.

In data ieri avevo dovuto rivolgere una vibrata lettera al Presidente del Consiglio per protestare contro articolo del giornale El Socialista dove

S. E. Grandi era definito • bandito e contrabbandiere • (1).

(l) La lettera di Guariglia del 1° dicembre è edita al n. 96.

104

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (2)

TELESPR. RR. 2979/1297. Tirana, 3 dicembre 1931.

Avendo comunicato al Generale Pariani l'ordine (pervenutomi col telegramma di S. E. il Capo del Governo N. 184 del 27 Novembre) (3) di rimanere fino a nuovo avviso al suo posto, il Generale ha tosto ottemperato.

A questo riguardo è mio obbligo tuttavia aggiungere qualche delucidazione. V. E. ricorda come, fin da cuesta primavera, il Generale Pariani avesse espresso, parlando anche cogli intimi del Re, la sua determinazione, se il Re non avesse adempiuto alla promessa di rinnovare il patto, di non rimanere al proprio posto (v. qui allegato in copia rapporto. Pariani N. 140 annesso al mio rapporto N. 1301!564 del 5 giugno 1931) (4). Il medesimo concetto il Generale mi aveva ribadito personalmente quando, turbato dal protrarsi dei negoziati relativi all'appor1to finanziario, egJ.i insisteva presso di me perché fosse dato corso agli accordi stessi, prescindendo da altre considerazioni che non fossero la necessità di consentire senz'altro alle richieste albanesi per evitare riduzioni di spese militari. Aggiungo di aver saputo l'altro giorno incidentalmente, dall'Avv. Amedeo Gambino, che anche con .lui il Generale, durante le trattative, si era espresso con amarezza sulle lentezze e le dubbiosità con cui esse procedevano, mentre, se fossero state a lui affidate, si sarebbero conchiuse in quattro e quattr'otto, con la certezza che il Re avrebbe a suo tempo firmato il patto.

Questa attitudine del Generale Pariani dipendeva, come V. E. del resto sa, da parecchi fattori: la sua fiducia nella persona e nelle promesse de~ Re; la sua persuasione che ci convenisse consentire sempre e ·largamente ad ogni richiesta del Re, senza pegni e senza condizioni; la sua amarezza nel vedere il Re contrariato o ritardato nei suoi desideri; finalmente, la propria sensibilità quasi morbosa ad ogni accenno di possibili riduzioni delle spese militari. Per questo lato, il Generale Pariani agiva, sempre ed infallibilmente, come il soggetto passivo e l'istrumento attivo più docile dell'ormai periodico ricatto del Re. Ed è inutile aggiungere che il Generale Pariani aveva impegnato la

• Si sta inscenando con :vunto di vartenza Ginevra una nuova montatura contro il Governo fascista a proposito giuramento professori universitari. Per norma di V. E. (V. S.) cose stanno in termini seguenti. I professori delle Università del gruppo C cosidette libere sono stati dispensati da tale giuramento ma hanno voluto giurare ugualmente. Giuramento riguardava professori Università Regie e semi Regie. Tutti i professori hanno regolarmente e spontaneamente giurato. Uscirà fra poco un comunicato che dimostrerà come i professori abbiano giurato nella loro quasi totalità. Se occorre bisogna sventare questa nuova campagna tendenziosa antifascista •. Non è stato trovato l'originale di questo tel. Dalla copia non risulta la data.

sua testa colla sicurezza perfetta di dire una semplice • boutade •, perché al primo cenno con cui lui, Pariani, avrebbe richiamato alla promessa il reale amico, questi avrebbe tosto fatto onore alla parola. Sorretto da tale fiducia, il Generale, appena gli feci cenno ai primi di novembre che conveniva mettere in moto anche le sue batterie, cominciò a discorrere della cosa col Colonnello Sereggi, e gli ricordò quanto gli aveva detto a suo tempo, cioé che egli contava sulla firma del patto, promessagli dal Re, altrimenti se ne sarebbe sdegnosamente partito; e lo pregò di ricordarlo al Re. Manco a dire l'effetto fu nullo; e tornando io ad insistere perché mi rincalzasse, si decise final'mente ad affrontare personalmente l'argomento, che egli intuiva ora divenire più scabroso di quanto avesse pensato.

V. E. può figurarsi come rimase male, quando si sentì rispondere freddamente dal Re. • Perché mi parlate di questi affari? Che cosa c'entrate voi con le questioni politiche? •. Pariani, oltre che un teorico militare di vaglia, è una persona leale e retta: tanta faccia tosta, tanta ingratitudine, dopo di essere stato compromesso, non se l'aspettava; ed ancor più quando il reale amico, al sentirlo accennare alla eventualità del proprio ritiro, gli scoppiò a ridere in faccia.

Mentre cercavo di consolarlo, perché davvero era molto rattristato ed abbattuto, gli feci anche notare che, se conveniva a noi di mettere in mostra tutte le armi atte ad intimorire e piegare il Re, non era opportuno che alcuna facessimo lampeggiare in modo troppo preciso ed imprudente, perché se il Re poi non avesse ceduto, saremmo rimasti probabilmente nella impossibilità di vibrare, almeno subito, il colpo propriamente detto, e ci saremmo esautorati completamente davanti a quel cinico e scaltrissimo uomo. Dimostrai come io stesso, pur ricorrendo alla gamma delle pressioni, ne lasciavo un po' neH'ombra la data ed il modo dell'uso; e che conveniva si uniformasse anche lui allo stesso sistema, insistendo sulla sua ripugnanza di rimanere al proprio posto, ma senza precisar,e troppo intendimenti e date, per non essere poi eventualmente smentito da ulteriori decisioni.

Ma il Pariani non è atto a comprendere le sfumature diplomatiche e non applica, in politica, la teoria che pur avanzando colla piena fiducia nella vittoria, bisogna lasciarsi libere le vie della ritirata.

Dimodoché, tornò a ripetere e ripetere, da me e a Palazzo che, se il Re non avesse firmato il 27 Novembre prima di mezzanotte, avrebbe infallantemente fatto le valigie.

Quando poi giunse il telegramma N. 1286 in da,ta 24 Novembre (l) di

S. E. il Capo del Governo con le istruzioni per lui, il Generale Pa11iani ne fu, in certo senso, come sollevato da un peso perché vi vide ,la precisa superiore conferma alle proprie intenzioni. Nell'impartirgli le disposizioni del caso, non mancai di metterlo ancora in guardia sul valore ed il tono delle espressioni che avrebbe usato. Ma, in conclusione il Generale Pariani fini per andare dal Re e ripetergli che da parte superiore gli si confermava la sua partenza in caso di mancato rinnovo del patto, non solo. ma che la sua partenza preludiava al riesame del programma di collaborazione militare.

Il Re, come V. E. sa, rispose che gli rincresceva, ma che partisse pure; inoltre,

che il giorno 28 gli avrebbe conferito l'Ordine della • Besa • con una lettera

di commiato; saputo il che mi precipitai da Libohova e riuscii a far sospendere

la lettera di commiato, già redatta ed in procinto di essere spedita al proto

collo, e ne venne redatta un'altra in termini normali. V. E., da quanto

ho sopra esposto, comprenderà subito come la posizione del Generale Pariani

sia, dopo le disposizioni di sospendere la sua partenza ad epoca indeterminata

del telegramma ministeriale N. 184, particolarmente delicata e difficile. La

sua partenza è stata l'unica carta che sia stata arrischiata e giuocata decisa

mente sul tappeto nelle trattative per il fallito 11innovo; ed è stato il Generale

stesso che si è imprudentemnte impegnato di fronte ai famigliari del Re e poi

al Re medesimo. Eg.Ji sente quindi, da una parte, che la propria presenza è il

documento di ciò che egli ha chiamato in questi giorni la nostra capitola

zione; pur non nascondendomi, dall'altra parte, che già fa capolino nel suo

animo una tendenza al perdono ed alla fiducia rinnovata verso Zog.

Credo anche opportuno di non nascondere a V. E. che, quando comunicai al Generale Pariani le istruzioni del telegramma N. 1286, egli si lasciò andare a dirmi che la propria partenza dall'Albania sarebbe alla fin fine anche per lui una liberazione, perché i metodi del Re stavano provocando dei malumori, e che si faceva sempre più strada il malcontento degli ufficiali contro il Sovrano. Ed il Colonnello Gabrielli, il collaboratore fedele di Pariani, in un momento di sfogo, si lasciò andare a dire che l'opera del suo Generale era sabotata dalle autorità militari albanesi e che dell'esercito con simili metodi non si sarebbe mai fatto nulla.

È inutile che io dica a V. E. che, per disciplina, sarei entrato in ogni modo ed in pieno nel concetto di trattenere qui il Generale Pariani; ma tengo ad aggiungere che, in più, sono persuaso dell'accortezza di tale direttiva, figlia della considerazione calma delle cose e del buon senso politico che nulla sacrifica alla tentazione di gesti clamorosi. Tuttavia non posso tacere che il Generale Pariani si trova senza alcun dubbio in una posizione particolarmente disagiata e che il suo prestigio ha sofferto di questi incidenti: presso il Re, che lo guarda ogni mattina come la testimonianza viva e presente della propria vittoria; e non solo presso il' Re (1).

(l) Sulle questioni attinenti all'antifascismo cfr. il seguente teL inviato da Mussolini a tutti i rappresentanti diplomatici all'estero:

(2) -Il doc. reca il visto di Mussolini. (3) -Cfr. n. 84. (4) -Cfr. serie VII, vol. X, n. 316.

(l) Cfr. n. 81.

105

MALAGOLA CAPPI AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

(Archivio Grandi)

Belgrado, 17-18 Novembre, 2-3 Dicembre 1931.

Il primo giorno di mia permanenza, ho veduto il Re per poco tempo, e non è entrato per nulla in argomento, anzi mi ha fatto l'impressione che egli volesse evitarlo.

Il giorno dopo invece recatomi al castello al mattino, sono stato subito ricevuto e sono rimasto a lungo con lui.

Si capiva benissimo che lui voleva entrare in argomento, ma attendeva lo spunto, ed allora sono entrato io chiedendogli quale era stata l'impressione del Ministro Y. [eftitch] dopo la visita a Roma (1).

È bastato questo perché il Re partisse a briglia sciolta:

• M. Y. a été très désappointé de ne pas avoir parlé directement avec

M. M. [usso~ini] car c'était juste pour parler avec 1lui et connaitre son point de vue personnel que je l'avais envoyé.

Quand à Zagreb je vous ai chargé de demander à M. M. s'il voulait que je lui envoyais quelqu'un, ou bien s'il préférait de m'envoyer une personne de sa confiance, j'avais prévu que mon envoyé, ou le sien, aurait été reçu par lui ou bien par moi.

Pot.r cette raison, quand M. Y. est rentré et il m'a dit de ne pas avoir vu M. M. j'ai été très étonné et surpris.

Si M. M. m'avait envoyé ici le dernier des secrétaires de son cabinet, je l'aurais certainement reçu; M. Y. n'était pas seulemen:t mon Ministre, mais mon homme de confiance 'et mon ' porte parole '.

Le Ministre des Affaires Etrangères avait déjà parlé plusieurs fois avec

M. Mar. [inkovitch] et nous connaissions déjà son point de vue.

J'aurais voulu, par une conversation directe avec M. M. faire un pas en avant, avoir des réponses directes, et, sans arriver à une conclusion, préparer ma rencontre avec M. M.

M. Y. aurait pu de cette conversation me rapporter son impression et peutetre qu'en parlant, la conversation aurait pu donner des éléments précieux de jugement.

M. Y. a exposé tout clairement les points capitaux qui nous séparent, en demandant si nos propositions allaient à l'Italie; on nous a répondu tout court ' NON '.

Nos points ne sont ni intangihles, ni immuables; pourquoi donc on a cet air de ne pas vouloir les discuter? Nous avons rédigé nos idées 'par écrit' pourquoi l'Italie ne fait pas autant?

L'Italie a toujours le mème système: de nous faire parler et de ne rien répondre, el1e a tout l'air de s'en ficher de nous et de n'avoir ni envie, ni intention d'arriver à la conclusion. Eh bien si mème on a cette intention, il vaut mieux de nous le dire tout franchement et sans compliments et on n'en parlera plus!

Croyez moi, ce n'est pas aue je suis personnellement froissé si M. M. n'a pas cru de recevoir M. Y. mais si je l'avais prévu, je ne l'aurais pas envoyé car je l'avais envoyé comme mon ' porte parole' au Chef du Gouvernement, et pour connaitre la pensée du Chef du Gouvernement.

Autrement, les conversations de M. Gr.[andi] et M. Mar. étaient plus que suffisantes. J'espérais avec ça d'avancer, comme j'en avais le désir et l'espoir.

Comme ça nous sommes au meme polnt que avant, et le système est toujours le meme: nous faire parler et ne rien répondre •.

Ho domandato al Re se a causa delle nuove condizioni politiche dell'Europa e delle nuove complicazioni finanziarie mondiali egli fosse rimasto della stessa idea, circa l'accordo coll'Italia e circa la possibilità dell'incontro con

S. E. Mussolini.

• Quant à moi je suis toujours du meme avis et c'est inutile que je vous répète 1'es raisons pour lesquelles je crois l'accord pas seulement utHe, mais très désirable, mais 'en meme temps je dois vous avouer que je n'ai plus cet enthousiasme que j'avais avant. Nous ne voulons pas avoir l'air de piétir le chapeau à la main, car ce n'est pas le cas.

J'ai vu dernièrement M. Galli mais aussi de lui je n'ai r.i·en su qui puisse nous faire avancer, d',autre part avec M. Galli je ne peux pas partler comme avec vous et M. Galli ne m'apporte jamais un mot directe de M. M. Il m'a dit d'avoir parlé à Rome a'V·ec M. Gr. (l) mais M. Grandi était trop occupé à préparer son voyage en Allemagne et en Amérique pour pouvoir s'occuper de nous.

Les pourparlers avaient été commencés, avec espoir à l'époque du mariage de votre Prince Umberto. Quand M. Y. a accompagné le Prince Paul, et M. Galli a procuré de les faire rencontrer, mais après, la chose est finie dans les nuages où elle est restée jusqu'au moment que vous etes arrivé pour la faire revivre, mais maintenant il me semble qu'elle va reprendre le meme chemin •.

Il Re vede anche nel continuo e immutato atteggiamento della stampa italiana (elezioni Jug.[oslave] ecc.) un sintomo della poca volontà delll'ltalia di arrivare all'accordo.

• Puisctue la presse est contròlée par le Gouvernement, comment peut on croire aue le Gouvernement désire l'accord sincèrement?

La politique en ltalie dépend entièrement du chef du Gouvernement, comme ioi elle dépend entièrement de moi -le Gou'Vernement est I"lep•résenté donc par son Chef -comment dois-je donc croir que le Chef du Gouvernement désire cet accord? Pourquoi ne dois-je jamais avoir un mot direct de lui? •.

Il Re mi ha ancora a lungo parlato del nostro Ministro Galli, facendone i più ampi elogi e ripetendo quanta simpatia e stima egli abbia di lui, rammaricandosi che il Ministro Galli non sia stato prima a quel posto invece del suo precedessore del quale il Re conserva un disastroso ricordo, asserendo che egli fu la causa principale di questo presente stato di inimicizia fra i due paesi.

(l) Mussolini convocò Pariani a Roma per il 15 dicembre. Il tel. di convocazione fu spedito 1'8 dicembre alle ore 18. Cfr. anche il seguente appunto: « Le istruzioni di S. E. il Capo del Governo sono: l) inviare il telegramma a Soragna per l'invito a Pariani di conferire; 2) avvertire Gazzera che Pariani è stato chiamato a conferire per il 15; 3) nei riguardi della risposta alla nota albanese, S. E. desidera conferire con S. E. Grandi • . Sulla nota albanese, cfr. p. 259, nota l.

(l) Cfr. serie VII, vol. X, n. 446.

106

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 4563/2585. Vienna, 5 dicembre 1931.

Mio telespresso N. 2552 del 2 corrente. Questo mio collega di Francia è venuto oggi a farmi la visita annunziatami. Prendendo occasione dalle sue preoccupazioni sulla situazione austriaca

gli ho a lungo parlato di essa per giungere alla conclusione della sua necessità di sostenere le • Heimwehren • e dell'opportunità di un suo incontro con Starhemberg, secondo il desiderio di quest'ultimo e l'autorizzazione verbale di codesto R. Ministero. Riassumo nel modo più breve i miei argomenti e le sue risposte nel nostro colloquio, il quale ha conseguito l'effetto desiderato.

Gli ho detto che la situazione austriaca è grave e merita di essere seguita con attenzione per non essere sorpresi dagli avvenimenti. I nostri due stati hanno un comune fondamentale interesse: che l'annessione non avvenga e che l'Austria possa vivere nella sua indipendenza. Non è probabile una ~unga durata dell'attuale gabinetto; dopo il quaJle si parla qui finora di due sole possibilità: o un ministero di destra Seipel con la partecipazione delle

• -Heimwehren », o un ministero di coalizione con la partecipazionedei socialisti. Un ministero Seipel sarebbe utile ai nostri comuni interessi perché fautore di un ristabilimento dell'ordine interno e oppositore dell'annessione. Un ministero di coalizione invece, nel Quale Seipel e con lui l'ala destra dei cristiano-sociali e le • Heimwehren • non entrerebbero, ci sarebbe dannoso perché avrebbe il programma opposto. Traevo la conferma di queste considerazioni dal fatto che parteggiavano per un gabinetto di coalizione non solo questa Legazione di Germania, ma anche i nazional-socialisti austriaci. Ora le • -Heimwehren •, con cui avevo rapporti, mi dichiararono che se fosse venuto al potere Seipel lo avrebbero sostenuto, mentre se si fosse avuto un ministero di coalizione non avrebbero potuto restarsene passive; ciò non solo perché un simile gabinetto avrebbe impedito qualsiasi eventualità di una loro ulteriore riscossa, ma anche perché i nazional-socialisti avrebbero finito con il prendere su loro il sopravvento. Era nostro interesse sostenere quindi insieme con Seipel anche le ' Heimwehren », che lo seguono e che pertanto sono anch'esse sostenitrici della ricostruzione interna, condizione prima per la vitalità dell'Austria, e oppositrici dell'annessione e come tali contrarie tanto ai socialisti quanto ai nazional-socialisti: il recente discorso di Starhemberg aveva dissipato le ultime speranze di Questi ultimi in una comune intesa. Senonché una delle maggiori preoccupazioni delle • Heimwehren • era quella del contegno della Francia: non v'era da temere che, mal prevenuta, avrebbe, nel caso di una loro azione, ritirato i vecchi crediti, e rifiutato concederne nuovi?

Con mia soddisfazione, Clauzel mi ha risposto che concordava pienamente con me nei nostri comuni pericoli e interessi. Un ministero presieduto da Seipel, che è indubbiamente il più capace uomo politico austriaco, era desiderato e sarebbe stato ben accolto dal Governo francese; non del pari un ministero di coalizione con la partecipazione dei socialisti. Non si ignorava a Parigi l'identico programma di politica estera austriaca dei nazional-socialisti e dei socialisti, malgrado le loro divergenze nel programma di politica interna, e ci si rendeva quindi conto della necessità per la Francia di impedire il rafforzarsi degli uni e degli altri assai attivi nella loro propaganda. Quanto alle • Heimwehren • v'erano effettivamente state nel Quai d'Orsay delle prevenzioni contro di loro, confermate da qualche incauto discorso di Starhemberg nel passato; ma un più attento esame della loro attività, il recente

suo discorso di separazione dai nazional-socialisti e l'opera di persuasione svolta da Clauzel a Parigi avevano dissipato quelle ingiustificate diffidenze. Perciò, comprendendo anche il fondamento dei pericoli paventati da Starhemberg, egli era convinto che ove le • He·imwehren • avessero seguito Seipel e con lui Vaugoin, entrambi antiannessionisti e favorevolmente disposti verso Ja Francia, l'eventualità di un ritiro dei crediti non sarebbe esistita; Clauzel mostrava anzi voler far comprendere che appunto l'avvento di Seipel avrebbe favorito la eventuale concessione dei nuovi. Certo le • Heimwehren • non potevano fare assegnamento sull'appoggio di quella parte dell'opinione pubblica e della stampa francese che sono orientate a sinistra. Ma i loro gridi nel caso di qualche azione di forza in Austria non volevano punto dire che il Governo sarebbe stato impressionato: l'epoca delle elez,ioni politiche in Francia si avvicina ed il Gabinetto non si appoggia certo ai partiti di silnistra.

Assicuratomi così che quanto mi restava da dire non avrebbe incontrato un rifiuto di principio, ho ripreso rallegrandomi della nostra coincidenza di idee ed aggiungendo che forse, dato quanto mi aveva già detto, sarebbe stato non inutile che egli avesse avuto un colloquio con Starhemberg. Io avevo l'impressione che questi lo desiderasse da tempo, ma che si fosse astenuto dal chiederlo per il timore di trovare una negativa di massima, la quale gli avrebbe poi lasciato l'umiliante rammarico di essersi spontaneamente e inutilmente attirato un rifiuto. Ero convinto che, rassicurato ora in via generica sul contegno di Parigi, gli sarebbe stato gradito conversare con il Ministro di Francia, dargli e riceverne gli opportuni schiarimenti e scambiare con lui le relative reciproche dichiarazioni. Starhemberg sarebbe certo stato lieto di poter udire ripetere da Clauzel le affermazioni rassicuranti da questi già date a me, e a questo avrebbe potuto non dispiacere essere in grado di riferire a Parigi aver udito confermare da Starhemberg stesso Quanto io gli avevo detto. Credevo che nella settimana prossima avrei avuto occasione di parlare con Starhemberg, ora assente da Vienna. Se il mio collega me ne autorizzava gli avrei ripetuto quanto mi aveva detto, e avrei combinato il loro primo incontro.

Clauzel mi ha risposto che in non so quale occasione gli era stato pr·esentato Starhemberg, ma non aveva mai parlato con lui. Prima del suo ultimo congedo gli era da terzi stato accennato al suo desiderio di incontrarsi con lui. Egli non aveva voluto rispondere subito, ma a Parigi aveva chiesto a Berthelot se potesse vedere Starhemberg e ne aveva avuto il consenso, malgrado i dubbi ed i sospetti di complicazioni in qualcunò dei funzionari del Quai d'Orsay. Senonché al suo ritorno, pur essendogli stati qui rinnovati analoghi accenni, questi gli erano venuti da legittimisti austriaci ed in modo maldestro, così che egli non aveva potuto decidersi a consentire in quelle proposte. Tanto più era contento di accettare ora la mia, e mi autorizzava a dire a Starhemberg che sarebbe stato lieto di parlare con lui purché il colloquio fosse avvenuto con le comprensibili cautele e in ogni caso fuori della Legazione di Francia, che come tutte le altre è sorvegliata dalla polizia, e non in casa di legittimisti. Ho assicurato Clauzel che avrei avuto cura di darne comunicazione a Starhemberg e di fargli poi conoscere le proposte di questi sul giorno e il luogo dell'incontro.

Nel congedarsi da me Clauzel mi si è detto grato e soddisfatto per il lungo e chiaro scambio di idee avuto il quale gli provava la comunità dei nostri interessi in Austria e la convenienza e possibilità di un'azione concorde.

(l) Cfr. n. 66.

107

IL CONSOLE GENERALE AD ALGERI, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 10655/464. Algeri, 5 dicembre 1931.

Ho l'onore di portare a conoscenza dell'E. V. che ho ricevuto stamane la visita del Sacerdote .Mbel't Prin, proVJinciale dei Salesiani per l'Mrica settentrionale francese (Tunisia, Algeria e Marocco). Egli che è francese di nascita ma ha vissuto per lunghi anni nel Belgio a seguito delle espulsioni dal territorio francese per le leggi Combes, è giunto da un mese ad Algeri inviato dalla Casa Madre dei Salesiani di Torino per organizzare le Missioni dell'Ordine nei territori suindicati, e ha tenuto a entrare subito in rapporti cordiali, a causa dell'origine italiana dell'Ordine, con i Consoli Generali di Tunisi ed Algeri. Il Comm. Bombieri infatti, allorché ebbi occasione di vederlo la scorsa settimana nella sua sede, ebbe a parlarmi del Padre Prin e delle idee da lui manifestate nei riguardi della propaganda salesiana nell'Africa Settentrionale francese. Queste ,fdee che mi sono state ripetute stamane dal Prin stesso, possono così riassumersi:

l) Le fondazioni dell'Ordine nei territori di dominio francese sono ostacolate nel loro sviluppo, particolarmente a Tunisi dalle autorità religiose francesi a causa dell'orientamento italofilo dei Salesiani (il Padre Prin ritiene che la principale avversione sia quella dell'Arcivescovo di Cartagine Monsignor Lemaitre).

2) Tale difficoltà compromette grav·emente il successo delle fondazioni, da poco sorte (in tutto il territorio considerato risiedono a tutt'oggi solamente 45 salesiani, dei quali tre di nazionalità italiana sono a Tunisi).

3) Sarebbe oltremodo opportuno che l'Italia si interessasse delle sorti dell'O_rdine Salesiano in una zona dove risiedono tante migliaia di italiani e dove attraverso quelle fondazioni questi italiani potrebbero essere utilmente beneficiati senza timore di subire pressioni intese a diminuire il loro spirito di attaccamento alla patria di origine.

4) La via migliore per il R. Governo per ottenere questo risultato sarebbe di ottenere dalla Santa Sede la nomina di un Delegato Apostolico per la propaganda della fede nei paesi dell'Africa francese mussulmana il quale avocasse a sé, come avviene negli altri paesi dove esiste un Delegato Apostolico, la nomina dei vescovi e l'organizzazione delle Missioni. Soltanto con tale nomina si eviterebbe che i Vescovi francesi continuassero ad adoperarsi per ostacolare la propagazione delle fondazioni dell'Ordine.

Ho ringraziato il Padre Prin per tale interessante esposizione e per lo spirito italofilo che l'aveva animata ma gli ho naturalmente fatto presente come tale trasformazione dell'ordinamento esistente non potrebbe non incontrare gravi ostacoli particolarmente in Algeria dove i tre • départements • di Algeri, Orano (sede della più importante tra le fondazioni in questione) e Costantina sono in tutti i campi retti dagli ordinamenti vigenti nel territorio della Repubblica. A tale mia obbiezione il Prin ha risposto che anche l'Algeria è considerata c territorio di propaganda • e conseguentemente è sottoposta alla giurisdizione della Congregazione c De Propaganda Fide •.

Il Prin parte in questi giorni per il Marocco per ispezionare le Missioni colà residenti e non sarà di l."litorno ad Algeri che nel prossimo febbraio.

Per conto mio ritengo tale progetto di difficile attuazione per motivi che toccano profondamente i rapporti tra la Francia e la Santa Sede. Pur tuttavia ritenendo anch'io che sarebbe per noi di non piccola utilità la nomina di un Delegato Apostolico, possibilmente appartenente ad un ordine missionario, per l'Mrica mussulmana francese, ho ritenuto opportuno riferire all'E. V. le idee esposte, in via del! tutto confidenziale, dal Padre Prin perché eventu.alrmente il nostro R. Ambasciatore presso la Santa Sede possa, presentandosene l'occasione·, fare conoscere i nostri • desiderata • in questo campo (1).

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. R. s. N. Parigi, 5 dicembre 1931.

Anzitutto mi consenta di darLe il ben tornato e di felicitarLa pel successo ottenuto.

Io mi tengo a sua completa disposizione se Ella desidera che venga a Roma. La pregherei in tal caso di fissarmi il giorno e l'ora in cui Ella mi riceverà; così potrò arrivare all'ultima ora e ripartire subito dopo. Sono momenti in cui è bene essere lontani dal posto il meno possibile, altrettanto però quanto è bene essere a contatto verbale e frequente col Superiore che dirige e ordina.

V. E. ricorda cosa disse S. E. il Capo del Governo nell'ultima udienza: si aspetti la fine del viaggio di V. E. a Washington: poi vedremo se è il caso di suggerire la soluzione amministrativa delle due questioni del compenso coloniale e delle Convenzioni tunisine, nell'ultima impostazione fatta al signor Lavai, per venirci così a trovare su terreno libero da vecchia zavorra, sul quale potremo anche noi esaminare qualche contropartita, e corrispondere alla esigenza del sig. Berthelot che vi sia Qualcosa a favore della Francia.

V. -E. ricorda pure o.uale fu la risposta del signor Lavai sui 3 punti da me presentatigli in ottobre: non poteva darmi che una • réponse différée •, nulla dare circa la tregua navale, non poteva rispondere ancora sulla questione coloniale perché per una parte non conosceva i particolari e per l'altra eran sorte difficoltà: sembravagli che la nostra tesi per le Convenzioni tunisine avesse fondamento in equità ma non poter rispondere altro per il momento: e per ciò non poteva darmi che una • réponse différée •.

Dal mio ritorno a Parigi e dal ritorno del signor Lavai da Washington, questi è rimasto in completo silenzio e da parte mia ho avuto solo il breve dialogo col sig. Berthelot che Le riferii prima Ella partisse per New York nel quale dissi al Be-rthelot che non avevo nulla da dirgli ma che non rinunciavo al mio programma del riavvicinamento tra i due paesi.

Intanto sono successi gli incidenti di Nizza Chambéry Digione Lione Tolosa del l o novembre: si sono avuti alcuni sgarbi di gelo sia [sic] della stampa francese circa il di Lei viaggio a Washington. La prego in proposito di farsi mostrare i due miei telegrammi per corriere spediti a Roma.

La situazione generale della Francia è di nervosità, di tendenza a irrigidirsi in linee intransigenti. La crisi economica acuisce questo stato d'animo. La vicinanza delle elezioni lega il Gabinetto ad una linea di decisioni, in tutti i campi, che, francamente, non mi appare sana. Vi è tensione di opinione pubblica francese sia verso di noi, sia verso gli inglesi, e potenzialmente anche verso gli ame·ricani. Non parliamo c.irca la Germania: alla disillusione della sconfitta del briandismo si aggiunge il timore del trionfo dell'hitlerismo. Questo non è, dati i nervi francesi, uno stato di animo per trattative.

Riassunto della situazione: 1°) stato d'animo francese non eo.uo; 2°) nostra situazione di creditori di risposta. Io attenderò gli ordini di V. E.

(l) -La questione, relativamente alla Tunisia, continuò negli anni seguenti. Nel 1933' non era ancora risolta e la sua trattazione continuò nel 1934.
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IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A LONDRA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 5186/2550. Londra, 7 dicembre 1931.

lVùio telespresso n. 5117/2510 del 2 corrente.

Ho l'onore di inviare all'E. V. l'unita copia di un rapporto (l) con il quale questo R. Addetto Militare riferisce al proprio Ministero circa il colloquio da lui avuto con i:l Gen. Temperley.

• Da quanto mi è stato detto ho avuto la conferma che effettivamente il Consigliodell'Esercito (come segnalato nel mio foglio 740 del 18 novembre) ha sottoposto, tramite il Segretario di Stato alla Guerra, al Foreign Office l'opportunità di posticipare l'inizio della Conferenza del Disarmo...

In questo momento le maggiori Potenze hanno preoccupazioni economiche cosi gravi che la questione del Disarmo non può venire affrontata con piena libertà. In particolare la Francia si trova oggi in una posizione di predominio economico tale da dettare legge a Ginevra. "Nella ultima riunione all'Assemblea" mi ha dichiarato testualmente il Generale Temperley " il Conte Bernstorf ha potuto parlare con energia e talvolta con durezza in

(l) L'allegato, di cui si pubblicano alcuni brani, è il r. 788 del tenente colonnello Rodolfo Infante, datato Londra, 3 dicembre 1931. In questo documento Infante riferiva su un colloquio avuto con il generale Temperley, sottocapo al reparto Operazioni ed Informazioni del Ministero della Guerra inglese e delegato militare a Ginevra, e con il colonnello Dawnay, capo del secondo ufficio Informazioni.

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IL MAGGIORE RENZETTI A... (l)

Berlino, 7 dicembre 1931.

Ho conferito oggi con Hitler. Esso mi ha spiegato la sua tattica temporeggiatrice tendente a rimandare la riconvocazione del Reichstag e la conseguente caduta del Gabinetto Briining condotta attraverso il gruppo economico con il quale si è riusciti a non prendere accordi decisivi. Hitler vorrebbe lasciare Briining alle prese con la Francia e con le questioni di politica interna e desidererebbe prima di assumere il potere recarsi in Italia e in Inghilterra a scopi di studio. Soprattutto, ha aggiunto Hitler, io tengo a venire in Italia per visitare il Capo del Fascismo, esporgli da semplice Capo del Nazionalsocialismo le mie idee, spiegargli la situazione della Germania ed avere delle linee per una eventuale futura azione comune. Io, mi ha detto, non sono legato ora dalle pastoie e dai doveri che limitano e regolano la condotta di ministri: sono un semplice capo di un partito di opposizione amico dell'Italia e del Fascismo che può parlare chiaramente e lealmente, al Duce dell'Italia fascista.

È un fatto che da un momento all'altro può verificarsi qui un mutamento della situazione politica: in tale caso sarebbe difficile per non dire impossibile un viaggio di Hitler all'estero.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. R. PER CORRIERE 4071/236. Mosca, 8 dicembre 1931 (per. il 12).

Seguito mio telegramma filo n. 233.

La partecipazione francese al negoziato polacco sovietico da me segnalata ne[ mio Rapporto in pari data n. 5169/2000 (2) autorizza la supposizione che

nome della Germania; la Gran Bretagna e l'America potevano allora far pesare sensibilmente la propria opinione in favore della tesi tedesca; la Francia sarebbe stata costretta ad accettare qualche riduzione nei propri armamenti. Oggi la situazione è profondamente mutata: Inghilterra ed America si trovano in una difficilissima situazione economica; la Germania in una situazione disperata; la Francia con la quantità di oro accumulato puòfare dei ricatti a chiunque (is in a position to blackmail anybody) " ...

Intanto il Times di oggi in una breve corrispondenza da Berlino afferma che il Governo Germanico non ha alcuna intenzione di proporre un rinvio della Conferenza e che colà non si vedono le ragioni per le quali un rinvio dovrebbe essere desiderabile. L'or>inione pubblica tedesca, qualora la Conferenza fosse rimandata, sarebbe indotta a ritenere che le altre Potenze cercano di sottrarsi al Disarmo; che è stato imposto alla Germania ».

Un altro esemplare di questo documento conservato in Archivio Grandi reca allegato il seguente appunto di mano non identificata: « Interessante in quanto rivela la tendenza degli ambienti militari inglesi nei riguardi della conferenza del disarmo».

Con altro telespresso 5177/2543 del 7 dicembre Mameli richiamava l'attenzione su un articolo dell'Economist del 5 dicembre, favorevole a rinviare la conferenza del disarmo alla tarda primavera del 1932. Il 4 dicembre 1931 Chiaramonte Bordonaro aveva sostenuto pres.>o Simon, come sua opinione personale, l'opportunità di rinviare la conferenza del disarmo (DB, III, n. 220). Il 18 dicembre successivo Grandi disse a Graham di concordare pienamente col !'Unto di vista del Governo inglese (ibid., n. 230).

• Sembra a me che questo intervento della Francia non dico favorevole alla Russia, ma comunque inteso a far si che i rapporti polacco-sovietici non si risolvano in un

la Francia non sia estranea alla impostazione delle trattative romeno sovietiche ed all'avviamento delle medesime attraverso Angora. Ignoro se, ove le cose stessero cosi, sarebbe il caso di attribuirvi alcun speciale significato nei nostri riguardi.

In ogni modo, qualunque possano essere le spiegazioni del fatto, sembra a me che, allo stato delle cose. noi nulla dovremmo fare per sostituirei alla Turchia nella funzione di • patrona • del riavvicinamento romeno sovietico. Noi abbiamo già patronato l'URSS a Ginevra. Inoltre, le trattative fra la Romania e l'URSS si svolgerebbero comunque in un ambiente dove la nostra influenza è particolarmente sentita e notoria e dove per giunta l'URSS avrebbe per negoziare il vantaggio di potersi servire di Suritz che è uno dei suoi migliori ambasciatori. Mi sembra Quindi che noi non avremmo nulla da perdere. Basterà, ai nostri fini, un'opera di fiancheggiamento, tale da non renderei estranei al negoziato ed ai suoi risultati (1).

(l) -Ghigi? (2) -Di questo rapporto si pubblicano qui i passi seguenti:
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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 110. Belgrado, 8 dicembre 1931.

Dopo il mio ritorno da Roma ho veduto tre volte Jeftic il 14 il 20 ed il 26 m.s. Nel primo colloquio ed in conformità delle istruzioni di V.E. mi sono espresso nel seguente modo: V.E. aveva attentamente ascoltato la esposizione

ostacolo agli sviluppi della politica francese con l'U.R.S.S. sia degno di nota. Quel fatto valorizza l'atto parafato a Parigi e lo fa apparire come il punto di partenza di tutta una nuova linea oolitica nei confronti della sua alleata di ante-guerra...

Ho già ·mostrato come il negoziato polacco-sovietico si trovi al centro di una intera

"catena" di negoziati: quello tra i Soviet e la Romania, quello tra i Soviet e l'Estonia, la Lettonia, la Finlandia...

È troppo presto peraltro ripeto, far previsioni, tanto più che Patek deve ancora andare a Varsavia e ricevere il verbo del Maresciallo. Vero è che, se anche il verdetto di questosi rivelasse, in definitiva negativo, ed il negoziato polacco-sovietico dovesse andare a monte per l'intransigenza polacca, tutta questa azione politica in gestazione non rimarrebbe completamente sterile di risultati. La Francia liberata dalla solidarietà Polacca riacquisterebbe la sua libertà d'azione nei riguardi dell'U.R.S.S. della quale non mancherebbe di valersi se effettivamente tiene a privare ad ogni costo la Germania della "carta" russa, compiendo allo stesso tempo un gesto che, in questo momento, nella imminenza delle elezioni, potrebbe giovarle, anche dal punto di vista interno.

Giova comunque attendere. Per quanto riguarda noi, sola a svolgimento compiuto ci sarà possibile giudicare se [e] quali ripercussioni tutta questa azione potrebbe avere nei riguardi della proposta riaffacciata da Litvinoff all'E. V. a Ginevra, nel settembre scorso

(tel. per corriere n. 7 da Ginevra in data 4 settembre u.s.) • Attolico allude alla proposta di un patto di non aggressione italo-sovietico (cfr. serie VII, vol. X, n. 458).

n. 84. E cfr. anche le considerazioni svolte da Attolico nel rapporto 688/267, Mosca 9 febbraio 1932, che non si pubblica.

Si segnala qui l'esistenza nell'Archivio Grandi di una relazione per Grandi, firmata da Ciancarelli e da Guariglia, con allegato un appunto di Guariglia per Ghigi del 9 dicembre 1931: «Richiamo speciale attenzione •· La rela?ione trattava le questioni inerenti alla conclusione di convenzioni complementari al trattato di commercio italo-sovietico del 1924. Nella relazione si legge: • Converrà naturalmente che su tale materia si pronunzi il competente Ministero delle Corporazioni; si potrebbe però fin d'ora prendere in considerazione l'opportunità o meno di far intendere al Governo sovietico che, prima di iniziare i negoziati per le convenzioni complementari, desidereremmo risolvere, in un modo o nell'altro, le difficoltà che si presentano per la fornitura di merci italiane all'U.R.S.S. •. Qui Guariglia ha aggiunto di suo pugno: c A mio parere tale opportunità che è evidente ed urgente dal punto di vista economico non dovrebbe essere ostacolata da indeterminati motivi politici •·

riassuntiva dei colloqui che avevo avuto con lui e della udienza accordatami da Sua Maestà, aveva anche esaminato il progetto rimessomi il 20 NoV1embre (1). La impr.essione che V.E. aveva riportato di tale progetto era stata disastrosa, anche più di auanto avessi preveduto e gli avessi subito fatto sentire. Infatti, in aggiunta a a.uanto gli avevo già osservato, l'art. l contraddiceva interamente a tutta la nostra politica, specie per quanto ha riguardo all'Ungheria. Potevo ripetergU quanto già detto in proposito non avere noi alcun legame ed impegno specifico a tale riguardo: ma la nostra posizione politica era ormai quella che era ed occorreva trovare una formula adatta alla delicatezza della situazione.

Per gli articoli che si riferiscono all'Albania, V.E. aveva formulato le stesse mie osservazioni, aggravandone la portata con la sua alta autorità. Infatti nel progetto non si teneva alcun conto della nostra situazione di fatto e di diritto, e tutte le conversazioni avute in proposito sembravano essere state totalmente inutili.

Fortunatamente avevo potuto aggiungere che V.E. mi aveva ammesso la possibilità di modificazioni e contro-proposte, a·ltrimenti ci saremmo trovati in una via senza uscita.

Ed era bene che avessi avuto l'ultimo colloquio con Re Alessandro. Le parole con le a.uali Sua Maestà mi aveva congedato, le disposizioni generali per un accordo con noi riconfermate, le enunciazioni di problemi concreti che avrebbero potuto interessare la comune politica, avevano interamente fermata l'attenzione di S. E. il Capo del Governo, e queilla di V. E. Era soprattutto in relazione a tale colloquio che le nostre conversazioni potevano continuare senza dannosa interruzione.

Per il progetto albanese era mancato a V. E. il tempo materiale di considerare e valutare qualsiasi nostra contro-proposta. Ciò sarebbe stato possibile solo al ritorno di V. E. daU'America. Intanto ero stato incaricato di dire a lui ed a Sua Maestà, quando potesse ricevermi, che si era assai apprezzata la sincerità ed il calore dei suoi propositi generali, che e nel Capo del Governo ed in V. E. esistevano le stesse identiche disposizioni che in lui. Era evidente che il problema albanese andava sistemato fra noi in modo diverso da quanto appariva nel progetto Jeftich e che pertanto si dovrebbe ritornarvi alla fine per precisarlo in modo soddisfacente per tutti, perché esso è il principale. Ma intanto ·e per non perdere tempo, pregavo vivamente Sua Maestà di chiarire il suo pensiero sulla situazione bulgara attuale, e su quelli che potrebbero essere gli eventuali obiettivi comuni dell'Italia e della Jugoslavia, sia nella politica balcanica che in quella orientale. Pur non attribuendo esagerata importanza alla situazione che si determinerebbe nei rispetti franco-italiani quando sussistesse un accordo italo-jugoslavo, qualche chiarimento sugli intendimenti jugoslavi su questo punto sarebbe anche assai utile.

Jeftich, preso tempo per rispondere alle mie domande, nel colloquio del 20 mi ha fatto una esposizione amplissima dei problemi politici che possono toccare la Jugoslavia e la situazione italo-jugoslava, un vero giro di orizzonte. In qualche dettaglio esso fu completato nella conversazione del 26.

Riassumo l'esposto lunghissimo di Jeftich:

Francia -La nuova situazione di amicizia non può annullare le preesistenti. Ma ne viene come conseguenza logica inevitabile che quel carattere di supposta ostilità all'Italia che si attribuisce oggi ai rapporti franco-jugoslavi sarebbe annullato. Senza contare che dipende dal successivo dinamismo delle nuove relazioni italo-jugoslave togliere progressivo contenuto ed importanza alle vecchie franco-jugoslave (nota: ciò è concetto già esposto da Marinkovich nel primo periodo delle sue conversazioni). Quanto ai rapporti fra Stato Maggiol'e jugoslavo e Stato Maggiore francese (in ciò Jeftich ha risposto a mia osservazione) non potevasene negare la esistenza, ma la indipendenza dell'eseroLto jugoslavo è assoluta. Gli ufficiali francesi in servizio in Jugoslavia non sono più di auattro, si tratta di ufficiali inferiori senza grande importanza. In ogni modo questo punto potrà formare oggetto di spiegazioni e chiarimenti conclusivi fra Re Alessandro e S. E. Mussolini se l'auspicato incontro avrà luogo.

Bulgaria -Crediamo che l'attuale situazione interna bulgara sia piena di minacciose incognite, che potrebbero determinare anche un pericolo bolscevico. Di fronte a queste eventualità un accordo italo-jugoslavo potrebbe essere diretto a sostenere la situazione odierna ed impedire rivolgimenti sociali di pericolosa estensione anche sui vicini. Rafforzare perciò la situazione interna bulgara, quindi anche il regime monarchico, con instaurarvi, mercé l'amicizia italiana, veri cordiali e sinceri rapporti con la Bulgaria. La Jugoslavia non ha nessuna mira di estensione territoriale· verso la Bulgaria. È vero che vi sono spiriti esaltati che pensano a questo. Ma nessun serbo ragionevole può pensarlo un momento, perché l'unione naturale che si farebbe tra bulgari e croati soffocherebbe la nazione serba. La Jugoslavia ha troppi problemi interni cui pensare per aggravarli con aspirazioni territoriali esterne.

Turchia -L'Italia ha suoi problemi avvenire nel prossimo oriente, ed è ad essi che deve avere libertà di rivolgere il suo pensiero e la sua attività. Il regime kemalista può non essere durevole e d'altro canto i soviet non hanno rinunciato alla espansione su Costantinopoli eredHando la politica zarista. Non ho saputo celare un gesto di impazienza e lo ho interrotto osservandogli che tali problemi non riguardavano alcun prossimo pi'e,sumibile avvenire, e che d'altro canto S. E. il Capo del Governo aveva instaurato verso la Turchia una politica di perfetta correttezza e lealtà abbandonando qualsiasi obiettivo diverso della poHtica prefascista.

Grecia -La Jugoslavia considera la situazione verso la Grecia con scarsa preoccupazione, limitata e legata come essa è dalla situazione geografica e, (non lo ha espressamente detto ma le sue allusioni erano senza equivoco di significato) dalla debolezza effettiva della organizzazione militare.

Albania -Questo è il problema centrale dei rapporti anche per la Jugoslavia. Se l'Albania è un interesse strategico di primissimo ordine per l'Italia lo è anche per la Jugoslavia nei riguardi della difesa della vallata del Vardar che un esercito potente minaccerebbe gravemente dall'Albania. La Jugoslavia è pronta a riconoscere lealmente la attuale situazione di fatto e di diritto dell'Italia in Albania, dove l'Italia avrà del resto sempre in ogni caso una posizione preminente e dov~ i suoi attuali interessi non potranno trovare che nuovo incremento e sviluppo. Ma la Jugoslavia vuole sapere quale attitudine e quale situazione si verificherebbe in Albania in caso di crisi generale, e sempre in rapporto alla minaccia che per l'esercito jugoslavo e per n territorio jugoslavo può venire dalle Alpi Albanesi verso il Vardar.

Il progetto consegnato non è vangelo, può essere corretto, modificato, sostituito da un altro. Lo si faccia. Esso costituisce un primo abbozzo e non altro.

Anschluss -Tale problema è anche di capitale importanza. Se oggi ne sia rinviata la soluzione, non è detto che non abbia a ripresentarsi domani. E per il domani occorre prevedere una comune linea di condotta itala-jugoslava, che non solo stabilirà una comunanza di interessi fra i due Stati, ma anche una comune linea di difesa adriatica, ed un punto di partenza per una comune politica centro-europea forse anche ad entrambi vantaggiosa. Occorreva trovare una formula per questo ed includerla nel previsto protocollo (altro concetto già ripetuto da Marinkovich. Se ne trae la conclusione che anche a Marinkovich le istruzioni di dettaglio venivano dal Re, ed era il pensiero reale quello che Marinkovich esponeva).

Ungheria -Il mantenimento delle frontiere stabilite dal Trattato di Trianon

è condizione non discutibile. Si esprima la cosa come V. E. vorrà, ma la sostan

za non può mutare.

Del resto i nuovi rapporti vagheggiati italo-jugoslavi debbono partire dalla

situazione politico territoriale esistente ed avere come mira principale il di

lei mantenimento.

Con ciò, ha concluso Jeftich, da parte jugoslava tutto è stato detto quanto

era possibile dire. Non si riteneva da Re Alessandro poter dire di più, avendo

egli risposto ad ogni domanda, ed esposto ogni suo pensiero su ogni argomento.

Spettava adesso all'Italia far conoscere il suo pensiero per arrivare a conver

sazioni conclusive. Se no si continuerebbe indefinitivamente ad aggirarsi sugli

stessi argomenti discorsi questioni senza mai concludere, come oramai si faceva

da quasi due anni.

Nei tre colloqui Jeftic mi ha ripetuto che mi avrebbe fatto sapere quando

Re Alessandro mi avrebbe nuovamente ricevuto, tale essendo la intenzione

sovrana. Fino al momento in cui scrivo però, non ho avuto nessun nuovo

cenno, e non mi pare per ora il caso di sollecitare una udienza.

A questo esposto parmi dovere aggiungere brevi osservazioni a conclusione:

a) Nei vari coilloquì con Jeftich e nella udienza con Re Alessandro sono stati confermati, anche con insolito calore, i propositi generali di accordo con noi (il Re, ha detto Jeftich, vuole avere la coscienza tranquilla e vuole potersi dire di avere fatto tutto quanto sta in lui per raggiungerlo).

b) Il pensiero jugoslavo nei vari problemi è stato esposto con sufficiente chiarezza. E quanto più esso è chiaro ed ampio, tanto più mette noi in situazione difficile per conversazioni che abbiano finalità dilatorie. Esse finiscono con l'apparire chiare anche agli jugoslavi, ed il giuoco non può più durare.

c) Il progetto albanese presentato da Jeftich, è come ne ebbi subito la impressione, un primo abbozzo del Quale non ci si rifiuta di prendere in esame modificazioni, o contro-proposte od addirittura un contro-progetto. Per opportunità di negoziato esso è partito dal punto miglior~ e più favorevole per la Jugoslavia.

d) Ho la impressione che il mio ritorno da Roma senza contro-proposte concrete, anzi con nuove domande, abbia prodotto delusione e forse irritazione in Re Alessandro.

e) La attuale atmosfera jugoslava in cui si svolgono i colloqui non è agevole. Nella discussione anche di questioni minime col Ministero degli Affari Esteri si nota una pesantezza veramente difficile a sopportare con tranquilla moderazione. La agitazione irredentista si riaccende ogni giorno con nuovi argomenti e pretesti ed investe ogni aspetto della vita politica dello Stato.

(Obliavo dire a V. E. che Jeftich mi fece cenno delle popolazioni allogene della Venezia Giulia affermando che qualsiasi proposito espansionista verso quella regione era pura follia, che quei confini erano immodificabili, che già erasi fatto molto per moderare la· agitazione, più ancora si farebbe in nuovi rapporti politici anche per persuadere quelle popolazioni ad accettare il nostro Regime).

f) La situazione politica interna non è davvero scevra di difficoltà. Sono quelle che quotidianamente espongo a V. E. Non vi sono però ragioni e sintomi per credere a qualsiasi grosso avvenimento che la modifichi radicalmente.

g) Io credo alla buona volontà del Re ed alla sua sincerità, e credo anche che, malgrado la contraddizione fra la stridente realtà odierna e quella che in futuro si dovrebbe instaurare e l'apparente scarso legame di continuità fra questa e quella, ad onta delle maggiori difficoltà della situazione interna e di quelle che possono ora sorgere dalla Scupcina, sia pur possibile, sempreché alla nuova situazione presieda una assoluta sincera volontà ed una applicazione di buona fede dei vagheggiati nuovi rapporti (del che finora la Jugoslavia non oi ha dato peraltro soverchie prove), sia possibHe iniziare una nuova èra fra la Jugoslavia e l'Italia che significhi pace col vicino orientale, diminuita nostra preoccupazione militare a quelle frontiere, apertura di una breccia nell'edificio franco-jugoslavo da allargarsi secondo la fortuna e l'aiuto delle vicende prossime future, nostra maggiore libertà politica nei problemi europei indistintamente, sicura ampia penetrazione delle nostre industrie e delle nostre attività in questo mercato.

Ma la decisione ultima e definitiva se incamminarci o no per questa v1a, che se è per la Jugoslavia, come ha detto Re Alessandro, un cambiamento di 90 gradi, comporta anche per noi una diversa visione di problemi politici quali le nostre direttive li hanno considerati fin qui, e produrrà quindi adattamenti e modificazioni di attitudine anche in altri Stati in correlazione al nostro mutare, esorbita interamente dalle mie possibilità e dal mio compito presente.

Ma al punto in cui sono oggi le cose è mia ferma persuasione che o le conversazioni prendono da parte nostra un andamento decisivo ed un ritmo più accelerato che le conduca ad una conclusione, od è preferibile cogliere qualche pretesto (davvero non ne mancano nei rapporti quotidiani itala-jugoslavi) per rimandarle ad un migliore momento.

Resto in attesa delle istruzioni che· V. E. vorrà impartirmi (1).

(l) Nei mesi successivi la Francia esercitò pressioni in favore dell'accordo sovieticoromeno. Cfr. il tel. del 3 agosto in Documents Diplomatiques Français, prima Serie vol. I,

(l) Cfr: n. 66, allegato e annesso.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4022/883. Washington, 9 dicembre 1931, ore 18,05 (per. ore 2 del 10).

Mi riferisco al telegramma di S. E. il Capo del Governo N. 526 (2).

Ho appuntamento domani col Signor Mellon che metterò al corrente e riferirò colloquio a V. E. Intanto ho esaminato col R. Addetto Commerciale opportund!tà di un comunicato ai giornali finanziari della Wall Street.

Angelone ha avuto conversazioni con autorevoli uomini di finanza di New York e ne è risultato che essi attribuiscono la recente flessione della lira ad un movimento simpatetico col generale deprezzamento di quel mercato dei cambi, influenzato dalla caduta della sterlina e del marco tedesco.

Permane negli ambienti direttivi della Wall Street il giusto apprezzamento della buona situazione economico-politica finanziaria dell'Italia. Ciò stante, un nostro comunicato ufficiale od ufficioso avrebbe !l'inconveniente di includere il nostro paese nelle presenti discussioni relative ad altri fra i maggiori paesi d'Europa che sono ora improntate a pessimismo.

Tutto ciò considerato mi astengo da un comunicato, ma provvedo ad intensificare, sia presso <lUesto Governo, sia negli ambienti finanziari e parlamentari, la nostra opera di difesa e di reazione alle manovre di speculazione ispirate da motivi politici antifascisti.

Da notiz1e odierne risulta che lira tiene comportamento molto fermo.

« La flessione che si è notata in questi ultimi tre giorni nel corso della lira è da un punto di vista economico-politico-finanziario assolutamente ingiustificata. Economicamente da due mesi la bilancia commerciale è favorevole all'Italia, politicamente l'Italia è sempre il paese più tranquillo del mondo, finanziariamente le sole riserve in oro metallico della Banca d'Italia toccano il quaranta per cento. Siamo quindi dinanzi a una campagna di speculazione originata da motivi esclusivamente politici antifascisti. Bisogna reagire in ogni ambiente e convincere tutti che anche questa come le speculazioni precedenti non smuoverà il Governo dalla sua linea di condotta ripetutamente e solennemente annunciata •·

(l) -Cfr. quanto scriveva con l.p. del 28 novembre Galli a Indelli, dopo il colloquio con .Teftic del 26. Dopo aver lamentato gli • stupidi articoli di Sel'tolì », corrispondente del Corriere della Sera, Galli così proseguiva: « Vedrai nel prossimo corriere relazione delle mie \lltime conversazioni con Re ed .Jeftic. Siamo al punto che o noi le vogliamo continuare, ed allora devono essere sincere e decisive, od è meglio !asciarle in tronco, se no faranno più male che bene. Il Re è stato irritatissimo per la risposta che ho recato. Egli si attendeva un seguito concreto, non un nuovo invito a parlare e spiegarsi. Quanto al progetto .Jeftic [cfr. n. 66, annesso dell'allegato] la risposta è stata: esso non è il vangelo, modificatelo, mostrateci il vostro, siamo disposti a sacrificio, ma vogliamo (ciò è la sostanza della risposta} sapere se si fa sul serio o no ». (2) -È il t. r. 1423/526 del 7 dicembre, ore 24, inviato anche a Londra, Berlino, Parigi, Bruxelles, Buenos Aires, Berna, L'Aja, Vienna e Praga, che si pubblica qui di seguito:
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PROMEMORIA DELL'UFFICIO STAMPA PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 10 dicembre 1931.

Con lettera del 18 novembre u.s., indirizzata al Cav. di Gran Croce Chiavolini, il noto Dott. Willis sollecitò la concessione di una udienza da parte di S. E. il Capo del Governo, non come giornalista, ma nella sua qualità di segretario del gruppo romano del partito nazional socialista, desiderando ringraziare l'Eccellenza Sua per le disposizioni che avrebbe recentemente emanato, in merito al riconoscimento ufficiale dei gruppi del suo partito, esistenti in Italia. Il Willis aggiungeva che in 'tale veste si era già presentato a S.E. Giuriati ed al comm. D'Aroma e chiedeva possibilmente che, insieme con lui, fossero ricevuti anche l'on. Nieland ed il capitano Strieder, capi dei gruppi hitleriani all'estero.

In data 30 novembre, il WiHis faceva omaggio a S. E. il Capo del Governo, di una copia del suo opuscolo intitolato • Manner um Mussolini • e rinnovava la domanda di udienza.

La pratica fu al:lora trasmessa dalla Segreteria Particolare di S. E. il Capo del Governo al Gabinetto del Ministero, perché fosse istruita. In data 4 dicembre il Gabinetto comunicava alla Segreteria Particolare il testo di un telegramma del R. Ambasciatore a Berlino, nel quale era detto che la direzione del partito hitleriano, rinunziava per ora alla richiesta di udienza avanzata da Nieland e Strieder. Per quanto concerne il Willis, H Gabinetto faceva presente che, come giornalista, egli è favorevolmente noto, mentre invece non riteneva di poter esprimere un parere circa l'opportunità che fosse ricevuto dal Capo del Governo nella veste di capo del gruppo hitleriano di Roma.

La Segreteria Particolare di S. E. il Capo del Governo, dopo aver ricevuta la risposta del Gabinetto, inviò tutta la pratica all'Ufficio Stampa, dichiarando di rimettersi al giudizio dell'an. Ferretti, per il seguito da dare alla medesima.

In merito alla costituzione dei gruppi hitleriani in Italia, è necessario far noto che S. E. l'Ambasciatore a Berlino aveva segnalato fino dal 28 novembre delle pubblicazioni di giornali tedeschi, nelle quali era messo in rilievo

Cfr. anche il tel. che il 29 novembre Mussolini aveva inviato a De Martino: « I rappresentanti della "National City Bank" sedi di Milano e di Genova hanno fatto in questi ultimissimi tempi una campagna speculativa ai danni della lira come risulta da irrefutabili documenti. Non solo ma hanno occultato degli utili, cioè frodato lo Stato. Poiché trattasi di cittadini americani, inviti la di~ezione della suddetta banca a richiamarE nel loro stesso interesse e in quello generale dei rapporti bancari fra Italia e Stati Uniti. Mi dia appena possibile notizie ». De Martino rispose con tel. di cui si pubblica l'ultima parte: " In linea di massima la mia opinione è che la National City Bnnk debba assumere piena responsabilità dell'operato dei suoi rappresentanti in Italia, ma che, al tempo stesso, non (ripeto non) ci convenga troncare i rapporti con l'Istituto di New York. E ciò in vista della prossima Conferenza del Disarmo. Nell'ipotesi di un nostro contrasto con la Francia quest'ultima, come' in altri casi, si varrà della posizione finanziaria nella Wali Street oer influenzare questa opinione pubblica. Noi non disponiamo di istrumenti finanziari, ma abbiamo spesso compensato e non senza successo con le relazioni personali; ad es, nella campagna contro la lira del dicembre scorso. La National City Bank, insieme a Morgan e alla Chase Bank costituiscono fattori politici di primo ordine in tutti i campi di attività internazionale in questo paese •.

I due tel. sono citati in una • Relazione a S. E. il Ministro • di Ghigi del 6 dicembre 1931

(Archivio Grandi).

che la formazione di detti gruppi sarebbe stata • favorita • dal Pàrtito. L'Ambasciatore chiedeva se tali voci rispondessero alla realtà ed a questo scopo l'Ufficio si è rivolto a S. E. Giuriati, dal quale non è però ancora pervenuto un riscontro. D'altra parte risulterebbe all'Ufficio, da notizie raccolte nell'ambiente dei giornalisti stranieri, che la costituzione del primo gruppo hitleriano in Italia, sarebbe avvenuta a Merano, col consenso del prefetto Marziali. Subito dopo altri se ne costituirono a Milano, Genova, Venezia, Firenze, Roma. Le relative notificazioni furono fatte regolarmente, tanto al Partito, che alle autorità di polizia locali, senza che abbiano dato luogo a rilievi dì sorta. All'accluso telegramma dell'Ambasciatore Orsini (l) è stato risposto d'ordine superiore affermativamente. Non consta inoltre che da parte di S. E. il Capo del Governo vi siano state osservazioni sfavorevoli al riguardo.

Visto quanto precede, e considerata la particolare delicatezza dell'argomento, l'Ufficio sottopone quanto precede all'E. V. per JJe Sue alte decisioni (2).

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Archivio Grandi, copia)

R. R. 4598/2611. Vienna, 10 dicembre 1931.

Credo dover attirare l'attenzione di V. E. sulle considerazioni che esporrò qui sotto. L'argomento offrirebbe modo a una trattazione assai ampia: cercherò essere quanto più conciso possibile.

Dalla fine della guerra sino al principio dell'anno ancora in corso, di fronte ai lamenti non sempre giustificati e non sempre disinteressati di questa repubblica che dichiarava impossibile v,ivere la vita !asciatale dal trattato di pace, erano state sostenute due soluzioni, l'una germanica e l'altra francese, del cosidetto problema austriaco: l'annessione e la confederazione. La tesi germanica, che aveva un certo suo contenuto ideale e suscitava meno opposizione in questa opinione pubblica, assai più ostile ai cechi che non ai prussiani, era stata qui più largamente e vigorosamente sostenuta con gli scritti che non la francese, e, contrariamente a questa apparsa vaga e mutevole e per così dire mantenuta nel campo astratto delle ipotesi, aveva avuto qualche concreta manifestazione sia in Parlamento, pubblici comizi, mozioni e cortei, sia nell'attuazione di un agguagliamento di vari istituti, il quale voleva essere una preparazione e un avviamento, non impediti dai trattati, al futuro pacifico compimento dell'annessione. Così dunque per questa soluzione, come del resto anche per l'altra, non sembrava si intendesse, da parte delle due grandi potenze fautrici, svolgere un'azione energica per la loro rapida attuazione. Era come sottinteso che tali programmi dovevano essere riservati a un futuro più o meno lontano, come mete ideali di una politica a lungo compimento, non scopo pratico

per quella di immediata effettuazione. Il programma immediato doveva tendere a dar modo all'Austria di vivere, e questa, soddisfatta di non dover decidersi per l'una o per l'altra soluzione e di non dover sostenere i relativi contrasti e le relative inimicizie, continuava a tirar innanzi lamentandosi e ricevendo crediti, ricevendo crediti e lamentandosi. Rammento la frase: • L'Austria è il paese che ha avuto la fortuna di fare per primo fallimento •.

Senonché all'inizio di quest'anno avveniva un fatto nuovo: la Germania mostrava vo·ler accelerare il ritmo della sua azione, e rotti gli indugi proponeva un'unione doganale all'Austria che l'accettava: lungo e inutile sarebbe star qui a ricercare 1e ragioni del contegno dell'uno e dell'altro Stato. Del pari inutile sarebbe stare a ricordare gli effetti derivatine; ma non mi sembra superfluo rammentare come in seguito a tale errore austriaco, e in non piccola parte come conseguenza di esso, si manifestava qui in modo più visibile quel disordine politico e quel dissesto finanziario che hanno raggiunto le acute forme attuali di un governo impotente e di uno scellino digradante.

La consapevolezza del pericolo passato e il timore di quelli futuri hanno suscitato gravi preoccupazioni nella Francia, che è corsa ai ripari tornando a valersi di Benes per fare in modo più deciso e alle,ttare e riprendere i vecchi piani della confederazione danubiana, pur limitandosi a voler dare a questa un semplice contenuto economico, così come un semplice contenuto economico ·aveva mostrato voler dare la Germania al suo progetto di unione. La Francia fa evidentemente assegnamento su un nuovo elemento di successo, e cioè sull'attuale estremo bisogno di crediti dell'Austria (lascio da parte l'Ungheria malgrado alcune analogi.e di situazione) e sulla coscienza della propria situazione privilegiata, di fronte alla Germania e anche alle altre Potenze, per la loro concessione. La Germania da parte sua non assiste passiva a questi maneggi, che la preoccupano assai specie per tale situazione vantaggiosa della Francia verso l'Austria e, mentre sembra che questo Ministro tedesco architetti altre costruzioni di confederazioni escludenti gli Stati slavi. z,iprende la sua campagna di propaganda per l'annessione valendosi anch'essa di un nuovo elemento di successo: i nazionalsocialisti.

La propaganda per l'annessione era stata qui finora fatta, oltre che dai socialisti, dai pangermanisti, eredi del partito liberale austriaco di avanti guerra, gruppo non grande di uomini incapaci di dare al proprio programma un moderno contenuto, i quali, malgrado la loro preoccupazione di non perdere il potere e malgrado i costanti aiuti pecuniari di Berlino, hanno visto assottigliarsi sempre più il loro numero nelle varie elezioni politiche sino alle ultime, e Io vedono ancora assottigliarsi in ognuna di quelle amministrative avvenute dalla costituzione del nuovo Parlamento a oggi. Senonché con ben altro successo la loro opera è ora ripresa da nuove forze e cioè dai nazionalsocialisti, che giovani e attivi, imbaldanziti dai successi di Germania, vanno giornalmente accrescendo qui il loro numero e ampliando la loro azione. Mentre i francesi fanno assegnamento sull'esigenza economica di riparare al dissesto finanziario austriaco e sulla propria capacità di :vimediarvi con la disponibilità dei crediti, i tedeschi si valgono di una, almeno in astratto, esigenza spirituale, l'unità della razza, e della propria attitudine ad effettuarla giovandosi della loro forza e della debolezza della vita parlamentare austriaca. Le due soluzioni

di politica estera si riflettono sulla politica interna e sono Sli.mboleggiare in due

nomi, Seipel e Schober, fautore l'uno di un ministero di destra con le • Heim

wehren •, l'altro di un ministero di coalizione con i socialisti. Che Schober

parteggi per l'annessione è affermazione che non domanda prove. Meno sicura

è l'asserzione che Seipel parteggi • sic et simpliciter • per la confederazione.

È un punto importante che mi riservo chiarire quando, prossimamente, andrò

a visitarlo (1).

Comunque sia, la lotta tra Francia e Germania in Austria appare da

qualche tempo passata su un terreno più pratico e più attivo, e la precarietà

della situazione-tanto politica quanto economica di questo Stato, come quella

che fa apparire più probabili repentine ·e importanti sue decisioni, suscita mag

giori speranze e maggiori timori così nell'un campo come nell'altro.

Probabilità di imminente attuazione dell'una o dell'altra soluzione non mi sembrano esservi. Gli stessi nazionalsocialisti ammettono che il loro avvento al potere in Germania non potrebbe significare l'immediato compimento della annessione, e non è da credere che [a] quell'avvento potrebbe seguire un qualche efficace colpo di testa da un'Austria la quale, bisognosa di cr-editi, sa non poterli certo avere da una Germania che ne è ·almeno al1trettanto bisognosa. D'altra parte il progetto di una confederazione, se anche potesse av•ere un pronto p11incipio di effettuazione con l'apertura dei negoziati, non è da credere giungerebbe a rapide definitive conclusioni, per le difficoltà di conciliare i contrastanti interessi economici dei vari Stati partecipanti.

Non vi è dubbio che entrambe le soluzioni siano sfavorevoli a noi. Forse a un primo esame superficiale, la ·confederazione appare relativamente meno dannosa, perché un'unione tra Stati di interessi e razze diversi, senza che uno fra essi abbia una schiacciante superiorità sugli altri e mentre alcuni non potrebbero non subire la neutraÌizzante influenza germanica, sembrerebbe meno capace di un programma di azione concepito chiaramente e attuato energicamente. L'antico impero austro-ungarico e l'attuale Piccola Intesa offrono

(( Più a lungo si è espresso sulla questione dei progetti di intese economiche danubiane, la quale era l'argomento che maggiormente m'interessava. È indubbio che di essi si parlaassai più dopo quello dell'unione con la Germania. L'opinione pubblica austriaca, così agricola come industriale, sia per il ripetersi che le si fa non poter l'Austria vivere da sola, sia per le gravi sue attuali difficoltà economiche le quali rafforzano tali teoriche enunziazioni con l'esperienza dei fatti, è oggi più che mai convinta che l'Austria debba intendersi con altri vicini. Fallito quindi il tentativo di intesa con la Germania, essa pensa a qualche analogoaccordo, ma con altri stati e cioè con quelli danubiani. Inoltre i fautori dell'annessione vogliono,ponendolo di fronte a Schober, farlo apparire come assertore della confederazione danubiana, ciò che è un apprezzamento il quale pecca di molto semplicismo e di poca esattezza. Se egli venisse al potere discorrerebbe apertamente della cosa con tutti gli stati direttamente o indirettamente interessati, grandi e piccoli, per esaminare chiaramente e precisamente, ·cifre alla mano, i vantaggi e i danni per l'Austria. Come volesse risolvere il problema austriaco lo provò nel '22 con l'offerta fattaci a Verona. "Grosso modo 11 crede che un'intesa economica dovrebbe essere effettuata tra Austria ed Ungheria, ma che ciò non basterebbe a tutti i bisogni di entrambi. In una combinazione con la Cecoslovacchia non ha molta fiducia; gli sembra invece sarebbe necessario che quei due stati si appoggiassero ad una grande potenza, quale l'Italia; eventualmente anche alla Germania. In ogni caso egli non vuole per il momento fissare il proprio contegno con pubbliche manifestazioni. La Francia, la quale assai più della Cecoslovacchia spinge ora alla confederazione danubiana per mezzo di Briand e del suo capo di gabinetto Léger, gli ha fatto chiedere una aperta dichiarazione favorevole alla confederazione stessa, ma egli vi si è rifiutato. Considera però sicuro che nulla si sia finora qui deciso in proposito, e che perciò sieno veritiere le smentite datemi da Schober e da Schiiller alle voci di prossimi scambi di idee tra Austria e Cecoslovacchia, né pare credere vi siano da temere qui improvvise prossime decisioni in tal

senso"·

• mutatis mutandis • qualche base di previsione. Ma il problema dovrebbe essere ·esaminato a fondo e in ogni suo aspetto, e a me mancano i dati e le cognizioni. La nostra difficoltà deriva dal non poter noi valerci nè della forza dell'elemento spirituale dato dall'idea pangermanista nè di quella dell'elemento materiale dato dalle disponibilità di crediti. E fuori di questi due mezzi di azione non se ne vede per ora un terzo per una soluzione nostra. Il rimedio empirico potrebbe essere quello di esaminare la convenienza di ratificare gli accordi economici, già parafati, per non perdere terreno e per avere modo e titoli a nuovi interventi in causa e di considerare quali altre possibilità lo svolgimento degli ulteriori avvenimenti ci offra, adoperandoci intanto ad evitare l'attuazione dell'uno o dell'altro programma anche con l'avvicinamento di volta in volta all'una o all'altra potenza da cui ciascuno di essi è combattuto. So che è un rimedio di ripiego, ma nell'attuale incertezza anche dello stato di cose politico ed economico europeo, il quale in compenso aggiunge nuove difficoltà all'attuazione di entrambe quelle soluzioni, il • carpe diem • nella vigilanza della situazione e nello studio delle varie possibilità appare, nelle nostre condizioni, come l'unica politica per il momento possibile (1).

(l) -Manca, ma è riassunto sopra nel testo. (2) -La decisione presa da Grandi non risulta.

(l) Sul colloquio con Se~el, avvenuto la mattina del 23 dicembre, Auriti riferiva con telespr. r. 4779/2700 del 24 dicembre, del quale si pubblica il passo seguente:

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IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, ALL'INCARICATO DEGLI AFFARI DI ALBANIA, LOJACONO

L. P. Tirana, l O dicembre 1931.

Ti accludo un rapporto (2) che avevo preparato per S. E. il Ministro, e

che, all'ultimo, e ben ponderate le cose, ho deciso di non mandargli uffi

cialmente.

Ti prego di leggerlo e farne conto come di private, autorevoli informa

zioni pervenute dall'Albania a te; tu deciderai sul da farsi, cioè se ritieni

di dar seguito a queste voci, o cestinarle. Prendile tutt'al più come l'argomento

di una conversazione che io ho avuto teco.

La verità sull'animo mio sta come dico nel rapporto: sono inquieto. Voci

pessimistiche, critiche stringenti, emananti anche da ufficiali, giungono a me.

Ma se me ne facessi eco ufficialmente (come sarebbe se spedissi regolarmente

Il Ministro Sola ha riportato dal suo viaggio e dai suoi contatti la convinzione dell'assoluta necessità da parte nostra di firmare ai più presto gli accordi del Semmering che già funzionano tra Austria ed Ungheria.

È inutile dissimulare che la nostra posizione negli Stati danubiani e specialmente in Ungheria si vada indebolendo e che è necessario fare qualcosa senza ulteriore indugio.

Esprimo subordinato parere che si riprenda al più presto in esame la possibilità della firma degli accordi del Semmering ».

il mio rapporto) correrei il rischio che la gente creda che io mi accanisco nella lotta contro un uomo. Niente è più lontano dalla mia indole e dalle mie intenzioni. Ma come posso far tacere le inQuietudini che mi agitano? Io ho perduto la fiducia nella capacità locale di Pariani. Riconosco che è un uomo intelligente; ma è un uomo a cui l'adesione al sistema non permette più il ragionamento critico. O io mi inganno completamente? E con me tanti altri? Caro Lojacono, io affido a te il deposito di Queste inquietudini, che non credo disonorevoli; vedi se possano e debbano tradursi in un esame di competenti, che ci rassicurino. Naturalmente parlo qui dal lato tecnico; dal lato politico, la mia persuasione che battiamo falsa strada è sempre più precisa.

Io vorrei e pur non so come rispondere al vostro telegramma di istruzioni (1). Vorrei dire al MiniSJt,ero la mia opinione. Per ragioni a te ovvie me ne astengo, giacché dovrei rispondere caldeggiando l'unico programma logico: e ciò non posso fare perché fu ripudiato un mese fa.

E cioè. Anzitutto bisogna escludere ogni idea di vendetta, e di punizione; questa non è roba da politica accorta. E allora? Allora non conviene, secondo me, neppure mutare contegno coll'uomo. Egli deve credere di essere stato perdonato, di averla vinta. Soltanto qualche maggiore fermezza per la parte finanziaria, ma senza eccessiva ruvidezza. Poi iniziare la politica di penetrazione e sostiturla a Quella d'alleanza; e cominciare, dopo la necessaria sostituzione di Pariani, che dev'esser coperto di gloria e promosso tenente generale (nel qual caso ,egli sarà felicissimo di partire e levarsi dagli impacci), l'inaridimento della parte militare, lo stop all'opera Balilla, la riduzione dell'esercito ad una piccola forza (tre gruppi) come ,era nel progetto n. 2 (2), e la presa in mano della gendarmeria, ma completa.

La parte penetrazione deve essere iniziata coll'attribuzione di due o tre milioni all'anno per comperare i funzionari; ed altri due o tre milioni per sussidiare la penetrazione, anche spicciola, anzi, specialmente, la spicciola. Da ogni parte, ad esempio, mi si offrono in affitto buone terre; bisogna sussidiare i nostri agricoltori a prenderle, e, colla corruzione minuta, facilitare l'ingresso dei nostri coloni, operai, bottegai, commercianti, ecc. i quali, appena sulla piazza, battono gli albanesi in un lampo. Il danaro deve similmente aiutare la penetrazione delle società.

Tal danaro sarà prelevato sui venti milioni annui che ci costa l'esercito albanese; e, mentre realizzeremo lo stesso una forte economia, ogni anno vedremo gli effetti pratici, immediati, della nostra penetrazione e aumentata influenza. Quanto al Re, rimanga pure. La sua posizione l'avremo girata colla caval1eria delle lire che è formidabile (3).

Liberi poi, a Roma, di escogitare qualche gran piano sussidiario; io credo al sistema, applicando empiricamente il quale, la macchina si metterà in moto da sé.

Escludo però ogni possibilità di seri movimenti •.

Io non vedo altra modificazione possibile e pratica alla linea di condotta finora seguita, se non questa. O, altrimenti, non rimane che adottare la linea Pariani: dimenticare l'avvenuto, ricevere il Re a Roma, sposarlo, favorirgli altri dieci milioni di regalo, continuare a versare armi in Albania, e fabbricare migliaia di ufficiali a o.uesto povero e miserabile paese (roba da pazzi!), spendervi milioni e milioni improduttivi praticamente e moralmente, scoraggiare qualsiasi intrapresa che significhi creazione di nostri interessi quaggiù, bruciare la convenzione del Prestito S.V.E.A., ecc. ecc. Questo è, né più né meno, il progetto Pariani: io lo avverso, ma riconosco che è logico, diritto: anche la via dell'inferno lo è. L'altro, che io propongo, è pur razionale e sensato. La via di mezzo, il continuar come prima, è, viceversa, il più comodo; ma assolutamente infecondo.

Io non mi sento di parlare altrimenti; e, d'altra parte, mi è chiusa la bocca dalle p!'lecedenti istruzioni. Quindi taccio. Ma, se ,taccio, non è perché non sappia che mi dire!

La mia impressione, caro Lojacono, è che il Generale Pariani riuscirà di nuovo a persuadere il Duce e tornerà qui a fare quello che ha sempre fatto. Non me ne rammarico per me, perché so di essere compagno, nel pensiero, con gente che non è la prima venuta. Certo che la mia posizione a Tirana si farà di meno in meno piacevole, ed ogni zelo sarà morto. Quanto alla posizione ed al prestigio italiano, una sola cosa può salvarlo un poco, in tal caso : ,u mio richiamo e la nomina di P ariani a Ministro. Così si mostrerà che tutto è stato conseguenza di mie false mosse e di una infelice politica personale, che ha trascinato innocentemente anche Pariani. Pensaci: è così; ed io sono prontissimo e lieto di sacrificarmi.

(l) Cfr. quanto scriveva Ghigi nella relazione cit. per Grandi del 6 dicembre (Archivio Grandi): « Tanto il Ministro Arlotta, che travasi a Roma, e che il Conte Rethlen ha incaricato di sue comunicazioni a S. E. il Capo del Governo circa la sua intenzione di riprendere la direzione degli affari in Ungheria, quanto il Ministro Sola, testé rientrato da Budapest e da Vienna ed in attesa di recarsi a Praga, sono stati unanimi nel descrivere la gravità della situazione economica e finanziaria ungherese. La Cecoslovacchia continua nelle sue offerte a Vienna ed a Budapest per una intesa economica e tutto lascia credere probabile che l'Ungheria, alla vigilia di una moratoria ed in precarie condizioni economiche, non possa resistere a queste offerte. Intanto la diplomazia francese lavora a Budapest con a))ilità e senza gravare la mano.

(2) È forse il n. 104, che però non è stato archiviato come allegato alla !.p. a Lojacono.

(l) -Non identificato. (2) -Questo progetto non è stato identificato. Ma sul problema cfr. n. 34, pp. 57-58. (3) -Cfr. quanto comunicava Soragna a Grandi con t. 4006 dell'8 dicembre: «Opinione pubblica nei nostri riguardi si mantiene calmissima, anzi noto un rinnovo di favore dovuto precisamente al fatto che si sa, da tutti, che il nostro contrasto è col Re. Non ho raccolto una sola voce autorevole che lo abbia lodato per non aver rinnovato il Patto. Il malcontento del paese è piuttosto notevolmente aumentato ed è tutto diretto contro il Regime.
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PROMEMORIA DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 11 dicembre 1931.

Il Ministro d'Ungheria è venuto a dirmi che Walko desidera far conoscere in via riservatissima a V. E. che durante il recente incontro fra il Re di Romania e il Conte Bethlen (avvenuto, come a V. E. è noto, per iniziativa di Re Carol) (l) si è parlato sostanzialmente delle possibilità e modalità di un riavvicinamento ungaro-romeno.

Bethlen ha espresso l'opinione che il punto di partenza non possa essere altro che una soddisfacente soluzione della questione delle minoranze ungheresi in Romania. Il Re Caro! non si è rifiutato ad un esame approfondito della questione, ma ha specialmente insistito sulla necessità di concludere al più

presto accordi economici particolari fra i due paesi, Quali a suo parere rappresenterebbero la base più sicura per procedere ad un radicale migli.,.. ramento delle relazioni ungaro-romene (1).

(l) Cfr. serie VII, vol. X, pp. 297-298 nota.

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IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 3088/1332. Tirana, 11 dicembre 1931.

Per conoscenza dell'E. V., mi onoro trasmettere copia del rapporto n. 158 Riserv. Pers. in data 10 corrente, che Questo R. Addetto Militare ha diretto alle LL.EE. il Ministro della Guerra e il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, relativo alla situazione attuale in Albania.

ALLEGATO.

PARIANI A GAZZERA E BONZANI

N. R. P. 158. Tirana, 10 dicembre 1931.

Negli ultimi giorni dello scorso novembre la Società per lo sviluppo economico dell'Albania ha richiesto al Governo albanese il pagamento di 2.100.000 franchi albanesi, rappresentanti interessi del noto prestito S.V.E.A., per l'anno in corso.

In seguito a tale richiesta, non potendosi far fronte con le normali risorse di bilancio, il Re ha dato ordine di attuare immediatamente delle economie nei vari Ministeri e al Comando della Difesa Nazionale ha chiesto riduzioni per

900.000 franchi oro.

Per poter dare corso all'ordine ricevuto, il Comando della Difesa ha ordinato la sospensione dei lavori nelle officine e nelle costruzioni del genio militare e tale provvedimento ha portato, fra l'altro, al licenziamento immediato di parecchie diecine di operai (fra i quali alcuni italiani).

Il provvedimento è per se stesso irrisorio, data la limitata portata. Ad ogni modo con questo atto viene colpito il campo del genio, dato che in Albania esso è il meno compreso e che, d'altra parte, è dagli albanesi ritenuto rispondente più a nostri interessi che ai loro.

E sarà quindi ancora, specie in tale campo, che saranno probabilmente dal Comando suddetto cercate nuove economie. Ho detto al Re che se saranno attuati tali provvedimenti, io chiederò di sospendere ogni ulteriore invio di materiali dall'Italia.

t. -posta confidenziale n. 98/23, Budapest 7 gennaio 1932. Di questo doc. si pubblica qui il cauoverso finale: c Il Conte Bethlen ha meco convenuto... perfettamente sulla cordiale correttezza del Governo Italiano che non aveva come è noto mancato di preavvertirlo degli approcci romeni pel rinnovo del patto d'amicizia, nonché sulla cortesia con cui si stavano da noi esaminando le possibilità di conciliare l'evidente comune convenienza, non solo per l'Italia, ma anche Per l'Ungheria, acché noi non dessimo un crudo rifiuto ai romeni, coi legittimi desiderata tendenti a non urtare spiegabili sentimenti dell'opinione pubblica ungherese, ed ha espresso la speranza che riesca possibile procrastinare ogni decisione in proposito •.

Con telespr. 400/163, Bucarest 23 febbraio 1932, Preziosi riferiva che « Re Carol continua a mostrarsi grandemente favorevole ad un riavvicinamento con l'Ungheria •. Il convegno tra Re Carol e Bethlen era stato promosso dal barone Mocsoni, Gran Cacciatore della Corte romena.

Questi, ad ogni modo, sono dettagli di non grande importanza pratica perché, ogni volta che si sollevano questioni di indole finanziaria, il Re segue sempre la stessa tattica: quella di mostrare come l'eventuale contraccolpo si ripercuoterebbe essenzialmente sull'Esercito.

Lo cito solo perché appartiene ad uno dei tanti indizi che mi danno la sensazione che, mai come ora, si sia attraversata -nel periodo di mia permanenza qui -una situazione torbida ed incerta, che potrebbe anche portare a spiacevoli sorprese.

Tale situazione è creata:

l) dallo stato di miseria in cui il popolo effettivamente versa;

2) dal senso di malessere determinato dalla incapacità o dalla scorrettezza degli organi preposti all'Amministrazione del Paese;

3) dal senso di disagio creato dall'intuire che si è formato un dissidio di carattere politico con noi e che, quindi, da un momento all'altro si potranno produrre ripercussioni di carattere economico;

4) dall'azione che continuano a svolgere i vari elementi contrari a noi ed all'Albania, per scuotere la costruzione che qui stiamo compiendo.

Fenomeni particolari di tale situazione sono, fra gli altri: il rifiorire del brigantaggio, la tendenza generale ad armarsi, tentativi di costituire gruppi fra persone aventi comuni interessi, l'intensificarsi della diffidenza reciproca.

Riterrei necessario giungere al più presto ad una chiarificazione della situazione, per definire nettamente i nostri obiettivi, e su essi puntare decisamente. Restando a lungo nell'attuale incertezza, corriamo il rischio di trovarci di fronte a fatti che potrebbero richiedere azioni che non so se siano desiderate.

(l) -Sul colloquio con Re Carol Bethlen intrattenne Arlotta, che ne riferì con
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L'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4081/255. Madrid, 12 dicemb1·e 1931, ore 23 (per. ore 2,15 del 13).

A mezzogiorno Presidente della Repubblica ricevette ufficialmente a Palazzo Reale Corpo Diplomatico. Signor Alcalà Zamora era circondato da tutto Gabinetto che nel pomeriggio presentò sue dimissioni.

TuUe le repubbliche dell'America del Sud, meno Cile ed Argentina che hanno già una Ambasciata in Madrid, avevano per l'occasione nominati i loro rappresentanti Ambasciatori straordinari.

Nunzio Apostolico pronunciato teatralmente discorso estremamente prolisso.

Presidente della Repubblica rispose assai più brevemente.

Quando al seguito del signor Alcalà Zamora, mi si avvicinò Presidente del Consiglio, credetti cogliere questa occasione solenne per dichiarare che non potevo considerarmi soddisfatto contenuto della sua lettera di cui al mio telegramma 248 del 4 corrente (l) né pe·r ciò che riguardava stampa né per le spiegazioni relative all'adesione accordata da Ministro della Marina alla protesta circa giuramento professori Università, non ritenendo si possa scin

dere in lui qualità del Ministro da Quella di professore. Signor Azaiia mi rispose che almeno avrò apprezzata sua buona volontà e che per quanto si riferisce ai giornali dov,evo tener in considerazione • libertà di stampa •. Ribattei che nella mia lettera avevo appunto premesso che io non intendevo affatto che fosse menomata libertà discussione e critica nei giornali ma solo chiedevo che Governo spagnolo intervenisse interessandosi senza indugio, quando si permettevano insul<tare gratuitamente e volgarmente Ministri esteri e nel caso specifico S. E. Grandi.

Signor Azaiia proseguì senza rispondere (1).

(l) Non si pubblica. Ma cfr. n. 103.

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IL DIRETTORE GENERALE FER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELESPR. 252674/1148. Roma, 12 dicembre 1931.

Rifer. Telespresso di questo R. Ministero n. 224376 del 9-7-31.

Nel corso dell'ultima Assemblea della S.d.N., la Delegazione britannica ha rinnovato la proposta, già fatta nel 1930, relativa alla costituzione di una Commissione permanente per la schiavitù composta da membri scelti a titolo di esperti, senza nessun carattere di rappresentanza o di dipendenza nei riguardi dei loro rispettivi Governi (2).

Circa tale proposta l'Assemblea ha votato il 25 settembre c.a. la seguente risoluzione:

• L'Assemblée prie le Conseil de la S.d.N. de nommer pour un an un Comité restreint d'experts chargés d'examiner la documentation de l'esclavage fourni,e ou transmise par les Gouvernements depuis la signature de la Convention de 1926. Le Comité présentera au Conseil des suggestions pour recommander à la prochaine Assemblée les mesures d'assistance que la S.d.N. pourrait prèter aux pays qui ont convenu d'abolir l'esclavage et qui demanderont cette assistance •.

Da parte britannica si inviano frequenti rapporti.

Da parte nostra non ne abbiamo finora inviati, perché i raPDorti del Governatore dell'Eritrea comprovano la esistenza della schiavitù in alcune regioni dell'Etiopia, paese amico a cui non desideravamo in passato creare imbarazzi...

Nel 1929 il delegato britannico (Lord Cecill aveva proposto di far rivivere la Commissione temporanea che era stata sciolta dopo la firma della Convenzione.

Nel 1930 il delegato britannico (Conte Buxton, deputato laburista) propose invece di creare una Commissione Permanente con voteri più estesi di quelli che l'antica Commissione temporanea aveva. In base alla discussione dello scorso luglio alla Camera dei Lords ed al voto seguitone, favorevole alla proposta Buxton, è da ritenersi che quest'anno la Delegazione britannica insisterà in quest'ultima pro!losta di creare cioè un Ufficio (o Commissione) permanente con ampi poteri (vedi il resoconto parlamentare in atti).

Questa proposta britannica inco,ntrò lo scorso anno l'opposizione degli Stati coloniali; fu appoggiata invece dalla Germania, dalla Spagna, dall'India e dall'Ungheria.

E il Consiglio a sua volta :

• Le Conseil prend acte de la résolution de l'Assemblée du 25 septembre 1931 e<t décide de procéder, au cours de sa session de janvrier 1932, à la constitution du Comité restreint d'experts envi.sagé dans cette résolution. Il prie son rapporteur, le représentant de la Grande Bretagne, de lui soumettre à sa session de janvier un rapport contenant toute suggestion uti·le à cet effet.

Le Comité devra examiner les documents qui lui seront soumis et, à la lumière de cette documentation, présenter un rapport sur la question de savoir dans quelle mesure la Convention du 1926 a réussi à mettre fin à I'esC'lavage, ainsi que sur les obstacles qui pourraient s'opposer à la réalisation de nouveaux progrès dans ce sens. Le Comité devra en outre examiner dans ce rapport par quelles méthodes une aide pourrait etre pretée aux Etats qui ont exprimé 1e désir d'y recourir afin d'abolir l'esclavage sur leur territoire.

Enfin le Comité devra dire si, pour les fins envisagés, il est désirable d'apporter des modifications -et les quelles aux rouages dont dispose actuellement la Société des Nations •.

Nella sua prossima sessione di gennaio il Consiglio dovrà quindi procedere, sulla base delle proposte del relatore, alla nomina del Comitato di esperti, i compiti del quale sono già stati in massima determinati dalle deliberazioni sopra riprodotte; ma potrebbero assumere una vasta portata ed una rilevante importanza; tanto che è prevista persino la possibilità di modifiche ai • rouages • di cui ha sinora disposto la S.d.N.

Sembra a questo R. Ministero che l'adozione della proposta di cui si tratta possa essere vista con favore e che sarebbe opportuno di far appoggiare in massima a Ginevra eventuali altre proposte tendenti ad allargare ragionevolmente poteri di investigazione del nominando Comitato, del quale, beninteso, dovrà, come ci è già stato promesso, far parte un membro italiano autorevole ed esperto, ed jnsieme buon conoscitore di questioni coloniali in genere e della situazione etiopica in particolare.

Precedentemente all'ingresso dell'Etiopia nella S.d.N. da parte italiana si era invece adottato in merito a tale questione un diverso atteggiamento

n Delegato italiano... osservò che la proposta britannica appariva: (a) pericolosa,potendo urtare la suscettibiiltà dei Governi nei riguardi delle possibili interferenze nella sovranità degli Stati, e (b) prematura, in quanto era troppo presto per affermare che la Convenzione del 1926 fosse ino~erante.

Tuttavia, per venire incontro agli intendimenti della proposta britannica, suggerì che

il Consiglio della S.d.N. costituisse nel proprio seno un Comitato speciale di tre membri

incaricati di occuparsi particolarmente della schiavitù (sul modello di quanto si fa per le

minoranze)...

n Ministro delle Colonie, S. E. De Bono, al quale venne comunicato il rapporto del

Conte Bonin Longare, ha dichiarato (telegramma esnresso n. 1323 del 14 gennaio 1931) di

concordare nelle considerazioni e~voste dal Conte Bonin Lon~are circa l'opportunità che la

Delegazione italiana nrenda, nella XII Assemblea, un atteggiamento diverso da quello, fin

qui seguito, di semplice resistem·a. in merito alla ,!Jroposta inglese di intensificare la lotta

contro la schiavitù, senza però giungere a soluzioni che implichino invasioni della sovranità

statale •.

L'autore (non identificato) di questa relazione la inviò a Rosso, a Ginevra, con una

l.p. del 29 agosto: • Ho fatto leggere l'unito promemoria sulla " Schiavitù " al Ministro Guariglia, il quale mi ha detto che oggi siamo meno ben disposti che per il passato verso il Governo etiopico. Ciò conforterebbe nelle mie conèlusioni di non più opporci alla proposta britannica •.

cercando di opporsi a che una così delicata questione, quale è quella della schiavitù in Abissinia, venisse portata in discussione sia a Ginevra, sia in altra sede a carattere internazionale.

Ma ora, qualsiasi dovesse essere in avvenire l'atteggiamento e l'azione politica che intendessimo adottare nei confronti deH'Etiopia, sembra che si debba tener conto del fatto che, benché nostro malgrado, detto Stato è entrato a far parte della S.d.N. E perciò potrebbe convenire in future circostanze al

R. Governo di aver modo di far direttamente o indirettamente presenti a Ginevra le vere condizioni politico-sociali di detto Stato specialmente nei riguardi della schiavitù facendo anche risultare l'inadempienza da parte del Governo di Addis Abeba degli obblighi da esso assunti al momento del suo ingresso nella Lega, ove considerazioni di carattere politico ci consigliassero di assumere in qualche propizia occasione tale linea di condotta.

Questo Ministero desidera conoscere se cotesto condivide il pensiero dello scrivente su quanto precede, anche per quanto riguarda le istruzioni da impartire di comune accordo al nostro rappresentante nel Comitato di Ginevra (1).

(l) -La risposta di Azafia (e soprattutto l'ultimo capoverso) sono stati postillati al Ministero con punti esclamatovi. (2) -Sul problema della schiavitù cfr. una relazione fatta a Palazzo Chigi e datata 28 agosto: «Ogni anno il Segretario Generale della Società delle Nazioni comunica all'Assemblea i rapporti sulla re~ressione della schiavitù che gli pervengono dai Governi firmatari della Convenzione di Ginevra del 1926.
121

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 4094/278. Belgrado, 12 dicembre 1931 (per. il 14).

Mio telespresso n. 7016/2128 dell'8 corrente. Riservomi esporre in dettaglio la situazione interna specie da dopo le elezioni, e più ancora da dopo l'apertura della nuova Scupcina. In ogni caso, le conclusioni cui credo oggi potere giungere sono le seguenti:

a) in Belgrado continua la effervescenza studentesca, anche se le manifestazioni di piazza ed i conUitti con la polizia non si sono ripetuti da 48 ore. Non si sbaglia affermando che essa risponde al sentimento unanime della popolazione. Parte di queste manifestazioni hanno avuto colore repubblicano, ma non conviene esag.erare questa tendenza. In Serbia il sentimento monarchico è ancora prevalente, ed un gesto anche minimo del Sovrano può bastare a fugare qualsiasi espressione contraria alla sua persona ed a riaccendere verso la monarchia quel maggior entusiasmo del quale i serbi sono capac1;

Sulla questione cfr. anche il telesJ:>r. r. 216039 di Grandi a De Bono, del 25 maggio 1932: Lord Noel-Buxton e lord Polwarth hanno eseguito per conto della Società Antischiavista una missione in Etiopia. Il telespr. cosi concludeva: • È probabile che tutta questa materia verrà discussa in seno al Comitato per la schiavitù, recentemente ricostituito dal Consiglio della Società delle Nazioni, e che deve riunirsi a Ginevra in questi giorni. Sarà qundi opportuno che di quanto forma oggetto del presente telespresso sia data riservata conoscenza l)l Comm. Zedda nostro rappresentante in seno a detto Comitato.

Questi conviene partecipi attivamente ai lavori del Comitato stesso con frequenti interventi, atti a dimostrare il vivo interessamento italiano alla questione. Occorre che all'azione britannica, svolta sotto la veste umanitaria della Società Antischiavista di Londra, si contrapponga a Ginevra un'azione altrettanto vivace da parte nostra; onde far fin da principio risultare la nostra posizione di primo piano e di diretti interessati a tutto ciò che concerne l'Etiopia, specialmente per l'eventualità, pur non probabile allo stato delle cose dato l'atteggiamento negativo assunto dall'Imperatore, dell'invio di un commissario della Lega ad Addis Abeba •.

b) in Croazia, ed a conferma di quanto esponevo già col mio rapporto

n. 6775/2055 del 24 nov. (1), continua quel sentimento messianico di aspettazione di un Deus ex machina che venga a sciogliere i legami politici serbocroati. Ciò è confermato dal rappol'to n. 4724/560 del 9 corrente del Comm. Umiltà (2). Debbo però richiamare l'attenzione su altro rapporto del Comm. Umiltà, quello del 20 Nov. n. 1493/535. Non posso dire se le notizie quivi riferite siano o no in tutto od in parte vel'e. Esse però corrispondono a molta realtà; ed in ogni caso alla mia ferma non per ora mutabile convinzione, che sopratutto in Croazia ed anche, in parte, nelle altre regioni ex austriache (eccezione fatta della Bosnia ed anche de,lila Dalmazia, malgrado qualche manifestazione verificatasi anche colà e la maggior astensione dall'atto elettorale che si è ivi manifestata; la Macedonia, supina, è fuori di conto) il sentimento ex austriaco sia il più forte ed il predominante se anche latente. Se le circostanze 1nternazionali potessero o dovessero consentire, noi assisteremmo rapidissimamente alla ricostituzione di un primo nucleo dell'ex impero distrutto a Vittorio Veneto, con tutte le conseguenze anche di minaccia adriatica che sono in tal contingenza facilmente prevedibili;

c) la Slovenia è il fondo ligia al governo di Belgrado, anche se Koroscez col suo partito abbia preso posizione ostile. Mi è stato riferito, ed ho ragione di credere la informaz,ione esatta, che recentemente Koroscez si è

Il Comm. Rainaldi mi ha ora inviato le unite informazioni pervenutegli da fonte fiduciaria, che contengono precisazioni interessantissime su tale azione e documenti che provano come la molla antifascista abbia valso a smuovere colà le masse elettorali.

Il Console di Sebenico informa che anche nel suo distretto si è sfruttato il diversivo della difesa nazionale contro l'Italia e gli altri nemici esterni per spingere gli elettori, che

era anzi stato predisposto un manifesto raffigurante gli oppositori al governo che puntavano

gli occhi sul Duce fiancheggiato da un bulgaro ed un magiaro, manifesto di poi non affisso

per proibizione venuta all'ultimo momento.

Qualche lieve dimostrazione antitaliana si sarebbe verificata a Perzagn presso Cattaro nell'inneggiare a qualche candidato governativo, e dopo un discorso tenuto a Traù dal deputato Angelinovich dopo la di lui elezione.

Continua il sentimento oppositore serbo, ma le voci di allarme sensazionale vanno diminuendo, e non si vede del resto come esso si concreti in un fatto dinamico. La opposizione croata diffonde le maggiori voci allarmanti, quasi messianiche, e torna a vagheggiare

(ritornello abituale dei momenti di maggiore difficoltà) impreveduti e singolari mutamenti dell'indirizzo politico francese, improvvisamente tenero della indipendenza croata ed ostile alla politica di Re Alessandro. È da ritenere che nulla di sensazionale e di catastrofico possa verificarsi, all'infuori peraltro sempre di quello che può sorgere dall'oscuro che non

può mai essere preso a base di seria previsione volitica.

Perciò stimo errata la rappresentazione catastrofica della situazione jugoslava, nota comune dei nostri giornali. A parte il linguaggio provinciale di minori fogli, come il Littorio Dalmatico, e la Vedetta d'Italia, le notizie da Vienna, inspirate da quei circoli croati, rivelano uno stato d'animo esaltato e fuori della realtà, come anche i recenti articoli di Sertoli inducono a credere ad un r>rossimo sfacelo ed un rivolgimento jugoslavo, ancora lontano dal verificarsi. Tali notizie influiscono pertanto pericolosamente sulla nostra opinione pubblica, poichè la inducono ad una vana aspettazione, e la renderebbero assai sorpresa se si verificasse un inatteso ipotetico mutamento delle relazioni politiche italojugoslave. Come ho telegrafato, gli articoli del Sertoli hanno più degli altri prodotto in questi circoli e sul Re, una penosa impressione e per l'autorità e diffusione del giornale, e per il fatto che il Corriere de!!a Sera ha una fortissima diffusione in Jugoslavia ».

rammaricato di avere perduto contemporaneamente e la fiducia del Governo e anche quella del suo popolo. Egli è che in Slovenia, a parte la costituzionale obbedienza al potere centrale, giuoca per molta parte la propaganda irredentista allogena, e Belgrado è considerato come la sola forza sulla quale si possono appoggiare le rivendicazioni e le speranze slov.ene verso la Carinzia e la Venezia Giulia, ma sopratutto verso quest'ultima;

d) la situazione economica risente della crisi generale. Ma essa non può mai, come più volte affermato, costituire una seria preoccupazione. Qui il tenore generale di vita è assai basso, le masse operaie non esistono, ed ogni operaio è stato fino alla vigilia contadino. Esso ritorna, se disoccupato, al campo che tutti posseggono, ed a nessuno manca l'essenziale· di grano, riscaldamento e di ricovero necessario alla vita;

e) la situazione finanziaria è grav·e. Procede per successivi ripieghi e mezzucci. Si è sostenuta sopratutto grazie all'aiuto francese, che verosimilmente, salvo imprevisti, continuerà a non mancare sulle attuali basi politiche generali jugoslave. Se queste mutassero, la salute starebbe nella diminuzione delle spese militari;

f) a conclusione: ritengo la situazione generale malata, ma possibile a sostenersi se non intervengano fatti impreveduti di estrema importanza e gravità che investano tutto l'edificio statale. Re Alessandro e Zivkovich si sostengono su una situazione di forza, e non si hanno ser·i sintomi di indebolimento dell'esercito o della polizia. Ma se si arrivasse ad un punto di maggiore difficoltà, la persona di Zivkovich, contro la quale si appuntano gli odi maggiori (e forse anche l'oscuro complotto), è anche il parafulmine più adatto, poiché il di lui allontanamento dal potere costituirebbe sempre il mezzo più sicuro in mano del Sovrano per riottenere la tranquillità e ricondurre intorno alla sua persona l'unanime consenso serbo e gran parte di quello croato-dalmata ora ostile. Le altre regioni non giuocano nel contrasto delle forze, e delle minoranze la tedesca sarà sempre con chi comanda, la ungherese non è organizzata, la bulgara albanese amorfa.

(l) De Bono rispose con telespr. u.r. 50836 del 22 dicembre, concordando pienamente.

(l) Di questo doc. (un t. posta dedicato alla situazione interna jugoslava) si pubblica qui l'ultima parte: « Le masse musulmane della Bosnia, come ha segnalato il Cav. Zuccolin, hanno dato, con viva disillusione di Spaho, molti più votanti di quanto era da attendersi. Ciò è spiegato con le manovre intirriidatrici e le minacce. E così è avvenuto anche per le masse clericali slovene aderenti a Koroscez. Già dissi nel mio ultimo rapporto che a questa impreveduta forte votazione avevano contribuito fortemente i nostri allogeni emigrati in quella regione.

(2) È un t. posta, che non si pubblica. Con i t. posta 4667/553 del 4 novembre e 4747/563 dell'H dicembre, Umiltà riferiva quanto segue: In occasione della morte di mons. Sedej (avvenuta alla fine di ottobre) il governo jugoslavo ha intenzione di indurre il clero del suo paese a fare una dimostrazione antifascista; ma mon.s. Bauer non vorrebbe ripetere l'atteggiamento antifascista che aveva assunto con la pastorale del 19 marzo 1931; vari vescovi jugoslavi premono adesso su mons. Bauer perchè non ceda al governo di Belgrado. Da altri documenti risulta una ostilità contro il governo di Belgrado, diffusa tra la maggior parte dei vescovi cattolici jugoslavi, ostilità che il Vaticano tende a moderare.

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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 488/277. Belgrado, 12 dicembre 1931.

Richiamo mio rapporto n. 110 dell'8 dicembre (1).

Ieri sera Re Alessandro mi ha fatto improvvisamente chiamare e mi ha intrattenuto dalle 18 alle 19,40. Impressione di sua irritata sorpresa per mancate nostre controproposte concrete mi è confermata. Ho potuto tuttavia certamente persuaderlo che sue impressioni sono errate, assicurandolo

9 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

che in S. E. il Capo del Governo ed in V. E. le disposizioni generali all'accordo sussistevano sempre 'immutate ma che egli doveva rendersi conto che se per lui tale accordo significava cambiamento di 90 gradi, esso poneva anche per noi molti delicati problemi che occorreva valutare in ogni loro possibile conseguenza con ogni ponderazione appunto per non rendere, come nel 1924, rapidamente caduco il nuovo auspicato accordo. Si erano poi frapposte ad ogni momento le ragioni di fatto ben note che non avevano mai consentito un continuato esame di ogni dettaglio da parte di V. E. Così ad esempio l'ultima volta l'E. V. era appena tornata da Berlino, e si accingeva a ripartire subito dopo per l'America. Speravo che adesso tale tempo riposato e calmo per un definitivo esame di ogni termine del problema e di un eventuale testo di accordo potesse non mancare.

(Senza darvi importanza ho fatto cenno delle ultime manifestazioni irredentiste aggiungendo che le avevo rappresentate a V. E. assai attenuate nella speranza non producessero soverchia spiacevole impressione).

Le conclusioni cui sono giunto nel mio rapporto ora qui sopra citato, escono rafforzate da quanto mi ha detto Re Alessandro, che ha tenuto a confermarmi quasi solennemente la sua immutata volontà, di arrivare ad una conclusione, la sua sincerità piena, il suo proposito di volere quando l'accordo sia perfetto dichiararlo pubblicamente convinto della esultanza del suo Paese cui avrà reso il più grande dei servigi, la sua schietta intenzione di adempiere con ogni maggiore scrupolo ai nuovi patti contro ogni prevedibile difficoltà esterna ed interna che potesse attraversarli.

Mancami tempo materiale esporre prima della partenza del corriere odierno tutti i dettagli del colloquio. Da quanto Re Alessandro mi ha detto esplicitamente e da quanto credo avere compreso anche in relazione alle impressioni avute nei miei vari contatti, per gli avvenimenti politici di questi ultimi giorni, stimo che anche nuovi motivi spingono il Re all'accordo e che essi possano essere i seguenti :

a) La situazione economica del paese è assicurata precariamente dall'ultimo prestito politico francese, e dalle economie di bilancio. Queste sono state nel solo campo militare di circa 150 milioni di dinari. Una situazione stabile di bilancio non si può realizzare che con nuove e molto più forti economie nel bilancio militare, e queste non si possono affrontare senza pericolo se non vi sia la sicurezza ai confini giulii.

II memorandum per il disarmo presentato alla S.d.N., è documento tipico dello spirito militare serbo nel presente momento, e dell'adattamento pieno alle direttive francesi in tale materia. Un accordo con l'Italia permetterebbe al Governo jugoslavo di presentarsi immediatamente alla opinione pubblica, al cui giudizio non si è poi del tutto insensibili, come francamente disposti

al disarmo.

L'alleggerimento delle spese militari permetterebbe di consacrare proventi di bilancio alla messa in valore del paese, a riparare alla crisi economica che, non preoccupante come altrove, è tuttavia sentita anche Qui, a provvedere a molte necessità interne che oggi finiscono, perché necessariamente trascurate, col ripercuotersi sulla situazione generale politica interna.

b) Da tre punti vengono oggi sospetti e turbamenti:

l) nei rapporti turco-greco-bulgari resi più evidenti dagli incontri recenti, si teme vedere l'influenza italiana con obiettivo la costituzione di una costellazione politica opposta alla Piccola Intesa e la costituz,ione di un gruppo balcanico particolarmente ostile alla Jugoslavia. Le dichiarazioni di Micalacopoulos non bastano a calmare la inquietudine sorta al primo annuncio del viaggio di Muscianoff ad Angora, che Jugoslavia in unione con ila Francia ha tentato in ogni modo far rimandare (mi è stato assicurato che i rispettivi Ministri a Sofia hanno fatto anche delle démarches contemporanee a tale scopo);

2) le recenti proposte Bènes di accordi economici con Austria ed Ungheria, che sembrano trascurare gli interessi anche politici degli altri due membri della Piccola Intesa e specialmente gli jugoslavi. Ciò non ha fatto che aumentare il cattivo umore contro la Cecoslovacchia che, intervenuta già a favore di Pribicevic, ora lo ospita permettendogli libera propaganda contro il Governo dittatoriale;

3) le voci fondate o no che siano, che nell'incontro Bethlen Re Carol si sia parlato anche di unione personale fra Ungheria e Rumenia (1).

Vi è quindi il sospetto che ogni membro della Piccola Intesa tiri acqua al suo mulino a dispetto degLi altri due. Non si vorrebbe qui vedere ancora diminuita la efficienza della Piccola Intesa e forse trovarsi ad un dato momento anche senza tale salvaguardia.

Re Alessandro mi ha detto che l'Italia non avrebbe mai potuto attendersi da parte jugoslava un abbandono deHa Piccola Intesa. Ma tutto il discorso precedente e qualche allusione e la intonazione stessa del colloquio in tale momento mi significavano che egli pensava soprattutto alla eventualità che la Piccola Intesa abbandonasse la Jugoslavia.

c) Il patto con la Francia firmato nel '27 è apprezzato per la di~esa che porta alla Jugoslavia in caso di nostre ostilità ed attacco, anche in rapporto alle eventualità e complicazioni estranee agli interessi diretti jugoslavi e nelle quali la Jugoslavia potrebbe trovarsi mescolata senza evidente vantaggio. Le parole dettemi ieri sera da Re Alessandro a tale riguardo sono : • Il patto con la Francia è la politica italiana che ce lo ha imposto, ma esso può anche condurci ad interventi da noi non desiderati e convenienti •.

Di Qui l'opportunità di rendere inutile, nel patto con la Francia, a seguito di un accordo con noi, la parte conveniente alla Jugoslavia nei nostri confronti, e liberarsi dai pesi e dalle incognite che esso può comportare.

In questi tre punti è l'essenziale che ripeto o deduco dal colloquio col Re, che varie volte ha interrotto la mia esposizione su l'ultimo mio soggiorno ro

Sul colloquio fra Re Carol e Bethlen cfr. n. 117.

mano chiedendomi • ma insomma che cosa mi recate di concreto? ho detto il mio pensiero, quale è il vostro? • e congedandomi si è espresso con le seguenti testuali parole: • sta ora a voi decidere, io non ho nulla da mutare nella mia volontà di decidere e non ho da celarla perché rappresenta il vero bene del mio paese. Sono io che mi sono 'dépucelé' per il primo. Spetta ora a voi. Spero che quando ci rivedremo mi porterete delle proposte concrete. In ogni caso vi ripeto ancora la preghiera di dirmi sempre ed in qualunque momento con assoluta franchezza se la possibilità di giungere ad un accordo esiste oppure no. Io stimo oggi possibile ed utile per entrambi accordo che vi propongo • (1).

(l) Cfr. n. 112.

(l) Su queste voci riferiva Preziosi con telespr. 3011/1142 del lO dicembre: «Le voci raccolte dalla stam!la di lingua ungherese della Transilvania, ed alcune affrettate notizie pervenute da Buda!lest, giusta le quali nel colloquio in parola sarebbe stata trattata la questione di un'unione personale tra i due Stati e quella di un intervento in favore della restaurazione di Ottone di Asburgo, hanno trovato larga osoitalità sulle colonne dei giornali di Bucarest che, all'unanimità, hanno sollecitato dal Governo un chiaro e preciso comunicato sugli scopi del convegno •.

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IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 3017/1148. Bucarest, 12 dicembre 1931.

Il Ministro delle Finanze e dell'Interno, signor Argetoiano, che è la personalità principale dell'attuale Governo romeno, e che è forse il solo uomo politico che goda in oggi l'intera fiducia del Sovrano, mi ha annunziato stasera la sua decisione di fare un viaggio all'estero, e cioè a Roma, Parigi e Londra. Ha aggiunto di voler cominciare il suo giro da Roma, dove conterebbe arrivare il 2 gennaio e restare quattro o cinque giorni, dovendo trovarsi gli otto a Parigi.

Il signor Argetoiano mi ha quindi manifestato il suo desiderio di intrattenersi a lungo col Capo del Governo e con V. E., con cui si propone esaminare in modo approfondito la questione delle relazioni itala-romene, nella ferma intenzione di giungere ad un intimo riavv<icinamento, specie nel campo economico.

A tale riguardo, nel ricordare le mie lagnanze per il grave deficit che sempre accusa la bilancia commerciale itala-romena, egli mi ha espresso la sua piena fiducia nel raggiungimento di un'intesa di reciproca convenienza. Ha poi osservato che l'ora presente è quella delle relazioni economiche, tanto

Io non voglio dare argomenti e ragioni per riprenderli a fondo. L'argomento è troppo delicato difficile pieno di incognite, e troppo collegato ad altri argomenti e ragioni che mi sfuggono.

Sarà però in ogni caso bene tu tenga presente: a) che la Jug[oslavia] ed il Re non abbandoneranno mai la sedia francese finché non siano sicurissimi della nostra

b) che il viaggio in Francia può colpire, ma in fondo non è che continuazione della politica dalla quale il Re ha dato manifesti segni e dichiarata volontà di volersi allontanare. Se ciò non è fin qui avvenuto, ciò dipende dall'andamento delle conversazioni

c) e queste o riprendono per andare alla fine, od è meglio troncarle perché non abbiano a produrre l'effetto contrario >. Ai primi di gennaio 1932 Galli si recò a Roma dove ricevette istruzioni. L'll gennaio ebbe luogo in proposito una riunione con la partecipazione di Grandi. Non si è trovata documentazione su questa riunione.

In un riassunto sulle relazioni ìtalo-jugoslave dal 1922 al 1934, compilato dal Ministero per uso interno, il rapporto di Galli pubblicato nel testo ed il precedente dell'8 dicembre, pubblicato al n. 112, sono taciuti.

che la politica, le alleanze, la stessa Piccola Intesa, hanno ormai per lui un valore del tutto relativo di fronte alle impellenti necessità economiche, uniche vere arbitre della situazione; e che del resto, in questo campo, ben gli sono note le egoistiche disposizioni degli stessi alleati, specie della Cecoslovacchia.

Allo scopo di meglio indagare, ho chiesto allora al mio interlocutore se i progetti da lui abbozzati si limitano ad una intesa italo-romena, oppure se essi, riprendendo piani di cui mi si era qui parlato nel passato (mio te1clgramma N. 24 del 17 aprile u.s.), non comprendano pure la Jugoslavia ed altri paesi. Il sìgnor Argetoiano ha risposto che non averva anco!'a concretizzato le sue proposte, ma che non gli era mai sfuggito l'interesse che presentava una larga formazione.

Il mio 'interlocutore mi ha poi detto che desiderava tenermi altresì parola, in strettissima confidenza, di un altro suo progetto; cioè la conclusione di un'intesa giusta la quale mentre la Romania si obbligherebbe a restare neutrale in caso di conflitto itala-jugoslavo, l'Italia si impegnerebbe alla neutralità nel caso di attacco ungherese contro la Romania. Ho osservato che l'eventualità di un intervento romeno contro l'Italia, nell'ipotesi da lui prospettata, mi era stata sempre definita come assurda da tutti gli uomini politici, con cui ho avuto occasione di intrattenermi durante la mia missione in Romania. Il signor Argetoiano ha risposto che l'ipotesi era infatti assolutamente da escludersi; senonché, nel suo diffondersi su tale concetto, ho potuto notare che egli ha continuato a ribadire i termini della sua proposta, dovuta evidentemente alle ravvivate preoccupazioni per la campagna revisionistica. E difatti egli ha accennato solo di passaggio alla Russia, nei cui riguardi la Romania, stante le iniziate trattative dirette per un Patto di non aggressione (mio telegramma

N. 129 del 1° corrente) e stante anche la crescente persuasione che i Soviet finiranno con l'essere sempre più attratti in Estremo Oriente, comincia oggi a sentire meno a cura l'antica preoccupazione.

Il signor Argetoiano ha po1i insistito sul punto che la Jugoslav~a, in tutte le sue classi sociali. in tutte le sue nazionalità, nutre un unanime pensiero circa l'Albania. Mi ha ricordato QUanto ebbe a dirmi, in tutto segreto, l'anno scorso dopo il suo viaggio in Jugoslavia, nei riguardi dell'intensa preparazione· militare che colà si compie con l'appoggio della Francia, adesso desiderava segnalarmi che tutti gli uomini politici jugoslavi, con cui egli si era intrattenuto in quell'occasione, gli avevano fatto presente la concorde risoluzione del paese ad opporsi con tutte le sue forze ad ogni intervento od operazioni militari italiane in Albania, fossero anche di esplicito carattere provvisorio, e fossero pure esclusivamente derivate da preciso mandato affidato all'Italia da parte della Società delle Nazioni. Ha aggiunto che nessuno più di lui, che aveva trascorsi tanti anni in Italia, poteva meglio rendersi conto dell'imprescindibilità degli interessi italian_i sull'altra sponda dell'Adratico e dell'assurdità della tesi jugoslava, ma che proprio per questo, tutte le sue segnalazioni del passato e di oggi dovevano essere da me considerate come rispondenti ad un rincresoevole, ma reale stato di cose. In proposito rilevo che se anche tali parole del Ministro romeno possano considerarsi come una esagerata ed interessata valutazione della situazione, è pur tuttavia sintomatico che il pensiero del Principe Ghika circa i propositi della Jugoslavia nei riguardi dell'Albania, quale egli lo ha manifestato al signor Venizelos durante la recente visita di quest'ultimo a Sinaja, corrisponde esattamente all'impressione stessa del signor Argetoiano.

Come è già noto a V. E., i~ signor Argetoiano non gode affatto le simr patie del Quai d'Orsay, che lo ritiene profondamente germanofilo e che lo sospetta di speciali simpatie per l'Italia. Giova però aggiungere che le gravissime esigenze finanziarie romene, il problema del disarmo, la questione del Patto di non aggressione con la Russia, e sopratutto gli acuiti timori per il revisionismo, hanno qui progressivamente prodotto un così vivo sentimento di ritorno verso la Francia, che lo stesso signor Argetoiano ha dovuto mettere molta acqua nel suo vino.

Evidentemente, il viaggio del Ministro delle Finanze romeno a Roma, nel corrispondere al desiderio di o..uesto Governo di dimostrare defer·enza ed amicizia all'Italia, è motivato meno da ragioni ecenomiche che dall'intenzione di addivenire al più presto alla rinnovazione del Trattato di amicizia italo-romeno. A tale ultimo riguardo ho già avuto l'onore di sottomettere a V. E. il mio remissivo pensiero.

Il signor Argetoiano, che si recherà a Roma con la consorte, è assai sensibile, anche per ragioni di politica interna, a pubbliche manifestazioni di simpatia. E poiché il suo passato (egli ha desiderato restare per nove o dieci anni in Italia, allorché era nel servizio diplomatico), la sua cultura (conosce perfettamente la nostra lingua e la nostra storia), le sue tendenze (ha sempre mostrato schietta amicizia per il nostro Paese e palese simpatia per il Regime, di cui potrebbe definirsi pratico seguace nella sua stessa opera di Governo) lo fanno meritevole di qualche segno di attenzione da parte del R. Governo, io mi permetto di segnalare a V. E. l'opportun>ità che egli sia fatto segno a particolari cortesie durante la sua visita a Roma, e che gli sia conferita una decorazione nazionale, la quale, stante la sua preminente situazione politica, non potrebbe che esser quella di Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dei ss. Maurizio e Lazzaro (1).

Il Signor Argetoiano desidera avere un ampio scambio di vedute col Capo del Governo e con V. E., proponendosi di esaminare la questione delle relazioni itala-romene, sia nel campo economico, sia nel campo politico.

Per quanto riguarda il primo, egli ha espresso al Ministro Preziosi la sua piena fiducia nel raggiungimento di una intesa di reciproca convenienza; ed avendogli il Comm. Preziosi richiesto se i suoi progetti si limitino ad una intesa itala-romena, o se comprendano pure la Jugoslavia ed altri paesi, ha risposto che non aveva ancora concretato la sua proposta, ma che non gli era mai sfuggito l'interesse che presentava una larga formazione.

Questa Direzione Generale a tal proposito stima opportuno ricordare che le conversazioni sul campo economico col Ministro Argetoiano presentano un particolare interesse nel momento attuale, in relazione ai noti progetti di confederazione economica danubiana di Benes, che sembra lasciare in un certo modo da parte la Romania, la quale perciò vede con sospetto e diffidenza i progetti stessi.

Nel campo politico il Ministro Argetoiano ha esposto al Comm. Preziosi un suo progetto relativo alla conclusione di una intesa, in hase alla quale l'Italia si impegnerebbe alla neutralità in caso di attacco ungherese contro la Romania, e questa si obbligherebbe a restare neutrale in caso di conflitto itala-jugoslavo; ed a tal proposito il Ministro Argetoiano ha detto al Comm. Preziosi riservatamente che tutti gli uomini volitici jugoslavi con cui ebbe occasione -di intrattenersi l'anno scorso durante il suo viaggio gli avevano fatta presente la concorde risoluzione del paese ad opporsi con tutte le sue forze ad ogni intervento o ad operazioni militari italiane in Albania, anche se derivanti da mandato

(l) Cfr. quanto scriveva Galli a Indelli con l.p. del 27 dicembre 1931: • Sono a Venezia vi resterò fino al 2. Rientrerò poi a Belgrado. Se non lo abbiate già fatto, e nella ipotesi che i noti colloqui non debbano oer <lra cominciare, sarà bene mi facciate sapere a Belgrado qual linguaggio tenere a Jeftic ed eventualmente al Re.

(l) Cfr. una relazione di Pittalis (della direzione generale Europa Levante ed Africa) per Grandi, del 30 dicembre: • Il R. Ministro in Romania ha riferito che il Signor Argetoiano, Ministro delle Finanze e dell'Interno romeno (il quale è già giunto in Italia e travasi a Napoli) verrà a Roma il 2 gennaio p.v. per restarvi fino al 7, dovendosi trovare a Parigi 1'8, e poi recarsi a Londra...

124

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (Archivio Grandi, copia)

TELESPR. R. 4638/2641. Vienna, 12 dicembre 1931.

Mio rapporto N. 2640 dell'll dicembre (1).

Starhemberg, per mezzo del nostro segretario Geisser Celesia, mi ha fatto dare notizia del suo colloQuio col Ministro di Francia subito dopo che era avvenuto.

In un'ora di conversazione Starhemberg ha avuto agio di esporre tutto il suo programma anti-marxista e anti-annessionista, le sue preoccupazioni che all'avvenire di un'Austria indipendente derivano dal succedersi di governi prettamente parlamentari, le sue speranze di potere con l'atiuto di Seipel dare infine al suo paese un governo veramente forte, e in genere quanto ho riferito con i miei rapporti precedenti. Il Conte Clauzel, che ha seguito la esposizione con vivo interesse annuendo col capo ogni qualvolta Starhemberg parlava di Austria indipendente e dei pericoli del bolscevismo, si è dichiarato fervido ammiratore di Seipel e non ha celato la speranza che Schober lasciasse presto il potere aggiungendo: • voi sapete perché a novembf\e non furono concessi i crediti •. Parlando del desiderio francese di aiutare l'Austria non solo fi.nan:zJiariamente ma anche economicamente, il ministro di Francia ha chiesto a Starhemberg come, in contrasto all'annessione, egli considerasse i progetti di una confederazione danubiana. Alla risposta di Starhemberg, che mentre un accordo tra Austria e Ungheria non sarebbe stato economicamente sufficiente, un accordo in cui entrasse anche la Cecoslovacchia sarebbe stato esiziale per l'industria austriaca, il conte Clauzel ha assicurato che il governo francese si sarebbe sforzato di indurre i Cechi a maggiore arrendevolezza verso l'Austria quando si fosse dovuto trattare per un accordo economico. Discutendo il contegno di Praga verso Vienna, il Ministro di Franc>ia si sarebbe spinto fino a dire che però non sempre era facile neppure al suo governo persuadere

della Società delle Nazioni. Il Ministro Preziosi gli ha risposto rilevando che l'eventualità di un intervento romeno nell'ipotesi prospettata gli era stata sempre definita come assurda da tutti gli uomini politici romeni.

Il progetto surriferito è da mettersi in connessione con il rinnovo del patto di amicizia

itala-romeno, che scade il 18 luglio 1932 e -secondo l'art. 5 del trattato -doveva essere

denunziato o rinnovato un anno prima della sua scadenza...

Dati i nostri rapporti con l'Ungheria, la clausola generica di neutralità da noi pro

posta è preferibile all'impegno cos1 particolare ed esplicito proposto dal Signor Argetoiano.

In vista di ciò questa Direzione Generale esprime subordinatamente l'avviso che,

ove il Signor Argetoiano riparli del suo progetto, sia opportuno riferirsi alle conversazioni

in corso relative al rinnovo del patto di amicizia, facendo presente che esse richiedono

necessariamente un periodo di tempo abbastanza lungo per l'esame completo dei vari aspetti

della questione ».

delle • teste dure di democratici •. Sulla questione che più interessava Starhemberg, e cioè del vitiro dei crediti in caso di un'azione di forza e dell'atteggiamento che di fronte ad essa prenderebbe Praga, non si è parlato. Starhemberg ha però riportato l'impressione precisa che questi due pericoli non esistano in quanto a Parigi si sarebbe oggi persuasi (a:l dire di Clauzel, per mevito suo) che J,e • Heimwehren • possono costituire in Austria la sola efficace assicurazione contro l'annessione • nazi • e i bolscevichi. Il colloquio, in cui non fu fatto parola di finanziamenti o di aiuti, si è chiuso con l'espressione del desiderio di Clauzel di incontrarsi con Starhemberg ogni volta che questi

lo credesse utile.

Starhemberg aveva VJisto ieri anche Seipel, al quale non aveva celato la necessità di non tardar troppo a prendere una decisione e assumere il Governo. Seipel gli aveva detto che il momento, per quanto da lui ritenuto prossimo, non g1i sembrava ancora maturo, tanto più che in caso di crisi il Presidente avrebbe, prima che a lui, affidato l'incarico del governo ai gruppi di sinistra del partito cristiano-sociale, (i • rosa Marxisten • secondo l'espressione di Starhemberg).

In complesso Starhemberg è sembrato a Geisser Celesia meno ottimista dell'ultima volta sulle possibilità di sviluppi non troppo remoti, pur dicendosi deciso ad agire con le • Heimwehren • e alcuni generali qualora il Presidente chiamasse al potere un governo completamente di sinistra. Ma su questo punto non credo né vedo sia da fare molto calcolo, perché Starhemberg ha ammesso con Geisser Celesia che dopo il tentativo Pfrimer l'armamento di quei suoi trentamila seguaci che sono militarmente organizzati era assai incompleto, ,e che oggi non gli era facile riportarlo in efficienza in quanto Schober e Winkler avevano disposto l'invio di controllori nelle fabbriche di armi ritenute simpatizzanti con le • Heimwehren • come ad esempio quelila del direttore Mandi. Starhemberg non ritiene esatta l'informaz,ione (mio rapporto N. 2568 dell'8 corrente) di 200.000 aderenti al partito nazional-socialista in Austria, che calcola di gran lunga infeniore per numero. Starhemberg era lieto dell'accordo perfezionato e concluso ieri stesso tra i suo,i gruppi e quelli tirolesi di Steidle e viennese di Fey. Per aderire al desiderio dei gruppi stiriani è giunto sino ad inviare a nome dell'organizzazione un fraterno telegramma a Pfrimer, nonostante egli non sia per nulla sicuro della buona fede dell'autore del • putsch • di settembre. Vi si è indotto per mantenere l'unità tra i vari gruppi, unità che però considera assai difficile a serbare se S'i andasse ancora per le lunghe, e se restassero al potere Schober e Winkler i quali svolgono una efficacissima propaganda intesa a suscitare dissidi tra le

• Heimwehren • e controllano e osteggiano in ogni modo l'attività dei loro capi (1).

« Gli ho fatto osservare come la preoccupazione maggiore di Starhemberg sia quella che tra l'attuale ministero e un eventuale futuro ministero Seioel IJOssa costituirsene uno di coalizione con la partecipazione dei socialisti, e ho di nuovo attirato la sua attenzione sui danni che ne avrebbero i nostri analoghi interessi oltre agli interessi così politici come economici della stessa Austria: se il Presidente della Repubblica, cui è attribuita dalla nuova costituzione la designazione del cancelliere, fosse in grado di prevedere in tempo

(l) È il telespr. 4637/2640, nel quale Auriti riferiva di aver messo Starhemberg al corrente del suo colloquio con Clauzel (cfr. n. 106) e di aver combinato l'incontro fra Starhemberg e Clauzel. Il telespr. così proseguiva: • Come già per le analoghe rimesse dell'anno scorso, ho preferito che anche l'attuale, invece che direttamente da me, fosse effettuata dal nostro Primo Se:;retario Geisser Celesia. A tale proposito, rinnovando l'espressione della sua gratitudine anche perché gli è dal nostro concorso facilitato il mantenimento degli uffici direttivi, [Starhemberg] ha detto chiaramente che se gli fossero state fatte offerte di finanziamenti da parte francese egli non credeva le avrebbe accettate, in quanto che non vuole rimanere obbligato a un governo estero. Nel caso nostro egli si considera aiutato non dal governo bensì dal Capo di un partito con il quale il proprio ha comuni mete di lotta antisocialista e di restaurazione nazionale •.

(l) Cfr. il telespr. r. 4639/2642 del 15 dicembre, col quale Auriti riferiva su una conversazione avuta con Clauzel:

125

RELAZIONE DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 14 dicembre 1931.

Da tempo è stato da noi comunicato al Governo di Belgrado che, nei riguardi delle modalità di applicazione della riforma agraria jugoslava ai fondi rustici di proprietà italiana in Dalmazia e fuori Dalmazia, intendiamo avvalerci delle stipulazioni di cui alle Convenzioni di Santa Margherita e Nettuno, che contemplano la conclusione di un accordo circa la misura ed il pagamento delle indennità da corrispondere ai proprietari.

È, ormai, giunto il momento in cui da parte nostra -specie in seguito alle ormai fondate speranze di w1a molto prossima e favorevole risoluzione della questione del credito fondiario a favore dei proprietari dalmati (1), soluzione che, indubbiamente, col rendere meno assillanti le difficoltà degli interessi in giuoco, giova alla nostra situazione nella trattativa con Belgrado -si deve procedere all'inizio delle trattative e, preliminarmente, alla nomina del negoziatore dello stipulando, e non facile, accordo.

Gli interessi sui quali il negoziato dovrà vertere sono di due distinte categorie:

-interessi precipuamente privati, ma di entità cospicua di proprietari di latifondi in varie regioni della Jugoslavia, (Odescalchi, Windischgraetz, Schonburg-Waldenburg, ecc.);

-interessi di meno cospicua entità, ma che per il fatto stesso che concernono le basi economiche dei nostri dalmati di Zara, di Spalato, di Sebenico, di Veglia, ecc., e quindi l'esistenza futura dei nuclei italiani della Dalmazia, assumono importanza generale, anche in Hnea politica.

Le trattative, formalmente di carattere tecnico, richiederanno dal negoziatore particolare abilità, esperienza ed autorevolezza, in quanto sarà necessario vincere le presumibili resistenze jugoslave, specie per quanto concerne le modalità di pagamento delle indennità che verranno convenute, indennità che alle minori e dissestate economie dei dalmati conviene veder liquidate al più presto possibile.

Circa ,la persona del negoziatore -designazione di particolare delicatezza,

dovendosi tener conto delle Qualità sopra accennate e, nel tempo stesso, del-

utile che un gabinetto di coalizione con i socialisti correrebbe rischio di non ottenere i

60 milioni di nuovi crediti qui tanto attesi, rifletterebbe certamente a lungo prima di deci

dersi ad avviare gli avvenimenti parlamentari austriaci su una nuova strada.

Clauzel ha mostrato non com:prendere il suggerimento forse, oltre che per tenere

fo!'malmente fede alla sua tesi apparente che la Francia non vuole ingerirsi negli affari

interni degli altri stati, anche perché non è sicuro delle definitive decisioni di Parigi. Ma

è stato esplicito nell'esprimere le sue preoccupazioni per una eventuale partecipazione dei

socialisti al potere e nel riconoscerne il grave danno ».

l'opportunità che la persona stessa goda la fiducia di coloro dei cui privati intel"essi si deve tra·ttare -questo Ufficio aveva creduto pl"esentire, come a

V. E. è noto, le disposizioni dell'On. Suvich, il cui nome, anche per accertamenti compiuti fra gli esponenti degli interessati, risultava particolarmente indicato per essere designato all'incarico.

Senonché l'On. Suvich ha ritenuto di dover declinare tale designazione per materiale impossibilità di conciliare una lunga trattativa a Belgrado coi suoi attuali e molteplici incarichi. Successivi sondaggi compiuti presso S. E. il Senatore Gasparini hanno dato, per analoghe ragdoni, lo stesso sfavorevole risultato.

Un nome che risulterebbe accetto ai dalmati sar·ebbe Quello dell'On. deputato Righetti, che altra volta ha avuto occasione di seguire negoziati che concernevano nostri interessi adriatici. E, dato che l'On. Righetti, in accenni fattigli, a titolo privato, da esponenti dalmati, si sarebbe dimostrato propenso ad accettare l'incarico, l'Ufficio si onora proporl"e tale nome alla designazione dell'E. V.

L'Ufficio deve, peraltro far presente all'E. V. una particolare situazione che si è venuta, per l'argomento, prospettando in questi ultimi giorni.

L'On. !ti Bacci ha chiesto che fra i negoziatori del futuro accordo colla Jugoslavia venga compr·eso un rappresentante di Fiume, indicandolo nella persona del Gr. Uff. Depoli, e giustificando la richiesta col fatto che il negoziato coinvolgerebbe importanti interessi fiumani.

All'Ufficio non risulta n..uali siano tali interessi che possano essere genericamente designati come • fiumani •. Non potrebbe trattarsi, al massimo, che di interessi forestali di qualcuno dei maggiori latifondisti, come ad esempio, quelli della proprietà del Monte Nevoso, del Principe di Schonburg, la cui amministrazione fa capo a Fiume (1).

Ma, ad ogni modo, anche volendo soddisfare l'accennata richiesta, sta in fatto che la partecipazione fiumana, è, in genere, assai freddamente accolta da parte dalmata, in specie è male accolta la designazione del Depoli quale

• Nella supposizione che durante il tuo soggiorno a Ginevra tu abbia qualche conversazione col tuo collega jugoslavo sul complesso delle questioni che attengono ai rapporti fra le due Nazioni e nell'ipotesi che una di queste questioni possa essere, dato il suo carattere di attualità e di somma importanza per noi, la progettata riforma agraria jugoslava, credo opportuno rimetterti un pro-memoria riassuntivo dei precedenti e dei termini essenziali della questione in parola...

Ma non sarà inutile che tu tenga presente come la nuova legge jugoslava è diretta

particolarmente contro i grandi possessi boschivi italiani dato che la riforma non viene

applicata egualmente in tutto il territorio del regno jugoslavo, ma soltanto in determinate

zone, laddove si possano maggiormente colpire e più e fraudolentemente carpire estese

zone forestali di proprietà di stranieri; quanto a dire di Italiani...

Avrei desiderato parlarti di questa e altre questioni interessanti i nostri rapporti con

la Jugoslavia prima che tu partissi per Ginevra. Ma non mi è stato possibile vederti.

Spero che vorrai accordarmi un colloquio al tuo ritorno.

Un tuo cortese cenno di assicurazione mi riuscirà oltremodo gradito e mi darà la

possibilità di tranquillizzare le apprensioni manifestate a me da quanti temono le conse

guenze della progettata riforma di cui è oggetto l'unito pro-memoria ».

Del pro-memoria si !JUbblica l'ultimo ca!loverso: • Si osserva che all'infuori della

Dalmazia colla riforma agraria jugoslava vengono colpiti cospicui interessi italiani e preci

samente le grandi proprietà boschive del principe Windischgratz, del principe Schonburg

Waldenburg e del principe Pallavicini, del principe Odescalchi, del conte Zabeo e del

sig. Neuberger •·

Alla· lettera di Iti Bacci Grandi rispose da Ginevra il lO settembre con una lettera che non è stata trovata.

eventuale negoziatore al lato dell'On. Righetti. Il Sen. Tacconi, per esempio, che dovrà assistere della sua esperienza, e della sua autorità presso i dalmati, il negoziatore, si è mostrato propenso a ritirarsi qualora il Gr. Uff. Depoli -che egli ha avuto a collega, e quindi come semplice esperto, alla Conferenza di Firenze (Nettuno) -dovesse avervi una situazione di primo piano.

Tutto considerato l'Ufficio sarebbe d'avviso:

l • -che, anche per ragioni di opportunità, allo scopo di mantenere il negoziato in adeguate proporzioni di importanza formale, converrebbe limitare la nostra delegazione a Belgrado a due rappresentanti: il Ministro Galli e l'On. Righetti;

2• -che la partecipazione degli esponenti fiumani avvenisse a parità delle condizioni già convenute con quelli dalmati, e cioè a titolo di assistenza volontaria ai negoziatori principali. A tale titolo si potrebbe, qualora l'On. Iti Bacci insistesse, tener conto dell'intervento del Gr. Uff. Depoli.

L'Ufficio si onora, ad ogni modo, richiedere su quanto sopra ha esposto il pensiero e gli ordini dell'E. V. per poter procedere alle comunicazioni necessarie a Belgrado e per poter predisporre una riunione a Roma degli esponenti principali degli interessi da trattare, allo scopo di concretare le direttive da impartire ai negoziatori (1).

(l) Sulla questione cfr. serie VII, vol. X, n. 3.

(l) Del carteggio intrattenuto da Iti Bacci con il ministero degli esteri sulla questione,si cita qui una lettera scritta da Iti Bacci a Grandi in data Roma 7 settembre 1931 :

126

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CONSOLE GENERALE A BOMBAY, GALLEANI (2)

T. R. . .. (3).

Gandhi è stato ricevuto molto cordialmente e sembra assai soddisfatto del trattamento avuto. Sarebbe pertanto desiderabile che egli non ripetesse errore di Tagore. Qualunque dichiarazione critica influirebbe in modo definitivamente sfavorevole sull'opinione pubblica italiana verso l'India.

Pr,ego V. S. far presente quanto precede a Maorogi presentatole da Scarpa pregandolo anche di adoperarsi affinché Gandhi in nessuna connessione faccia pubblicamente nome di quest'ultimo ( 4).

(l) -A capo della delegazione italiana fu poi nominato il senatore Carletti. (2) -Il doc. non fu ,spedito. Reca a margine questa annotazione di Guariglia: • S. E. il Ministro ha annullato questo telegramma». (3) -Si colloca sotto il 14 dicembre tenendo conto del fatto che Gandhi si trattenne a Roma il 12 e 13 del mese. Nel pomeriggio del 12 fu ricevuto in udienza da Mussolini. (4) -Cfr. il t. r. 259/2667 di Astuto a De Bono, Asmara 10 maggio 1932, circa la venuta in Eritrea di un nazionalista indiano: • Indiani sono qui ospiti non desiderati né desiderabili, svolgono azione commerciale contraria penetrazione prodotti italiani e portano via dalla colonia ogni loro guadagno. Politicamente non danno noia; ne darebbero però se si mettessero a fare del gandhismo e ciò non dovrebbe essere in alcun modo tollerato •.
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NICHOLAS MURRAY BUTLER AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (Archivio Grandi)

New York, 15 dicembre 1931.

I am profoundly touched by your charming telegram of congratulation

on the award of the Nobel Prize (1), and hasten to thank you sincerely for it.

It means much to have this word of commendaNon from one of the few

men in the world so placed as to play a vital part in shaping its destinies

during the years that are just before us.

You may be happy indeed over your visit to the United States and the

hostes of friends you made for yourself and for Italy by your personal ty, your

presence, and your public addresses.

128

RELAZIONE DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Ed. in PERFETTI, pp. 722-729)

Roma, 16 dicembre 1931 (2).

Taluni fatti nuovi e situaZJioni che si vanno maturando nell'Impero etio

pico consigliano di riprendere in esame le direttive politiche verso l'Etiopia,

quali furono fissate un anno or sono nella riunione interministeriale (3) che

precedette la partenza per le rispettive destinazioni di S. E. Astuto, Governa

tore dell'Eritrea, e del Marchese Paternò, R. Ministro ad Addis Abeba.

Tali direttive consistevano:

l •) Nello svolgere ad Addis Abeba una politica che valesse a mantenere con l'Imperatore amichevoli rapporti, ma ad elevare nel contempo la dignità della R. Legazione, parzialmente compromessa per opera di agenti in sottordine; astenersi dal sollecitare concessioni e vantaggi che ci ponessero nella posiZJione di perpetui postulanti, pur non tralasciando occasione per cercare di dare incremento alla scarsa attività italiana in Etiopia;

2•) nel riprender,e con maggiore intensità alla periferia una politica di attrazione 'e di influenza verso i Capi e verso le popolazioni di confine, senza timore di creare incidenti.

Il R. Ministro ad Addis Abeba si è ispirato fin qui nella sua azione ai concetti esposti al n. l eliminando dalla R. Legazione gli elementi nocivi, mantenendo coll'Imperatore cordiali ma dignitosi rapporti, non facendosi parte diligente nelle questioni pendenti del genere della camionabile Assab-Dessié per cui gli abissini continuano per varie ragioni ad opporre una manifesta inerzia, dedicandosi a promuovere lo sviluppo di iniziative meglio avviate, come la

Radio (1), la campagna siero-vaccinogena etc. Il Governatore dell'Eritrea, a cui soltanto possono essere affidati i compiti di cui al n. 2, ha urtato contro il fatto della prolungata e forzata permanenza dei principali Capi etiopici ad Addis Abeba, imposta dall'Imperatore, che nel frattempo mira con un'abile ed attivissima politica a sostituire l'autorità del potere centrale a quella personale dei Capi in tutto l'Impero e particolarmente n.elle wne periferiche adiacenti alle nostre Colonie, cioè ad attuare in Abissinia con alquanto ritardo dell'Europa il vecchio processo dell'abolizione del feudalismo.

In sostanza, non c'è da dLssimularselo, noi segnamo il passo tanto ad Addis Abeba quanto all'Asmara, ed assistiamo da spettatori passivi e qualche volta forzatamente plaudenti (dart;o l'atteggiamento dei Francesi e degli Inglesi -pur legati a noi dall'accordo del 1906 -e di altri popoli, ad es. gli Americani e perfino i giapponesi nei cui confronti quell'accordo non ha valore) al progressivo rafforzamento dell'Impero etiopico quale Stato unitario, e alla attività politica dell'Imperatore che si ispira all'eterno concetto del • divide et impera • non solo all'interno, ma anche nelle sue relazioni cogLi Stati esteri. È evidente che ciò non solo allontana la possibilità del formarsi di situazioni interne tali che ci consentano di profittarne al fine ultimo a cui deve tendere la nostra politica in Etiopia, ma rappresenta insieme il costituirsi di una minaccia oggi potenziale. domani forse efficiente verso le nostre Colonie dell'Eritrea e della Somalia, i territori delle quali sono dagli etiopici considerati

• È noto a V. E. come sino dal 1929 l'aggiudicazione per la costruzione e t'impianto della stazione radiotetegrajìca det Governo Etiopico, sia stata vinta dalla Ditta Italiana Ansaldo la quale aveva consentito a coprire col proprio nome una offerta che, dato l'interesse politico nostro a mantenere il controllo delle comunicazioni telegrafiche e radiotelegrafiche fra l'Abissinia e l'estero, era stata in realtà avanzata dalla R. Legazione in Addis Abeba in seguito ed istruzioni impartitele da questo R. Ministero presi accordi coi RR. Ministeri delle Colonie, delle Finanze e della Marina...

A termini del contratto di aggiudicazione, a lavori ultimati e pagati, il Governo Etiopicoentrerà in proprietà e possesso (salvo per un periodo biennale di garanzia durante il quale l'esercizio della stazione verrà da noi conservato) degli impianti radiotelegrafici da noi costruiti. Ora, sia che il Governo Etiopico si decida a far funzionare esso stesso direttamente detti impianti con personale proprio, abissino (il che è difficile non essendovi tecnici abissini specializzati in radiotelegrafia), o con personale straniero, sia che lo stesso Governo affidi l'esercizio della stazione radio ad una società concessionaria, noi siamo esposti al rischio di vedere cadere in mani altrui il controllo delle comunicazioni telegrafiche da e per l'Etiopia,controllo che, attraverso la linea telegrafica Addis Abeba-Asmara, noi esercitiamo da oltre un trentennio. In tal caso, l'imr>ianto della centrale radiotelegrafica di Addis Abeba che riuscimmo ad aggiudicarci con notevole sacrificio per l'Erario, in vista sopratutto di paterne mantenere l'esercizio si risolverebbe per noi in un duplice danno politico e finanziario.

Sembra quindi alla Direzione Generale E.L.A. (Uff. IV) che nessun mezzo debba venir lasciato intentato per ottenere di poter conservare in nostre mani, anche oltre il biennio di garanzia, l'esercizio della stazione radio di Addis Abeba, da noi costruita.

Trattative in tal senso !lOtranno essere avviate non appena il Signor Zambon, inviato dal R. Ministero della Marina per installare nei fabbricati ormai quasi ultimati i macchinari già pronti (gennaio 1932), giungerà in Addis Abeba, e potranno venire facilitate dal fatto che il Governo Etior>ico, data la difficile situazione finanziaria nella quale si trova, non potrà, con ogni probabilità far fronte, da parte sua, agli impegni finanziari assunti in base al contratto di aggiudicazione: già l'ultima situazione presentata dalla Ditta, per un ammontare di oltre 55.000 talleri, non ha potuto dal Governo Abissino venire liquidata: manovrando quindi in modo da presentarci come creditori (il che non sembra difficile dato che il Governo Etiopico è abitualmente, e tanto più in periodi di crisi, un cattivo pagatore) noi potremmo creare le basi per assicurarci mediante una combinazione i cui dettagli sarebbero da convenirsi d'accordo col Governo di Addis Abeba, il mantenimento, sotto forma di concessione d'esercizio per un lungo periodo di tempo, del controllo della stazione radio di Addis Abeba.

La Direzione Generale scrivente, tuttavia, deve far presente all'E. V. che, con ogni probabilità, specialmente nei primi anni, l'esercizio della stazione radio telegrafica di Addis Abeba sarà passivo, mancando per ora nella capitale etiopica quella densità di popolazione e quella intensità di traffici che soli possono assicurare un rendimento economico ad un impianto radio telegrafico quale quello che il Governo Abissino ha voluto far costruire. Tale passività è da prevedersi abbia ad oscillare fra uno e due milioni l'anno •.

quali terre irredente, destinate a tornare a far parte dell'Impero, anche perché questo possa conquistarsi un proprio sbocco al mare. Due fatti nuovi hanno tuttavia una certa importanza:

0 ) il formarsi nei rappresentanti francesi di Addis Abeba del convincimento che la politica di sostegno sinora adottata dal Governo della Repubblica in Etiopia non corrisponda più, dato il rafforzamento a carattere intransigente e nazionalista del potere centrale, agli interessi francesi in Etiopia, che potrebbero essere meglio serviti dal raggiungimento di accordi fra le Potenze interessate, allo scopo di tendere a quello che i detti rappresentanti francesi, in rapporti inviati al proprio Governo, hanno chiamato • le morcellem~nt • dell'Etiopia.

2°) La proposta fattaci dell'Imperatore di uno scambio di territori (Ogaden contro una zona ancora indeterminata ma raggiungente il mare a sud di Assab).

Circa il primo punto, mi consenta V. E. di rifarmi per un momento a cose passate, ma che pur conservano tutto il loro valore nei riguardi della nostra politica verso l'Etiopia. L'accordo così detto Tripartito che concludemmo nel 1906 con la Francia e con l'Inghilterra, se fu in sostanza la rinunzia alle nostre aspirazioni integrali sull'Abissinia, che ispirarono le nostre campagne contro quello Stato, e che in realtà costituivano la vera ragione d'essere dei nostri acquisti coloniali in Eritrea ed in Somalia, (i quali possono avere un reale valore soltanto se continuamente protesi ·ed estesi verso il retroterra abissino), fu però un atto di politica realistica che tenne conto delle situazioni successivamente formatesi in quella parte dell'Africa, e cercò di sfruttarle al meglio per gli interessi italiani.

Ma fin dall'indomani della sua stipulazione l'accordo del 1906 rivelò il suo vero carattere ed i limiti della sua portata. Esso dimostrò di essere soprattutto una carta diplomatica da valere per il momento in cui o i tre Stati firmatari avessero voluto risolvere concordemente con la forza la situazione abissina, oppure questa situazione fosse precipitata da se stessa in modo da richiedere l'intervento delle tre Potenze.

Dal 1906 al 1914 nessuna delle due ipotesi essendosi verificata, l'accordo del 1906 non ·ebbe né poteva avere quegli sviluppi di penetrazione pacifica che pur esso prevede, e malgrado che gli abissini lo vedessero di malocchio costituì tuttavia per essi un buon strumento per giocare attraverso le influenze politiche non solo dei tre firmatari, ma anche dei non firmatari derrll'accordo medesimo.

Dal 1906 al 1914 la nostra politica in Etiopia si mantenne passiva e soffrì il contraccolpo di questa situazione.

Nel 1914, durante l'anno della nostra neutralità, risorsero le speranze sulla possibilità di ottenere la cessione di Gibuti fra le condizioni del nostro intervento, ma i passi indiretti fatti a questo scopo a Parigi non sortirono alcun effetto neanche alla vigilia della battaglia della Marne.

Finita la guerra, era ancora meno possibile pensare ad una simile cessione; ma il Governo italiano pensò che le nostre richieste avrebbero potuto per lo meno essere limitate ad una leale ed amichevole collaborazione dei tre Stati per trasformare in accordo attivo e con scopo di non lontana realizzazione territoriale il significato negativo che aveva avuto fin allora l'accordo del 1906. È noto che anche questa richiesta non fu accolta né a Londra né a Parigi, ma che le nostre particolari vicende politiche e quelle generali europee portarono negli anni successivi al 1919 ad una completa svalutazione dell'accordo del 1906 che uomini di governo francesi ed inglesi non si peritavano di affermare come privo ormai di contenuto e di valore politico.

Fu soltanto nel 1925 che, avendo l'Inghilterra determinato di risolvere una buona volta la questione delle acque del Lago Tzana, noi potemmo approfittare di questa favorevo1e circostanza per rimettere in piedi il Tripartito, e dargli una iniezione di vitalità politica e giuridica.

Ma anche allora i propositi inglesi si urtarono alla resistenza passiva dell'Abissinia ed i nostri, oltre a (!uesto, alla debolezza finanziaria che ci impediva di affrontare il grande probl,ema delle comunicazioni stradali fra le nostre due colonie atttraverso l'Etiopia. E così il Tripartito ricadde nuovamente in stato letargico con il solo svantaggio per noi di aver dovuto condurre, dopo il 1925, una politica troppo amichevole verso l'Etiopia per neutralizzare gli effetti della ripercussione dell'accordo italo-inglese. Svantaggi che furono aggravati dalla situazione di rivalità in cui le tre Potenze vennero nuovamente a trovarsi e che permise l'entrata dell'Etiopia nella Società delle Nazioni, la sua esclusione dalla zona proibita pel rifornimento di armi, prevista dalla convenzione di S. Germano, l'accordo conseguente per l'introduzione delle armi in Etiopia.

Tutte questioni, nelle quali questo Ministero ha la coscienza di aver fatto ogni possibile sforzo per evitare le soluzioni cui si è giunti, nostro malgrado, prendendo alle volte degli atteggiamenti che importavano anche una tensione dei nostri rapporti con l'Abissinia. Anzi fu proprio per questi atteggiamenti, nonché per l'accordo italo-inglese del 1925, che la R. Legazione ad Addis Abeba dovette mettere nelle sue relazioni con l'Imperatore una cordialità locale che fu, non esito a dirlo, molte volte eccessiva contro le intenzioni stesse di questo Ministero.

Questo insieme di cose, ma sopratutto la situazione dei nostri rapporti politici generali con la Francia, ci indusse ad accettare le proposte abissine per la conclusione di un trattato di amicizia e di una convenzione per l'accesso dell'Etiopia al porto di Assab mediante la costruzione di una strada fra Dessié e Assab.

I concetti a cui si ispirò tale nostra decisione furono :

0 ) la necessità di non permettere che la Francia potesse approfittare di nostri cattivi rapporti con l'Abissinia per crearci degli imbarazzi gravi, valendosi di questo punto geografico come appoggio alla sua politica generale;

2°) la speranza di inaugurare pacificamente quell'azione di attrazione dell'Abissinia verso le nostre colonie, che è stata e dovrà essere sempre lo scopo della nostra politica coloniale;

3°) la possibilità di costituirci mediante uno sbocco abissino ad Assab, non già un contrappeso a Gibuti, ma una semplice, per quanto modesta, pedina nel nostro giuoco politico, tanto verso la Francia quanto verso l'Abissinia.

È soltanto al lume di queste considerazioni che si devono giudicare le convenzioni da noi stipulate con l'Abissinia nel 1928, anziché fantasticare sui vantaggi e sugli svantaggi economici di una strada come l'Assab-Dessié, sulla cui realizzazione pratica siamo stati e rimaniamo sempre scettici, nonché ancora meno fantasticare su impossibili paragoni fra il valore di Assab e quello di Gibuti.

Non sarà inutile infine ricordare che le due convenzioni in questione ci furono proposte dal Governo etiopico e non da noi né ideate né richieste.

Tutto ciò ho voluto ricordare semplicemente allo scopo di dimostrare ancora una volta che per noi la soluzione del problema etiopico non può trovarsi altro che in Europa, cioè in quegli accordi che, come conseguenza dell'accordo Tripartito del 1906, la situazione generale politica ci permettesse di prendere sia con la Francia che con l'Inghilterra.

Sono 1e oscillazioni di questa situazione che alle volte ci consentono di prendere delle iniziative diplomatiche riguardanti l'Abissinia, come purtroppo neHa maggior parte dei casi, ce ne precludono la possibilità.

All'indomani del nostro accordo per lo Tzana, nel momento in cui pareva che il Governo britannico avesse potuto avere la forza di persuadere la Francia, non esitammo a far qualche passo preciso per addivenre ad un'energica ed efficace azione comune in Abissinia; ma il Governo inglese ci fece chiaramente comprendere che per lui la questione abissina non aveva importanza oltrepassante le acque dello Tzana, né intendeva considerarla nel suo complesso, in vista di soluzioni radicali.

Nell'attuale situazione europea, e particolarmente britannica, sarebbe certo ingenuo sperare che il Governo britannico abbia cambiato parere, e sia disposto a fare qualche cosa di più. Sembra invece che ove noi potessimo concludere un accordo con la Francia, l'Inghilterra non avrebbe né ragione né convenienza di contrastarci.

Il problema etiopico (e con ciò voglio intendere il problema di spartizione territoriale dell'Etiopia) sembra pertanto, in questo preciso momento, essersi piuttosto spostato dalla parte dei Francesi, nel senso che un preventivo accordo con costoro potrebbe per noi essere prevalente per indurci ad affrontarlo.

Né da parte nostra si è mancato di fare degli accenni discreti e indiretti che la situazione consigliava, e che in realtà hanno portato al risultato di constatare che il Governo francese non vedrebbe (sempre in questo preciso momento) con sfavore l'inserzione di un accordo nei riguardi dell'Etiopia in quell'accordo generale politico con l'Italia su tutte le questioni internazionali che certamente moltissimi in Francia auspicano, pur non rendendosi conto di quanto è necessario fare per giungervi.

A Parigi, personalità politiche, talune aventi responsabilità di Governo, hanno anche esplicitamente accennato all'Etiopia, quale campo dove l'Italia potrebbe rendere attiva la sua politica onde soddisfare i suoi bisogni di terre e di materie prime. Ma il discorso è sempre caduto quando da parte dei nostri emissari si è pur velatamente rappresentata la necessità che gli accordi per l'Etiopia da inserirsi in un eventuale accordo generale, rivestano una forma più precisa e concreta. E sembra perciò che, almeno per ora, si voglia da parte francese ripetere Quanto si faceva anni fa per l'Anatolia. Offrirei un disinte

ressamento per l'Etiopia con la speranza di impegnare l'Italia in campi lontani, sì da diminuirne il peso nella politica generale.

Allo stato attuale delle cose, non è possibile quindi iniziare un qualsiasi negoziato con la Francia per l'Etiopia, allo scopo di assicurarci almeno quelle reali garanzie che sarebbe indispensabile di porre a base di una qualsiasi nostra azione isolata in Etiopia, se non entrando risolutamente nel campo di un accordo generale con la Francia per tutta la politica mondiale.

Non è aui il caso di discutere se ci convenga o meno metterei su questa via, perché la questione involge tutta la politica del R. Governo nonché la situazione internazionale dell'Italia, né a me basterebbe esprimere quella che è la mia opinione sostanzialmente favorevole ad una tale direttiva, poiché uscirei dai limiti propostimi colla presente relazdone.

Ma occorre soltanto stabilire il fatto evidente che:

l •) un accordo preciso colla Francia ed (oggi) secondariamente coll'Inghilterra è necessario per affrontare da soli la questione etiopica; 2•) che tale accordo non può essere particolare e separato, ma si potrebbe raggiungere solo come elemento di un accordo politico più vasto.

E con ciò non voglio nemmeno intendere l'ottenimento di cessioni territoriali da parte deHa Francia che facilitino. il nostro compito in Abissinia (Gibuti, o parte della Dankalia francese o ferrovia di Addis Abeba), ma soltanto quello di garanzie politiche, sia localmente che in Europa, da servirei per svolgere con maggiore tranquillità la nostra azione.

Concludendo, le manifestazioni dei rappresentanti locali francesi in Addis Abeba non hanno notevole ripercussione sulla politica generale del Governo di Parigi, ed il problema rimane sempre per noi quello di decidere se convenga

o meno addivenire ad un cambiamento della nostra politica generale verso la Francia, i'l quale ci permetta fra l'altro di orientare la nostra azione in un senso più pratico per risolvere la Questione abissina.

Ciò non significa che noi dobbiamo astenerci dallo sfruttare in qualche modo le disposizioni dei suddetti rappresentanti francesi, anche per l'eventuale possibilità di un'azione concordata, e V. E. sa che in questo senso sono state date verbali istruzioni al R. Ambasciatore a Parigi, il quale non ha ancora rlferito sui suoi sondaggi.

Circa il 2• punto, il R. Mfnistero delle Colonie si è dichiarato recisamente contrario, e Questo Ministero, pur considerando che la questione merita di essere maggiormente approfondita e che in ogni caso le conversazioni debbano continuare a svolgersi senza opporre un assoluto rifiuto, non può giudicare certamente il momento attuale come il più favor,evole per addivenire senza inconvenienti ad una qualsiasi decisione definitiva.

Lo stato attuale delle cose anche per quanto riguarda le direttive generali del R. Governo, è Quindi disgraziatamente anche esso uno stato stazionario e di attesa.

Ed intanto, giova ripeterlo, tutto ciò non si risolve che in vantaggio per l'Etiopia e per l'Imperatore, il quale può continuare a svolgere indisturbato ed anche favorito la sua politica di centralizzazione e consolidamento dell'Impero.

Che cosa possiamo· fare da parte nostra per rimediare a questa disgraziata situazione e non meritare il rimproVlero, che certo ci sarà fatto nel futuro, di avere assistito indifferenti, se non anche favorito negligenti, la chiusura di ogni orizzonte alle nostre aspirazioni coloniali in questa parte dell'Africa, in Etiopia, unico campo che rimane oggi aperto a qualche possibilità di espansione italiana?

Poco in verità, ma questo poco occorre farlo.

0 ) Fare in modo che i Governatori della Somalia e dell'Eritrea riprendano a poco a poco efficacemente la loro azione periferica, dando ad essi i necessari mezzi. Tale azione deve tendere ad attirare verso di noi i capi locali, a rinvigorirne possibilmente l'autonomia e l'autorità, ma non a fare qualcuno di essi perno della nostra po[iJtica in Etiopia, come da alcuni si sarebbe voluto in altri momenti, poiché così non faremmo che ricadere in errori passati per ragioni che qui mi sembra superfluo di delucidare.

2°) Irrobustive a questo scopo tutta la nostra rete di agenti in Etiopia, dando alle nostre agenzie vero e proprio carattere di consolati, dnviandovi uomini adatti a tali ,esigenze, forniti dei mezzi indispensabili per soggiornare decorosamente nella loro residenza, viaggiare frequentemente nel temitorio di loro giurisdizione, promuovere traffici, distribuire intelligentemente favori, assistere i capi locali nelle loro difficoUà, conquistarne la fiducia, diventarne i V'eri amici e consiglieri politici.

3•) Continuare nell'opera di penetrazione che -da parecchio tempo del resto -stiamo svolgendo ad Addis Abeba, per cui non dobbiamo temere che ci Vlengano a mancare i mezzi necessari, come ad es. per la Radio.

4°) Mantenere alto di fronte al Governo etiopico il prestigio personale dei Governatori della Somalia e dell'Eritrea, ma sopratutto rafforzare l'armamento di quelle colonie, specialmente dal punto di vista aeronautico, e curare specialmente le comunicazioni aeree fra l'Eritrea e l'Etiopia, dandovi per quanto possibile carattere commerciale. E' questo un punto molto importante della nostra azione che ci potrà dare molto vantaggio se sapremo mediante una buona organizzazione di servizi aerei sopperire alla parte deficiente e per noi sfavorevole delle vie di comunicazioni ordinarie con l'Etiopia, e diminuire l'importanza del monopolio ferroviario della Gibuti-Addis Abeba, incutendo d'altra parte rispetto per le nostre forze aeree, ma senza dar pretesto a preoccupazioni militari e politiche.

5°) Suscitare delle iniziative private che senza speranza di lucro, ma anzi con rassegnazione a perdite economiche, coadiuvino i nostri rappresentanti locali nella loro azione.

Da quanto precede V. E. constaterà che, a mio modo di vedere, l'esecuzione della maggior parte di questi compiti spetta ai GoVlernatori delle nostve Colonie, e specialmente al Governatore dell'Eritrea. La politica periferica non può essere infatti condotta che da costoro, ed il Ministro ad Addis Abeba non può avere altra funzione che quella di attutirne gli effetti dannosi al centro dell'Impero, eliminarne le ripercussioni generali politiche per noi dannose.

Anche l'attività di questa forte rete di nostri agenti che io vorrei fosse istituita in Etiopia deve e può essere meglio diretta da Asmara e da Mogadiscio piuttosto che da Addis Abeba.

Non basta auindi che si stabilisca un perfetto accordo fra il Ministro in Addis Abeba ed i funzionari dell'Eritrea e della Somalia (accordo che dovrebbe essere nell'ordine naturale delle cose) ma occorre che i due Governatori, in quanto esplichino un'azione di poLitica estera (Quale è quella ad essi devoluta nei riguardi dell'Abissinia), si considerino e siano alle esclusive dipendenze del

R. Ministero degli Affari Esteri.

V. E. sa che non da ora io ho sollevato, purtroppo invano tale questione, e l'ho sollevata anche per quanto si riferisce alla nostra azione nel Mar Rosso e nello Yemen. Non basta che i rapporti fra il R. Ministero delle Colonie e Quello degli Esteri siano, come sono, intimi e cordiali, non basta che le decisioni siano discusse e prese di comune accordo. Occorre, a mio avviso, che l'azione quotidiana dei Governatori sia quotidianamente nota al Ministero, e che questo abbia possibHità di intervenire tempestivamente e rapidamente, di prevenire, di sorvegliare la loro attività. Senza volere affrontare l'annoso problema dei limiti della competenza del R. Ministero delle Colonie, e della interferenza fra politica ed amministrazione coloniale, è certo che il R. Ministero degli Affari Esteri se deve prendersi (come lo deve, perché rientra nei suoi doveri) la responsabilità della politica etiopica, deve anche avere l'alta direzione degli organi cui questa politica è affidata nella sua applicazione pratica e dettagliata, e che questa direzione noi non possiamo certo esercitarla né attraverso il R. Ministero delle Colonie né attraverso il nostro Ministro ad Addis Abeba.

Occorre quindi cominciare per ottenere almeno questo: che i Governatori dell'Eritrea e della Somalia mantengano corrispondenza diretta col R. Ministero degli Affari Esteri per tutto ciò che concerne la politica etiopica, e che da

V. E. ricevano ordini diretti, in modo che comincino ad acquistare l'indispensabile persuasione di esseve veri e propri organi della nostra politica estera e della nostra Amministrazione.

È superfluo dire come sia necessario che i predetti Governatori siano anche funzionari dotati delle qualità indispensabili per svolgere il loro compito politico, non essendo a ciò sufficienti delle doti di carattere amministrativo.

Per quanto concerne 1nfine il punto cinque, debbo informare V. E. che, ad iniziativa di alcuni • africanisti • (Principe Ginori Conti, Generale Vacchelli, Barone Franchetti etc.) e con la pavtecipazione del Direttore Generale per l'Africa Orientale al Ministero delle Colonie, debitamente autorizzato da

S. E. De Bono, è stata tenuta a Firenze, una serie di riunioni, dalle quali è sorta l'idea di costituire un Ente privato per la penetrazione economica italiana in Etiopia. Tale ente si proporrebbe, in primo luogo, di agire per ottenere dall'Imperatore la concessione della costruzione della strada Gondar-Setit. Una riunione avrà luogo in questi giorni presso il sottoscritto con [a partecipazione degli ideatori del progetto, per esaminare come sia possibile dargli vita (1).

Tale iniziativa, pur non nascondendomi le difficoltà cui andrà incontro e gli inconveni,enti locali cui potrà dar luogo, mi sembra che per lo meno non debba essere contrastata; e di fronte alla richiesta degli iniziatori di porre a disposizione dell'Ente il milione circa, di proprietà del R. Governo, che costituisce l'attivo della Società per la camionabile Assab-Dessié, mi proporrei di agire nel senso di far sì che la Società Assab-Dessié assuma per ora una partecipazione nel nuovo Ente da costituirsi. Questo, cui il R. Ministero delle Coloni'e dovrebbe fornire un contributo ed il capitale privato L. 100.000 (sembra che gli iniziatori si siano impegnati a trovare tale somma), inizierebbe con Questo piccolo fondo ~a sua attività. Mi proporrei seguirne gli sviluppi e, solo dopo che si fossero ottenuti risultati concreti per la concessione della costruzione della Setit-Gondar, sottoporre eventualmente a V. E. il trasferimento al nuovo Ente delle somme che sono attualmente in possesso della Società per l'Assab-Dessié dato che questa, per l'ostruzionismo del Governo etiopico, non è prevedibile se e quando potrà riprendere la sua attività, e considerato anche che fra le due camionabili è la Setit-Gondar quella la cui realizzazione presenterebbe per noi molto maggiore interesse.

Beninteso l'Ente da costituirsi dovrebbe fornire da ogni punto di vista le necessarie garanzie di serietà, ed i suoi dirigenti essere di gradimento del Ministero degli Esteri, in modo da assicurarci che l'azione dell'Ente non contrasti con la linea della nostra politica verso :l'Etiopia.

Il Governatore dell'Eritrea, a mio pareve, più che il Ministro ad Addis Abeba, dovrebbe esercitare d'altra parte un'attiva sorveglianza su detto Ente.

Anche per Questa, come per altre iniziative che fossero per nascere in seguito, si conferma pertanto l'opportunità che l'azione di politica estera devoluta ai Governatori delle nostre colonie dell'Africa Orientale sia messa sotto il diretto controllo del Ministero degli Affari Esteri.

Guariglia, Salvago Raggi, Gasparini, Astuto, Paternò, Gabelli, Colucci (funzionario delle

Colonie), il principe Ginori Conti, il barone Franchetti, il comrn. ·Marescalchi, il signor

Ringhel (segretario del Centro Studi coloniali di Firenze). Guarnaschelli (cfr. il verbale della riunione). La presidenza dell'Ente costituendo fu offerta a Contarini. Il 29 gennaio 1932 questi non aveva ancora accettato. Sulla riunione del 16 dicembre Guariglia riferì a Grandi con una relazione s.d., ma di poco successiva. A margine si legge: « Approvato da S. E. il Ministro». Guariglia riferiva che l'iniziativa partiva da Ginori Conti, Franchetti e Marescalchi e che nella riunione era stata • dai convenuti riconosciuta in massima l'opportunità di accentrare in un organismo unico l'opera di penetrazione economica italiana in Etiopia». Guariglia riteneva • doveroso di aggiungere essere da prevedersi che, per quanto gli iniziatori del progettato Ente siano animati da desiderio di fare e per quanto si propongano di adottare senza scrupolo metodi particolarmente convincenti fra gli etiopici, non sembra si possano fondare molte speranze su un esito favorevole della loro azione, dato che la politica stradale in Etiopia, adottata e personalmente condotta dall'Imperatore, mentre favorisce la costruzione di strada irradiantesi dal centro di Addis Abeba, si oppone alla costruzione di strade che dalle regioni etiopiche di frontiera raggiungano le finitime colonie.

Ciò malgrado la Direzione Generale scrivente ritiene che non si possa e non si debba ostacolare la formazione del nuovo Ente, che anzi esso vada in quanto possibile, agevolato. non solo perché non è del tutto escluso che gli sia dato di superare le prevcdibili difficoltà, ma anche e sopratutto perché esso può costituire uno dei mezzi che, come è stato indicato nella precedente relazione del 16 dicembre, avente per oggetto "Direttive politiche per l'Etiopia", possono servire a rimediare alla disgraziata situazione di attesa che va ogni giorno di più compromettendo la possibilità di realizzazioni italiane in Etiopia, e che giova solo all'Imperatore nello svolgimento della sua politica di centralizzazione di consolidamento dell'Impero...

È perciò che la scrivente Direzione Generale è del parere di lasciare agire il nuovo Ente, pur riconoscendo qualche fondamento alle preoccupazioni che il Ministro Paternò esprime alla fine del rapporto (che qui unito si trasmette in visione all'E. V.) sui limiti dell'azione che l'Ente costituendo potrà svolgere ad Addis Abeba, e che potrebbe -nella previsione del Marchese Paternò, compromettere le posizioni da lui conquistate •.

Se cw avverrà, anche la questione del finanziamento delle agenzie in Etiopia potrà ,essere più agevolmente risolta, facendo passare al bilancio del Ministero degli Affari Esteri tutte ~le somme che oggi figurano nei bilanci dell'Eritrea e della Somalia a titolo di svolgimento dell'azione politica in Etiopia, ed attribuendo conseguentemente al bilancio degli Esteri il carico finanziario di tale azione al di là del confine, ciò che -oltre ad essere naturale perché ta:le azione rientra nel compito specifico di questo Ministero -apporterebbe con ogni probabilità, nel complesso, il vantaggio di economie o quanto meno di una più esatta corrispondenza delle spese ai fini da raggiungere (1).

(l) -A Butler era stato conferito il premio Nobel per la pace. (2) -Questa è la data, ma con ogni probabilità il doc. è stato scritto qualche giorno prima. (3) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 117.

(l) Cfr. un promemoria di Guariglia per Grandi del 15 dicembre 1931, a marginedel quale Ghigi ha annotato: c Non c'è che andare avanti con l'aiuto della Provvidenza -i fondi verranno •. Del promemoria si I>Ubblicano qui i I>assi seguenti:

(l) Lo stesso giorno 16 dicembre Guariglia t~nn.e ~ ~alazzo Chigi. una .ri':'nione « per discutere circa il progetto formulato nelle note numoni di F1renze, di costituire un Ente per 1a penetrazione economica italiana in Etiopia •. Alla riunione presero parte, oltre a

129

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, A ROMA

L. RR. P. 253435/702. Roma, 19 dicembre 1931 (2).

Ti ringrazio per le interessanti notizie contenute nella tua le,ttera da Ginevra del 5 novembre (3) 11elatiV'e ai progetti francesi per la Siria, progetti dn base ai quali sembra che la Francia intenda abbandonare fra qualche anno il mandato sulla Siria mussulmana, concedendole ,l'indipendenza, continuando tuttavia a mantenere il Libano sotto un regime mandatario.

In proposito credo doverti sin da ora far presente, per opportuna tua conoscenza e norma, che la direttiva politica che conviene, allo stato delle cose, perseguire in tale materia è quella di sostenere la unicità del mandato siriano la cui cessazione dovrebbe quindi far luogo alla completa indipendenza della Siria e Libano, sia pure come due unità amministrativamente autonome, nel quadro di un unico Stato.

Ma su questa questione si avrà occasione di ritornare a suo tempo, e mi riservo di chiarirti allora meglio e più dettagliatamente questo nostro punto di vista.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

T. RR. 1480/120. Roma, 21 dicembre 1931, ore 15.

Per Sua opportuna conoscenza informo V. S. che, in seguito a nuove insistenze di questo Incaricato d'Affari di Romania per la ripresa dei nego

a) provocare un proces$o infiammatorio capace di arrestare bruscamente l'opera centralizzatrice dell'imperatore e di condurre rapidamente a soluzioni radicali ed estreme, tali da parmetterci di riprendere il programma interrotto ad Adua;

b) rallentare, in attesa di tempi e condizioni più favorevoli, contrastandola con ogni mezzo, l'opera perseguita dall'imperatore sia per trasformare il suo impero da stato feudale in stato unitario, sia per sottrarsi sempre più alla influenza delle tre grandi Potenze che hanno nell'Africa Orientale rilevanti interessi economici e politici.

Scartata, per ora, e per un complesso di ragioni contingenti ben note, la prima possibilità, non rimane, come programma realizzabile, pur attraverso le già sperimentate difficoltà, se non il secondo più limitato programma •·

ziati diretti alla rinnovazione del patto di amicizia italo-romeno, ho incaricato Guariglia di informal'e Zanesco che, a nostro modo di vedere, è preferibile tutto ben considerato prorogare ancora di sei mesi il termine utile per la denuncia del patto stesso. Ciò non soltanto in considerazione della incerta situazione generaie europea che esige ogni cautela di giudizio e di azione, ma sopratutto perchè il patto italo-romeno non avrebbe potuto essere da noi rinnovato integralmente ma sottoposto a parecchie modificazioni resesi necessarie per la mutata atmosfera internazionale dal tempo in cui esso fu concluso, e cioè fra l'altro mentre erano ancora in vigore i nostri trattati con la Jugoslavia e con la Cecoslovacchia. Se noi avessimo quindi proceduto sia pure di comune accordo a tali modifiche è 'evidente che il confronto del patto vecchio con quello nuovo avrebbe dato luogo ad una serie infinita di sospetti e di malevoU commenti non soltanto in Romania. Certo la mancata rinnovazione malgrado la proroga del termine di scadenza potrà dar luogo anche a false interpretazioni, e malcontenti, ma avendo ben pesate le due soluzioni da prendere ci sembra che quest'ultima sia quella che possa dar luogo ai minori inconvenienti anche nei riguardi della politica interna romena.

Ho fatto infine dire a Zanesco che non ero alieno dall'esaminare d'accordo col Governo romeno la forma di un comunicato analogo da dare alla stampa in proposito (1).

« Un fatto nuovo, sebbene di natura transitoria, si è verificato quest'anno nella politica romena. Esso, già delineatosi l'anno scorso con sporadiche manifestazioni di malcontento verso la Francia a causa dell'asserita scarsa assistenza finanziaria da essa prestata alla Romania, si è andato concretizzando sempre più nel primo semestre di quest'anno, innestandosi ad un certo momento su di una corrente politica di natura alquanto complessa.

Questa corrente, formata da elementi disparati, e basata sul concetto generale che poco o nulla la Romania aveva ottenuto dalla Francia e dagli altri alleati, si proponeva in succinto di rivendicare al Govemo di Bucarest -nel campo della politica estera e di quella economica -il diritto di assumere, a tutela del proprio prestigio, atteggiamenti più dignitosi sia verso il Quai d'Orsay che verso le altre Cancellerie alleate. In succinto

detta corrente auspicava una posizione di preminenza della Romania nel seno della Piccola

Intesa; una libertà di iniziativa verso gli Stati limitrofi; un'autonomia della politica economica; una più attenta considerazione delle relazioni sia con la Germania che con l'Italia, ecc. La corrente politica stessa, per lo sviluppo della sua azione, faceva infine assegnamento sulle presunte disposizioni del nuovo Sovrano, ritenuto non del tutto tenero per la Francia, ed in ogni caso sulla di Lui avversione al francofilo partito liberale pel contegno di vivissima opposizione da questo mantenuto nel periodo della Restaurazione Monarchica.

Questa corrente ha avuto una certa fortuna nel primo semestre di quest'anno. Le giovò l'appoggio indiretto del Ministro delle Finanze, Signor Argetoianu, il qualè anzi in un determinato momento credette adoperarla per attuare uno stretto riavvicinamento economico alla Germania; e le giovò pure l'appoggio datole da buona parte della stampa, e specie da un giornale, il Cuventul, che rispecchia di solito il pensiero della Corte.

Senonché siffatta corrente politica e detta campagna di stampa hanno presto dovuto

cambiare di tono e di direzione in conseguenza di simultanei avvenimenti -esteri ed

interni -che valsero a rialzare qui, in modo rapido e decisivo, la posizione della Francia.

Infatti, mentre da una parte si delineavano in Germania le note gravi difficoltà finan

ziarie, determinando quindi il tramonto di ogni speranza romena di ricevere soccorsi da

Berlino, dall'altra il continuo afflusso d'oro in Francia faceva invece da specchietto alle

sempre crescenti esigenze finanziarie della Romania determinandola a far di nuovo capo a

Parigi, a malgrado le lamentate condizioni esose continuamente poste dalla finanza francese.

Inoltre l'acuirsi del problema del disarmo e sovratutto certe manifestazioni revisionistiche,

determinavano decisamente l'opinione pubblica romena a reclamare dal Governo Jorga-Arge

toianu l'abbandono di ogni iniziativa, od anche di ogni atteggiamento, che potesse pur solo

formalmente dare appiglio ad insinuazioni e sospetti da parte della Francia e degli altri

alleati. Dal canto suo, la Francia cercava ricuperare il terreno perduto con aperture di credito

e con l'aderire a misure bancarie a difesa del corso del leu, ma sovratutto mostrando a

Bucarest di voler subordinare le sue intese politiche con la Russia alla conclusione di un

patto di non aggressione russo-romeno, e di non voler derogare in alcun modo dal principio

della più rigida difesa dell'attuale statuto territoriale di questa parte d'Europa...

Con l'attuale Gabinetto la direzione della cosa pubblica romena è stata affidata a due

uomini politici, il Prof. Jorga ed il Signor Argetoianu, che nutrono indubbiamente speciali

simpatie per l'Italia. Le loro disposizioni verso il nostro Paese sono infatti le migliori;

(l) Sulle direttive da seguire nei confronti dell'Etiopia cfr. anche una relazione riservata di Zoppi del 20 ottobre 1931, il cui senso era: potenziare la politica periferica e rivitalizzare il trattato tripartito del 1906. Di questa relazione si pubblica il passo seguente: • Il nostro atteggiamento sembra doversi inspirare all'uno o all'altro di questi due concetti:

(2) -La lettera fu minutata in novembre. (3) -Questa lettera non si pubblica.

(l) Preziosi trasmise, allegata al r. 3124/1177, Bucarest 20 dicembre 1931, una relazione sulla • situazione politica della Romania • nel 1931. Di questa relazione si pubblicano i passi seguenti, relativi alla Politica estera:

131

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. 7569. Parigi, 21 dicembre 19.31.

Dall'ultima mia lettera del 7 corr. (l) ad oggi ho avuto occasione di incontrare e parlare delle relazioni italo-francesi col deputato Patenotre prima, col Ministro Charles Dumont dopo.

Il signor Raymond Patenotre è un giovane deputato, figlio di un diplomatico francese e di una signora americana. È sposato alla figlia di un'altra americana maritata ad un francese, molto ricca. Dispone di una grossa fortuna. È proprietario di molti giornail'i ~n Francia, tra ~'altro del Petit Niçois di Nizza, che, dacché è entrato nelle sue mani, ha cessato la sistematica sua campagna antifascista. Il Patenotre è deputato indipendente, di sinistra, in ottimi rapporti col signor Lavai che ha accompagnato nel viaggio in America. Tra le sue idee programmatiche vi è q_uella dell'opportunità di buoni rapporti tra Francia ·ed Italia. Il Fascismo, non simpatico per un uomo ad idee di sinistra, non costituisce ostaco1lo a questo suo ideale programmatico. Patenotre pensa che all'accordo franco-tedesco debba precedere e sia opportuno preceda l'intesa franco-italiana.

Il Ministro della Marina Charles Dumont è da V. E. già conosciuto come sinceramente simpatizzante con l'Italia. Egli, se non è riuscito a raggiungere l'accordo navale con l'Italia, fa tuttavia valere (e io lo riconosco) di non solo non aver fatto nul'la che aggravasse il conflitto navale tra Italia e Francia,

ed esse hanno certo contribuito a rendere ancora più calda e cordiale quell'atmosfera amichevole, che si era andata formando nei nostri riguardi durante il precedente Governo nazional-tzaranista.

Fra le manifestazioni concrete di detto miglioramento sono da rilevarsi il provvedimento relativo all'introduzione dell'insegnamento obbligatorio della lingua italiana nei licei delle maggiori città della Romania, nonché l'istituzione di corsi di letteratura italiana in tutte le Università della nuova Romania; la soluzione di particolari questioni; l'assegnazione di forniture alle industrie italiane; alcune notevoli concessioni economiche a gruppi italiani (produzione e distribuzione elettrica nella Transilvania Orientale, costruzione di

case popolari in tutti i capoluoghi di provincia. ecc.) ed infine le preannunziate visite a

Roma del Presidente del Consiglio Jorga e del Ministro delle Finanze Argetoianu.

Tuttavia la politica estera romena non si è mai sostanzialmente dipartita dal suo noto ed antico orientamento. E questo orientamento, se nel corso di quest'anno ha dato qui luogo a dubbi ed a discussioni, è stato invece unanimamente esaltato ogni qualvolta sia ricorsa in Europa una qualsiasi manifestazione revisionistica...

Cosi può concludersi che in Romania i problemi del revisionismo e del disarmo opereranno sempre, ed in modo assoluto, in favore dell'attuale sistema di alleanze di questo paese, e ciò anche se evidenti interessi economici, o subdole manovre di alleati, o più efficienti possibilità politiche dovessero eventualmente qui agire in prò di un diverso orientamento».

< L'accentuazione delle divergenze tra Parigi e Londra in materia di al rapporti tra pagamenti debiti privati e riparazioni germaniche, b) regime doganale tra i due paesi, la possibile accentuazione della divergenza sugli armamenti navali, stanno creando un distacco tra Francia e Inghilterra che potrà esser colmato e potrà non esserlo prima di Ginevra. I signori N. Chamberlain e Runciman, lo prevedono almeno già fino a luglio 1932. Quest'elemento dovrebbe contribuire a smorzare un po' la tendenza francese a irrigidirsi in intransigenze isolatrici, ed all'avviare la Francia verso le distensioni possibili. Il probabile e temuto avvento al potere dell'Hitlerismo, dovrebbe pure spingerla nella stessa direzione. La Germania è la.-grande turbatrice, e tale rimarrà, nel campo economico come in quellodel disarmo. L'Italia invece, con l'Inghilterra e con l'America cercano la pace e la riduzione degli armamenti. A ciò non arriveremo in uno stato di tensione permanente con la Francia. Se quindi si potesse distendere la situazione attuale ne avremmo vantaggio nel quadro generale. La distensione che realizzeremmo darebbe la possibilità di un chiarimento delle due questioni zavorra e di intravedere anche qualche collaborazione futura, in caso di pericolo comune •.

ma di aver regolato le faccende in modo che il conflitto si attenuasse e potesse quindi permanere una possibilità di intesa, se questa potesse effettivamente essere raggiunta. Le sue idee programmatiche in materia sono state da me riferite col recente rapporto N. 7 480 l 4090 del 17 corr.

Con entrambi ho accennato al mio passo dello scorso ottobre presso il signor Laval (1). Ad entrambi ho detto che il signor Lavai si era limitato a darmi una • réponse différée "· Quindi, io, aspettavo. Ma ad entrambi ho accennato che la prima cosa da farsi era di risolvere le due vecchie questioni, residuo della guerra, del compenso coloniale e delle Convenzioni tunisine, se si voleva che noi fossimo in situazione di non !imitarci a chiedere, ma anche di poter offrire qualche apporto verso la Francia. Se il signor Lavai, ho detto, fosse pronto a risolvere le due questioni, come io gli ho suggerito avvicinando la soluzione italiana ad un nulla dalla soluzione francese, io sono pronto ad ascoltarlo, e a farlo senza rumore, come una ordinaria pratica burocratica.

Il signor Patenotre mi rispose che la cosa era assai interessante e che ne avrebbe parlato al signor Lavai.

Il Ministro Dumont mi disse che ricordava il mio passo dell'ottobre: che allora si era stati ad un filo dall'accordo; che per quel che concerne/va le Convenzioni tunisine la nostra soluzione era veramente pratica ed equa.

Finora però i due colloqui non hanno avuto alcun seguito pratico. Vi è anzi, oggi, la frase del discorso di ieri del signor Lavai circa i paesi dove si constata che • si alleva tutta la gioventù in un sentimento militarista o aggressivo » che se diretta essenzialmente contro l'Hitlerismo, va diritta filata anche contro il Fascismo italiano, per quanto errata sia questa interpretazione dell'educazione nazionale che da noi si dà alla gioventù.

Manco a farlo apposta, ieri a Mi,lano, il Segretario Generale. del Partito

ha detto • vogliamo che i giovani Fascisti abbiano lo spirito guerriero; ... allora

la grande Italia si incamminerà verso la sua grande potenza •.

Come già nella fine del 1930, nella fine del 1931 gli ,eventi non sembrano

facilitare il chiarimento italo-francese; e tutto quel che si può ottenere sembra

limitato a far sì che il fosso che sta fra loro non si approfondisca sino a

divenire intraversabile (2).

Cfr. anche una relazione senza firma, del novembre 1931, su un colloquio con l'avvocato

Edouard Bourbousson:

«Ho ricevuto nei giorni 10 ed 11 novembre u.s. il sig. Edouard Bourhousson che cono

sco da oltre 6 anni e che è distinto avvocato, trentacinquenne, nativo di Lione ed esercente

in Parigi...

Egli è venuto a Roma per dirmi che di fronte al riavvicinamento franco-tedesco sarebbe opportuno operare anche un riavvicinamento itala-francese e che a tale scopo egli

(l) Di questa lettera si pubblica solo il passo finale:

(l) -Cfr. n. 43; e anche n. 108. (2) -Cfr. quanto scrisse Manzoni a Grandi con successiva lettera del 26 dicembre, annunciando che il Patenòtre sarebbe andato a Roma il 6 gennaio 1932: « Egli domanda di essere ricevuto da V.E. e dal Capo del Governo. Gli ho detto che mi sarei interessato in tal senso salvo che S.E. il Capo del Governo fosse dal grave lutto trattenuto dal dare udienza. Ma [se] S.E. credesse fare un'eccezione pel Patenotre, sarebbe bene... V.E. si espresse meco, nell'ottobre, che ci potessimo trovare a minor distanza con uomini di sinistra [che] di destra. Il Patenotre è di sinistra e in quelle questioni (riparazioni, disarmo) che sono di prossima trattazione, V.E. potrà da lui sentire quello che questi circoli di sinistra pensano in proposito. Ma il Patenotre è un sinistro indipendente, che non fa del fascismo un ostacolo, e anzi non vuole lo sia, e perciò ha ridotto al silenzio, comprandoli, alcuni organi antifascisti della Francia del Sud (vedi Petit Niçois). E' persona largamente facoltosa. E' amico personale del signor Lavai. E' ben disposto programmaticamente verso di noi nel senso che il suo programma comporta sì l'intesa francese germanica, ma previa intesa tra Italia e Francia. Potrà essere un vigoroso ed efficace propagatore del chiarimento franco-italiano fra i denutati di sinistra ".
132

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

R. 7601/4165. Parigi, 22 dicembre 1931.

Stamane ho avuto la visita dell'Ambasciatore di Francia a Roma, signor de Beaumarchais, attualmente in congedo a Parigi.

L'Ambasciatore appariva in buona salute e in buon umore. Mi ha fatto le condoglianze per la morte del Comm. Arnaldo Mussolini, del quale ha parlato con viva simpatia, pure rilevando che talvolta aveva pubblicato cose sgradevoli per la Francia.

Sulle relazioni generali tra i due paesi ha detto che Italia e Francia finiranno un bel giorno per trovarsi di accordo, quando sarà il momento adatto perchè ciò si verifichi. Sarebbe come dil'e che per ora non si vuol sapere di chiarimenti e di relazioni fiduciose, e che la Francia intende restare padrona di decidere essa quando ciò avrà a verificarsi, ed a che condizioni.

Circa il prossimo negoziato commerciale ha espresso il parere che esso si inizierà a Roma verso metà gennaio, ed il voto che porti all'accordo. Mi sono associato al voto.

avrebbe intenzione di spiegare, a mezzo anche di suoi amiCI, un'azione su alcuni giornali

di Parigi e a preferenza su quelli di opposizione al Governo. Tra questi mi ha citato il Quotidien, la République e le Radica!, sui quali potrebbe esercitare una certa influenza essendo in ottimi rapporti coi direttori e con i proprietari di tali giornali.

Secondo il suo modo di vedere, questi articoli dovrebbero avere carattere esclusivamente economico nell'intento di dimostrare che in Europa esistono non soltanto Francia e Germania ma anche altri Stati, come il Belgio. !a Svizzera e soprattutto ntalia con i quali sarebbe conveniente per la Francia intensificare le relazioni economiche.

Partendo da questa premessa in tali articoli ci si dovrebbe soprattutto soffermare per il momento soltanto sulla utilità di sviluppare l'azione economica franco-italiana, in un secondo tempo poi si potrebbe anche entrare nel campo politico...

Egli mi ha obiettato certi atteggiamenti della stampa italiana non molto simpatici verso

la Francia. Gli ho risposto che l'acidità di alcuni giornali importantissimi francesi era ben

più grave di quella da lui rilevata e giustificava il contegno della nostra stampa. Gli ho altresì detto, però, che mentre per quello che riguarda taluni aspetti della politica interna in Italia esisteva una notevole autonomia nella stampa, per tutto quello che concerneva le nostre relazioni coll'estero, la stampa aveva una sensibilità del tutto speciale poiché il nostro giornalismo che è tutto a base nazionale si rende perfettamente conto delle necessità del Paese di fronte alle nazioni vicine.

Ho aggiunto che se egli avesse potuto sviluppare il suo progetto noi avremmo ben volentieri riprodotto con commenti favorevoli gli articoli che sarebbero usciti sui giornali francesi, e questo poteva costituire un'utile opera di sempre maggiore riavvicinamento.

L'avv. Bourbousson ha voluto ancor meglio chiarire il suo pensiero nel farmi una dichiarazione esplicita e cioè che secondo lui e secondo molti suoi amici influenti l'azione franco-italiana non dovrebbe essere un contrapposto al riavvicinamento franco-germanico poiché c'è in Europa da scardinare una potenza che coarta il libero svolgimento della politica europea col suo predominio sui mari e sull'economia mondiale: questa potenza è l'Inghilterra.

Queste parole mi hanno lasciato intendere che il Bourbousson appartiene a quella corrente che mira a preparare, nel momento in cui l'Inghilterra vacillerà, la sostituzione francese al predominio mondiale dell'Inghilterra stessa. Su questo punto non ho inteso affatto aprirmi con il Bourbousson e quindi ho lasciato cadere la conversazione.

L'avv. Bourbousson, quasi a conclusione di queste sue opinioni mi ha detto poi che non si nasconde come gli accordi tra Francia e Germania siano di difficile realizzazione specialmente se in Germania andranno al potere i nazional-socialisti.

Il Bourbousson ha avuto un colloquio col Senatore De Michelis in cui ha presso a poco trattato lo stesso argomento •. Il) Per evidente errore, il doc. è indirizzato a Mussolini.

Circa le nomine di agenti consolari ha sollecitato una favorevole definizione della questione informandomi che egli è già autorizzato a giungere fino alla denunzia della convenzione. Quando gli ho detto che, tra le altre cose che ritardavano la discussione conclusiva vi era il fatto che H Quai d'Orsay contrariamente a quanto l'Ambasciata di Francia a Roma aveva informato, non aveva ancora regolato la situazione di varte agenzie consolari già esistenti, egli ha risposto che il regolamento avverrà quando interverrà il nostro assenso alle modifiche chieste dalla Francia. Ciò equivale a dire che si fa una condizione al regolamento di situazioni per le quali non può esistere discussione, meno sul! gradimento del titolare, giacchè il nostro diritto è riconosciuto e dalla convenzione e dal fatto materiale della esistenza dell'ufficio consolare. Il sig. de Beaumarchais ha poi aggiunto che noi abbiamo 12 agenzie in Corsica: che questo numero è già eccessivo. Vi ha connesso, deplorandola, l'esistenza del Telegrafo di Livorno e l'azione separatista da esso svo'Lta; ha lasciato comprendere che il Telegrafo da una parte e :le 12 agenzie· dall'altra, erano fatti politicamente chiari. Si è lamentato del grande numero di uffki consolari che noi abbiamo in Francia, dicendo chiaramente che egli non avrebbe nessuna abbiezione anche ad aumentare il numero delle agenzie se e purchè noi nominassimo dei francesi quali agenti; mentre noi nominiamo esclusivamente degli italiani, in queste condizioni non è ammissibile che noi si aumenti ancora i nostri uffici. L'argomento da me sollevato che la Spagna ne ha ancora di più, pur avendo minore emigrazione, è stato ribattuto coll'osservazione che la Spagna nomina dei Francesi, e che, in fondo, si sa che questi francesi fanno gli agenti •essenzialmente per poter essere decorati. (Faccio qui notare a V. E. che noi abbiamo solo 8 agenzie consolari in Corsica, non 12; che i francesi hanno 12, dico 12, agenzie consolari in Sicilia, che l'Italia ha 73 sedi consolari in Francia e Corsica, la Spagna 98. Il signor Beaumarchais ignora dunque le situazioni esatte).

Chiestogli che venisse regolata la creazione delle agenzie consolari di Beja ed El Kef, il sig. de Beaumarchais ha risposto che la cosa sarà regolata quando sarà sistemata la questione tunisina. Quale f!.Uestione tunisina? ho domandato.

• La modifica della convenzione consolare del 1896 da me proposta •, è stata la sua I"isposta. • Allora, ho replicato, ne passerà dell'acqua sotto i ponti della Senna»,

Come già ho detto non v'era, stavolta, alcun malumore nella conversazione del sig. de Beaumarchais, ma anche stavolta devo constatare la mancanza completata della funzione ambasciatoriale, di chiarire, di facilitare, conciliare, e la tendenza invece ad accusarci di manovra politica. L'esistenza del Telegrafo è dovuta, a sua convinzione, oltre che a nostra volontà, a nostre sovvenzioni pecuniarie. L'azione dei nostri agenti in Corsica ed in Tunisia non ha esigenze e carattere consolare ma politico. Il .sig. de Beaumarchais ha fatto gli elogi del Console Generale Bombieri, ma è però arrivato a dirmi che egH ha, nero su bianco, le prove che il Consoie Barduzz1 ha fatto gettare lui le bombe al Consolato di Tunisi. Avendogli chiesto come egli spiegava un simile fatto, ha risposto che lo spiegava sul desiderio di popolarità e sull'ambizione di arrivare fino a esser nominato Ministro degli Affari Esteri.

È spiacevole a constatarsi, ma è indubbio che quando esiste nel rappresen-_ tante di un Governo estero una ta1le incomprensione e della situazione e delle funzioni, è difficile, per non dire impossibile, che ,esista una situazione di chiari rapporti, e che si marci verso un tale chiarimento.

133

IL CONSOLE GENERALE A TOLOSA, TAMBURINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI (l)

R. 406/152. Tolosa, 22 dicembre 1931.

Mi onoro riferire alla E.V. circa una organizzazione di squadre • combattentistiche • e giovanili francesi, denominate • Croix de feu • i cui nuclei già formati e in via di formazione, hanno sede in alcune località di questa circoscrizione consolare.

Già in occasione della I"ecente inaugurazione del monumento al Maresciallo Joffre in RivesaHes elementi isolati di dette squadre, composte di ex ufficiali dell'esercito francese e provenienti dai dipartimenti deU'Aude, del Tarn e della Haute Garonne, parteciparono alla cerimonia e al corteo in uniforme. Il loro intervento non fu particolarmente notato né fu rilevato dalla stampa francese in quanto che 'essi si confusero con le altre rappresentanze di combattenti della zona. Mi risulta ora, da notizie fornitemi direttamente dal Conte EHenne de Lareinty Tolozan, ex-ufficiale di aviazione e proprietario di terre in Sigean Le Lac, che le organizzazioni di • Croix de feu • avrebbero per scopo il reclutamento della parte migliore dei reduci di guerra e della gioventù, a somiglianza delle squadre d'azione fascista e degli • Elmetti d'acciaio • tedeschi. L'inquadramento, intanto, verrebbe svolto non nei grandi centri, ma ana periferia, e propriamente nelle campagne. Il de Lareinty stesso sarebbe preposto ai nuclei della zona di Narbonne (Aude).

Alcune sfere politiche ufficiali appoggerebbero il movimento, che però ha carattere nettamente antidemocratico, antisemitico, e antimassonico.

Il de Lareinty è un sicuro amico dell'Italia, e ha presentato di recente domanda per ,essere accolto tra gli • Amici del Fascismo •, domanda che venne da questo Cons01lato Genera:le trasmessa al R. Ministero Esteri (Direzione Generale Italiani all'estero) col ,telespresso n. 0353 0133, in data 11 corrente.

Ho creduto dover comunicare quanto precede dato l'inter,esse che per noi può rappresentare la creazione di tali squadre che starebbero a denotare come anche in Francia si delinei reazione contro il regime attuale a base di parlamentarismo social-democratico-massonico, e ad ogni modo è sintomatico che siano proprio gli ex combattenti ad iniziare questo movimento di riscossa che certo merita di essere osservato e seguito da vicino. Non mancherò di tener informata l'E. V. di quanto potrò conoscere in seguito su tale movimento.

(l) Il doc. fu inviato per conoscenza anche al gabinetto del ministero degli esteri, e reca il visto di Mussolini.

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IL SEGRETARIO DI STATO ASSISTENTE DEGLI STATI UNITI, CASTLE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (Archivio Grandi, copia)

[Washington], 25 dicembre [1931].

It was delightful rthis afternoon to reeeive a cable of greeting from you and Signora Grandi. My wife and I both send you our best wishes for the New Year and our thanks for thinking of us. We look back on your visit to the United States with the greatest pleasure and also with great satisfaction that it was so successful and so useful. I am sure that it has meant a rea! increase in the cordiality of Italian-American relations. Now we shall look forward to making closely with you in Geneva, our two countries having so nearly the same point of view on disarmament. We here feel strongly that the Conference should be held because its postponement would be a disappointment and disillusionment to the world. Even if nothing very striking is accomplished we can perhaps take the first smali step which will lead to real future Desults. I have often quoted your statement that disarmament is one of the most important phases of seeurity.

We shall watch with keen interest the Government Conference on reparations, as conference in which I know that Italy will play an important and constructive part. It will be one further step, I hope on the road back to world prosperity.

May the New Year be good to you and to your country. Italy seems nearer now that you have visited us. I should be glad if you would give my respectful greetings to your Chief. A talk I had with him severa! years [ago] gave me a knowledge and appreciation of his aims which I have always remembered.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 7678/4203. Parigi, 26 dicembre 1931.

II Re di Jugoslavia, venuto a Parigi il 16 corr., mi ha convocato jeri. Nella mezz'ora dell'udienza Sua Maestà ha tenuto la conversazione sulla situazione politica generale, sullo stato delle relazioni italo-francesi e sullo stato delle relazioni italo-jugoslave.

Sul primo argomento Sua Maestà, quando mi sono espresso nel senso che si potesse ancora essere ottimisti e sperare che i capi di Governo sapranno trovare una soluzione compromissoria alle difficoltà economiche e politiche nelle quali il mondo si dibatte, specie a queste ultime, si è mostrato dello stesso avviso. Questa, del resto, è in generale l'impressione che constato presso le persone responsabili dopo che hanno avuto contatto col Governo francese.

Circa le relazioni itala-francesi Sua Maestà, si è molto interessata a quanto gli ho detto circa il grave ostacolo creato a queste relazioni dalla eccessiva libertà di manovra qui permessa all'agitazione fuoruscita, agitazione che in questi ultimi tempi non solo si è intensificata ma ricorre anche a mezzi terroristici. Malgrado tutto· si è però riuscito a impedire che le fila tra i due paesi si rompessero: ad un certo momento si era anzi, poco tempo fa, giunti assai vicino a qualche risulta,to: ma correnti contrarie erano intervenute e tutto quel che ero riuscito ad ottenere è stata una • réponse différée •. Sua Maestà si è mostrata alquanto sorpresa di tutto ciò perché nelle conversazioni avute col Signor Lavai lo ha trovato assai ben disposto verso l'idea e verso il senso della convenienza del chiarimento con l'Italia. Gli ho allora detto che credo anche io che queste siano le disposizioni personali del Signor Laval e che effettivamente egli ha pensato ad un viaggio in Italia: ma che qualcosa è intervenuto ad impedirlo fino ad ora, e che l'azione del fuoruscitismo anti-italiano e del settarismo francese ha sempre cercato e sempre cercherà di impedire un riavvicinamento tra i due Governi. Sua Maestà mi ha lasciato sull'impressione che dopo le elezioni si possa realizzar-e il programma del Signor Lavai circa le relazioni itala-francesi.

Quanto alle relaz,ioni itala-jugoslave, Sua Maestà mi ha anche stavolta (dico anche stavolta perché sempre mi ha parlato in tal senso quando ero Ministro a Belgrado, e così mi ha parlato quando mi convocò a Parigi tre anni fa) (l) espresso la sua convinzione circa l'interesse reale ed effettivo dei due paesi di andare d'accordo e di avere buone relazioni tra loro; il suo desiderio di realizzare questo suo programma; e la coscienza di agire in tal direzione. • Da tre anni, mi ha detto, che personalmente dirigo gli affari del mio paese, ho fatto quanto ho potuto in questo senso •. Quando gli ho detto che vi era disgraziatamente una situazione non buona nelle nostre zone di frontiera Sua Maestà mi ha risposto non negandolo, ma affermando che il Trattato di Rapallo era considerato come un impegno definitivo al quale Egli terrà assoluta fede. • Vi potrebbe esser qualche piccola rettifica di confine da convenire • Egli ha detto; • ma quello è un patto definìtiv o •.

Sua Maestà si è amaramente doluta meco della stampa italiana. Coi suoi continui violenti attacchi ed articoli contro la Jugoslavia, Egli ha detto, fa un danno immenso ane relazioni tra i due paesi. Le lagnanze di Sua Maestà sono state così calme, ma così convinte e sincere, che non ho potuto a meno di dirGli che mi sarei fatto eco presso il mio Governo di questo suo sentimento. Mi permetta dunque V. E. di farlo, e di aggiungerv,i la mia più sentita perorazione a favore del desiderio espresso da Sua Maestà nello interesse delle relazioni itala-jugoslave, a prò delle quali ho speso sempre la mia più convinta attività dacché fui in situazione responsahile a Belgrado. Credo effettivamente che da una condotta di continuata ed obiettiva correttezza formale della stampa si possano ottenere risultati molto benefici nelle relazioni tra paesi senza in nulla diminuire la possibilità e l'efficacia di rimostranze anche severe, qualora fosse il caso di formularne. Credo anzi che solo con un tale atteggiamento si ottiene risultati e considerazione, altrettanto quanto credo che col sistema

che pecca di correzione formale non si ottengano che dei danni. Mi sono sempre adoperato in tal senso per quanto concerne e le relazioni itala-francesi e quelle italo-jugoslave.

Sua Maestà mi ha parlato del Ministro Gailli con vivo elogio mostrandosi convinto che egli lavora efficacemente nel miglior interesse delle relazioni tra i due paesi.

Incidentalmente nella conversazione Sua Maestà ha detto che era venuto a Parigi • esclusivamente per ragioni di salute· •; Lo ho trovato in buona apparenza, ma dimagrito e non irrobustito da tre anni in qua (1).

(l) Su questo colloquio, che presumibilmente avvenne nell'aprile del 1928, non è stata trovata documentazione. Cfr. ad ogni modo serie VII, vol. VI, nn. 194 e 225.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 4340/1964. Berlino, 27 dicembre 1931.

Mi risulta da fonte autorevole che delegati del partito socialista democratico sono partiti per Mosca in questi giorni, ove si abboccheranno con rappr·esentanti dei sovieti e della terza internazionale allo scopo di preparare se possibile l'alleanza in Germania del loro partito con il partito comunista. Fino ad oggi questi due partirti si sono aspramente combattuti ma la necessità (dal comune punto di vista) di combattere il nazionale-socialismo e i partiti di destra nelle prossime elezioni politiche per impedirne l'ascesa al potere e il desiderio d'imporsi loro con le masse onde strappare Queste ari partiti borghesi, sono i moventi di quel viaggio. Se l'accordo fra i comunisti e i marxisti in Germania avvenisse, il pericolo di un governo di estrema sinistra sarebbe grandemente aumentato -anzi sarebbe addirittura minaccioso tanto più perché i partiti borghesi continuano a rimanere l'un contro l'altro armati -e Hugenberg a tenersi lontano da Hitler, questi da Briining e Brtining a accusare più d'ogni altri Hugenberg.

Sarà interessante vedere se i reggitori di Mosca daranno la domandata mediazione fra i due partiti tedeschi. Come pure sarebbe interessante conoscere la parte che la Francia democratica ha avuto ed ha nella preparazione di questa alleanza tra i partiti antinazionalisti. La Francia infatti, per i suoi fini d'indebolimento e di disgregazione di Questo organismo germanico, mentre cerca di unire le sinistre per avere qui un Governo amico e disposto a concessioni politiche, fa finta di favorire il partito nazionale-socialista per provocare nel paese il disordine e spinge a tutta forza -come Hitler ha recentemente detto a persona di fiducia -gli intrighi centrifughi ne'lla regione renana, e a Monaco, in combutta con alcuni circoli politici di Vienna.

Certo sarebbe opportuno che, constatata a Mosca la veridicità di quella mia informazione (del che non ho ragione di dubitare) tutto fosse messo da parte nostra in moto per ostacolare la mediazione russa. Lasciati a sé, l'un di fronte all'altro, i due partiti tedeschi difficilmente arriverebbero a mettersi d'accordo (1).

(l) Cfr. una lettera di Mazzotti a Mussolini, datata Roma 31 gennaio 1932: re Alessandro, durante l'ultimo suo soggiorno a Parigi, avrebbe detto ai fuorusciti albanesi del Baskimi Kombetari che, se Zog continuava nel suo vassallaggio all'Italia, « con tutta probabilità, nella prossima primavera, avrebbero ottenuti gli aiuti necessari per impadronirsi del potere in Albania •. D'altra parte re Alessandro, per favorire l'intesa itala-francese, si proponeva di ordinare a Marinkovié di tentare un riavvicinamento all'Italia. (ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Mazzotti W/RJ.

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IL MAGGIORE RENZETTI A ... (2)

Berlino, 27 dicembre 1931.

L'Ambasciatore francese a Berlino ha tentato di incontrarsi con il fiduciario politico di Hit!ler, il deputato Goring. I quattro intermediari -tre industriali del gruppo I. G. Farben Industrie ed un deputato -si sono presi una netta ripulsa dal Goring.

Lo stesso Ambasciatore avrebbe conferito due volte con uno dei fratelli Strasser. Da parte nazionalsocialista mi si è assicurato che non si tratta del deputato Gregorio Strasser bensì del fratello Otto che da oltre un anno è stato espulso dal movimento. Una inchiesta è in corso per conoscere esattamente i fatti.

Nei circoli politici bevlinesi si stanno discutendo ed approntando diversi progetti per il rimaneggiamento dell'attuale Gabinetto destinato, come è noto, prima o poi a cadere. A questo riguardo il Goring mi ha detto che privatamente gli è stato offerto di entrare a far parte in qualità di ministro o di cancelliere di una combinazione ministeriale nella quale Bri.ining deterrebbe il portafoglio degli esteri, il generale Schleicher, attuale capogabinetto di Groner, il portafoglio degli Interni e quello della Difesa.

Goring dopo avere lungamente conferito con me, ha deciso di dare una risposta evasiva: dirà che è stanco e che ha bisogno di alcune settimane di riposo. Esso si rende conto che in un Gabinetto così composto, il suo partito non potrebbe esercitare che poca o nessuna influenza: che in ultima analisi non si tratta che di un tranello teso al partito per screditarlo di fronte alle masse.

Goring sarebbe stato prescelto e perché notissimo e popolare e perché è ritenuto accondiscendente e conciliante. Esso è persona grata nella consorteria che fa capo al Presidente Hindenburg e agli attuali detentori del potere. Significativo è il fa.tto che Bri.ining a mezzo di Treviranus avrebbe fatto sapere al Goring di non essere offeso per le dichiarazioni fatte recentemente da

• Effettivamente, nel dicembre, un paio di esponenti della socialdemocrazia tedesca si sarebbero recati qui per tentare un accordo con i comunisti. Il Comintern, peraltro, avrebbe opposto il suo veto e l'iniziativa sarebbe cosi completamente caduta». A Palazzo Chigi si condivise il parere di Orsini Baroni di ostacolare il tentativo dei socialdemocratici tedeschi

, di intendersi coi comunisti per combattere la destra. Ma si preferì non dir nulla di questaopinione ad Attolico.

quest'ultimo al corrispondente berlinese del Popolo d'Italia: dichiarazioni che hanno suscitato un non lieve scalpore nei circoli governativi tedeschi (1).

Altri gruppi vorrebbero un Gabinetto con prevalenza militare, capitanato dall'attuale ministro Groner. Detto dovrebbe governare senza il Reichstag, preparare le elezioni che debbono aver luogo nella primavera del 1932 in maniera che ,le destre ed i comunisti riescano sconfitti. Tale soluzione è temuta dai gruppi di destra che si vedono di fronte a nuove difficoltà da superare e ad un lungo periodo di attesa. D'altra parte detta [soluzione] presenta dei pericoli tutt'altro che lievi, principali quello della politicizzazione della Reichswehr e l'altro di una guerra civile che le modeste forze sparpagliate dell'esercito e della polizia non riuscirebbero a soffocare.

Altri gruppi infine vorrebbero la costituzione di un Gabinetto di personalità. In questo i nazionalsocialisti non sarebbero alieni di entrare a patto che venissero dati loro il cancellierato, le forze armate e gli interni, almeno.

Fino ad oggi nulla però vi è di concreto. Occorrerà attendere alcuni giorni per conoscere se si addiverrà alla riconvocazione del Reichstag e quale sarà il contegno dei partiti. Qualora il gruppo economico si schieri decisamente a favore dei nazionalsocialisti, la caduta di Bri.ining è certa sempl'e che anche i comunisti votino contro l'attuale Gabinetto.

Gli screzi fra i gruppi di destra permangono. Nei mesi scorsi ho tentato di conciliare gli uomini e le tendenze e in parte vi sono riuscito. Continuerò in tale azione ben difficile in questa Nazione ove gli uomini oltre che da ambizioni, da rancori, sono divisi da questioni religiose, da regionalismi. Accludo la traduzione di una lettera del terzo Capo degli Elmetti scritta con il consenso del partito tedesco-nazionale ove sono precisati alcuni punti relativi ail'accordo che dovrebbe venire stipulato.

Accludo l'estratto di una relazione riservata tedesca sull'Austria (2). Io mi tengo a contatto con S. E. l'Ambasciatore al quale riferisco le notizie che vengo a risapere e le mie idee sulla situazione locale.

ALLEGATO.

VON MOROSOVITZ A RENZETTI (Traduzione)

Berlino, 23 dicembre 1931.

Sono estremamente dolente che gli ultimi avvenimenti non mi abbiano concesso di intrattenermi lungamente con Lei. Conto però nei prossimi giorni di vederla, fermamente persuaso che la Sua preziosa attività e la Sua opera altruistica siano da benedire da parte della opposizione nazionale e diventino per essa sempre maggiormente indispensabili nei giorni che verranno.

Non Le nascondo che io più che mai ritengo indispensabile un accordo chiaro e leale fra i vari gruppi che compongono la opposizione nazionale. Ma in tale accordo gli Elmetti di Acciaio non possono e non debbono essere considerati quale entità trascurabile. Costituiscono essi forse la associazione più compatta

alla fine del 1931, cfr. PETERSEN, Hitler e Mussolini, p. 48. (2} Manca.

della Germania: la loro compattezza si accresce non appena la associazione viene fatta segno ad attacchi. A me sembra pertanto che i camerati del partito nazionalsocialista dovrebbero convincersi che noi dovremmo venire considerati quale un nocciolo sicuro, saldo e resistente anche per essi e che inoltre non si debba trascurare, così come è stato fatto da qualche tempo a questa parte, la personalità di Hugenberg.

La morte di Arnaldo Mussolini mi ha profondamente colpito. Io La prego, anche a nome dei miei camerati, di voler partecipare a chi di dovere, che noi prendiamo viva parte al dolore di S. E. il Capo del Governo.

Mi auguro che il nuovo anno porti alla Sua e alla mia Patria il bene desiderato: che esso sia propizio ai nostri comuni interessi.

(l) Il 1° febbraio 1932 Palazzo Chigi chiese a Attolico informazioni circa quanto comunicato da Orsini Baroni. Attolico rispose con telespr. 635/241, Mosca 4 febbraio 1932:

(2) Ghigi?

(l) Su queste dichiarazioni e sull'atteggiamento della stampa fascista verso il nazismo

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. CONFIDENZIALE 4288/941. Washington, 28 dicembre 1931, ore 7,24 (per. ore 5 del 29).

Mi riferisco alla mia recente corrispondenza telegrafica.

In assenza di Casne ho avuto un colloquio col Segretario di Stato assistente Rogers. Egli mi ha detto che il rapporto della Commissione di Basilea è stato attentamente esaminato da questo Governo e dal Presidente. Per valutare la posizione degli Stati Uniti, egli ha detto, occorre fare una triplice distinzione :

l o) Hoover non ha affatto mutato le sue idee circa la necessità di cooperazione internazionale allo scopo di uscire dailla crisi mondiale e riconosce che gli ~tati Uniti debbono adempiere alla parte che a loro spetta. Hoover riconosce che crisi economica dell'Europa risulta in un danno per gli Stati Uniti. Il Governo federale è disposto e pronto all'azione, ma presentemente deve usare molta prudenza causa il Congresso, e non può prendere iniziative.

2•) Il Congresso è oggi pervaso da una • reazione emozionale •. La corrente preponderante è nel senso recisamente contrario ad una revisione dei debiti di guerra e in senso isolazionista. Si proclama che l'Europa, che si è vanamente tentato di aiutare, dev'essere abbandonata ai suoi guai. Si ripetono argomenti molteplici riferiti nei miei ·telegrammi in cifra ed in chiaro.

3°) Questa intransigente attitudine non (ripeto non) è condivisa· dal paese. Avviene talvolta che il Congresso non rappresenta il paese. La grande opinione pubblica si rende conto della assurdità delle muraglie di Cina. Essa si rende conto che per uscire dalla crisi è necessaria la cooperazione con l'Europa ed è propensa ad accettare una discussione sui debiti di guerra, ma vuole che l'Europa dimostri essa stessa di sapere e potere affrontare i probJ,emi del giorno.

In tale situazione, -prosegue il mio interlocutore, -il miglior modo di procedere consisterebbe in un approccio da parte delle Potenze europee interessate verso gli Stati Uniti. Però, soggiunse Rogers, vi è modo e modo.

10 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

L'approccio dovrebbe essere compiuto col necessario tatto. Incidentalmente egli alluse alle inopportune irritanti pubblicazioni di alcuni giornali d'Europa.

A mia richiesta, Rogers espresse l'avviso che Ja questione potrebbe abbordarsi anche prima delle elezioni. Alle interrogazioni in proposito, Rogers mi ripetette qu&nto mi disse Castle (miei telegrammi N. 900 e N. 919) nel senso che la nota riserva N. 5 non è in contraddizione con gli accordi internazionali circa i debiti di guerra i quali contemplano una sospensione dei pagamenti.

In quanto all'annunziata prossima Conferenza internazionale, Rogers mi disse che gli Stati. Uniti potrebbero parteciparvi con veri e propri delegati e non con semplice osservatore, quando essa dovesse occuparsi di debiti privati e di questioni monetarie e di cambi. Se però si trattasse della questione delle riparazioni, questo Governo potrebbe inviare un osservartore.

Finalmente Rogers mi disse confidenzialmente che Hoover sta preparando una dichiarazione pubblica, ma che non è ancora deciso se egli vi darà corso.

Rogers doverosamente mi osservò che quanto egli mi aveva detto era a titolo personale. Ma risulrtandomi che egli ha preso parte all'esame ed a studi compiuti ieri e a'vant'ieri per ordine del Presidente ed insieme con lui, ritengo che la sua opinione abbia particolare valore.

Mi permetto prospettare l'opportunità che codesto Ministero voglia darmi qualche indicazione, sia per mia conoscenza personale, sia per norma di lin-. guaggio.

139

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R.U. 70151. Roma, 28 dicembre 1931.

Seguito precedenti telespressi, e da ultimo a telespresso del 23 dicembre

u.s. n. 70036.

Le notizie che giornalmente pervengono dalla Cirenaica confermano la rapida disgregazione di ogni resistenza da parte dei ribelli, i quali, non più isolatamente, ma a gruppi, continuano a presentarsi ai vari nostri presidi, facendo atto di sottomissione; a ciò incoraggiati anche dall'azione di persuasione che, dopo la scomparsa dei capi maggior.i, il governo della Cirenaica va svolgendo sui gregari, profittando dello stato di sbandamento in cui attualmente si trovano (1).

Deve perciò ritenersi estremamente difficile, se non impossibile, per i pochi ribelli e qualche capo minore rimasto in campo, qualsiasi serio tentativo di riorganizzarsi. Un tentativo di questo genere potrebbe partire solo

dall'Egitto, dove i maggiori esponenti della Senussia hanno forse il modo di ricostituire ancora qualche banda, che, se riuscisse a penetrare in Cirenaica, potrebbe riaccendere qualche focolaio di ribellione.

Ad evitare un simiLe pericolo appare sempre più necessario che il Governo egiziano si decida a prendere qwillche misura nei riguardi dei capi senussiti che da tanto tempo e cosi largamente usano e abusano della liberale ospitalità loro offerta dal governo egiziano, e la cui azione ha troppe volte minacciato di oscurare le buone relazioni fra i nostri due paesi. Tale misura potrebbe consistere nel loro allontanamento dall'Egitto: al[ontanamento che quando anche apparisse spontaneo, e non coatto, anzi specialmente in tal caso, avrebbe indubbiamente un grande valore morale, perché agli occhi di tutti significherebbe che la Senussia riconosce la partita perduta e abbandona la lotta.

Se il nostro Ministro al Cairo riuscisse a svolgere in questo senso un'azione positiva presso il governo egiziano, renderebbe indubbiamente ailla causa della pacificazione . in Cirenaica un servigio che integrerebbe degnamente l'azione ammirabile svolta nel campo politico-militare dal Generale Graziani.

Ove V.E. ritenga d'impartire qualche conforme istruzione alla nostra Legazione al Cairo sarò vivamente grato se vorrà informarmene.

Va da sé che fino a quando non si sarà sicuri di ogni possibile tentativo per parte dei ribelli rifugiatisi in Egitto si continuerà a mantene·re a quella frontiera il regime militare che ha fin qui dato o:ttimi risultati e si è mostrato il solo efficace. Questo anche quando l'intera Cirenaica sarà all'interno completamente liberata dai briganti e pacificata (1).

(l) Cfr. il t. di Badoglio a Graziani, Tripoli 21 dicembre 1931: • Questi ultimi ribelli che rappresentano i più irriducibili preferirei vederli soppressi anziché sottomessi giacché rappresentano sempre elemento disordine • (ACS, Carte Graziani). Un ordine del giorno di Badoglio del 24 gennaio 1932 dichiarava terminata la ribellione in Cirenaica.

140

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

(Ed. in RAINERO, pp. 456-459)

L. 5728. Roma, 29 dicembre 19.31.

Ho ricevuto le Sue interessanti lettere del 5 e del 7 dicembre (2) e La ringrazio delle informazioni e dei suggerimenti in esse contenuti. Non mi sembra per il momento necessario che Ella venga a Roma poiché la situazione in verità non presenta degli aspetti nuovi che meritino di riprendere in diversa considerazione i nostri atteggiamenti nelle varie questioni che interessano le relazioni politiche itala-francesi.

·(l) L'ultimo capoverso è autografo di De Bono.

Cfr. anche il N. 1420 gab. r.p. di Badoglio a Graziani, a Bengasi, e Per conoscenza a De Bono, Tripoli 29 luglio 1932: • Il governo egiziano non prenderà mai e poi mai una posizione di combattimento favorevole a noi e contraria alla Senussia.

L'elemento direttivo inglese non muoverà mai un dito in nostro favore se questa mossa può dispiacere agli egiziani.Il Governo egiziano ostacolerà sino ad impedirlo il rientro dei profughi né :>iù né meno di quanto fanno i Governi tunisino e algerino per il ,-;entro dei tripolini.Noi dovremo esclusivamente contare sulle nostre forze e sulla malevolenza dei vicini • (ACS, Carte Graziani).

Infatti come Le è noto la soluzione che Ella chiama • amministrativa • delle due questioni del compenso coloniale e delle Convenzioni tunisine non era apparsa a S. E. il Capo del Governo che come un tentativo di spianare la via ad una visita del signor Lavai a Roma da cui si potesse avere Ila certezza di conversazioni serie ed ampie su tutti i problemi politici del momento con una certa garanzia di risultati soddisfacenti. Ora, il Suo ~troppo breve dialogo col signor Berthelot, l'attegg~iamento riservato del signor Lavai, ma più ancora la situazione politica di quest'ultimo alla vig.ilia dellle elezioni, e soprattutto lo starto d'animo francese inadatto alle trattative, come V.E. stessa riconosce, sono chiare prove della impossibilità di farsi illusioni circa una utile ripresa di conversazioni in questo momento.

È evidente che non ci conviene perciò di sollecitare quella r.isposta di cui siamo creditori perché tutto fa presumere· che, anche se una risposta ci fosse data, questa sarebbe inadeguata ed insoddisfacente, che noi rischieremmo di compromettere ancora ilo stato delle questioni stesse· e che infine daremmo a Parigi la sensazione di avere una premura di giungere ad un accordo che ver· rebbe sfruttata, come al solito, dalla Francia a proprio vantaggio.

È proprio di ieri la nota del Matin in cui si dà appunto questo significato alla nostra generica e pur cordiale risposta alla nota francese in cui ci mostravamo inclini a far prendere contatto ai rispettivi esperti in materia di riparazioni. Contrariamente a ciò che Ella mostra di credere nella sua lettera del 7, le iniziative sono pericolose per noi e servono soltanto ai fini francesi.

Indubbiamente in tema di riparazioni esistono dei punti di possibile contatto. Mentre in linea di principio noi siamo oramai tenuti a favorire la soluzione più liberale nei riguardi della Germania (cancellazione totale delle riparazioni), sta però di fa>tto che tale soluzione non appare oggi probabile, dato l'atteggiamento americano circa i debiti 'e quel,lo francese circa la parte incondizionata.

Esclusa adunque la soluzione radicale, noi siamo giustificati a difendere i nostri interessi nella ricerca della soluzione parziale· e provvisoria che dovrà trovare la futura conferenza delle riparazioni.

Uno spunto per arrivare a tale risultato è già stato dato nella nostra risposta alla nota verbale francese con la proposta di contatti tra esperti, e per il momento non possiamo né ci conviene fare di più.

In tema di disarmo, l'avvicinamento delle due posizioni appare meno facile.

Anzitutto esiste sempre l'ostacolo del mancato accordo sulla questione navale. L'ultima proposta fatta alla Francia (sotto forma di un compromesso che in sostanza dà alla Francia quasi tutto quello che i suoi esperti avevano reclamato a Londra nello scorso aprile) non ha ancora avuto risposta. Il silenzio francese può far pensare che a Parigi non si voglia l'accordo per ragioni di politica generale o di tattica. Sembra inopportuno fare approcci per intese in un campo più vasto prima che da parte francese vi sia stata una manifestazione di buona volontà espressa con l'accettazione della nostra proposta.

Delle conversazioni sul disarmo dovrebbero quindi avere come punto di partenza e come condizione pregiudiziale l'accordo navale. Ciò premesso, mi sembrano interessanti le idee da Lei avanzate circa le linee su cui potrebbe avviarsi la Conferenza del Disarmo, e cioè:

l) che la Germania rimanga vincolata dalle attuali disposizioni limita

tive del Trattato di Versailles;

2) che la Francia a sua volta accetti il limite attuale dei suoi arma

menti come il massimo non superabile e si impegni ad iniziare fin da ora la

riduzione graduale, che nel corso dei prossimi sette-otto anni dovrebbe es

sere portato al livello germanico. Un impegno analogo dovrebbe naturalmente

essere preso da parte di tutti gli altri Stati.

Dubito però molto che· Francia e Germania lo accetterebbero. Comunque, esso non risolverebbe il problema fondamentale della fissazione delle proporzioni fra le forze mi[itari dei diversi paesi. Se questo problema dovesse essere risolto già alla Conferenza del 1932, si ripresenterebbero subito tutte le difficoltà ed i contrasti oggi esistenti. Se viceversa dovesse essere rinviato, tale rinvio importerebbe l'inconveniente di prendere come punto di partenza gli armamenti attuali, cioè il cl1i.terio dello statu quo.

In tali condizioni Ella vede bene che per quanto rimanga sempre per noi la convenienza di superare l'attuale punto morto delle relazioni italo-francesi e di ricercare con la Francia un accordo che sarebbe a nostro giudizio sempre vantaggioso ai comuni interessi, tanto la situazione generale politica, quanto l'atteggiamento del Governo e dell'opinione pubblica francese debbono sconsigliare dal farci parte diligente per una ripresa di contatti che non può veramente portare ad alcun serio risultato.

(2) Cfr. n. 108 e p. 239, nota l.

141

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 7735/4235. Parigi, 29 dicembre 1931.

Nel segnalare alla lettura di V.E. la • lettre d'ItaUe •, in data • Roma dicembre • pubblicata nel Temps di oggi 29 dicembre 1931, mi permetto collegare il contenuto di questa lettera alla parte della conversazione del Signor De Beaumarchais circa la campagna separatista corsa del Telegrafo riferita nel mio rapporto n. 7601/4165 del 22 corrente (1), e di aggiungere ai particolari .comunicati in proposito anche i due seguenti: S.E. i!l Signor De Beaumarchais mi disse che i1l Telegrafo non poteva certamente sostenersi coi suoi soli mezzi e che una parte del denaro necessario gli proveniva da Roma; egli disse poi che con un Governo come il nostro, l'esistenza del Telegrafo

era chiaramente una cosa voluta perché H Governo italiano aveva ogni mezzo per farla cessare quando volesse.

Il Signor Gentizon scrive: • le seul point noir c'est ou'il y ait un Gouvernement qui la laisse subsister • (la campagna del Telegrafo). Questo concetto è combaciante con quello del Signor De Beaumarchais e· prova in quale Palazzo di Roma sta la fucina delle corrispondenze gentizoniane, tra i cui compiti speciali appare, a chi le segue con regolarità, essere quello di mettere in rilievo ogni fatto che possa indisporre contro ll'Italia l'opinione dei francesi e che possa, ai numerosi ed importanti lettori stranieri far apparire l'Italia come paese a sistemi politici balcanici come perturbatrice della pace e come responsabile del disagio italo-francese. Ma cosa direbbe il Signor Gentizon se, mutando padrone, quale un mercenario sv.izzero del XVI secolo, assumesse la corrispondenza da Pal"!igi di un giornale italiano e dovesse scrivere circa la tanto ·tollerata esistenza a Parigi della • Concentrazione anti

fa~scista •, e della Libertà, specialrniente dopo il!aperta dichiarazi0111e fatta nel numero del 17 corrente che il programma della Concentrazione è fatto in relazione alle • esigenze rivoluzionarie della azione in Italia • e mira a rendere più intensa e più efficace • l'attività rivoluzionaria in ItaUa •?

Non sarebbe male che il Signor Gentizon fosse messo al corrente di questa situazione.

(l) Cfr. n. 132.

142

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 3222/1391. Timna, 29 dicembre 1931.

Da parecchio tempo, su vari fo~i della Capitale, si parla della ripresa

delle trattative per le modifiche all'accordo Commerciale fra Albania ed Italia.

La nota dominante degli articoli è, che l'odierno Trattato è pessimo per l'Albania,

che l'Italia ne trae tutti i vantaggi e l'Albania nessuno, e che l'Alleata ha il

do\llere sacrosanto di aprire larghe le porte ai prodotti albanesi. In sostanza, e

pur con quel suo modo al solito goffo, impacciato, screanzato e scempio con cui

tratta le questioni, la stampa si fa eco delle preoccupazioni generall.i di fronte

allo squhlibrio ingente della bilancia commerciale e alla difficoltà crescente di

smerciare i pochi e miserabili prodotti del paese.

L'azione della stampa precede e preannunzia una domanda ufficiale per

la ripresa delle trattative, domanda però che non è ancora venuta, essendosi

il Governo Albanese limitato a comunicarmi ufficialmente la nomina dei suoi deffiegati, i Ministri dell'Economia nazionale e del:1e Finanze. E mi sono anch'io limitato a prender atto ringraziando per la cortese comunicazione. Pare che il ritardo sia dovuto alla compilazione laboriosa del programma delle domande, che al solito, prescindendo dai punti trattati e risolti nel:le conversazioni presiedute dal mio predecessore Sola, saranno rinnovate, rinfrescate nel senso più ampio, co1Jla solita inclusione dei prodotti che o non si producono o non si esportano dall'A!lbania, se non nella fantasia di questa gente.

Io non ho mancaw di fare la mia brava controffensiva preliminare, spargendo la voce che, Questi signori si aspettano molto, e avranno una grande delusione: e no nper nostra cattiva volontà, ma per l'impossibilità in cui ci troviamo di aprire delle brecce nei nostri muri doganali a prò di qualche decina di quintali di roba albanese. Col Ministro de1Jl"Economia Nazionale, venuto a presentirmi, ho parlato ancor più chiaro; e gli ho detto che l'Albania, come è una entità politica e nnanziaria difficilmente vitale se non riceve l'ossigeno da qualcuno che ha o crede di avere interesse a farla vivere, così è una entità economicamente e commercialmente abortiva, e tutti i suoi trattati di commercio saranno sempre un bluff, con solo quei vantaggi che il soiito interessato le concederà per compassione -vedi per es. l'invenzione pietosa della • razza Musachia •. Valendomi poi del r~torno di Libohova, ho fatto sviluppare al Re gli stessi argomenti.

lo mi sono quindi preparato ad affrontare le conversazioni per le· modi:fiiche del Tratta•to di Commercio in uno spiriw di tergiversazione e di negazioni cortesi e compunte; e spero anzi nell'abbondanza e neBa poca fondatezza delle richieste per av·erne ansa al massimo numero di negative.

Questo mio contegno come V.E. intende, è ispirato a spingere gli animi verso :la soluzione radicale del.Jla unione doganale. L'idea della quale è già fluttuante nell'aria, a dir il vero, più sotto la forma di abolizli.one di tariffe italiane che altro, ma, per quanto sia idea che incontrerà gravi difficoltà, non si può escludere non riusciamo alla fine a farla spuntare.

Oggi stesso la cosa ha formato oggetto di conversazione fra Libohova ed il Re. Questi ha espresso specialmente una preoccupazione: quella politica cioè delle proteste 'e delle opposizioni dei terzi, vedi la Jugoslavia, i suoi accoliti e protetto11L Il Re è anche angustiato dall'idea dei numerosi articoli e commenti <esteri, coi quali si celebrerà la fine definitiva dell'indipendenza Albanese e quando ripenso al suo carattere misto di cinismo e di vanità, mi par persino impossibitl'e che si decida ad ingoiare la pillola tal:e come questa. Sullla parte pratica, e cioè la situazione che creerebbe all'Albania e ai suoi prodotti alla sua economia una unione doganale e le varie difficoltà e gli svaria,ti problemi che bisognerebbe affrontare e risolvere, non si è espresso; sembra che abbia Jìiducia di poter sempre cavarse•la con vantaggio.

Ln ogni modo, Ekrem Bey, a cui ho fatto di nuovo balenare il prospetto seducente della riconoscenza tangibile del nostro Governo per un successo di così primo piano, continuerà a lavorare; ed io dal canto mio, come ho detto sopra.

143

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO AD ATENE, BASTIANINI

(Archivio Grandi, copia)

D. RR. S.N. Roma, 30 dicembre 1931.

Ho letto, al mio ritorno a Roma, il rapporto N. 7408/970 (1), che V. S. mi ha dir·etto, in data 19 novembre scorso, a proposito delle dichiarazioni recentemente fatte da Venizelos alla Camera greca circa Cipro ed il Dodecaneso.

Ho l'impressione che, per quanto riguarda almeno le nostre Isole, Venizelos, piuttosto che aprire una discussione con noi, abbia semplicemente inteso di apparire, ancora una volta, all'opinione pubblica greca, agitata dalLe difficoltà interne, come il solo uomo in cui si possa riporre fiducia.

Egli non avrebbe potuto sinceramente credere che questioni come quelle cui ha accennato, possano essere poste all'Italia, ed anche alla Gran Bretagna, dalla tribuna del Parlamento, suscitando tra gli stessi deputati un'agitazione di speranze che egli ha dovuto, poi, provvedere a calmare nella seconda parte della sua dichiarazione.

E, del resto, come la S. V. avrà rilevato dalle informazioni che ci sono giunte da Londra, tutta questa faccenda deve non poco aver contribuito ad irrigidire l'atteggiamento del Governo britannico nella questione di Cipro.

Comunque, per quanto ci riguarda, le basi sulle quali Venizelos ha posto l'argomento del Dodecaneso innanzi all'opinione greca, non possono essere suscettibili di alcuna considerazione da parte nostra. La questione è per noi definitivamente chiusa ed una cessione delle minori Isole, è cosa che non deve neppure per assurda ipotesi, essere considerata da alcuno e tanto meno dal rappresentante dell'Italia in Atene. Essa non verrebbe che a pregiudicare la salda compagine del Possedimento, determinerebbe fatalmente aspirazioni sulle Isole maggiori e porterebbe di11itto all'intiepidirsi di quella molto dubbia riconoscenza, sulla quale, secondo Venizelos, dovrebbe essere fondata la nuova e più stretta amicizia italo-greca.

Del resto, circa la pratica ·efficienza per noi di questa • infrangibile amicizia • che ci sarebbe offerta è lecito dubirtare. Venizelos ha costantemente evitato, sia in occasione della firma del Pat•to di amicizia a proposito della questione di Salonicco, sia in occasione della firma del Patto greco-turco, di compromettere minimamente con noi la sua politica. Sopratutto ile circostanze

Quello che suggerisce il Bastianini, nell'anno X è !Jrecisamente quanto suggeriva il Senatore Contarini nell'anno I, suggerimento che Tu respingesti energicamente, e con quanta antiveggente saggezza dieci anni di politica estera susseguente lo hanno dimostrato.

E' possibile trovare oggi, proprio in un rappresentante fascista, l'avvocato dell'antica tesi rinunciataria ?

Da tempo la situazione della nostra Legazione di Atene è oggetto di ironici commenti da parte greca ed internazionale. Credo converrà cercare qualcuno di meglio che rappresenti l'Italia nella patria d'Ulisse. Bastianini può rappresentare l'Italia in un paese senza importanti problemi politici per noi, un paese di emigrazione ad esempio. Ma non in Grecia, dove per ora l'Italia batte una battuta d'aspetto, ma non credo per molto.

Il discorso Venizelos ne è un sintomo •.

in cui si svolsero le ultime fasi del Patto greco-turco non debbono essere dimenticate.

Ad ogni modo, come altra volta ho avuto occasione di far presente alla

S. V., fino a che perdurino le circostanze attuali, -chè a circostanze eccezionali possono corrispondere convenienze d'eccezione -non è sopra un apporto attivo della Grecia alla politica italiana in Balcania e nel Mediterraneo che ci preme far conto, ma piu1Jtosto sopra una sua situazione di amichevole passività nei riguardi della politica stessa, situazione che, oltre tutto, anche indipendentemente dall'amicizia, risponde, naturalmente, alle convenienze greche.

Compito, delicato e difficile, delila S. V., è, appunto, quello di difendere tale situazione da insidie e da allettamenti.

In tale ordine di idee, quindi, quanto di meglio si è potuto fare e si potrà fare da parte nostra nei riguardi delle dichiarazioni di Venizelos è quello di non metterle in discussione, né in un senso né nell'altro. Non resta di concreto che una constatazione gradita. Essere stato cioè la prima volta che un presidente del Consiglio greco, e precisamente Venizelos abbia fatto al Parlamento del suo paese nei riguardi del Possedimento italiano dell'Egeo delle dichiarazioni che dovrebbero tagliare corto alle speculazioni irredentistiche. Il Governo fascista non può quindi che registrarle con soddisfazione. Nient'altro.

(l) Cfr. n. 77. Grandi aveva inviato in VIswne a Mussolini questo rapporto con la seguente lettera priva di data (Archivio Grandi) : « Non posso fare a meno di richiamare la Tua personale attenzione sopra questo inverosimile rapporto del Ministro Bastianini.

144

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 51160. Roma, 30 dicembre 1931.

Mi è pervenuta dal Governo dell'Eritrea la relazione ufficiale dei nostri delegati nella Commissione mista per la camionabile Assab-Dessiè, con i verbali delle sedute: relazione, di cui si era in attesa, ed al cui invio accenna pure· il telegramma del R. Incaricato di affari in Addis Abeba, comunicatomi col telespresso di cotesto Ministero 253515 del 21 dicembre.

In sostanza, tranne i maggiori pa11ticolari sullo svolgimento delle discussioni, nulla da 1ta11i atti risulta, che già non fosse noto. I nostri dellegatJi si sono mantenuti perfettamente sulla linea di condotta loro indicata: e le due riserve da essi fatte (circa il tracciato, nei riguardi economici e commerciali; e circa il punto di inizio dei lavori) ci permetteranno quella libe·rtà di azione, -o di

• inazione •, come me·glio potrebbe dirsi, -che corrisponde al nostro interesse attuale e fors'anche a quella che è la più esatta valutazione della dubbia importanza che ha per noi la strada progettata.

Tali riserve saranno pertanto sostenute ed avvalorate da noi, se e quando si renderà necessario l'intervento del R. Governo per l'ulteriore procedimento delle pratiche, e sempre dietro iniziativa del Governo etiopico.

Mi sarà gradito conoscere se codesto R. Ministero convenga in tali apprezzamenti, dopo che avrà avuto modo di prendere dn esame gli atti di cui da Addis Abeba gli è stato fatto l'invio.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 4829/2732. Vienna, 30 dicemb1·e 1931.

Dopo il mio colloquio esplicativo con uuesto ministro di Francia (1), egli mi mostra maggiore fiducia e spontaneamente mi parla, quando mi incontra, sulla situazione austriaca.

Stamane mi ha accennato alle sue preoccupazioni per gli enormi aumenti delle imposte sulle case che tl municipio di Vienna si propone decretare, e che avrebbero per conseguenza l'abbandono della capitale per la campagna di parecchie delle famiglie aristocratiche viennesi costrette a ricorrere a Questa • ultima ratio • per sfuggire a nuovi aggravi che esse non possono sopportare. Clauzel vede nella misura progettata uno scopo più politico che economico, e cioè quello di rendere anche più inoffensiva l'antica classe dirigente e di diminuive qui gli oppositori all'annessione tra i quali, com'è naturale, sono da annoverarsi molti dei membri delle vecchie famiglie legittimiste austriache. Ne ho convenuto con lui; ho rafforzato in lui questa preoccupazione e sono tornato sul concetto che la Francia ha efficaci mezzi di pressione finanziaria contro i socialisti austriaci.

Mi ha poi manifestato altre preoccupazioni sulla possibilità di qualche prossimo colpo di testa dei nazional socialisti austriaci e mi ha chiesto il mio parere. Gli ho risposto non credervi, sia perché non suppongo in ogni caso ch'essi meditino iniziative del genere nell'attuale situazione germanica, sia perché la propaganda nazionalsocialista non mi sembra qui ancora tanto avanzata, sia perché infine tale partito non ha sino adesso in Austria un dirigente.

Mi ha inoltre accennato a certe allusioni alla Francia fatte in un recente discorso da Starhemberg, le quali crede sarebbe stato preferibile avesse tralasciato .e provano come quegli, ragionevolissimo nei colloqui privati, si inebri nei suoi discorsi alle folle. Lo riferirò a Starhemberg quando lo rivedrò.

Da ultimo mi ha parlato di un suo recente colloquio con Seipel, dicendomi del desiderio di questo di evitare che la Francia conceda i noti 60 milioni al presente gabinetto austriaco; ciò che era prevedibile ed è comprensibile. Gli ho risposto che anche io ero stato dall'ex cancelliere, ma del mio colloquio con lui

(mio telespr. n. 2700) (2) gli ho solo riferito quel poco che potevo dirgli impunemente.

Finora il mio collega di Francia mi ha sempre parlato sull'annessione, nessun accenno mi ha fatto sui progetti di intese danubiane, e io ho evitato qualunque occasione potesse trarlo a intrattenermi di tale argomento.

Ma stimo non inutile mantEmerlo in queste favorevoli disposizioni nei nostri riguardi per le notizie da averne 'e le deduzioni da trarne, nonché per le possibilità di qualche influsso sulla sua azione.

(2\ Cfr. p. 207, nota l.

(l) Cfr. n. 106.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI

T. PER CORRIERE 1498.

Roma, 31 dicembre 1931, ore 10.

Suoi telegrammi n. 334 e 335 (l)

Se ragione dei sondaggi compiuti presso V.E. da Tewfik Ruscdi bey -ciò che l'E.V. potrà meglio accertare in seguito -è unicamente la preoccupazione che vi sia qualche fatto nuovo nelle relazioni italo-francesi ed italo-jugoslave che possa ripercuotersi sulla ];)Oilitica turca, Ella può rassicurarlo, confermandogli che la situazione non ha subito finora sostanziali mutamenti.

Tewfik Ruscdi sa bene, del resto, che il Governo fascista ha assunto, nella sistemazione politica inJternazionale, proprie e speciali situazioni, conformi alle sue particolari responsabilità di Grande Potenza mediterranea, posizioni che non potrebbero subire cambiamenti per effetto di soluzioni men che inequivocabili e definitive e che, ad ogni modo, non si inquadrino in quelle comuni direttive italo-turche, che sono a base della politica mediterranea dell'Italia e che, lealmente e pienamente osservate da pacle del Governo di Angora, sono destinate a consolidare sempre di più la piena indipendenza politica e, conseguentemente, l'influenza della nuova Turchia.

Non è, ciò stante, da escludere che· l'offensiva amichevole franco-jugoslava di fronte alla quale Tewfik Ruscdi ritiene di trovarsi abbia di mira anche la possibilità di allentare la collaborazione italo-turca e di far rientrare la Turchia nell'orbi•ta di quella desiderata intesa dei minori stati est-europei, di cui è stata recentemente manifestazdone il viaggio di Marinkovic a Varsavia, che dovrebbe porre a disposizione della Francia un mezzo di azione più esteso deHa Piccola Intesa.

Sta, quindi, a Tewfik Ruscdi di giudicare come gli possa convenire di far fronte a tale offensiva amichevole e di decidere se gli torni il conto di annullare i risultati della sua lunga opera diretta a creare alla Turchia una posizione internazionale di primo piano e di .ricondurla a delle situazioni di vassallaggio, politico ed economico, dalle quali essa si era voluta definitivamente liberare (2).

• L'E.V. cerchi, ad ogni modo, di seguire attentamente, nel presente momento, gli sviluppi degli orientamenti politici di Tewfik Ruscdi, che interessa conoscere per quanto possibile esa,ttamente.

Per quanto conceme, in particolare, le relazioni economiche italo-francesi ed italojugoslave, aggiungo che sono effettivamente in corso dei negoziati per adeguare alle speciali, presenti circostanze le vecchie stipulazioni concluse coi due paesi, specie in materia tariffaria. Tali negoziati, peraltro, che vertono sopra un terreno strettamente tecnico, non possono, naturalmente, avere ripercussioni che esorbitino da tale campo •·

(l) -T. per corriere 4209/334, del 15 dicembre, per. il 21, e t. per corriere 4210/335, pari data. Di quest'ultimo si pubblica qui il passo seguente: «Ho l'impressione che tanto questo discorso relativo alle relazioni franco-turche quanto l'altro relativo a quelle turcojugoslave (mio telegramma per eorriere 334) mi siano stati fatti da Tewfik Russdi bey per conoscere se nelle relazioni itala-francesi e itala-jugoslave stia avvenendo qualche fatto nuovo che possa ripercuotersi sulla politica turca e probabilmente che Tewfik Russdi beysi trovi nel momento di prendere qualche decisione. Ai suoi sondaggi ho risposto di non essere a conoscenza di cambiamenti di qualche importanza •. A margine Guariglia ha annotato: • Nulla di cambiato •. (2) -La minuta proseguiva con questi due capoversi che sono stati cancellati da Grandi:
147

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 3242/1407. Tirana, 31 dicembre 19.31.

La situazione dell'opinione pubblica e di quella dei governanti è presto

riassunta: paure, dubbi, meravigl.ie e speranze; paure, dubbi e meraviglie dei

rappresentanti del regime e loro aderenti; meraviglie e speranze dei nemici

del regime, cioè di molta parte degli albanesi siano essi o non siano per pro

prio conto italofili.

La prima cosa, da tutti rilevata, è che dalla fine del novembre, l'Italia ha inaugurato una politica di riservatezza finanziaria: e cioè, ha sospeso l'arrivo dei soldi del prestito, mentre la cassa albanese versa già in ristrettezze talvolta tormentose. È ben vero che io, pur con dire prudente e non molto caloroso, nego consistenza alle paure che la fonte del prestito debba disseccarsi; anzi, non ho mai mancato di dichiarare che, se saranno superate secondo la logica ed il punto di vista nostro le difficoltà che arrestarono il funzionamento della Commissione Reale, tornerà la Commissione stessa, riunendosi dopo le vacanze, a distribuire la linfa come prima. Ma sta tl fatto che la Commissione non funziona, e che qui sono abituati a connettere fra loro i fatti e a non fidarsi delle parole cortesi e· concilianti: onde si dice: non è intenzione dell'Italia condurci alla disperazione al suono delle parole concilianti del Ministro?

D'al•tronde, :Le parole concilianti sono mie. Ma dall'Italia, son venuti ancora contrassegni di temporale.

Il Signor Stylla, giungendo da Roma, ha recato direttamente al Re notizie che lo hanno molto turbato. E cioè: il Duce è deluso ed accigliato, Palazzo Chigi non cela il proprio disappunto profondo; la confidenza, la fiducia in Zog è scossa: la famosa nota del 2 dicembre (1), dovuta alla penna di Gemil Dino, è pure spiaciuta, e non si sa quando verrà la risposta. Il Signor Stylla ha creduto di sentire chiaramente nei discorsi dei nostri funzionari di Roma, il tasto di una differenziazione fra l'Albania ed il Re; e non ha mancato di riferirne a Zog. È vero: ha detto anche che l'Italia non avrebbe mutato la propria attitudine benevola verso il paese, sia dal lato dell'assistenza tecnica che da quella finanziaria; ma l'ha detto in tono minore, ben lungi da quegli squilli di fanfara d'argento a cui Zog era stato accostumato, quando, tra Roma e Tirana, andavano e riedevano, nei passati tempi, .i messaggeri che gli recavano i premurosi favori dell'Italia. Aggiungo che quanto il Signor Stylla ha detto al Re, lo ha

ripetuto a:l suo protettore il degno e rispettabile Signor Pandeli Evangjeli, e con ancor meno peli sulla lingua. Inoltre, i varii servizi informazioni del Palazzo debbono aver istantaneamente funzionato, perché, due· giorni dopo, Shefket Verlazzi mi ripeté per filo e per segno i messaggi dello Stylla al Re. Quindi, le cose si sanno in giro.

La scorsa settimana è poi g.iunto anche Ekrem Bey. Questi ha portato al Re novità dello stesso genere, cristallizzate in un foglietto di appunti (visto da me) che riassumono le sue impressioni romane: conversazioni con S. E. Grandi, con S. E. Lojacono, coi signori dell'Ufficio Albania. Secondo quanto Libohova ha narrato al Re, il Generale Pariani sarebbe in disgrazia, e sarebbe corrente a Roma l'opinione che egli (il Generale) si sia dimostrato impari al compito poHtico che si volle arrogare, ed è destinato ad essere richiamato. Libohova ha ripetuto inoltre a<l Re di aver avuto la sensazione precisa che l'attuale politica militare e di armamento ad oltranza dell'Albania, fosse dovuta precipuamente all'influenza del Generale PariarliÌ, e che, se questa influenza si fosse eclissata, ne sarebbe venuta di per sé una revisione delle direttive nel campo della così detta collaborazione· militare italo-albanese (1).

Come V.E. immagina, il Re si è parecchio agitato. Il Signor Stylla ed Ekrem Bey gli hanno fatto anche <intendere che la famosa nota del 2 dicembre è stata uno sproposito. Sproposito per il tono perentorio, per ·le richieste eccessive concernenti la S.V.E.A. e ancor più, nei riguardi degli interessi albanesi, sproposito l'aver senz'altro implicitamente· ammesso che l'Italia poteva credersi giustificata a sospendere la corresponsione del prestito per ragione di • mancata collaborazione politica •. La colpa della nota viene ora gettata su Gemil Dino, il che dev'essere anche giusto, fino ad un certo punto. Su Gemil Dino (sia detto di sfuggita) viene caricata anche, dal Signor Stylla, la responsabilità di avere intrigato contro il rinnovo del Patto ed in maniera determinante. Ora, mi accorgo bene che la duplicità ed il veleno segreto del Dino contro noi e contro lo stesso Re, erano superiori a quanto credessi; ma ad accollare a lui la colpa del mancato rinnovo, secondo me, si casca in uno dei casi in cui, a pensar male, si fa torto anche ai birboni. Il Re, per conto proprio, aveva deciso, fin dall'inizio di non rinnovare il Patto, e di ingannarci. A sua scusante posso dire soltanto che la bugia è talmente in lui una seconda natura, che ne ha perso ogni sensibilità ed oggi, di fronte al malumore provocato dal suo contegno, chiede a tutti con ll!Ila certa sincerità: che cosa ho fatto? e si atteggia ad innocente perseguitato.

Fer finire, Libohova mi ha narrato che il Re ha pesato con lui tutte le possibilità della situazione: dalle meno gravi, a quena che il Re ritiene la peggiore, la mossa estrema del nostro malcontento: l'abbandono dell'Albania a se stessa, sospendendosi ogni aiuto finanziario ed obbligandola in più a spre

«L'azione offensiva. specie nel Kossovese, (sia da Kukus che da Dibra) e specie se collegata con concorde azione bulgara, sarebbe gravissima per la Jugoslavia, inquantoch6 tenderebbe a recidere il cordone ombelicale che le consente di comunicare con Salonlcco.

L'offensiva dall'Albar.ia si svilU)Jperebbe in territorio politicamente favorevole, perché abitato da albanesi e macedoni, di massima contrari agli jugoslavi.

mere soldi per pagare la S.V.E.A. È una eventualità che lo preoccupa: e tuttavia non può persuadersi che noi adottiamo questa via (ed ha ragione).

Altro non teme. Alla distinzione fra la sua persona e l'A·lbania, cioè, che l'Italia possa rivolgersi al paese, distaccandosi da lui, minando e lasciando minare le sue basi di potenza e di prestigio, pare che non pensi. È una eventualità che non ammette o non concepisce o ci crede incapaci di realizzare. L'abbiamo fatto Re, egli pensa, ed ora se cola a fondo, con lui deve colare l'Albania e la nostra politica albanese de·gli ultimi anni.

I timori ed i dubbi del Re sono mantenuti vivi specialmente dal fatto che alla famosa nota del 2 dicembre non è ancora giunta una risposta. La cosa gli sembra di malaugurio. Io che, per la speciale delicatezza della mia posizione quaggiù, sono costretto a versare, con una mano, l'amarezza del rimbrotto e al tempo stesso con l'altra, una ragionevole dose di ossigeno di speranze, non ho mancato subito di far pervenire a sua alta destinazione la mia persuasione che una risposta alla nota la si sarebbe dovuta attendere lungamente; e che, d'altronde, conveniva che l'attesa fosse un po' lunga giacché, dato il tenore petulante dello scritto e delle richieste, più presto veniva la risposta, e più pepata sarebbe stata. Fra l'altro, feci rilevare come, all'indomani di un passo falso così grave come il rifiuto del rinnovo del Patto, chiedere un rinvio sine die del servizio del prestito S.V.E.A. era un'insolenza bella

e buona.

Il Sovrano mi ha fatto sapere ieri che assolutamente egli non si è reso conto dei gravi difetti formali e sostanziali della nota; fra l'altro, la locuzione • sine die • egli sostiene di averla intesa come sinonimo di • un tempo ragionevole •, e la colpa dell'equivoco sarebbe Gemil Dino. Ha insistito quindi nuovamente per una risposta ufficiale, per parte del nostro Ministero degli Ester:i, alle domande fatte; dichiarando che, anche tenendo il debito calcolo delle mie assicurazioni benevole, gli occorre la garanzia che egli può far pre-

La Jugoslavia si è assai preoccupata di ciò, quando venne iniziata l'organizzazione militare albanese. E possiamo senz'altro calcolare un successo nostro quello, ottenuto, di fis" sare, fin dal tempo di pace, 3 divisioni alla frontiera albanese (che diverranno 5 in caso di gueTTa). Se a queste 3 divisioni si uniscono le 3 attestanti alla frontiera bulgara, ben 6 delle 16 divisioni di pace sono dislocate nel teatro di operazione albano-macedone.

In sostanza, la nostra organizzazione militare in Albania ha provocato il dubbio stTategico sulla direzione dei nostri sforzi, introducendo una grave minaccia alle comunicazioni jugoslave nei Balcani, e ha determinato una conseguente dispersione delle forze nemiche, senza, per contro, esigere altrettanto da noi.

Essa dà speranza alle tendenze irredentiste, sia del Kossovo che della Macedonia.

I lavori stradali sinora eseguiti (od in corso di esecuzione o di studio), tendenti ad aprire comunicazioni fra la costa ed il confine, peggiorerebbero la situazione nel caso che noi abbandonassimo l'organizzazione militare in Albania, inquantoché non avremmo ottenuto che di facilitare la marcia jugoslava alla costa.

Sotto il punto di vista militare non vi è quindi alcun dubbio sulla convenienza (per non dire necessità) di continuare sulla via stabilita. · Soprattutto è indispensabile proseguire con la massima alacritd i lavori inerenti alla grande testa di ponte, incluse r.e strade di arroccamento interne a tale testa. Converrà in seguito (al più presto) provvedere alla chiusura delle porte di Scutari, Kukus, Dibra (Bucizia) e Coriza. Si possono per contro apportare nel piano stabilito le seguenti varianti:

l. -inviare in Albania i soli materiali di annuale distribuzione, trattenendo invece gli altri materiali in Italia (base di deposito a Bari-Brindisi)

2. --rallentare l'ampliamento dell'organizzazione delle forze armate regolari, dando però maggior sviluppo alle bande (comitagi) di frontiera. 3. --dar maggior vita al sentimento irredentista in confronto del sentimento nazionale (cosa questa che si potrebbe anche sviluppare in Italia, anziché in Albania) •.

parare il budget preventivo del 1932 senza timore di dover introdurre tagli radicali nel vivo delle spese.

Avrei forse, da parte mia, durante il mese di dicembre, tenuto un contegno più remissivo e dato luogo a certi pagamenti già autorizzati dalla Commissione Reale prima della sua separazione, se, proprio durante questo mese, non si fossero moltiplicati, da parte albanese, gli incidenti ed incidentini, gli sgarbi, i passi falsi, per ciò che ha tratto ad interessi italiani. Sicché, ad ogni istante, mentre mi apparecchiavo a firmare gli ordini di pagamento, la necessità di non farci pestare impunemente i piedi e dei sinceri accessi di bile mi costringevano a deporre la penna. Non ho intrattenuto mai il Ministero di queste cose: ciò darebbe luogo ad un giornale di cronaca che non ho né il tempo né il personale per tenere aggiornato. Basti dir·e che ho aperto il mese· con una sentenza di condanna, sanzionata dalla Corte di Cassazione, contro sudditi italiani, in aperta violaZlione della convenzione consolare; e :lo sto chiudendo, coll'usurpazione e la vendita fraudolenta, da parte di una canaglia qualsiasi, di una proprietà demaniale italiana a Scutari, senza che le autorità albanesi volessero intervenire per impedire lo scandalo e salvaguardare le cose nostre. Un giorno vengo a sapere all'improvviso che il Consiglio di Stato sta bocciando la nuova convenzione dell'Azienda Petroli; un altro giorno che alla Scuola Normale di Koritza viene soppresso l'insegnamento dell'italiano; un altro ancora, che stanno prendendo misure contro gli operai italiani. Ogni giorno porta una malefatta, un incidente, un allarme. Non parlo poi delle cose che non procedono : non ne procede una, senza continui lamenti e continui spintoni. In tali condizioni, se dovessi attendere, per cominciare a dare i denari, il momento o il giorno in cui potessi dire: ora le cose vanno bene, il prestito 1931 rimarrebbe tutto quanto nelle casse dello Stato italiano. Perché questa gente· potrà boccheggiare, andare a roto:li, perdere fino all'ultimo centesimo: mai potrà scuotersi dalla propria ignavia villana, mostrare un qualche po' di zelo, un qualche po' di riguardo e di premura per le cose che interessano .n loro benefattore. Giacché questa è la gravità della situazione : che non si tratta qui di offensiva vera e propria o di rappresaglie verso di noi per i noti dissapori, in modo che si possa negoziare e dire: mutate voi e muto anch'io. No. È l'indole, è .il metodo, è il carattere, dal quale sono più o meno completamente assenti quel complesso di qualità e di indirizzi che rendono possibile la collaborazione ed i rapporti dei popoli civili. L'albanese, dal Re fino all'usciere dell'ultimo municipio, è, ciascuno nella propria sfera, un individuo a sviluppo incompleto; e, se pur sembra che progredisca, non è vero: s'ingrossa, non si sviluppa, il che è cosa ben diversa.

Comunque, la persuasione che non convenisse mostrare soverchia fretta a riprendere i pagamenti -anche a mo' di esperimento istruttivo; i continui stupidi incidenti che vin via toglievano ogni voglia di ricominciare; l'assenza del presidente della Commissione prima, poi dei membri italiani; tutto ciò mi ha indotto a procrastinare. Né, del resto, è detto che la Commissione avrà la via aperta e spianata alla ripresa della sua attività. Salvo contrario avviso da Roma, salvo qualche grosso contraccambio, che non vedo pel momento quale possa essere, starò duro sul punto che ho chial'lito a V. E. col mio ultimo rapporto n. 2978/1296 del 3 dicembre '31. Non vi è proprio ragione al mondo che noi si debba sempre mollare e mollare. Anche in vista di questa battaglia cerco di procrastinare i pagamenti: perché, soddisfatto a qualche bisogno urgente, subito questa gente può di nuovo attendere, e procrastinare al di fuori di ogni limite normale.

Oso, per finire, di chiedere a V. E., per mia norma, se intende rispondere quanto prima alla nota albanese del 2 dicembre. Mi permetto di suggerire che la risposta venga data e quanto prima, e che non sia aspra. L'asprezza non ha altra conseguenza che di aumentare il subbuglio e l'inquietitudine, e di render quindi ancor più difficile il far procedere gli affari. Nessun inconveniente invece se si volesse tener la risposta alquanto nel vago. Per la

S.V.E.A. si potrebbe opportunamente rimandare il Governo albanese a trattative dirette con la Società, assicurando che il R. Governo non mancherebbe mai di intervenire, come per il passato, in prò dell'interesse bene inteso dell'Albania. Per la regolarità dei pagamenti dei prestiti decennali, riferirei alle convenzioni già stipulate e relativi impegni verbali, alla cui lettera e spirito intendiamo attenerci: il che non dice gran che. Pel numero l o (specie per lo

• équipement de· la défense de l'Albanie • ), prescindere da qualsiasi deliberazione o consiglio che da V. E. sia per esser preso in merito e rispondere in sostanza che, essendo l'Albania nostra alleata, sarà sempre naturalmente cura dei nostri organi tecnici responsabili di intendersi coi rispettivi organi tecnici albanesi per risolvere i problemi nella maniera più opportuna pei comuni interessi.

È annunciato, ora, il ritorno del Generale Pariani dall'Italia. È opinione di moltissimi che egli sia riuscito ad aggiustare con piena soddisfazione del Re tutte iJ.e cose a Roma, sebbene le impressioni riportate da Libohova abbiano assai affievolito tale idea nel Re medesimo.

Chiudo informando che, dopo più di un mese di assenza dal Palazzo, vedrò il giorno 2 gennaio il Sovrano. Lo pregherò di non discorrermi dell'incidente trascorso, essendo ciò per me un tasto troppo spiacevole, ed a nulla servendo le spiegazioni o le recriminazioni. Vi sono invece parecchi affari correnti su cui dovrò intrattenerlo: e, primo, ia questione del deposito di Durazzo dell'A.G.I.P., incagliatosi fin da quest'estate, e che ho disincagliato in questi giorni, sempre però col timore che mi infili un'altra secca e mi vi ci giaccia per altri tre mesi.

(l) La nota, firmata da Vrioni, era stata trasmessa in copia da Soragnn a Roma con telespr. 2973/1291 del 3 dicembre 1931. Non si pubblica.

(l) Cfr. un promemoria di Gazzera per Mussolini del 29 dicembre 1931 (Archivio Grandi) sulla importanza miì1tare dell'Albania. Se ne pubblica il passo seguente:

148

APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE PER L'AFRICA ORIENTALE DEL MINISTERO DELLE COLONIE, GABELLI, PER IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

(ASMA!, Fondo segreto)

1932 (1).

Il Ministro Paternò mi ha fatto recentemente una breve esposizione della nostra situazione di fronte all'Etiopia e, poiché essa mi pare interessante per la precisione di alcune idee, ritengo opportuno riassumerla all'E. V. usando, per quanto possibile, le stesse parole adoperate dal mio interlocutore.

• La nostra situazione dn Abissinia non è buona (2). Le ragioni di questa condizione di cose hanno una doppia origine: l o Gli Accordi coll'Abissinia; 2° La nostra politica di fatto con la stessa.

Abbiamo sbagliato nel fare gli accordi perché non siamo mai stati in grado di valutare ·esattamente cose, problemi e persone di quel paese.

Si è ricercato sempre e troppo il successo personale e per questo si è incominciato coll'adulare il Tafarì sin da quando egli era semplice Degiac. Il Ministro italiano ad Addis Abeba era in ginocchio davanti a Tafarì. Gli si creò così un ambiente internazionaiJ.e che nessun capo abissino aveva mai avuto e di cui egli, che è uomo di una abilità straordinaria, ha saputo approfittare in un modo che desta ammirazione.

Come rimedio fu escogitato l'accordo italo-inglese del '25, che avrebbe dovuto rimettere in piedi il precedel11te accordo tripartito. Ciò distrusse nell'animo di Tafarì tutti gli effetti di quel trattamento di amicizia che gli avevamo fatto per tanti anni e del quale quindi, perduto anche questo, non ci rimasero che i danni. Accortici di ciò, volemmo correre ai ripari col patto di amicizia, nella opinione di poter veramente mettere in essere una situazione amichevole con Tafarì.

Altro errore. Un uomo come Tafarì lo si imprigiona al minuto, lo si realizza al minuto; ma non lo si può legare con un patto qualsiasi o facendogli delle concessioni. Perciò il patto d'amicizia non può considerarsi un'arra per l'avvenire da sfruttal'e a nostro favore. Ma a questo aggiungemmo ancora un altro errore: qu~llo di aver creduto di creare una contropartita nella strada Assab-Dessiè. Ora questa strada per 1'80% giova al Negus e solo per il 20% potrebbe giovare a noi, sempre che la potessimo reaHzzare, ma il non aver posto un termine qualsiasi nel trattato, ci impedisce, anche· volendo, di esi

-o dicembre 1931, e che il 1932 si riferisca a quando il doc. è stato archiviato.

gerne dal Negus l'attuazione. Tafarì, per contro, è autorizzato a prendersi quando vogLia il porto di Assab entro il lunghissimo termine di 130 anni (1).

L'insediarsi degli abissini ad Assab costituirà per noi un danno ed un pericolo gravissimo, in quanto virtualmente quella rada diventerà loro dominio e nessuno di noi riuscirebbe a cacciarneli mai più. Non esiste dunque contropartita per noi. Anzi, il patto di amicizia è per noi una passività, mentre per il Negus costituisce una realizzazione; gli ha permesso infatti di presentarsi di fronte ai ras come il più forte e questo egli lo deve prima di tutto a noi. I ras non sarebbero mai venuti ad Addis Abeba se non c'era il patto di amicizia; io Li ho interrogati e so come la pensano (2).

La politica periferica da noi fatta è consistita essenzialmente in sorrisi del Governatore dell'Eritrea ai vari ras e di .tanto in tanto in qualche dono. Questo è stato un a:ltro sbaglio, ha servito soltanto a consacrare ad Addis Abeba che noi vdl.evamo tradire il patto di amicizia ed a metterei pertanto nella impossibilità di sfruttare quel patto. Tutta la base della politica periferica stava nelle lusinghe sopradette. Con ciò, mentre ad Asmara si faceva della poesia, ad Addis Abeba non ci si rappresentava la verità.

La politica della cosidetta morfinizzazione non è che un palliativo momentaneo.

Noi ci troviamo neilla condizione di non poterei fidare del Negus, prima di tutto per le sue caratteristiche mentali, che sono quelle di tutti gli abisSim; in secondo luogo perché per il Negus noi costituiamo una specie di valvola di sicurezza per la sua politica interna. Contro di noi, infatti, si appuntano le rivendicazioni che egli si riserva di sbandierare di fronte al nazionalismo, quando egli lo crederà opportuno per n suo consolidamento o necessario per la sua salvezza.

Potrà egli rinunciare a queste riserve? Porre questa domanda è come porre un problema che ci potrebbe condurre da un lato a rinunce e dall'altro anche ad acquisti notevoli. Lasciando invece le cose come sono, non avremo alcuna garanzia per l'avvenire (3).

È necessario quindi di trovare una soluzione.

Le soluzioni potrebbero essere le seguenti:

l o -La spartizione dell'Abissinia.

È certo l'ideale; ma non è possibile per ii momento di considerarla. Bisognerebbe, infatti, che esistesse un, accordo generale 'tra Italia, Francia e Inghilterra, le quali dovrebbero impegnarsi a procedere insieme.

È da escludersi l'ipotesi di una guerra affrontata da noi soli (4). 2o -Realizzazione in senso positivo dell'accordo tripartito. Anche questa sarebbe buona perché ci porterebbe a degli acquisti ed a nessuna rinuncia e potrebbe essere reaLizzata senza guerra. La situazione locale in

(-1) La frase è stata sottolineata da De Bono che ha annotato a margine : • Ma come? •.

tal senso è matura (intendo alludere alla unità di vedute dei rappresentanti delle tre Potenze interessate), non è matura invece in Europa (1).

Parlando col Comm. Ghigi su questo argomento, saremmo però venuti a questa conclusione: che per quanto il quadro generale della politica sia pessimo, non è da escludersi che il problema abissino possa essere la leva per ricondurre i nostri rapporti con la Francia su un terreno di pratiche intese. Non deve tuttavia cercarsi di ottenere ciò mediante un passo ufficiale, ma con un lavoro à coté.

3° -Il Negus ha fatto delle proposte, che ho comunicate. Ad esse si è risposto in modo da escludere che da parte nostra ci sia ogni idea ed ogni desiderio di considerare possibile la loro realizzazione e ciò per due ragioni: primo, perché rispondere favore·volmente sarebbe stato svalutare le nostre possibilità; secondo, perché il territorio dell'Ogaden non compensa lo sbocco al mare che l'Abissinia conquisterebbe. Questo scambio sarebbe tutto sfavorevole a noi, anche perché è da prevedersi che andremmo incontro ad un conflitto ad oltranza colla Francia (ciò che aggraverebbe la nostra situazione) (l) e perché è sempre da tener presente che cogli abissini un patto vale in quanto esso rappresenti una attuaile ed immediata realizzazione, in caso diverso il patto è da considerarsi inutile.

Ma questa terza soluzione dovrebbe anche comportare realizzazioni che vadano oltre il semplice scambio di territorio, nel qual caso essa diventerebbe assai interessante per noi. Dovremmo tendere allora a collaborare coll'America, dato che non disponiamo di mezzi. L'elemento americano sarebbe favorevole ad una collaborazione con noi (1). Ma se Roberts cadrà in mano al Governo del Sudan, allora avremo la peggio. Se le nostre organizzazioni finanziarie possono influire ed intervenire, non dobbiamo perder tempo. Se gli americani finanziano il lago Tsana coll'avallo del governo sudanese dovranno sottostare alle pretese del governo stesso (1).

Ho già dichiarato al Negus che se gli americani e gli inglesi ottengono la strada dello Tsana, allora noi riterremo lesi i nostri interessi (2). Il Negus ha risposto promettendomi che qualora si fosse presentata quella necessità, se ne sarebbe discusso.

Il Negus è un uomo pericoloso perché possiede la tecnica, sa come trattare con lo straniero, è di una attività grandissima, fertile di espedienti, ha trattato coi giapponesi e cogli americani e c'è sempre da aspettarsi da lui qualche sorpresa.

Non aveva chiesto all'America 20.000 negri, cittadini americani, per le piccole industrie e l'artigianato? E che cosa sarebbe potuto accadere in Abissinia hl giorno in cui avesse realmente ospitato 20.000 cittadini americani? Per fortuna che la richiesta non è stata accolta, anche per il parere contrario dato dal Ministro americano ad Addis Abeba, che potei indurre a ciò.

Ora è la volta del Giappone. E' già venuto in Abissinia un viaggiatore giap

ponese a raccogliere tutti i campioni degli oggetti in uso e delle merci di con

sumo; fra qualche anno avremo un'invasione di prodotti giapponesi.

La questione abissina si presenta per noi grave e difficil!e ed il peggio è

che non si può tardare a trovare una soluzione; ormai non si può più parlare di

anni, ma di mesi (1).

(l) -Si colloca il doc. all'inizio dell'anno. Ma non è da escludere che esso sia del novembre (2) -Le parole in corsivo sono state sottolineate da De Bono. (2) -L'intero passo, dalla nota 1 a qui, è stato chiosato da De Bono con: c Certo •. L'ultùno periodo è stato sottolineato da De Bono. (3) -Sottolineato da De Bono. (4) -A margine annotazione di De Bono: • Per carità! •· (1) -Sottolineato da De Bono. (2) -Noto che questa dichiarazione e m contrasto col patto italo-inglese del 1925 pelquale ci si era impegnati ad appoggiare l'Inghilterra per lo sfruttamento dello Tsann e per la strada d"accesso al lago. [Nota di Gabelli].
149

IL DIRETTORE GENERALE PER LA SOCIETA' DELLE NAZIONI, ROSSO, AL DIPLOMATICO INGLESE CRAIGIE

L.P. CONFIDENZIALE. Roma, l gennaio 1932.

Many thanks for your letter of December 28, which has reached me this

morning.

I am not the least surprised to hear that there is stili no answer from

Massigli to our last proposal (2). As a matter of fact I could almost say that

I should have been greatly surprised if there had been one!

Since Octobe·r last, when I again met Massigli at the special Session of the Council for the Manchurian question, I felt that the French were far from being eager to come to a conclusion. My feeling was strengthened by the message I veceived from you when in Washington. The scarce enthousiasme they showed to see you in Paris (which was the most practical and sensible procedure) and their insistence on a • communication écrite •, were obviously indicating their intention of • trainer les choses en longueur •, as you say. Today their is not the slightest doubt left in me that the French do not intend to subscribe to any agreement until they can see what is going to happen at the Disarmament Conference. Very likely they think it wise to keep the naval card in store for some future bargain!

Anyhow, I quite agree with you that any pressure at this stag·e would have no practical result and that the best thing to do is to • wait and see •. We are in the position of those who have done their very best, who have shown more than a coneiliatory spirit. It is a good ground to stay on!

« Questa mole di lavoro è la diretta conseguenza della politica di morfinizzazione verso l'Imperatore, la quale ha avuto anche nel campo politico due inconfutabili riprove. Il grave incidente del Sultano del Birù, trucidato dalle nostre truppe in territorio abissino, e la spedizione dell'Ogaden. Il primo incidente è finito come noto con la completa tacitazione della forte e fondata protesta presentatami dall'Imperatore (poco dopo il mio arrivo); il secondo incidente è finito col riconoscimento per ordine dell'lmr>eratore, da parte del corpo di spedizione, dei posti armati italiani collocati in territorio abissino.

Nel campo politico estero: ravvicinamento con i Francesi e collabora~ione con gli

Americani ».

Our American visit has been very interesting indeed. I may add that it has helped me to a nearer understanding of the recent developments. If we want American cooperation, we must understand and take into account the feelings of the american • man in the street •, which sometimes may be a little wrong but which exist and have to be rekoned with. Among other things one must not forget that the popular demand for disarmament is extremely strong in the States and that a lack of succes at the forthcoming Conference in Geneva would not fail to react very unfavourabl'y on the future American attitude towards the debts question.

I hope, my dear Craigie, that in spite of the fact that they will reach London behind time, Mrs. Craigie and yourself will stili accept the sincere wishes I am sending you for the New Year. And-forcing a little the optimistic vein -let us hope that 1932 is keeping in store for ali of us something better than its predecessor did! (1).

(1) Alcuni giorni dopo la riunione del 16 dicembre (cfr. p. 235, nota 1), Paternò trasmise a Grandi un elenco delle questioni da lui trattate ad Addis Abeba fra il dicembre 1930 e il novembre 1931. Di questo elenco si pubblica il Passo finale:

(2) La proposta era stata fatta dal Craigie a Massigli con una lettera dell'H novembre 1931 (cfr. DB, Il, n. 301).

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO

T. (P. R.) 35/2. Roma, 2 gennaio 1932, ore 23.

Telegramma V.E. 961 e precedenti.

PregoLa esprimere Governo federale vivo compianto per uccisione funzionari americani in seguito vili attentati preparati contro RR. Consoli. Compiacciomi con RR. funzionari scampati dal pericolo. Approvo azione V.E. presso Governo federale.

l( Puoi pensare se seguo con ansia le vostre trattative. Con ansia, ma con fiducia. Dopo la battaglia di Londra, sei ben ferrato. Non so nulla di più di quanto dicono i giornali. Ma mi permetto di esprimerti, per quel ,che vale, il mio parere.

Noi siamo, mercé la vostra energica condotta di Londra, in buona posizione. Non ci deve spaventare neppure la corsa agli armamenti, di cui ci minaccia la Francia. A mettere un limite alla corsa ci penserà sempre l'Inghilterra, che non ammetterà mai una flotta francese superiore al 50%, al massimo al 60% della sua flotta. Ora noi per una flotta di 650-700.000 tonnellate abbiamo i mezzi.

Ancora due osservazioni.

La prima. Non ci conviene affatto rinunciare alla costruzione delle 70.000 tonnellate di navi da battaglia. Qui la parità esiste di diritto e noi abbiamo tutto l'interesse a trascinare la Francia su un terreno, in cui la parità non può esserci contestata. Tanto più che, dopo l'apparizione delle grandi navi, capaci di combattere e non solo di fuggire, il resto della flotta

verrà automaticamente svalutato. Seconda osservazione. Sopra una flotta di 600.000 tonnellate la differenza, di cui parlano i giornali francesi, di 157.000, è enorme e inaccettabile.

Sopra l milione di tonnellate 150.000 sono piccola differenza. Sopra 600.000 sono una grossa differenza, fanno una marina inferiore di un quarto. Nella grande gu::orra bastò la differenza di un terzo per rendere impotente la flotta tedesca.

Quindi non dovete che persistere nella tattica di Londra. Tener duro. Tutta la ragione è con voi)).

Sarà opportuno indagare attraverso arrestati se attuale manifestazione criminosa sia manifestazione antifascismo locale o disposta da centro europev col quale codesti antifascisti hanno frequenti contatti e direttive.

(l) Massigli rispose alla proposta di Craigie il 6 gennaio 1932 (cfr. DB, II, n. 362) e ne informò Rosso con lettera del 9 gennaio. Grandi cosi commentò la risposta di Massigli: • Tale risposta, pur non contenendo un esr>licito rigetto della proposta, solleva delle obiezioni più o meno fondate che mostrano, chiaramente a mio avviso, l'intenzione francese di non arrivare ad un accordo • (1.202119/28 a Sirianni, del 23 gennaio 1932, in USM, cart. 3291/4). c Le conversazioni ufficiose circa le possibilità di un accordo italo-francese continuarono a Ginevra per tutto il 1932 nel quadro della Conferenza del Disarmo • (da un appunto del ministero, privo di data). Si pubblica qui, per il suo interesse retrospettivo, una lettera di Alfredo Rocco a Grandi, datata Roma, 27 febbraio 1931, relativa al negoziato navale itala-francese e conservata in ACS, Carte Susmel, busta 9 (Grandi):

151

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. (P.R.) 64/4. Washington, 4 gennaio 1932, ore 7,43 (per. ore 4,30 del 5). Telegramma di V.E. n. 2

Venerdì scorso l'assistente segretario del Postmaster Generai mi disse che tutti gli ispettori postali, che sono cinquecento, sono stati messi al lavoro per scoprire gli autori degli attentati. Anche il servizio segreto del Dipartimento della Giustizia è all'opera, oltre naturalmente le varie autorità statali. I RR. consoli interessati prestano tutta la loro collaborazione.

In relazione mio telegramma n. 956 informo che si è accertato dal registro dell'ufficio postale di Easton che la bomba colà scoppiata non era diretta a questa Ambasciata.

Il noto dottor Fama ha telegrafato al deputato Fish di New York insinuando che il complotto sia opera di agenti provocatori fascisti ovvero di terroristi. Fish, noto ricercatore' di pubblicità, si è fatto intervistare ieri ed ha espresso intenzione di presentare una risoluzione alla Camera per una inchiesta sulle attività fasciste e antifasciste in questo paese.

Stamane ne ho parlato con uno dei segretarJ. di fiducia di Hoover col quale sono in relazione ed ho attirato la sua attenzione sul pericolo che una qualunque procedura parlamentare dia luogo a strascichi di pubblicità creando malintesi. Ho affermato, e il mio interlocutore ha pienamente convenuto, che il R. Governo e i suoi rappresentanti non perseguono nessunissima sorta di propaganda fascista in questo paese. Ho ricordato ,lo scioglimento della Lega fascista. Ho detto che alcune personalità americane hanno lamentato -anche pubblicamente -il fatto che idee generali di natura fascista prendano piede qua e là nella pubblica opinione. Ciò avviene, ho osservato, per reazione naturale alle malefatte dei politicanti e dei parlamentari, ma sarebbe idiota di renderne responsabile il Governo italiano e i suoi rappresentanti.

Il mio interlocutore, che mi lasciò intendere il suo personale modo di vedere, parlerà subito al Presidente e darà opera ad evitare che la manovra di Fama ottenga successo.

Quindi ho parlato negli stessi termini col capitano Reguier, essendo Stimson indisposto e Castle fuori di città. Anche egli avvJ.cinerà oggi stesso deputati della commissione degli Affari Esteri, e convenne pienamente con quanto gli dicevo.

Per una coincidenza per lo meno strana il giudice Cotillo giovedi scorso, in una cerimonia a New York, denunziò l'opera di coloro che mascherandosi sotto forma di lealtà propagano idee contrarie alla democrazia americana ed al vangelo di divise fedeltà [sic].

Ho scritto al R. console generale a New York che se Cotillo intende come sembra riavvicinarsi a noi, ha scelto male la sua strada falsificando le direttive che noi seguiamo in tutta sincerità riguardo gli italo-americani, e l'ho pregato di esprimermi il suo avviso.

Per conto mio osservo che le suddette manifestazioni di Cotillo e di Fama potrebbero indicare che da parte degli antifascisti si tenti ripetere per inconfessabili motivi internazionali la manovra che fu tentata durante l'incidente del Generale Butler, cioè di travisare la nostra attività relativa agli italo-americani. Queste manovre debbono fallire ora come fallirono al tempo dell'incidente Butler.

Anche nei miei due colloqui di stamane ho rilevato che resta assolutamente ferma la fiducia del Governo americano nella nostra sincerità.

Però occorre vigilare e controbattere e mi permetto ripetere che la mia azione oggi, come un anno fa, è intralciata dalla mancanza di un giornalista italiano accreditato che prenda parte alle riunioni della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato e che frequenti corridoi del Congresso.

Mi permetto insistere nel senso del mio telegramma n. 951 del 30 dicembre u.s. (1), avvertendo che Fumasoni Biondi si potrebbe subito assumere a titolo di esperimento. Avverto anche che qualsiasi persona, anche degnissima, che non abbia conoscenza de1l'ambiente americano e che non parli correntemente la lingua, non servirebbe a nulla.

(1).

(1) Cfr. n. 150.

152

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 25/15. Berlino, 4 gennaio 1932.

Ieri il Cancelliere del Reich è rientrato in Berlino dal suo breve congedo che ha trascorso a Treviri, in compagnia del prelato Kaas suo amico personale e capo della frazione parlamentare del centro.

n prelato Kaas ha fatto ultimamente, e secondo il suo solito, un lungo soggiorno a Roma. Ciò, per naturali conseguenze, riporta in prima linea, nelle conversazioni e discussioni politiche, il quesito della condotta politica del centro nelle prossime lotte politico-parlamentari e quello dei rapporti tra Briining e il centro con Hitler e i nazionali socialisti. Come ho già scritto, se Briining e Hitler arrivassero a mettersi d'accordo, la situazione politicoparlamentare sarebbe sollecitamente chiarita e la Germania avrebbe un Governo forte sostenuto da una forte maggioranza. Quest'accordo è nell'aria -ma per ora vi rimane -ed è superfluo ripetere le ragioni che separano tuttora i due capi partito ed i due partiti. Tuttavia quello che oggi non è,

non è detto che non possa prodursi sotto 1a costrizione delle circostanze. Quindi è opportuno che la chiesa cattoLica e hl centro, senza cercare l'accordo, abbiano verso Hitler e il parti•to dalla croce uncinata dei riguardi che lentamente facciano dimenticare le aspre lotte passate, e favoriscano una probabilità che non è assolutamente da escludersi. Questo -stando a mie informazJoni personali -sarebbe il consiglio che il prelato Kaas avrebbe portato dalla Città del Vaticano al Dr. Brtining.

Per valutare equamente questo consiglio occorre tener presente che una

. grande parte dell'alto clero tedesco: H Cardinale di Colonia, quello di Breslavia e quello di Monaco hanno in passato pronunziato veementi parole contro Hitler e il partito nazionalsocia1ista -e che una parte abbastanza considerevole del clero cattolico, capitanata dal vesco·vo di Berlino, si era gettata in pieno nella corrente del riavvicinamento alla Francia, compromettendosi agli occhi dei partiti di destra e dei nazionali socialisti. Il ripiegamento del partito del centro e di alti prelati da posizioni prese, non può esser quindi che lento e a scaglioni. Per il momento l'alto clero si è limitato a lanciare pastorali esortando alla pace interna. Occorrerebbe poi che questo movimento non venisse disturbato da errori da parte nazionalsocialista (come p.e. il matrimonio del Dr. Goebbels che ha fatto incorrere lui, Hitler, iJ. Generale von Epp nella scomunica), da eccessi di linguaggio o da affrettate risoluzioni.

(l) N. 9237 (P.R.) (assegnato all'Ufficio Stampa). [Nota del documento].

153

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 5/2. Vienna, 4 gennaio 1932.

T·elespr. ministeriale n. 490 del 28 dicembre 1931 (1).

Credo che le preoccupazioni di Berlino per le voci giuntevi di un prossimo colpo di mano delle • Heimwehren • siano suscitate da considerazioni di carattere non internazionale bensì nazionale. Se veramente gli interessi della pace del mondo stessero sopra tutto a cuore al governo germanico, mi sembra avrebbero dovuto cominciare con l'astenersi da quell'insulso tentativo di unione doganale che è stato il principio e una delle cause dell'ulteriore aggravarsi, nell'anno testè terminato, della situazione europea. Da quanto qui appare, e per taile ragione e entro tali limiti ne parlo, ciò che si teme in verità a Berlino è tutto quanto possa ostacolare o ritardare quell'annessione che rappresenterebbe per la pace europea un pericolo assai più grave di un colpo di mano delle • Heimwehren • : vi si paventano quindi Quei disegni francesi di confederazione danubiana che appunto il progetto di unione doganale ha ridestati e rafforzati. Perciò, specie dopo che Starhemberg ha pubbli

Koepke mi ha detto essere questa voce giunta anche al suo orecchio. Dietro le quintestarebbe Seipel con tendenze politiche però finora non bene decise. Koepke spera che come più volte in passato, anche oggi, alla voce sia per non rispondere realtà, perché altrimenti situazione internazionale già assai preoccupante assumerebbe aspetto minaccioso •.

camente separato la sua causa da quella dei nazionalsocialisti, non so\o questi ul·timi ma anche la stessa :legazione di Germania combattono qui lui, e più ancora che lui Seipel il quale lo dirige, e •ingiustamente si vuole far apparire come francofilo confederazionista, soltanto perchè è antiannessionista e tutt'al più legittimista. Se il presente gabinetto aust11iaco deve cadere, la Germania così ufficiale come nazionalsocialista vuole qui un ministero in cui rimanga Schober e in cui partecipino i socialisti: esso non muterebbe nulla dello

• statu quo •, e permetterebbe a Berlino di continuare nella propaganda annessionista per la quale giungono qui sempre fondi di cui una parte, da quanto assicurano le • Heimwehren •, va anche a alimental'e la campagna anti-italiana in Tirolo. Starhemberg nonchè altri dei suoi mi hanno detto non avere i nazionalsocialisti tedeschi nascosto loro che, pur di evitare il pericolo di un ritorno di Seipel al potere, non avrebbe per essi molta importanza se l'Austria si bolscev•izzasse per un paio di anni: ciò non comprometterebbe l'annessione anzi la affretterebbe. Al che Starhemberg rispondeva che gli austriaci possono non spingere a tali estremi l'amore per i loro maggiori fratelli.

Circa il fondamento della voce del colpo di mano, devo dedurre, da quanto mi disse Starhemberg l'ultima volta che tlo vidi e cioè prima delle feste, che essa non ne ha. Gliene riparlerò nel nostro prossimo incontro. Ma Seipel !la smentisce.

Circa infine la notizia di richieste di fondi a Berlino da parte di membri delle • Heimwehren •, non ne so nulla ma non la considero inverosimile. Fra i difetti dell'organizzazione v'è la poca disciplina, e come· spesso dirigenti locali delle • Heimwehren • hanno direttamente o indil'ettamente domandato fondi a noi, possono averne domandato anche in Germania. Ma nessuna autorizzazione era stata data da Starhemberg per le richieste dei suoi gregari all'ItaHa alle quali si opponeva, e così del pari nessuna ne deve aver data per quelle a Berlino per le quali non deve essere meglio disposto. Si tratta di .iniziative private con cui chi domanda vuol sempre innanzi tutto avvantaggial'e le proprie tasche, e talvolta anche procurarsi i mezzi con cui spera sostituire a Starhemberg se stesso o uno dei suoi amici. Anche di tale argomento parlerò con quest'ultimo, senza beninteso accennare alla fonte della notizia.

(l) Col quale il ministero trasmetteva la notizia seguente, comunicata da Orsini Baroni il 23 dicembre: • A Berlino, specie nei circoli nazional-socialisti, si parla insistentemente eventualità a breve scadenza colpo di mano in Austria contro il Governo da parte Heimwehr.

154

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 63/51. Vienna, 5 gennaio 1932.

Mio telespr. n. 2 del 4 c.m. (1).

Starhemberg mi ha detto che per il momento l'unico caso in cui crederebbe necessario un colpo di mano sarebbe ove si preparasse qui una dittatura rossa, e in tal caso anche i generali di questo ministero della guerra

marcerebbero con lui. Ma il pericolo di un'assunzione del governo da parte dei socialisti, il quale pareva ancora un mese fa possibile, sembra ora escluso.

Di richieste di fondi a Berlino da parte di suoi gregari, non sa nulla. Se la notizia è vera, deve trattarsi di seguaci di Pfrimer di cui sono note le speciali simpatie per la Germania.

Al riguardo osservo che anche questo ministro di Francia ha in sospetto Pfrimer per tale ragione. Raccomando evitare che di auanto precede sia data notizia al governo germanico o ai nazionalsocialisti ( 1).

(l) Cfr. n. 153.

155

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (2)

T. POSTA 53/13. Zagabria, 5 gennaio 1932.

Quest'oggi è giunta una lettera del dr. Pavelic, emigrato politico, diretta a un maggiorente dell'opposizione croata, in cui egli esprime il suo fermo convincimento di passare le prossime feste pasquali in seno ai suoi congiunti e nella sua amata e libera Croazia, e ciò in seguito al favorevole ed efficace intervento del Governo d'Italia a favore della Questione croata (3).

I contadini, eccitati specialmente dalla grave crisi economica e dalla quasi assoluta mancanza di denaro, sono ora più che mai decisi ad una generale insurrezione contro la

dinastia, il Regime e lo Stato... Quanto al successo che possa avere 1a sommossa che si preparerebbe e al tempo in cui essa possa avvenire, debbo pur dire che la mia personale impressione è piuttosto di scet

ticismo».

Con t. posta 49/11 del 3 gennaio 1932, Umiltà aveva comunicato: • Questa opposizione croata mi ha fatto avere le seguenti informazioni:

L'ex Ministro Pribicevié, dopo il suo soggiorno a Praga, si è recato a Parigi dove ha avuto frequenti contatti col deputato Léon Blum col quale starebbe ora trattando per avere l'appoggio del suo partito in favore della causa croata. Le trattative sarebbero molto ben avviate. Prova di tali contatti sarebbero le notizie recentemente riportate nel giornale Populaire, smentite dal Ministro Spalajkovié, riconfermate poi dallo stesso giornale, di un forte deposito di molti milioni di dinari fatto dal Re Alessandro presso il "Crédit Lyonnais" e le altre notizie ostili al Governo di Belgrado, pure ora venute nello stesso ~iornalé.

Durante il suo soggiorno a Parigi, il Signor Pribicevié avrebbe saputo guadagnare alla sua causa anche il signor Berthelot, Segretario Generale al Quai d'Orsay. Dal primo corrente il Pribicevié sarebbe ora anche in stretti rapporti coll'On. Herriot.

Da altra parte, che non è quella dei capi di questa opposizione croata, sono informato, ma non ho potuto verificare la notizia, che lo stesso Pribicevié avrebbe scritto ai capi locali dell'opposizione che egli li sconsiglia di fondare più oltre le loro speranze sulle simpatie e sull'aiuto dell'Italia in prò della causa croata, poiché per il trionfo di essa sarà più sicuro l'aiuto di quegli uomini politici francesi che ora non sono al potere, ma che egli sta ora lavorando: chiara allusione a Léon Blum, Herriot...

Ma l'azione e i contatti del Signor Pribicevié con gli uomini politici francesi debbono far riflettere che nel suo programma -almeno in quello da tutti conosciuto -c'è compreso un cambiamento radicale di regime e forse di forma di governo per la Jugoslavia, ma non c'è la separazione assoluta tra Serbia e Croazia, che è invece sul programma di questa opposizione. cosi che non è illogico pensare che gli uomini politici francesi, amici di Pribicevié, sostengono forse la realizzazione del suo programma, ma siano invece decisamente contrari a quello di questa opposizione. Di modo che non sarebbe neanche improbabile la notizia che ho riferito in principio, secondo la quale il Signor Pribicevié, dopo i suoi contatti in Francia, abbia fatto qui sapere essere opportuno che questa opposizione non continui a fondare troppe speranze su un eventuale aiuto del nostro paese a raggiungere gli scopi che essa si propone •.

(l) -Auriti riferì più ampiamente sul colloquio con Starhemberg nel successivo telespresso 83/61 del 6 gennaio, del quale si pubblica l'ultimo capoverso: • Attenc!o il nuovo versamento di gennaio, per fargliene come di consueto fare la consegna da Geisser Celesia che più facilmente può mantenere con lui e con gli altri frequenti contatti •. (2) -II doc. fu inviato anche a Galli, a Belgrado. (3) -Con t. posta 4862/571 del 19 dicembre 1931. Umiltà aveva comunicato: « I capi dei contadini nei vari villaggi e nelle campagne hanno mantenuto uno stretto contatto coi loro partigiani -la quasi totalità dei ,contadini -e sono riusciti a distribuire anche un po' di armi e munizioni ora nascoste nei boschi.
156

PROMEMORIA DELL'AMBASCIATA DI FRANCIA A ROMA PER IL MINISTERO DEGLI ESTERI

Roma, 7 gennaio 1932.

S. E. M. Grandi a bien voulu dire à plusieurs reprises à M. de Beaumarchais Qu'il s'emploierait à faire cesser la campagne irrédentiste menée, en ce qui concerne la Corse, par certains milieux italiens et principalement par [e Telegrafo de Livourne.

Cette question a, en outre, fait l'objet de plusieurs communications de cette Ambassade au Ministère Royal des Affaires Etrangères, notamment de la note verbale du 7 novembre 1931, ·et de démarches auprès de M. Lando Ferretti, le 18 novembre, auprès de M. Pittalis, le 29 novembre.

L'Ambassade se voit à so n vif regret obligée de constater que la campagne du Telegrafo n'a subì aucun arret et que dans chaque numéro, de l'Edition de la Corse, non seulement les attaques les plus vives sont dirigées contre la France, mais des articles visant nettement au rattachement de la Corse à l'!talie so n t publiés. A l'appui de ses affirmations, l'Ambassade remet en communication au Ministère Royal les numéros du journal du 17 décembre 1931 et du 1er janv.ier 1932, qu'elle lui serait reconnaissante de lui renvoyer.

Cette campagne a des ramifications dans plusieurs vihles de la Péninsule. C'est ainsi QUe M. Edmondo Pellegrino, professeur à l'Institut Technique de Bari, mène ouvertement une propagande parmi les étudiants en faveur de la Corse italienne, distribuant à ses élèves des .tracts anti-français et des exemplaires du Telegrafo, journal donrt il a été le collaborateur.

L'Ambassade signale à toutes fins utiles que le Ministère français de l'Intérieur a récemment interdit la publication du journal antifasciste de Lyon intitulé: Insorgiamo (1).

157

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, E AI MINISTRI A BUCAREST, PREZIOSI, E A BUDAPEST, ARLOTTA

T. 23. Roma, 8 gennaio 1932, ore 24.

Nelle conversazioni che il Signor Argetoiano ha avuto recentemente a Roma con S. E. il Capo del Governo e con me si è parlato soltanto genericamente della situazione politica attuale, senza approfondire nessuno speciale

argomento e limitandosi a constatare lo stato di cordialità dei rapporti italoromeni ed il comune desiderio di renderli sempre migliori. Non si è nemmeno parlato della rinnovazione del Patto italo-romeno (1). L'attività del signor Argetoiano si è piuttosto rivofta a questioni di carattere economico ~nteressanti i traffici ita:Io-romeni e le attività italiane in Romania.

(Per Angora e Budapest). Prego V. E. (V. S.) informare di quanto precede cotesto Governo.

(l) Con r. 113/64 del 7 gennaio l'ambasciata a Parigi trasmetteva copia • di una nota verbale presentata al Quai d'Orsay in seguito a dispo•izioni mini,teriali avute, per richiamare nuovamente l'attenzione del Governo francese sull'attività svolt~ in Fran~h ai danni del nostro Paese dalla Concentrazione antifascista , (appunto ministeriale del 13 gennaio 1932).

158

IL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONGINI DUCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. 2041. Roma, 8 gennaio 1932.

Mi pregio di accusare a V. E. ricevimento della nota n. 00851/46 del 24 novembre u.s., nella quale si esprimeva il rincrescimento del R. Governo per non poter rispondere favorevolmente alla richiesta da me fatta circa il Rev.mo Francesco Niccoli, candidato alla sede vescovile di Colle Vail D'Elsa. Codesto

R. Ministero dava la seguente motivaz.ione: • Le notizie raccolte dalle RR. Autorità competenti sul conto del predetto sacerdote non sono a lui favorevoli ai riguardi politici. Risulta in particolare che egli ha spiegato opera attivissima a favore del partito popolare, circostanza questa che apparirebbe anche non corrispondente ail'lo spirito ed alle finalità delle recenti intese •.

V. E. mi consenta che io subito Le dica come tale comunicazione. sia pur fatta in termini molto cortesi, non poteva non destare vivo rincrescimento, poiché la S. Sede, nello scegliere i candidati alla dignità vescovile, usa la più diligente attenzione, anche per quello che riguarda i loro precedenti politici, essendo di grande interesse per la Chiesa che il Pastore si trovi in bupna armonia con le Autorità civili.

Non ho mancato di portare quanto sopra, come di dovere, a conoscenza del Santo Padre, il quale, allo scopo di rendersi esatto conto delle obiezioni solLevate, m.i ha ordinato di procedere ad una riservata ed accurata indagine.

Innanzi tutto V. E. mi permetta di osservare che non potrebbe essere una rag;ione per escludere un candidato, il fatto di avere egli appartenuto al Partito Popolare in un tempo quando ciò era del tutto lecito sia nei riguardi del Regime, sia nei riguardi della Chiesa, ila quale ha stipulato l'art. 43 del Concordato, che proibisce solennemente ai Sacerdoti di far parte di qualsiasi Partito, nel 1929.

Venendo poi a mettere V. E. a parte del risultato dell'indagine circa l' • attivissima opera spiegata dal Niccoli a favore del Partito Popolare •, è d'uopo significarLe che l'accusa è destituita di ogni fondamento.

Il Sacerdote Niccoli, subito dopo la guerra, nella quale fu coraggioso e zelante Cappellano Militare al fronte, venne nominato Parroco a Sesto Fiorentino, paese che purtroppo, come tutti ricordano, era una delle roccheforti più agguerrite del socialismo e del sovversivismo. Le elezioni politiche del dopo-guerra diedero, in cifre tonde, tremila voti ai socialisti, mille ai comunisti, cinquecento ai popolari e trecento ai liberali.

Don Niccoli, che subì da parte dei comunisti vivissimi affronti nella strada e fu minacciato di essere bruciato nella canonica, ben comprese nel suo lodevole zelo apostolico che, essendo Sesto Fiorentino composto, nella quasi totalità, di socialisti, per non alienare del tutto i suoi parrocchiani dalla Chiesa, era necessario tenersi lontano da ogni attività politica; e perciò si astenne dal sostenere anche il Partito Popolare: tanto che dagli organizzatori del detto Partito ebbe la taccia di essere • antipopolare •, e solo pro forma e in seguito ad insistenze, accettò la tessera del Partito, in.viatagli a domicilio, non rammenta eg1i bene se nel 1919 o nel 1920.

E si deve a tali giusti criterii se l'opera religiosa del Sacerdote Niccoli ha potuto svolgersi con risultati molto soddisfacenti e la vita religiosa è tornata a ri:fliorire ne·l Comune di Sesto: basti citare la costruzione di una nuova Chiesa, resasi necessaria, per la quale, pur di questi tempi, egli ha raccolto la cospicua somma di L. 80.000 fra quella popolazione. Inoltre, questo benemerito Parroco non è soltanto amato dalla gran parte dei suoi parrocchiani, ma gode anche la stima delle Autorità fasciste del paese, con le Quali intrattiene ottimi rapporti: egli è stato chiamato dal Prefetto di Firenze· nel Comitato per gli orfani di guerra e fa anche parte del Comitato di assistenza pei disoccupati, coll'incarico di distribuire i sussidi.

Posto ciò, credo di non andare errato nell'afliermare che forse le Autorità centrali non hanno dato l'esatto valore a giudizi talora tendenziosi, che possono essere stati formulati da persone, le quali, a riguardo del Niccoli, non hanno saputo spogliarsi da ingiuste animosità e da personalismi, causati, a quanto pare, da qualche rilievo da lui fatto peT ragioni di moralità.

Sembra poi che uno degli addebiti più forti che si fanno a Don Niccoli sia quello di essersi opposto a:l canto del Te Deum in occasione del secondo odiosissimo attentato contro S. E. il Capo del Governo; ma neanche questo addebito ha fondamento. La vedtà è che Don Niccoli, dopo accordi col sig. Generale Guidotti, allora Commissario prefettizio del paese, aveva stabilito di cantare il Te Deum di ringraziamento per lo scampato pericolo, alla messa solenne domenicale per assicurare maggiore concorso di popolo; e cosi fu fatto. E' vero soltanto che Don Niccoli oppose H suo rifiuto al suono d~le campane al sabato precedente, per l'ora del tutto inopportuna, perché tale suono venne richiesto alle ore 23.

Questi sono, Eccellenza, i risultati della indagine fatta, sopra i quali mi pregio di richiamare l'attenzione del R. Governo affinché voglia riesaminare la pratica, essendo convinta la S. Sede che Don Niccoli, sia per lo zelo sacerdotale, sia per le v·irtù civili, ha le doti richieste per riuscire un ottimo Vescovo, nella piccola città di Colle Val d'Elsa, con soddisfazione anche del

R. Governo (1).

(l) Cfr. il t. per corriere r. 96/21/18, Bucarest 4 gennaio 1932, per. il 9, col quale Preziosi comunicava: Ghika «mi ha detto che è stata concordata con V. E un2 ulteriore proroga di sei mesi del termine utile per la denunzia del patto di amicizia itaio-romeno >. Cfr. anche n. 170.

159

IL GENERALE PARIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (Archivio Grandi, copia)

Tirana, 9 gennaio 1932.

Come da intesa verbale Le mando le mie impressioni:

l. -Il Re ha accolto con visibi·le piacere la mia dichiarazione circa la convinzione da me portata da Roma che tutto sarebbe continuato come prima.

2. -Mi chiese se una risposta sarebbe venuta alla sua nota (2). Gli risposi che tale risposta non avrebbe tardato molto. A Roma la nota era stata accolta con un certo senso di meraviglia, perché

da parte italiana non si teneva tanto alla rinnovazione del Patto quanto al fatto che il Re mantenesse la promessa fatta a suo tempo.

Il Re soggiunse che sperava di aver presto tale risposta, altrimenti si sarebbe trovato in grave imbarazzo per non aver avuto né risposta al telegramma da lui inviato al Capo del Governo per la ricorrenza dell'alleanza, né alla nota. Questi atti gli farebbero credere ad un vero stato di inimicizia.

3. -L'opinione pubblica ha riportato, dal recente incidente, un fenomeno di polarizzazione. Molti (i più) hanno sentito ora, maggiormente che nel passato, la necessità dell'amicizia e del:la conseguente leale collaborazione italiana, altri invece hanno creduto di trovare, nei fatti verificatisi, una nuova prova della necessità di diffidenza nella nostra azione, la quale finisce col mettere l'Albania nelle mani dell'Italia.

In sostanza però tutti attendono la • détente • perché, nonostante le dichiarazioni tranquillanti del Ministro Soragna e mie, non c'è ancora la certezza che tutto sia passato poiché la Commissione finanziaria non ha ripreso a funzionare, e, quindi, si ha l'impressione che continui J.a pressione di carattere finanziario.

4. -Circa l'azione di altre Potenze nei riguardi di pressione o promesse al Re, ritengo che:

a) il Ministro inglese ha, con molta probabilità, influito per il non rinnovamento del Patto, facendo capire che da Roma nulla si sarebbe fatto nel caso che il Patto stesso non fosse stato rinnovato.

La prassi era la seguente: la Santa Sede chiedeva riservatamente al Governo il suo benestare per la nomina di ogni vescovo. Di norma il benestare non veniva concesso se il candidato aveva militato nel Partito DOI>Olare. Le informazioni sul candidato erano date da De Vecchi e dal ministero di Grazia e Giustizia. Quando queste informazioni davano luogo a pareri contrastanti, la questione era sottoposta a 1\'lussolini, che, di norma, seguiva il narere del ministero di Grazia e Giustizia.

-(2) Cfr. p. 260, nota l.

b) Il Ministro americano può aver dato analogo parere, ma non mi risulta. c) Nessuna azione di altri Ministri.

d) Solo per vie indirette ,la Legazione jugoslava ha cercato di insinuare nell'animo del Re che, da parte nostra, si lavora per formarci un ambiente favorevole indipendentemente dalla sua persona, anzi certo in quel senso: contrario.

A auesta mia lettera farò seguire un promemoria (l) che sarà disgraziatamente un po' lungo ma che· ritengo doveroso da parte mia, per mettere chiaramente e senza reticenze in luce la situazione che si è andata creando, e l'azdone che, secondo me, dovrebbe esse•re svolta.

Le mando per ora queste poche notizie, perché riterrei opportuno che fosse sollecitata la risposta alla nota di Re Zog.

(l) Rocco era contrario alla nomina, De Vecchi invece era favorevole. Mussolini aveva dato parere contrario, ma, in seguito alla presente nota, il permesso venne concesso.

160

ROBERT DE CAIX (2) AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, A ROMA (Archivio Grandi, copia; ed. in PERFETTI, pp. 697-699) (3)

... , 9 gennaio 1932.

* Mon siience vous fait peut-etre croire que j'ai laissé tomber ce que vous m'aviez dit dans nos conversations d'octobre. Il n'en est rien. J'ai simplement attendu pour vous écrire d'avoir des impressions très nettes. J'avais d'autant plus lieu de le fa,ire que les choses avaient été mal engagées un peu plus tòt par l'interprétation d'un certain projet d'entrevue. La conversation dont vous m'avez parlé aurait été alors inutile. Mais la personne Que vous savez ( 4) vous recevrait volontiers si vous veniez à un moment quelconque à Paris *.

Quant au désir d'une entente, il existe certainement ici sur les bases très larges dont vous m'avez vous-meme parlé! Vous voulez un champ d'actiOill: hl ne vous serait ni contesté ni rendu plus difficile par des moyens détournés. Quant à votre sécurité eHe pourrait etre absolument garantie du còté qui vous inquiète et où vous saV'ez bien que jama.is nous n'encouragerons une entreprise contre vous si vous n'en avez vous-mèmes engagée une contre nous. Je ne m'avance à la légère ni sur un point ni sur l'autre, mais encore en raison de ce que je sais des vues du monde officiel que de ce que j'ai pu constater dans les milieux dont l'opinion peut favoriser ou rendre impossible une politique. Si ici on considève avec ;indifférence des petits ajustements qui nous couteraient sans doute peu de chose mais encore trop puisqu'ils ne règleraient vien et ne pourraient amender il'état moral qui est à la base de tout, on ne croit qu'à une entente profonde que marquerait une nouvelle orientation.

Mais comment l'apaisement sortirait-ill d'une entente qui ne pourrait se manifester publiquement que le jour où le bénéfioiaire jugera~t venu le moment d'en user? Il y a là une difficulté que personne ne peut ignorer ici et dont la solution ne saurait etre que dans la volonté de votre Gouvernement, qui tient dans ses mains l es organes de l'opinion, de la résoudre dès le moment où il se serait assuré de son entente avec nous.

Mais ici on se pose depuis un certain temps une question beaucoup plus essentielle. Tendez-vous vraiment à une entente ou désirez-vous seulement maintenir ouvert à toute éventualité un procès? Ne voulez-vous pas, quoique nous puissions faire, vous reserver de jouer la carte allemande, avec ou sans Hitler, quelques soient Ies dangers Que ce jeu implique ultérieurement? Ce sont des questions que votre po1itique impose mème à ceux qui sont le plus disposés à une entente et prèts à s'y employer.

Vous m'avez parlé de certains griefs qui, après 'longue réflexion, me paraissent ne pouvoir résulter que de malentendus et n'exister que dans les imaginations. Notl'e jalousie à votre égard? Proposez-vous donc des objets qui ne menacent pas directement nos situations acquises et vous pourrez en juger. L'hégémonie à la Philippe II dont vous m'avez parlé? Vous n'avez qu'à vous rendre compte des forces dont nous devoos tenir compte, et parmi lesquelles votre attitude nous oblige bien à ranger la vòtre, pour juger que ce que l'on dénonce comme moyens d'impérialisme devrait ètre simplement appelé précautions. Ne parlons pas d'effectifs officiels mais, sinon d'armements clandesti_ns puisque votre organisation fasciste n'a rien de dissimulé comme certaines organisations allemandes, d'armements à còté qui compensent, et au delà, les effectifs officiels. Vous ètes trop financier pour partager les vues de ceux qui croient que l'or a été sistématiquement appelé dans les caves de la Banoue de France comme moyen d'hégémonie et ne discernent pas que les capritaux que cet or représente pourraient s'en aller demain en grande partie. Ceux que nous pourrions preter seraient sans aucun doute mis à la disposition d'entreprises qui ne nous menaceraient pas d'une agravation de dangers politiques ni d'une • congélation • de crédits. Il y a là une question dans laquelle nous n'apportons d'autre parti p11is que celui de ne pas affaiblir notre diplomatie et de ne pas gaspiller notre épargne. Il faut se rappeler les pertes QUe celle-ci a subies pour comprendre ce còté de la question qui d'ailleurs pourrait etre résolue.

Je m'•excuse de vous écrire tout ceci un peu vite, mais d'une manière

qui résume bien ma pensée. Je pense d'ailleurs etre· clair puisque la réserve

que demande un papier dont l'égarement ·est toujours possible est transparente

pour vous après nos conversations. Si je J.aisse courir ma piume c'est après

avoir bien réfléchi et causé dans les milieux où je devais le faire pour avoir

une opinion. Ce que je vous dis j·e le répéterais à peu près de meme à tout

Italien qui me parlerait des relations entre nos deux Pays et dont l'opinion

compterait. J'espère que vous ne m'en voudrez pas de vous parler assez lon

guement des doutes que l'on a ici; à la réflexion vous admettrez peut ètre

qu'ils ont quelque fondation et ils sont un des éléments de la situation comme

les inquiétudes de votre propre opinion. L'important est d'écarter les scories,

de ne pas rechercher des griefs dont on pourrait faire tout un échange en re

montant jusqu'au temps de Crispi et meme plus haut et de se demander si on peut s'entendre. Or je suis certain que l'on peut le faire et selon un accord dont l'économie serait, je le répète, ce que vous avez avoué vous-meme comme pouvant donner satisfaction à votre pays.

*P. S. A la réfl<exion j'aime mieux vous envoyer ceci par la valise. L'Ambassade ne s'étonnera pas de ce que j'aie écrit au Président de ra Commission des Mandats et je ne risque pas les indiscrétions qui peuvent toujours résulter d'une défaillance postale *.

(l) -Cfr. n. 169. (2) -De Caix era il rap!)resentante nella Commissione Mandati oer gli affari di Siria. (3) -I passi fra asterischi sono inediti. (4) -Berthelot.
161

IL MAGGIORE RENZETTI AL CAPO DELLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO, CHIAVOLINI (Ed., in trad. inglese, in CoLLIER, p. 383)

Berlino, 12 gennaio 1932.

Ho parlato oggi con Hitler del progettato viaggio a Roma (1). Esso mi ha detto che si rendeva perfettamente conto delle difficoltà che si frapponevano alla realizzazione di questo suo desiderio e che pertanto non insisteva: mi ha pregato di far presente che nell'attuale situazione esso non sa quando gli sarà possibile di muoversi dalla Germania. Io g1i ho ripetuto che il Duce pensa alla Germania e che agisce anche per faciHtarla in tutte le maniere: che il Duce conosce perfettamente la situazione tedesca.

Io mi permetto, allo scopo di fare contenti costoro, di sottoporre all'esame delle superiori Autorità, la possibilità di far venire a Roma Goring. Naturalmente il suo viaggio verrebbe tenuto nascosto e motivato da ragioni di salute (il Goring in !svezia è caduto e si è rotta una costola: ha poi effettivamente bisogno di riposo e perché stanco del lavoro che compie e perché ancora sotto la 'impressione della perdita della moglie che amava appassionatamente). Il viaggio di Goring non susciterebbe certo alcun allarme e i nazionalsocialisti sarebbero contenti 'e soddisfatti (2).

Non ho accennato con alcuno di tale idea.

162

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI

L.P. Roma, 13 gennaio 19.32.

Ho letto con interesse la tua lettera (3) nella q_uale mi informi averti il signor Berthelot chiesto per il tramite deLl'Ambasciatore Beaumarchais di vederti prossimamente a Parigi e mi domandi direttive in proposito.

Con l. 522 del 22 gennaio Ghigi scrisse a Orsini Baroni: « Pre~o V.E. di vole,comunicare al Renzetti che la visita del Giiring, potrebbe, in massima, aver luogo, ma non prima di Pasqua •.

Il -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

È superfluo ti conf.ermi quanto ti ho detto in altre occasioni. Stimo sia sempre utile che personalità italiane mantengano contatti amichevoli con personalità straniere, il che non può che indirettamente giovare ad una sempre maggiore comprensione degli interessi reciproci, specie in un momento cosi importante come l'attuale.

Direttive particolari per l'incontro col signor Berthelot? Nessuna. Il signor Berthelot conosce perfettamente iil mio punto di vista. Io conosco perfettamente il suo. Da sette anni ce lo andiamo scambiando. Se H signor Berthelot ha qualcosa di nuovo da dirmi, e se egli pensa di farmelo conoscere attraverso un caro amico personale quale sei tu, ascoltalo volentieri.

Da parte mia nulla ho da dire oltre quello che egli già non sappia, e che anche qualche settimana fa <l'Ambasciatore d'Italia a Parigi ha avuto l'occasione di confermargli.

P. S. -Caro Alberto, sono stato tanto dolente per il tuo bravo figliuolo. Disgrazie dei grandi saltatori! Spero non mancherà alla prossima prova, non è vero?

(l) -Cfr. nn. 79 e 110. (2) -Annotazione a margine di Chiavolini: • Sì verso Pasqua •.

(3) Del 6 gennaio, non rinvenuta.

163

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 40200. Roma, 13 gennaio 1932.

Ricevo il telespresso N. 200337 del 5 gennaio (l); e concordo interamente con quanto l'E.V. scrive 'intorno alla questione dei confini somalo-etiopici.

Tenendo, anzi, presente la probabilità di dovere prima o poi addivenire alla delimitazione, ho già domandato a~l Governo della Somalia, e ne ho dato pure comunicazione a codesto Ministero col telespresso N. 50715 del 14 dicembre) tutti gli elementi di fatto utili alla migliore tutela del nostro interesse e alla realizzazione delle nostre finalità; avendone l'assicurazione che essi mi verranno prossimamente inviati. Ugualmente, ho raccomandato a quel Governo di facilitare situazioni locali a noi favorevoli, specie in rapporto all'esercizio di diritti di pascolo, abbeverata, transito o simili a vantaggio delle nostre popolazioni, così da creare la possibHità di utili trattative aventi per oggetto H territorio situato oltre confine. Ed anche a questo il detto Governo, con accortezza e prudenza, provvederà.

Qualora alla delimitazione si addivenisse, penso io pure che ci gioverebbe la tattica dilato11ia; al qual fine, anche, sarebbe conveniente richiedere che i lavori avessero inizio al punto in cui li interruppe :la missione Citerni: punto

• Questo R. Ministero è d'avviso che alla riserva formulata da parte etiopica si debba da parte nostra opporre una esplicita controriserva e non solo per ciò che ha riguardo ai diritti territoriali da noi acquisiti, mediante i recenti accordi Cerulli-Stafford, sino al punto di incrocio fra il 47° meridiano e 1'8° parallelo, ma anche ner i diritti che, in base ai precedenti trattati anglo-italiani del 1894 ed itala-etiopico del 1908 noi possiamo far valere anche ad ovest di quel punto, e si propone di dare conformi istruzioni alla R. Legazione in Addis Abeba>.

che, -oltre le difficoltà cui accenna codesto Ministero -può prestarsi esso stesso a molte discussioni. Risulta infatti dalla r,elazione Citerni che l'accordo tra le due delegazioni vi fu (almeno apparentemente) solo per il tratto da Dolo a Robodti, ma che oltre tale località gli abissini manifestarono, e poi sempre più accentuarono, il 'loro dissenso: cosi che la delimitazione continuò, pur contrastata, fino a Iet, ma non potè proseguire (gli abissini addussero, fra l'altro, ragioni di sicurezza), e il Citerni si limitò alla sommaria indicazione di due tracciati fino all'Uebi Scebe1i, il primo in via principale, il secondo in via subordinata.

Quanto ai criteri fondamentali cui !la delimitazione dovrebbe ispirarsi, convengo che l'accordo del 1908 (nella interpretazione Nerazzini: 180 miglia dal mare) dovrebbe servire di base, salvi i diritti territoriali delle tribù di nostra pertinenza.

Sono, infine, anch'io dell'avv-iso di opporre, alla riserva etiopica, una esplicita controriserva nostra circa i nostri diritti territoriali nella zona del noto incrocio del 47° meridiano con 1'8° parallelo: e ciò non solo (come già ebbi a significare con altro telespresso) fino al :limite del detto punto d'incrocio, ma anche ad ovest di esso.

Mi saranno gradite eventuali altre comunicazioni al riguardo.

(l) Se ne pubblica il passo seguente:

164

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 270/81/13. Angora, 13 gennaio 1932 (per. il 20)

Telegramma di V.E. N. 1498 (1).

Tefik Ruscdi bey è rimasto molto soddisfatto risposta datagli da V.E. col telegramma al quale mi riferisco, ma meno entusiasmato dell'ultimo periodo dello stesso telegramma che deliberatamente gli ho ,voluto comunicare per saggiar,e la sua reazione onde meglio accertare· le ragioni che lo avevano indotto a farmi a suo tempo i noti sondaggi sulle nostre relazioni con la Francia e Jugoslavia.

Egli ha protestato dell'inflessibile risoluzione del suo Governo di mantenere decisamente la linea politica adottata dopo lunga esperienza e dopo un periodo di lunga prova di collaborazione e d'accordo col R. Governo; trovandosi di fronte ad un'of:flensiva amichevole franco-jugoslava, egli si trovava mi ha detto -in condizioni di dovere scegliere la tattica la più consona per far fronte alla nuova manovra che si delineava e per far ciò gli occorreva conoscere: 1°) se tale offensiva rispondeva ad un piano generale adottato dal Gabinetto di Parigi e Belgrado verso ,tutte le potenze che si discostano daila politica francese ed in ispecial modo l'Italia, onde separarle; 2°) se era stata iniziata su fatti nuovi prodotti a sua insaputa ed infine 3°) quale sarebbe eventualmente la condotta delle altre potenze interessate di fronte a tale offensiva.

Di questi tre punti ritengo soltanto il secondo, perché secondo la mia impressione, è sulla base di qualche informazione pervenutagl,i che egli ha voluto sondarmi se qualche accordo avesse alterato i rapporti tra l'Italia e le due potenze in questione.

Pertanto ho sviluppato ancora i concetti contenuti nel telegramma di V.E. al quale rispondo ed ho avuto l'impressione che essi calmassero completamente qualche sua apprensione, ciò che conferma quanto ho detto più sopra.

Inutile aggiungere che Tefik Ruscdi bey mi ha incaricato di ringraziare vivamente V.E. per quanto gli ho comunicato e di trasmetterLe u11a protesta amichevole per l'uUimo periodo, circa il quale mi ha dato le più ampie assicurazioni, prendendo l'occasione per dirmi che, anche non legato da alcun trattato, egli si sente moralmente obbligato di prevenirci di qualsiasi fatto od avvenimento nuovo che ,interessi le relazioni tra la Turchia da una parte e la Jugoslavia e la Francia dalil'altra, perché crede che H R. Governo gli comunicherà nello stesso ordine di idee quello che potrà interessare la Turchia agli effetti della nostra politica comune nel Mediterraneo (1).

(l) Cfr. n. 146.

165

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DELLE CORPORAZIONI, BOTTAI (2)

N. 40179. Roma, 13 gennaio 1932.

Mi riferisco alla nota 5 corr. N. 32125 di codesto R. Ministero.

Dalle notizie avute di recente dal Ministero degli Mfari esteri, risulta che le merci che i russi intenderebbero introdurre in Eritrea, sarebbero principalmente le seguenti: frumento e farina di frumento, zucchero, petrolio, carbone, legname e cemento.

Se cosi fosse, si tratterebbe interamente di prodotti che non provengono dane industrie della madrepatria o vi provengono ~n quantità o per un valore esigui e che non vi sarebbe possibilità o convenienza di esportare dalla madrepatria anche se le tariffe doganali eritree per i. prodotti nazional,i fossero superiori alle attuali.

La importazione dalla Russia quindi, delle merci accennate non solo non danneggerebbe l'industria nazionale, ma sarebbe di vantaggio per la Colonia, che avrebbe vari generi di prima necessità a prezzi convenienti.

Questo Ministero seguirà tuttavia il corso del commercio di importazione russo in Eritrea per interv,enire opportunamente se esso risultasse dannoso agli interessi nazionali: occorre però tener presente il principio già ripetutamente affermato da questo Ministero nei riguardi delle Colonie, che non è possibile obbligare le Coloni,e -mediante una protezione doganale -ad acquistare dalla madrepatria merci che possono avere più a buon mercato dall'estero, con vontaggio della loro economia ancora giovane; mentre un'adeguata protezione doganale diverrebbe giustificata quando si trattasse di generi che le Colonie potrebbero avere a prezzi poco differenti dal Regno, invece che dall'estero, ma che, senza ragioni plausibili, volessero importare dall'estero.

(l) -A margine annotazione di Guariglia: « Vorrei rivedere il nostro telegramma •· (2) -Il doc. fu inviato per conoscenza anche al ministero degli Esteri.
166

APPUNTO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, SUL COLLOQUIO COL CONTE BETHLEN (Copia)

Roma, 14 gennp,io 19.32.

Dopo alcune parole di condoglianze Bethlen è entrato subito in argomento dicendomi che dopo quasi due anni, era venuto a Roma per tre motivi: primo per portarmi delle notizie sui problemi che riguardano i nostri rapporti, secondo per riceverne, terzo per farmi una proposta forma[e per la quale egli era autorizzato e dal Reggente e dal Governo ungherese. Comincio, egli ha detto, precisamente da quest'ultimo. La situazione in Ungheria è precaria dal punto di vista economico e da quello politico. La Francia ne ha profiHato e -debbo confessarlo -con qualche successo, come si è potuto vedere da manifestazioni giornalistiche, politiche e anche parlamentari. (Ho pensato al discorso del M.se Pallavicini) (1). Nell'estate scorsa Quando io mi trovavo al sanatorio per una operazione, venne a trovarmi Avenoil. il quale mi propose una intesa economica coHa Cecoslovacchia. Gli dissi che se ragioni politiche avevano spinto la Francia ad opporsi all'unione doganale austro-tedesca, ragioni politiche mi imponevano di essere contrario a un'intesa con la Cecoslovacchia. Di lì a poco il Ministro di Francia a Budapest fece gli stessi discorsi, prima a me poi a Walko. Fu per diradare questa bennia [sic] di equivoci, che io, per Natale, feci delle dichiarazioni che la stampa francese capovolse. Tuttavia data la crisi gravissima neilla quale si trova l'agricoltura ungherese, l'idea di trovare uno sbocco in Cecoslovacchia sorride a moltissima gente. Noi non vogliamo andare con la Cecoslovacchia ma dobbiamo uscire dalla nostra situazione di miseria. Così dopo essere passato da Vienna e avere interpellato, fra gli altri, Se·ipel e Schober, sono venuto a proporvi di creare una unione doganale italaaustro-ungherese. Vi domando, se in principio, siete favorevole. Nel Qua·l caso tornando a Vienna, dirò a quei dirigenti, che la vostra opinione è favorevole e che, se essi continuano ad esserlo, ne facciano comunicaz,ione formale al Ministro d'Italia, Auriti. L'unione doganale sarebbe una costruzione di indubbio valore politico, specie quando, in un secondo tempo, vi entrasse la Germania (2).

• Arlotta giungerà costi sabato sera trattenendosi anche domenica Vienna. Egli ti metterà al corrente conversaz,ioni avvenute durante suo recente soggiorno Roma e ti porterà istruzioni di S.E. il Ministro •.

Cfr. anche il telesn·r. s. 773 del 31 gennaio, di Grandi ad Auriti, e comunicato anche ad Arlotta: • In aggiunta a quanto Le ha già riferito il Ministro Arlotta, stimo opportunocomunicarLe più amvi !>articolari relativamente al colloquio che il Conte Bethlen ha avuto con S.E. il Capo del Governo...

V.S. -rileverà da quanto precede che il Conte Bethlen espresse bensì a S.E. il Capo del Governo la sua opinione r>ersonale che l'unione progettata italo-austrio-ungherese assumerebbe maggiore valore volitico quando "in un secondo tempo" vi partecipasse anche la Germania, ma non accennò affatto all'opportunità di comunicare fin d'ora alla Germania che si era disposti ad una sua eventuale futura accessione all'intesa stessa, come credeva codesto Vice Cancelliere (telespresso di V.S. n. 319/221 del 25 gennaio 1932). V.S. -vedrà pure che S.E. il Capo del Governo non credette di rilevare in alcun modo la suddetta opinione del Conte Bethlen né di prendere fin d'ora posizione di fronte ad essa. Tale riserva ci è imposta infatti dalla necessità di prendere nel più attento esame prima di fare qualsiasi passo in proposito, le gravi conseguenze che potrebbero derivare per la nostra economia tanto industriale quanto agricola da un'eventuale accessione della Germania alla progettata unione doganale itala-austro-ungherese. A parte ogni c~nsiderazionP

Mussolini -Vi dichiaro subito che io sono, e non da oggi, favorevole a questa intesa doganale, della quale io apprezzo soprattutto l'importanza politica, di stabilizzazione politica. La Francia non può fare difficoltà politiche a noi, ma può minacciare e lusingare ad un ,tempo l'Austria. Ragione per cui è necessario che J!e negoziazioni si svolgano, in sede prevalentemente politica, e nella forma più riservata possibile. L'annuncio dovrebbe essere dato al pubblico, solo ad accordo raggiunto.

Gli ho ricordato a questo punto gli accordi del Semmering e se Bethlen intendeva di non darvi più esecuzione in vista dei nuovi più ampi negoziati.

Bethlen -No. Bisogna darvi esecuzione.

Mussolini -D'accordo. L'applica~ione di questi accordi è un'ottima preparazione per accordi di più vasta portata. A un certo momento l'unione doganale, apparirebbe come un perfezionamento delle preesistenti intese e quindi potrebbe suscitare minore emozione. Gli ho letto a questo punto le dichiarazioni (l) che mi erano state rimesse dagli uffici e che restituisco insieme col presente rapporto.

Bethlen -Ne è rimasto soddisfatto ed ha insistito per la loro applicazione il più sollecita possibile.

Mussolini -Tre fiduciari dei rispettivi Governi, dovrebbero preparare in silenzio e senza precipitazione, il progetto di unione doganale.

Bethlen -Ne conviene e passa a parlarmi del suo incontro con Re Carol, incontro inconcludente e nel quale gli appare che Re Carol non fosse sicuro completamente di se stesso (2).

di carattere politico, è indubbio che tale unione anche cosi limitata [cioè senza la Germania]può produrre per noi inconvenienti di ordine economico, i quali però noi siamo disposti ad

affrontare in considerazione delle necessità politiche contingenti del momento attuale ed ai

fini di sventare i noti progetti di unione danubiana. Tali inconvenienti potrebbero però assu

mere proporzioni molto Più gravi nel caso di un'accessione della Germania, mentre anche i

corrispettivi vantaggi di ordine politico potrebbero molto diminuire.

D'altra parte poiché il Governo tedesco, sostenne, in occasione della trattazione del progetto di unione austro-tedesca, che esso era stato determinato ad affrettare i terupi di tale negoziato proprio in considerazione dei nostri accordi economici con l'Austria e con l'Ungheria, dai quali temeva di rimanere escluso, è bene per il momento non esprimereda parte nostra un parere assolutamente contrario all'accessione della Germania al progetto Bethlen. mantenendo invece quell'opportuno riserbo che valga a non determinare l'opposizionedi quest'ultima e a permetterei di non prendere alcun imvegno Per il futuro, conservando quellalibertà d'azione che i nostri supremi interessi non ci consentono in alcun modo di vincolare.

Quanto precede per Sua norma di condotta.

(Solo .!'er Budapest). Accludo altresi copia di un telespresso della R. Legazione in

Vienna in data 25 gennaio u.s., n. 319/221, sullo stesso argomento.

(Per Vienna). Accludo copia della lettera da me diretta al Conte Bethlen il 18 gen

naio u.s. • [cfr. n. 173].

« Il R. Governo, nel desiderio di far cosa grata ali'E.V. e di dare al Governo ed alla

nazione ungherese una nuova prova della sua sincera amicizia, è venuto nella determina

zione di mettere in vigore al più presto il contenuto sostanziale degli accordi italo ungheresi

parafati al Semmering.

Il R. Governo ritiene tuttavia che, nell'interesse dei due Paesi, convenga, prima di

procedere alla firma di tali accordi sottoporli ad una rapida revisione al fine di renderli

meglio atti a raggiungere il fine cui mirano e, introdurvi altresi quelle modificazioni che

potessero sembrare opportune per evitare che possano dar luogo ad osservazioni o proteste

da parte di terzi Paesi.

Tale lavoro di revisione dovrebbe essere subito iniziato, nell'intesa che verrà portato

a compimento entro il corrente mese e che nella prima decade del prossimo febbraio

si procederà alla firma del nuovo testo.

È intenzione del R. Governo di procedere analogamente nei riguardi dei sitnilari accordi italo austriaci , (Archivio Grandi).

Parla della resistenza dei croati.

Mussolini -Accenna ai rapporti Italia-Francia che sono Quelli che sono, date le antitesi fondamentali che separano le due politiche estere nei problemi del disarmo, dehle riparaz,ioni, della vevisione dei Trattati.

Bethlen -Mi dice che quando l'unione doganale fosse raggiunta, egli riprenderebbe il potere.

Impressioni

l) L'Ungheria ha l'acqua alla gola; 2) è lusingata dalla Francia e premuta dalle sue classi rurali; 3) vuole evadere da questa pressione attraverso l'unione doganale austro

magiaro-italiana; 4) l'unione doganale a tre r,ientra nei nostri piani; 5) di natura economica grave fra noi e l'Ungheria, non c'è che il problema

del bestiame, ma si può risolverlo in modo soddisfacente.

(l) -Gyorgy Pallavicini. (2) -Cfr. il t.r. (p.r.) 670/16 del 20 gennaio 1932, ore 20,30, di Guariglia ad Auriti:

(l) La dichiarazione, preparata dall'Ufficio di politica economica del ministero degliesteri, era del seguente tenore:

(2) Cfr. n. 117.

167

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

TELESPR. 201162/2. Roma, 14 gennaio 1932.

In relazione alla lettera diretta a V. S. dal principe Ghika riguardo all'eventuale esodo di abitanti dell'Ukraina per cercar rifugio in Romania, mi rendo conto che la richiesta da parte di codesto ministro degli esteri di un nostro intervento presso H Governo sovietico è stata probabilmente originata dal desiderio del Governo romeno di far sentire a Mosca che speciali legami lo stringono al Governo di Roma, anche per q_uanto riguarda lo stato dei rapporti russo-romeni.

Tuttavia, poiché è nostro interesse che il Governo romeno permanga nell'opinione che noi ci manteniamo in contatto col Governo sovietico su tale questione, ho autorizzato V. S. col telegramma dell'll corrente a rispondere al principe Ghika che avremmo aderito al desiderio da lui manifestato, segnalando ~a cosa a Mosca.

In realtà questo ministero si è limitato ad informare il R. ambasciatore a Mosca (l) della lettera del principe Ghika, dandogli semplicemente istruzioni di accennare alle preoccupazioni romene per l'eventuale esodo di masse ucraine solo occasionalmente nel corso di una sua conversazione col signor Litvinoff, senza approfondire l'argomento.

(l) Con telespr. 201232/7 del 14 gennaio, che non si pubblica.

168

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA R. 270/157. Parigi, 14 gennaio 19.32.

Ho avuto occasione il 22 dicembre 1931 (mio T.p.p. n. 7606/4170) di comunicare il testo pubblicato dall'Echo de Paris del progetto di patto di non aggressione tra Francia e U.R.S.S. • iniziallato • tra iil Signor Bedhelot ed il Signor Dovgalewski.

Il 4 corrente, coll'articolo che accludo (1), lo stesso Echo de Paris ha annunciato che nello scorso dicembre il Signor Berthelot ed il Signor Dovgalewski si sono messi d'accordo circa la istituzione di una commissione di conciliazione franco sovietica. La notizia non è stata né confermata né smentita. Il Signor Berthelot non sarebbe dunque riuscito (vedi mio telegramma

n. 354 del 20 agosto 1931) a portare i Sovietti all'adozione dell'arbitrato.

Le informazioni fornite col suddetto telegramma circa H collegamento tra il futuro patto franco soviettico e Quelli polacco soviettico e romeno soviettico sono esse pure apparse esatte dai fatti svoltisi dall'agosto in qua.

Le trattative tra Polonia e Soviet, tra Romania e Soviet, tra Stati Baltici e Soviet, tra Finlandia e Soviet sono infatti ora :in corso.

Ma ciò che pure è risultato 'esatto nelle comunicazioni da me fatte, è il particolare che queste trattative non potevano giungere in porto a meno che la Polonia rinunciasse alla sua pretesa che l'U.R.S.S. dovesse negoziare a Varsavia ad una tavola rotonda in cui essa fosse da una parte, e dall'altra tutti gli altri sotto la guida e ·l'egida della Polonia. Le pressioni francesi a Varsavia devono esser state ben forti per riuscire a far mutare alla Polonia un attegg.iamento in cui si era da anni irrigidita.

Altro particolare che le notizi,e di oggi dimostrano esatto è che la trattativa romeno soviettica, dal cui esito dipende quella polacco sov,iettica e quella franco soviettica, si sarebbe arenata alla questione bessarabica, a meno, cosa inverosimile che la Romania vi passi sopra, sia pure con formula indiretta. Oggi le trattative sono al • punto morto • dice l'Havas, su tale particolare. A meno che le pressioni francesi sulla Romania, prevalendosi del negoziato finanz,iario che sta qui conducendo il Signor Arg·etoianu, siano tali da smuovere Bucarest, l'intero negoz,iato cadrà (2).

• Stamane prima di lasciare Varsavia Ghika è venuto a farmi visita esponendomisituazione critica nella quale negoziati per il Patto di non aggressione tra la Romania e l'U.R.S.S. (che sono cominciati a Riga da qualche giorno) vengono già a trovarsi in seguito al rifiuto sovietico di far risultare dal contesto di esso la sovranità romena, almeno di fatto, sulla Bessarabia...

Egli mi ha chiesto pertanto di ricordare a V.E. impegno amichevole che Ella avrebbe assunto in un colloquio avuto con lui a Roma nello scorso autunno, di svolgere un'azione di "accompagnamento" Per Promuovere arrendevolezza dei Sovieti nella questione della Bessarabia...

Allo scopo evidente di interessarci a soddisfare tale suo desiderio, Ghika ha poi fatto cadere il discorso su grandi progetti di lavori stradali e di elettrificazione in Bessarabia

La Francia farà tutto quanto potrà perché ciò non avvenga. Non è però certo che vi riesca. Tuttavia quando anco vi riuscisse resta pur sempre il dubbio sulla bontà della sua combinazione diplomatica.

Questa combinazione tende all'avvolgimento germanico col dare :t'impressione che daill Mare Glaciale al Mar Nero l'URSS sarà paralizzata tin caso di aggressione tedesca sulla Francia o sulla Polonia. È da dubitare che questo piano riesca. Non è escluso che, di fatto, non abbia invece a indebolire tra qualche tempo, ed in caso di crisi be,Nica, la posizione della Francia presso Polonia e Romania, in quanto che è difficile credere che i patti attuali di non aggressione possano alterare, predominare la situazione tedesco russa basata sul trattato di Rapallo prima, su quello di Berlino dopo.

Un altro punto da metter in evidenza è dl collegamento tra questo piano diplomatico francese dei patti di non aggressione coi Soviet e quello dell'intesa economica danubiana. Se H primo mira all'avvolgimento della Germania, il secondo ha questo stesso scopo in Linea secondaria, giacché in linea primaria ha quello deill'avvolgimento ungherese e dell'indebolimento delle relazioni ,tra Italia e Ungheria. Questo secondo piano non sembra però destinato al successo, come riferisco con altro rapporto.

(l) -Non si pubblica. (2) -Cfr. il t. 127/3, Varsavia 10 gennaio 1932, ore 22,50, per. ore 6,30 dell'l!, con cui Vannutelli comunicava:
169

IL GENERALE PARIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (Archivio Grandi, copia)

Tirana, 14 gennaio 1932.

Le invio, allegato alla presente, il promemoria che Le avevo promesso (1).

In sostanza esso non dice nulla di rea:tmente nuovo, ma è l'esposizione di quanto la ormai non breve permanenza in Albania e la conseguente conoscenza di uomini e di ambiente, mi fanno ritenere necessario se si vuole che l'azione che qui stiamo svolgendo abbia successo.

Se noi non fissiamo chiaramente lo scopo al quale vogliamo tendere, e se non adotteremo un metodo rispondente ed un'azione adatta all'ambiente: non riusciremo.

Si potrà invece molto ottenere se sapremo fare.

Non è mio sistema mettere come esempio il lavoro mio, ma questa volta posso farlo perché il successo è dovuto più che a me all'anima ed al lavoro pieno di abnegazione e di fede dei miei collaboratori.

L'Albania ha affidato a noi, quasi senza restrizioni, alcuni servizi che rappresentano punti delicatissimi per la difesa di uno Stato.

che si obbliga di aggiudicare all'industria italiana e che naturalmente rimarrebbero sospesi e rinviati sine die qualora la precarietà dello statuto territoriale della regione nei riguardi dell'U.R.S.S. fosse messa nuovamente in evidenza dal persistere indeterminatamente nel suo attuale atteggiamento...

A mio avviso però il crollo, sia pure parziale, della macchinosa impalcatura di pattidi non aggressione, patrocinata ed inscenata dalla Francia nell'Europa orientale per corroborare la sua nota tesi alla vigilia della Conferenza del disarmo, non potrebbe non giovarci •·

Le interruzioni stradali sono studiate e conosciute da noi solo.

Le fol'tificazioni sono studiate ed attuate da noi, dove e come vogliamo.

Mobilitazione, radunata, operazioni, sono affidate a noi.

L'insegnamento della lingua italiana è stato reso obbligatorio nelle scuole militari rulbanesi.

Dall'anno scorso è stato adottato il sistema che nessun ufficiale potrà entrare nell'Esercito a!lbanese, se non dopo aver compiuto almeno 6 anni di scuola in Italia (3 nei collegi, 2 a Modena ed l a Parma, oppure 2 a Torino).

Tutta la regolamentazione militare è stata compilata sulla traccia della nostra. Non so se vi siano altri paesi che tanto abbiano concesso in un campo così delicato. È vero che in altri campi non abbiamo ottenuto quasi nulla, ma mi permetto di dire che non tutta la colpa è da parte albanese.

Credo opportuno soggiungere che giornalmente si va creando un nuovo nervosismo, dovuto alla incertezza della situazione, data ila mancanza di risposta alla nota (1).

Si va anzi accentuando una campagna di discredito, tendente a mettere in evidenza manchevolezze di organizzatori che, per non soverchia energia e fede, hanno finito con la scoraggiarsi e col diventare semplici impiegati d'ufficio.

ALLEGATO.

PROMEMORIA SULL'ALBANIA

Tirana, 14 gennaio 1932.

Il presente promemoria contempla 3 capi.

I -Scopo che dobbiamo avere in Albania.

Il -Metodo da seguire per conseguire lo scopo.

III -Elementi da tener presenti nella nostra azione.

I -ScoPo. -In Albania possiamo avere per scopi:

-la penetrazione: e cioè, in sostanza, una occupazione, sotto forma pacifica e limitata ad alcuni rami; l'alleanza militare: intesa a sviluppare le forze belliche del paese; -l'organizzazione del paese: intesa quasi a dar prova della maturità dell'Italia per avere mandati.

Abbiamo cominciato con la penetrazione (Banca Nazionale, S.V.E.A., E.I.I.A., Patto di Tirana).

Poi siamo passati all'alleanza (Trattato di Alleanza, Convenzione Militare, passaggio da Repubblica a Regno, sviluppo dell'organizzazione militare, nuovo prestito di 100 milioni).

Abbiamo fatto qualche passo nella organizzazione (organizzazione di scuole tecniche industriali; assegnazione di organizzatori ai vari rami della vita del paese; Commissione per l'impiego del prestito dei 100 milioni).

Lo scopo penetrazione, secondo me, dovrebbe essere quasi esclusivamente limitato a creare vincoli economici e culturali tali da avvincere a noi questo

paese. A tale riguardo si dovrebbe tendere solo a cose sostanziali, rinunciando, per contro, a ciò che è formale.

Dovrebbero cioè essere sviluppati i seguenti capisaldi:

a) sviluppo in Albania e facilitazioni per l'ingresso in Italia di tutto ciò che può essere collocato in Italia (bestiame, legname, prodotti agricoli ecc.); b) concessioni a Società italiane per bonifiche e sfruttamento di terreni; c) immissione di cultura italiana (libri, lingua, insegnanti nelle scuole albanesi); d) agevolazioni agli studenti albanesi per venire in Italia (borse, organizzazione assistenziale nei centri da prescegliersi per gli studi); e) opportuna organizzazione del servizio delle pensioni agli impiegati dello Stato (sia militari che civili); f) introduzione, sul mercato albanese, dei generi di produzione italiana che non fanno concorrenza a prodotti albanesi.

I due scopi: alleanza ed organizzazione possono fra loro facilmente accordarsi, dando per risultato un'azione coordinata che anzi, secondo me, dovrebbe emanare da un'unica direzione.

La penetrazione, purché limitata, può anch'essa insinuarsi fra le precedenti azioni ma, ripeto, ad esclusione di tutto ciò che esige una ingerenza diretta e formale.

In sostanza si tratterebbe di fissare bene i limiti di ciascuna azione, proporzlonandoli all'importanza che si vuol dare ad ognuna di esse.

Per quanto riguarda l'alleanza, tale dosaggio è in relazione all'importanza militare che si vuole dare all'Albania, importanza che viene sintetizzata nell'annesso.

Per quanto riguarda l'organizzazione, la precisazione dei limiti della nostra azione si impone, inquantoché il campo organizzazione, mentre si presenta attraente da un punto di vista generale è certo il più difficile e costoso a mantenersi. Infatti, se si dà ad esso troppo vasto sviluppo, si può produrre una dispersione di mezzi, senza avere concrete realizzazioni in nessun campo.

Secondo me non c'è che: sviluppo dell'alleanza con 'sostegno organizzativo.

II -METoDo. -Fissati gli scopi, occorre stabilire il metodo da seguire per conseguirli.

Ritengo anzitutto indispensabile che siano nettamente definite le funzioni degli enti che si trovano qui ad agire, per determinarne i campi d'azione e le conseguenti responsabilità.

In un primo tempo si è trattato di rompere le barriere che si opponevano alla nostra azione e si è lasciato all'iniziativa dei singoli il compito di rompere e penetrare.

Ora, queste azioni singole, anche se vagamente coordinate, non sono più

sufficienti. Occorre riunire le forze e dirigerne le mosse, altrimenti perderemo

anche quel poco che abbiamo guadagnato.

Le principali funzioni dei nostri organi dirigenti in Albania si possono rias

sumere in due categorie:

a) di rappresentanza diplomatica e di propaganda;

b) di organizzazione interna del paese.

La a) è funzione che fa naturalmente capo alla R. Legazione. La b) ha invece carattere assolutamente locale e dovrebbe essere svolta da appositi elementi sotto la direzione di un capo organizzatore. Il capo organizzatore dovrebbe naturalmente essere alla dipendenza del R. Ministro, dal quale riceverebbe direttive. Lo stesso capo organizzatore, pur ricevendo larghe direttive dal R. Ministro, dovrebbe svolgere la sua azione con piena responsabilità dei suoi atti, togliendo

alla R. Legazione il peso di doversi continuamente interessare di piccole que~tioni di organizzazione interna, questioni che finiscono spesso per assumere veste politica e col far criticare e mettere in cattiva luce l'azione della nostra massima rappresentanza.

Con la presenza di un capo organizzatore, che assumerebbe la veste di consigliere del Re, il R. Ministro finirebbe con l'essere l'arbitro solo nelle questioni di una certa importanza, specie nel caso in cui nascessero dissidi fra il capo organizzatore ed i singoli organizzatori italiani, oppure fra tale capo e le supreme autorità albanesi.

Al capo organizzatore dovrebbero naturalmente rivolgersi tutti gli organizzatori, per avere direttive e protezione. Egli finirebbe quindi con l'essere l'organo di coordinamento dell'azione organizzativa del paese.

Questo, secondo me, è l'unico sistema che può dare pratico risultato. Se non lo seguiremo, navigheremo sempre in un mare di scogli e non riusciremo ad approdare al porto al quale avremo deciso di arrivare; a meno che questo porto sia la rivoluzione albanese, con conseguente possibilità di guerra.

III -ELEMENTI DA TENER PRESENTI. -Circa la nostra linea di condotta, è necessario tener sempre presente :

1" -Noi non possiamo qui impegnare piccole lotte, perché non abbiamo che armi grosse, le quali danno colpi mortali.

In Albania ci siamo messi in una situazione nella quale non possiamo che

aiutare od uccidere : i mezzi termini qui non servono e sono attribuiti ad incom

petenza e debolezza.

zo -Ciò premesso, non si debbono mai fare minacce per poi non andare in fondo, altrimenti si perde ogni prestigio. Quindi, prima di fare minacce è indispensabile guardare se... la candela vale la messa, perché, una volta accesa la candela, dobbiamo bruciarla sino in fondo.

3° -Occorre perciò stabilire dei capisaldi della nostra azione (nei campi: politico, Inilitare ed economico) che debbono considerarsi intangibili e pei quali dobbiamo essere pronti anche ad entrare in lizza.

4° -Questi capisaldi debbono essere fissati in base allo scopo che si vuole raggiungere e la nostra azione deve essere intesa ad aiutare e spingere tenacemente solo quello che a tale scopo tende, abbandonando con freddo animo tutto ciò che a questo scopo non conduce.

5° -Ricordare che l'albanese ha un amor proprio quasi da malato e che ha innata profonda diffidenza. Occorre quindi con lui speciale tatto. Non usare espressioni che lo avviliscano. Non dare mai alle proprie richieste carattere di ultimatum. Gettare a tempo il seme, per raccogliere più tardi il frutto. Non dare mai troppo peso alle cose che si desiderano. Evitare azioni o parole che possano ingenerare sospetti sulla nostra azione.

6° -Di tutte le qualità, quella che più apprezza l'albanese è la tenacia perché qui nessuno la possiede. Occorre avere cioè una pazienza volitiva, con la quale si può solo superare la diffidente apatia che è qui caratteristica.

7o -Mandare qui persone serie ed equilibrate, che abbiano carattere, inizia

tiva, passione di creare e sentano la gioia della responsabilità.

Noi qui non dobbiamo fare né lusso di mezzi, né di intelligenza: dobbiamo

invece dimostrare di essere gente seria, organica, che sa tendere con volontà e

metodo allo scopo.

so -Intraprendere solo azioni che per capacità e disponibilità di mezzi si è in grado di condurre a buon fine, evitando di mettersi in molte imprese che portano a gineprai, o che si debbono in seguito abbandonare.

ANNESSO.

IMPORTANZA MILITARE DELL'ALBANIA (l)

Tre punti di vista: marina, aeronautica, esercito. Marina -La costa albanese si presta per la chiusura dell'Adriatico. La costa albanese in mano avversaria ci toglie la padronanza dell'Adriatico, creando una distesa nemica da Corfù a Fiume. Aeronautica -Non grande importanza. Ad ogni modo i campi di Tirana e di Scutari consentono di raggiungere obiettivi jugoslavi senza dover affrontare la traversata dell'Adriatico. Esercito -Interesse difensivo: impedire al nemico di raggiungere la costa albanese. Interesse offensivo: colpire dall'Albania un fianco nemico, tendendo a recidere (specie se in accordo con azione bulgara) il cordone ombelicale che unisce la Serbia a Salonicco. .Interesse politico-militare: dare appoggio alle organizzazioni irredentiste: montenegrine, albanesi e macedoni, per disturbare la mobilitazione e la radunata dell'Esercito jugoslavo. La nostra organizzazione militare in Albania ha prodotto in Jugoslavia il dubbio strategico sulla direzione principale dei nostri sforzi (fronte Giulio, fronte Albanese) e provocato una dispersione di forze, senza per contro determinare altrettanto da parte nostra. La Jugoslavia ha infatti fissato sul fronte albanese 3 divisioni che diventano 5 in caso di mobilitazione. Senza la nostra opera organizzativa, la Jugoslavia potrebbe in pochi giorni e con poche forze raggiungere Tirana-Durazzo. Il fattore militare albanese diventerebbe di primo ordine se, in relazione a determinate situazioni belliche, si dovesse impostare il problema della vittoria su una rapida messa fuori combattimento della Jugoslavia.

(l) Cfr. n. 159.

(l) Ancora non ha ripreso a funzionare la Commissione finanziaria. [Nota del documento].

170

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

T. R. 51/10. Roma, 15 gennaio 1932, ore 24.

Ritengo opportuno informarla per Sua eventuale norma di linguaggio che il Sig. Arge·to:iano nei suoi colloQui con me e con S. E. il Capo del Governo non si ·espresse chiaramente e francamente circa il suo desiderio di portare ad un anno la proroga di sei mesi da noi proposta del termine utile per la denuncia del Patto italo-romeno. Egli ingenerò in me l'impressione che si trattasse, com'era stato già proposto da noi, di sei mesi più gli altri sei già trascorsi, ed affermò a S. E. il Capo del Governo di essere già d'accordo con me per la proroga di un anno QUando invece col suo poco chiaro discorso aveva determinato il suddetto eQuivoco. Non intendendo accettare la proroga per ancora un anno intiero, ho fatto informare questo Incaricato d'Affari di Romania che il Governo italiano non ·era in grado di modificare la sua primitiva proposta e che perciò intendeva mantenerla per una proroga soltanto di sei mesi.

(l) Cfr. anP-he pp. 261-262, nota l.

171

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

TELESPR. 2857. Roma, 15 gennaio 1932.

Telespresso di V. E. n. 201020 del 14 corrente (2).

Non appena ricevuto il telespresso surriferito di V. E. mi sono affrettato

a fare un passo presso la Segreteria di Stato, avvisando questa come corresse

voce che sarebbero state fatte premure sull'Episcopato jugoslavo per un passo

collettivo di protesta verso la nomina di Monsignor Sirotti nella diocesi di

Gorizia (3).

Ho detto che naturalmente non potevo credere che un passo del genere, qualora fosse fatto, potesse menomamente influenzare le libere decisioni della Santa Sede, ma che ad ogni modo dtenevo sarebbe stato assai preferibile in vista delle immancabili ripercussioni che esso avrebbe potuto avere, che il passo di cui corre voce non avesse luogo affatto. Che speravo anzi che la Santa Sede potesse tempestivamente fare i possibili passi per impedirlo.

Mi è stato risposto che la Santa Sede non era affatto a conoscenza della cosa, ma che ad ogni modo era escluso che il Nunzio ApostoLico, qualora informato, potesse permettere un simile passo da parte dell'Episcopato jugoslavo. Che ad ogni modo si provvederebbe pur non credendosi che dopo tanti avvertimenti ripetuti l'Episcopato jugoslavo fosse per manifestare tali propositi.

172

APPUNTO DELL'UFFICIO III DELLA DIREZIONE GENERALE EUROPA LEVANTE ED AFRICA

. . . . . (4).

Da fonte fiducJaria l'Ufficio Stampa apprende in data 17 gennaio corrente: da fonte diretta apprendiamo, che negli ambienti intellettuali di Trieste si è

È anche noto come lo stesso Vaticano è stato molto attaccato dal clero e dai cattolici sloveni per la nomina predetta, imputandosi al Vaticano stesso una particolare condiscendenza nel favorire, secondo quanto è riferito in Slovenia, i disegni del Governo fascista intesi a snazionalizzare tutto quello che ricorda alle popolazioni venute sotto l'Italia, la loro antica origine •.

Predecessore di mons. Sirotti era stato mons. Francesco Borgia Sede.i. Con lettera del 15 ottobre 1931 diretta a Borgongini Duca, Rocco aveva lamentato l'opera antinazionale svolta da mons. Sedej ed aveva chiesto che questi venisse affiancato da un coadiutore (ACS, Vescovi, Gorizia). Cfr. anche una lettera del prefetto di Gorizia al procuratore generale del Re di Trieste, del 9 aprile 1932: nella diocesi di Gorizia, dopo la morte di mons. Sedej e la venuta dell'amministratore apostolico mons. Giovanni Sirotti., la situazione della italianità del clero è migliorata (ibid., Vescovi, Trieste). Cfr. anche gli accenni di E. APIH, Italia fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia (1918-1943), Bari, Laterza 1966, pp. 293, 357-358.

contrari alla politica perseguita dal Governo Nazionale nei confronti dei croati dissidenti. Si afferma, che codesti croati non siano altro che relitti della vecchia Austria, interessati però ugualmente agli altri jugoslavi al possesso incontrastato della Dalmazia, il che indurrebbe una certa duplicità della politica italiana nei loro confronti, poiché questa da una parte appoggerebbe l'idea di una Croazia indipendente, e daH'altra fomenterebbe J'irredentismo anticroato in Dalmazia. Si assicura in pari tempo a Trieste, che anche a Palazzo Chigi ci sia un gruppo di autorevoli persone stanche dei metodi finora seguiti, dato che il dissidentismo croato costerebbe molto all'Italia e non renderebbe niente.

(l) -Il doc. fu inviato per conoscenza anche al ministero dell'interno, direzione generale della pubblica sicurezza. (2) -A margine di questo riferimento è stato annotato: • Attività Besednjak •· (3) -Cfr. il telespr. r. 4640/963 del 16 giugno 1932, con cui Galli comunicava: • Come è noto a V. E., la nomina di Monsignor Sirotti ad amministratore apostolico di Gorizia, incontrò molta contrarietà godendo il predetto prelato, a torto o a ragione non so, la reputazione di accanito antisloveno.

(4) Si colloca snttn il 17 gennaio 1932, che è la data posta a margine dall'archivista dell'ufficio. Altra annotazione: • Atti •.

173

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CONTE BETHLEN

L. 538. Roma, 18 gennaio 1932.

Je désire en premier <J.ieu Vous confirmer les expressions du plaisir sincère avec lequel S. E. M. Mussolini aussi bien que moi-meme nous avons saisi l'occasion, que Vous avez bien voulu tout récemment nous renouveler par Votre aimable visite à Rome, de nous entretenir personnellement avec Vous.

Je suis heureux de Vous confirmer pareillement que les déclarations que

V. E. a bien voulu faire concernant la conrtinuité de la part de la Hongrie d'une politique de cordiale et inaltérable amitié à l'égard de l'Italie, trouvent chez nous une parfaite correspondance de sentiments et d'intentions vis-à-vis de la Nation Hongroise.

Les projets tendant à resserrer et à r·endre plus intimes les relations économiques existant entre la Hongrie, J'Autriche et l'Italie, Q.Ue V. E. a bien voulu exposer au cours de· sa récente visite, et ayant pour but l'établissement d'une Unione Douanière entre l·e trois Pays, ont été examinés par le Gouvernement italien avec toute l'attention et tout l'intéret que l'importance de la question comporte, et en vue des résultats heureux que de tels projets pourraient avoir pour le relèvement aussi rapide que possible des conditions économiques de la Hongrie et de 1'Aut11iche. V. E., en effet, a particulièrement insisté sur les conséquences très sérieuses que la crise générale a pour ces deux Pays en nous informant aussi que les Hautes Personnalités des milieux gouvernementaux ·et politiques autrichiens qu'Elle a consulté à Vienne partagent en principe Son avis sur l'efficacité que les dfts projets d'Union Douanière pourraient avoir pour surmonter les graves difficultés actuelles.

Chargé par S. E. M. Mussolini, j'ai l'honneur de porter à la connaissance de V. E. qu'à la suite de cet examen préliminaire, le Gouvernement italien est •entré dans l'ordre d',idées proposé par V. E. •et qu'il a été par conséquent décidé, malgré les sacrifices fort sensibles oue la réalisation de ce projet amè

nerait incontestablement pour plusieurs branches importantes de l'économie nationa,le italienne, d'entreprendre l'action nécessaire devant conduire à la réalisation de l'Union Douanière projetée (1).

Il reste donc entendu que, conformément à la procédure qui a'Vait été déjà en'Visagée lors du récent séjour à Rome de V. E., [le Gou~Vernement italien se tiendra pret à désigner son délégué pour établir a'Vec les délégués Hongrois et Autrichiens, le programme d'études telqhniques concernant les moyell!S d'actuation du projet, dès qu'il nous sera par'Venu de la part des Gou'Vernements de la Hongrie et de l'Autriche la proposition formelle ayant pour but une étroite et commune collaboration dans le sens indiqué.

M. Arlotta, qui a été chargé de Vous remettre la presente à Budapest, a reçu en meme temps les instructions de se tenir étroitement en contact a'Vec V. E., ainsi qu'avec le Gouvernement Hongrois, pour toutes communications qui se rendraient ultérieurement néoessaires (2).

È noto, infatti, all'E.'V. che detti accordi sono sostanzialmente basati su un sistema di facilitazioni di credito che l'Italia concederebbe per l'importazione nel Regno di un determinato quantitativo di grano ungherese contro analoghe facilitazioni che l'Ungheriaconcederebbe per alcuni prodotti agrari ed industriali italiani da importare sul mercato ungherese. Tali facilitazioni, pur essendo state congegnate in modo da figurare e restare nel campo delle agevolazioni di credito, implicano effettivamente l'adozione di un regimepreferenziale, sia pure mascherato, che ciascun paese concederebbe all'altro Per la importazione di determinati prodotti, regime che si risolverebbe, in sostanza, nell'istituzione di premi di esportazione concordati che un paese accorderebbe ai prodotti dell'altro.

È noto anche all'E.'V. che, fin dal primo annuncio delle intese in corso tra l'Italia e l'Ungheria per la stipulazione di tali patti, si è manifestata una vivissima ostilità, più

o meno anerta, contro i patti stessi da parte dei molti Stati interessati, i quali hanno giudicato e fatto comprendere che il regime preferenziale che essi com:>Ortano, specie per i prodotti italiani, è lesivo dei loro interessi ed anche dei loro diritti.

Ora, considerato che tale ostilità si è venuta semore più accentuando, anche in relazione all'aggravarsi della crisi economica e della situazione finanziaria di molti paesi, specie dell'Europa centrale, e considerato altresi che è da prevedere che tale ostilità potrebbe

condurre, una volta stjpulati i Patti del Semmering cosi come furono parafati, a proteste

e forse anche a vive rappresaglie che potrebbero rendere ancor più difficile l'applicazionedegli accordi stessi, si è ritenuto che fosse miglior cosa abbandonare l'idea di ridar vita agli accordi parafati al Semmering per venire con l'Ungheria alla stipulazione di un nuovo accordo che, più semplice nel congegno, sia tale anche da evitare rilievi ed opposizioni da parte di terzi vaesi e da dare all'Ungheria !"impressione che vuoi farsi qualche cosa di pratico e di concreto, ed immediatamente.

A tal fine di è già abbozzato un nuovo schema di accordo, che sarà definito d'urgenzain ogni sua parte, il quale dovrebbe essere basato principalmente sui seguenti punti:

1°) impegno dei due Governi di nominare, entro un mese dalla firma dell'accordo, una Commissione mista di rappresentanti delle Amministrazioni e delle Organizzazioni interessate per l'esame di tutte le questioni economiche interessanti i due vaesi e oer studiare e avviare possibili intese, sotto forma di cartelli, tra le industrie dei oaesi stessi:

2°) concessione da varte dell'Italia di un orestito all'Ungheria... 3°) una eventuale revisione degli accordi italo-ungheresi del 1!127 per agevolare il transito delle merci ungheresi attraverso il porto di Fiume;

4°) agevolazioni in materia di trasporti ferroviari per le merci provenienti dall'Ungheria. Creazione di un Consiglio tariffario permanente, già previsto negli accordi parafati al Semmering ed impegno di concludere, entro un mese dalla data della firma del patto un accordo inteso a stabilire la commerciabilità della polizza di carico;

5°) rinuncia da parte dell'Italia ad ogni e qualsiasi contropartita di carattere preferenziale per l'importazione di prodotti italiani in Ungheria, contro lo svincolo dei dazi ad essi concessi con il trattato di commercio del 1928 per il bestiame bovino. Si è pensato, infatti, che solo in questa circostanza sarebbe possibile ottenere dall'Ungheria quanto si cerca di ottenere anche da altri paesi, e cioè, quella autonomia tariffaria che solo puòconsentirci di stabilire una sufficiente protezione per gli allevamenti italiani.

Questo, nelle linee generali, l'accordo che Potrebbe proporsi al paese amico ed il cui schema va ulteriormente elaborato perché si renda possibile il successo con equa soddisfazione delle Parti, dato anche le non poche difficoltà esistenti.

Prima, tuttavia, di provvedere alla definitiva redazione dello schema da presentare al Governo ungherese, si gradirà di conoscere se l'E.V. nulla abbia da obiettare al riguardo •.

(l) Per il parere del ministero delle corporazioni cfr. un suo appunto per Mussolini del gennaio (Archivio Grandi): • Purtroppo, però, si è dovuto subito riconoscere come gliaccordi del Semmering, cosi come sono stati compilati e redatti alcuni mesi or sono, non potrebbero più oggi rispondere alle volute finalità.

(2) Bethlen rispose con lettera del 29 gennaio, che non si pubblica.

174

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 209/40. Zagabria, 18 gennaio 1932.

Questa opposizione croa·ta mi ha pregato di comunicare a V. E. quanto segue:

Stante la grave età e le reaLi càttive condizioni di salute di questo Arcivescovo Monsignor Bauer, egli si sarebbe nuovamente in questi giorni rivolto al Vaticano per ottenere che gli sia nominato un coadiutore.

Tra i sacerdoti che potrebbero essere scelti a tale incarico, di somma importanza, poiché il coadiutore diventerebbe il vero dirigente di tutto l'indirizzo religioso, politico e !l:nufiinistrativo della diocesi, sono stati fatti i nomi di Monsignor canonico Slamic, già ora segretario particolare dell'Arcivescovo; di Monsignor Dott. Rittig, canonico e parroco della Chiesa di San Marco di Zagabria; e del Dott. Barac, canonico e professore di teologia all'Università di Zagabria.

Già con miei precedenti rapporti V. E. è stata informata sull'attività antitaliana dei primi due, pave, legati a filo doppio al Governo di Belgrado e personalmente veri e propri nemici anche del nostro paese.

n Dott. Barac, invece, si è finora sempre mostrato amico nostro e, in ogni caso, è molto ben visto da questa opposizione croata, che ci terrebbe in modo assoluto a vederlo scelto per coprire il posto di coadiutore. La opposizione stessa mi ha ora pregato di interessare V. E. affinché sia, possibilmente, fatta viva raccomandazione pl'esso il Vaticano, per ottenere la nomina desiderata. In questo senso si sarebbe anche interessato, presso la Santa Sede, il Cardinale Primate di Ungheria.

Dati i ben noti sentimenti del Dott. Barac, la nomina incontrerebbe senza dubbio qualche opposizione da parle del Governo di Belgrado, ma qui credono che il fermo contegno della Santa Sede riuscirebbe a vincere l'ostaco,lo.

Raccomando anch'io a V. E. il desiderio di questa opposizione croata, per quell'appoggio che V. E. cvederà di dare per la nomina di cui si tratta (1).

175

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 301/150. Berlino, 20 gennaio 1932.

Domenica sera fui avvertito che ~unedì mattina il Cancelliere del Reich desiderava parlarmi.

Non ho mancato di recarmi all'ora datami. Ho trovato il Cancelliere di buon aspetto (nonostant,e 'le voCi che corrono di stanchezza) e cortese e affa· bile come sempre.

Sul motivo della chiamata: mettermi cioè a giorno della questione della Conferenza di Losanna e confermarmi il punto di vista del Governo del Reich per quanto riguarda il problema delle riparazioni, non ho tardato nel riferire telegraficamente a V. E., con il mio telegramma N. 45.

Egli mi è apparso deciso nel non volere una moratoria di 6 mesi o un anno, come avevagli progettato il Gabinetto di Londra ma solo disposto a una trattazione per tappe del problema con il beninteso proposito di giungere a una soluzione definitiva e a aggiornare la Conferenza, dopo riunita il 25 gennaio, al più ,tardi nel mese di giugno, dopo cioè che avranno avuto luogo J.e elezioni tn Francia e in Prussia. Mi son trattenuto dal porgli a tal proposito la questione: cosa avverrebbe se le elezioni prussiane daranno (come generalmente si attende) un lJisultato sfavorevole al Governo attuale, basato sull'accordo c'entro-socialdemocrazia e si sarà con ciò prodotto uno stato di cose che non potrà rimanere senza ripercussione nel Governo del Reich -gli ho invece domandato, auali prev,isioni egli fa per il risultato delle elezioni in Francia. Dalla sua risposta mi è risultato che egli spera con una certa fermezza in un successo dei partiti di sinistra fondando questa sua speranza su una ripresa da parte del Signor Briand di un'attività politica direttiva. Noto che questa sua speranza non trova molti consenzienti fra i funzionari del Ministero degli Esteri, i quali invece ~trovano che le destre hanno oramai una magg,iore libertà nel fare propaganda, e un pubblico in provincia più consenziente di quello che forse alcune settimane or sono.

Per dimostrarmi come il Governo del Reich non avrebbe potuto accettare una moratoria, nemmeno fino al dicembre, senza andar incontro scientemente alla rovina del paese egli mi diceva, che la crisi nel paese è giunta oramai all massimo di to'lleranza, e che si deve alla stagione straordinariamente mite, se fino ad oggi non si son prodotti gravi avvenimenti fra le masse dei disoccupati. A questo punto ho creduto rilevare al Cancelliere che, nonostante la crisi, non si può negare una ripresa di attività presso certe industrie, una ripresa di certi • valori •, pur essendo le borse chiuse al pubblico, e soprattutto il risultato statistico degli scambi commerciali che nel mese di dicembre '31 presenta un sopra più di un miliardo e duecento milioni di marchi dell'esportazione sulla importazione -e che per l'annata 1931 presenta un fortissimo eccedente del valol'e del:l''espo!'taz,ione su quello dell'importazione ma <il Cancelliere non ha voluto convenire sul barlume di miglioramento economico che qui si presenta, e per le migliorate condizioni della bilancia commerciale osservava, esser cosa dovuta a cause transitorie, più particolarmente la svalutazione della sterlina, la quale ha favorito fortemente certe industrie tedesche, che hanno avuto numerose ordinazioni per merci che vennero introdotte in Inghilterra prima dell'aumento recente dei dazi.

Il Cancelliere aveva l'aria di lamentare le misure di protezione, che il Governo del Reich era stato costretto a prendere contro ,i paesi (specialmente Danimarca e Svezia) che avevano lasciato andare la propria moneta sotto la parità aurea, e non si nasconde che queste nuove misure gli procureranno gravi contromisur·e, se non addirittura una guerra di tariffe con i paesi nordi

ci. A questo punto io gli ho detto sperare, che il Governo del Reich non voglia valersi della facoltà derivantegH dal nuovo decreto-legge di aumentare i dazi verso l'Italia, con la quale sono in corso negoziati commerciaU, e che invece concordi col R. Governo nel far di tutto a che tra la Germania e l'ItaHa, non si venga ad una interruzione del regime convenzionale. Se in Germania non manca chi consiglia al Governo la denunzia del trattato di commercio, anche in Italia la stessa denunzia avrebbe molti fautori. Ma il R. Governo è d'avviso che una simile denunzia sarebbe nociva all'una e all'altra parte, politicamente poi inopportuna. Il Cancelliere mi ha assicurato dividere aswlutamente con me il pensiero, che sia consigliabtle venire sollecitamente ad una favorevole conclusione delle conversazioni romane, e mi ha promesso, che oggi stesso si sarebbe informato dello stato del negoziato e avrebbe dato nuove istruzioni (1).

Avendomi poi il Cancelliere ripetuto che il servizio recentemente reso dal Capo del Governo alla causa della Germania nella questione delle riparazioni era enorme, e che ben volentieri egli lo riconosceva con gratitudine, ho creduto poter affrontare una buona volta e chiaramente con lui Ila questione dell'antifascismo in Germania, del quale assistiamo nelle ultime settimane ad una rrifioritura. Gli ho parlato del caso Bassanesi e della condotta

• scandalosa • della polizia di Berlino, gli ho parlato degli attacchi recenti alle nostre banche da parte di oratori in pubbliche· riunioni e di certa stampa, gli ho parlato delle recenti concioni in pubblico sulla questione dell'Alto Adige dal cappuccino Innerkofler. Gli ho detto esser sicuro che tutta questa ripresa di attività avviene o a insaputa di lui o contro la sua volontà, ma gli domandavo di informarsi bene su quel che ,io gli avevo esposto e di rendersi una buona volta conto che il movimento antifascista, favorito da certi circoli francesi e internazionali, non potendo più liberamente· svolgersi in Francia o nel Belgio, è stato trasferito sul campo germanico, favorito qui dai partiti di sinistra e daNa grande libertà, o meglio mancanza di sorveglianza, di cui godono gli stranieri in Germania. E si che costerebbe così poco al Governo di liberarsi di tutti quegli strumenti d'agitazione antitaliana (in gran parte stranieri) per porl'e i buoni rapporti tra l'Italia e il Reich al riparo da incresciosi incidenti!

n Cancelliere ha voluto aver precise informazioni sul caso Bassanesi, mi ha pregato di renderlo edotto di ogni notizia o sospetto, che venisse a nostro orecchio sulle sue prossime intenzioni, e mi ha promesso che misure severe saranno prese per impedire il ripetersi di simili ,tentativi di volo delittuosi (mi risulta infatti che nel pomeriggio d'ieri ha avuto luogo una conferenza tra il Direttore ministeriale degli Esteri Kopke con i capi uffici e alcuni generali della Reichswehr, per dare a questa, togliendola alla polizia, in gran parte socialista, la sorveglianza dei campi d'aviazione). Quanto alla campagna contro le nostre banche e la nostra valuta, il Cancelliere mi

ha detto che avrebbe parlato col Signor Luther, Presidente della Reichsbank e col Ministro Severing. Quanto all'attività del cappuccino Innerkoiiler poteva assicurarmi che dalle superiori autorità eccle-siastiche egli aveva già ricevuto ['ordine di tacere e di andarsene.

Il Cancelliere però teneva a farmi osservare che l'intervento del cappuccino non ,era stato a scopo principalmente antitaliano, ma a scopo antihitleriano -a favore del • fronte di ferro •. Il partito nazionale socialista sta creando a lui e al Governo molti guai (fra i quali, diceva, l'intervtsta Goering -Messaggero) (1), sta provocando una profonda scissura nel paese, non è da meravigliarsi se per auto difesa 1e sinistre stanno passando all'attacco. Egli però rammaricava ogni dimostrazione contro l'Italia, ogni attacco al Fascismo -e mi ripeteva, che avrebbe fatto del suo me~lio, per reprimer1i, se non gli fosse possibile di preVlenirli. Con ciò ha avuto termine il colloquio -ed ho ceduto il mio posto al Reichsminister Groener, che da tempo era stato annunziato al Cancelliere.

(l) Coadiutore di monsignor Bauer verrà nominato solo nel 1935 monsignor Stepinac.

(l) Il passo relativo ai dazi e alle trattative doganali è stato chiosato a margine: c Questo stralcio è stato comunicato ai ministeri tecnici in relazione alle attuali trattative commerciali •.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE RR. 407/61. Berlino, 21 gennaio 1932 (per. il 28).

Non mancai a suo tempo di far pervenire al Cap. Goring i ringraz,iamenti del Capo del Governo per le condogrLianze inviateGli in occasione della morte del Gr. Uff. Arnaldo Mussolini.

Il sig. Goring, che è il consigliere responsabile di Hitler per la politica estera ed interna, ha domandato di visitarmi. Gli feci r.ispondere, (valendomi dell'autorizzazione da V. E. concessami col telegramma n. 374) che l'avrei ricevuto aHa R. Ambasciata stamane. E stamane egli è venuto, procurandomi così l'occasione di fare la personale· sua conoscenza e di avere con lui una lunga. conversazione.

Dopo averlo ringraziato a nome del Capo del Governo per la parte presa al lutto per la morte del Gr. Uff. Arnaldo Mussolini e dopo le solite frasi di complimento, mi ha detto che· tanto Hitler quanto egli si erano astenuti fino ad ora dall'avere contatti diretti con ila R. Ambasciata, perché, considerandosi ·in una situazione di combattimento, in alcuni momenti fuori della legge, non avevano creduto opportuno avere tali contatti. Ma ora, dopo che il Partito ha dimostrato non intendere mai di abbandonare la via legale, dopo che Hitler ed egli sono stati a più riprese ricevuti dal Presidente della Repubblica, dal Cancelliere del Reich e dai Ministri, e tenendo conto del fatto che un Ambasciatore non è accreditato presso un Governo, ma presso

il Capo dello Stato, la ragione di quel ritegno V'erso i rappresentanti esteri era venuta a mancare, ed egli teneva a fare :la prima visita al rappresentante di S. M. il Re d'Italia e dello Stato Fascista.

Ha parlato poi a lungo e dello svHuppo del movimento hitleriano e de:ll'affinità di Questo con il Fascismo, del comune fine di combattere il comunismo e la democrazia sociale. Ha rievocato il ricordo delle conVlersaziooi avute col nostro Duce e col fratello Arnaldo, rievocazione che lasciava facilmente trasparire la grande, entusiastica ammirazione per il Capo del Fascismo.

Passando a parlare della situazione interna della Germania, egli considera il Governo del Dr. Briining come al tramonto -ciclo che potrà compiersi in un periodo più breve, ma che certo non oltrepasserà il 13 marzo. In quel giorno avranno ~uogo Le elezioni presidenziali, che dimostreranno come più di 17 milioni di e1ettori voteranno per il candidato nazional-socialista, forse di più se il candidato fosse Hitler (il che da questi non è desiderato).

In ogni modo è oramai sicuro che il vecchio MaresciaHo non si presenterà più come candidato, poiché, mentre i partiti di destra sono pronti a votare per Hindenburg, se lascerà cadere Briining, il vecchio Maresciallo non vuole piegarsi a questa ingiunzione e preferirà ritirarsi per godere del ben meritato riposo. Al primo scrutinio vari saranno i candidati, ma se non al primo, certo al secondo scrutinio vincerà il candidato nazionalsoeialista. Chi sarà? Goring non l'ha detto. Si parla, come è noto, del Generale von Epp -ma è una voce -mentre la realtà credo sia che ~a scelta sarà riservata all'ultimo momento.

In linea di principio po1i Goring mi diceva che la direzione del Partito, ben sapendo di non poter disporre in un primo momento di camerati adatti a tutte le funzioni, non farà dell'iscrizione aJ Partito una conditio sine qua non per la chiamata d'un ufficio pubblico. E come Hitler, imitando Stalin, rimarrà Capo del Partito, senza eventualmente assumer,e alcuna funzione pubblica statale, così il Partito darà, secondo i casi, il suo appoggio e i suoi voti a persone che siano degne della suà fiducia, anche se appartenenti ad altri partiti politici borghesi. • Evidentemente •, aggiungeva Goring, • noi sbarazzeremo il Ministero degli Esteri dei residui dell'epoca Stresemann e dei funzionar idemocratico-soeialisti •. Nei primi alludeva a von Schubert, fra i secondi a Zechlin, capo dell'ufficio stampa. • Ma ci rendiamo conto che non possiamo, fin dal primo giorno, disporre di un personale diplomatico e consolare nazional-socialista. Per esempio noi con fiducia teniamo presenti all'occasione von Neurath e Nadolny, col quale avanti i'eri sera ho avuto un colloquio di tre ore per discutere la condotta della Germania alla Conferenza del Disarmo. Ma ogni rosa fiorirà a suo tempo -ritorniamo alla situazione interna e allo sviluppo della medesima come noi lo prevediamo ».

Dopo l'insuccesso delle elezioni presidenziali è da sperarsi (Goring diceva) che Briining si decida a dimettersi. Ma per ciò non vi è certezza po,iché egli si servirà delle difficoltà sul terreno della politica estera, per continuare a imporsi al Paes,e; sarà però condannato all'inazione, poiché durante

le elezioni presidenziaiJ.i ,e prussiane (8 maggio) egli non potrà costituzionalmente prendere alcuna iniziativa o decisione. Se invece si dimettesse -il che Hitler e Goring non si attendono -la situazione cambierebbe di colpo a favore dei nazional-sociaHsti. HiUer non crede realizzabile un Governo di generali, né che Groener possa arrivare a costituire un Governo.

!ili potere passerà nelle mani del Partito nazional-socialista, che è pronto a prenderlo con tutta la responsabilità. Può darsi, aggiungeva, che da parte marxista e comunista si tenti all'ultimo momento uno sforzo finale per arrestare o ritardare l'ascesa del Partito nazional-socialista; ma questo ha le sue schiere pronte, i giovani hanno ll'animo teso all'azione fino all'estremo e con gioia si getterebbero contro il • fronte di ferro • che Goring, burlandosene, chiamava • fronte di latta •.

Qualora Briining però s'impuntasse a rimanere a capo del Governo anche dopo l'elezione presidenziale, non durerebbe oltre 1'8 maggio, data delle elezioni del Landtag prussiano e che sarà la data della Liberazione della Prussia daUa dominazione del .connubio Centro-Democrazia Sociale.

(Questa previsione è fra tutte la più sincera, stamane lo stesso Nunzio Apostolico, che per ragioni di ufficio ha contatti più frequenti di qualsiasi altro diplomatico con i Minist~i della Prussia, mi diceva che, parlando, trattando con questi, si ha l'impressione di persone ormai rassegnate alla fine sicura).

Le eleZJioni per il Landtag -aggiungeva Goring -dimostreranno a qual punto di disgusto la popolazione, specie nella campagna, è giunta contro i governanti attuali e contro il parlamentarismo, che, oHre ad essere in decadenza ovunque nella Prussia, si è dimostrato nei suoi eccessi ripugnante.

Il risultato di queste elezioni provocherà quel sostanziale rivolgimento per preparare H quale Hitler da anni lavora con tanta fede e ~tanta energia. Dopo la Prussia, verrà la volta della Baviera ed infine de>l Reich. Con queste vittorie comincerà il lavoro di ricostruzione nazionale e la Germania riacquisterà la capacità di aver,e una vera e propria politica estera. Una delle pietre fondamentali sarà l'amicizia con l'Italia -come in natura la Germania e l'Italia si compensano reciprocamente, così in politica e nella concezione dello Stato il nazional-sociahlsmo ed il Fascismo si compensano e lotteranno assieme contro il marxismo e il comunismo insidioso.

Il partito naZJional-socialisrta, conquistato il potere, si guarderà bene dal fare una politica d'avventura -né v~erso i vicini dell'Est né verso quelli dell'Ovest. Sulla base del mutuo rispetto, dell'uguaglianza dei diritti, è pronto a negoziare e con gli uni e cogli altri per assicurare ai popoli una coesistenza pacifica e che dia loro il modo di rifare tutto quanto è stato distrutto dalla guerra, da una pace disastrosa e dai governi che si sono succeduti.

Siamo poi entrati a parlare, dei • tempi passati •, dei tempi prima della guerra, e facilmente ho potuto intravedere quanta presa hanno ancora nell'animo suo i ricordi monarchici. Egli è stato un fedele e ardimentoso ufficiale, non ha dimenticato il giuramento dato.

Prima di separarci ho tenuto a dirgli che io mi tenevo d'ora in avanti a sua disposizione per qualsiasi comunicazione avesse da farmi. Non volevo

però, con cw, togliere il posto a nessuno, né tanto meno al Maggiore Ren

zetti, che lo pregavo anzi di voler continuare a trattare con queilla fidu

cia che si merita. Goring mi ha ringraziato, assicurandomi essergli bene

chiara la distinzione che ormai gli si impone nei rapporti con la R. Amba

sciata e il Maggiore Renzetti, in questo periodo che egli considera di tran

sizione, cioè fino al giorno in cui i rapporti diventeranno ufficiali.

Prossimamente io gli I'estHuirò la visita (1).

(l) L'intervista di Goring era stata pubblicata, oltre che dal Messaggero anche dal Popolo d'Italia. È l'intervista ricordata a p. 248 e ivi nota l.

177

IL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRIGI, AL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DELLE COLONIE, DE RUBEIS

L. P. R. 489. Roma, 22 gennaio 1932.

Per incarico di S. E. il Ministro La prego voler sottoporre a S. E. De Bono -per le eventuali sue osservazioni -l'un~to progetto di relazione a

S. E. il Capo del Governo, concernente la nostra politica in Etiopia e nello

Yemen e l'ulteriore programma da svolgere. Le sarò poi grato della sollecita cortese restituzione della relazione (2).

ALLEGATO.

RELAZIONE PER MUSSOLINI

Nella riunione tenutasi il 2 gennaio fra i Ministri degli Esteri e delle Colonie, assistiti dai capi dei competenti servizi e con l'intervento di S. E. Astuto, Governatore dell'Eritrea e del Marchese Paternò, R. Ministro ad Addis Abeba, è stata ripresa in esame la nostra politica in Abissinia e nello Yemen e considerato l'ulteriore programma da svolgere (3).

Egli pensa che varrebbe la pena di perfezionare tale collaborazione: non è dubbio che ad Addis· Abeba si faccia anche della politica coloniale, come all'Asmara della politica estera. Si domanda se, senza adottare provvedimenti formali, non si possa in pratica mescolar ancor più le due funzioni, perfezionando e rendendo più rapida, con una corrispondenza diretta dei due Rappresentanti anzidetti con i Ministeri interessati, la collaborazione fra i Ministeri delle Colonie e degli Esteri. Da parte sua egli autorizza fin d'ora il Marchese Paternò ad inviare direttamente tutto ciò che ha attinenza con le nostre Colonie non solo al Governo di Asmara ma anche al Ministero delle Colonie, sia corrispondenza per posta che quella telegrafica.

S.E. -De Bono: autorizza egualmente S.E. Astuto a corrispondere direttamente anche con il Ministero degli Esteri... S. -E. Grandi... aggiunge che egli, in considerazione della necessità di ')rovvedere alla difficile situazione che si va creando in Etiopia, è dis:oosto a dedicare all'Etio!>ia fondi che sinora erano destinati ad altri scopi. Egli ha già autorizzato l'abolizione di cinque Consolati in Nord America per creare in Etiopia una più vasta rete di nostri Agenti, organi a mezzo

ABISSINIA.

Situazione attuale -È stato constatato che il Governatore dell'Eritrea ed il Marchese Paternò hanno, in pieno accordo e per la parte a ciascuno spettante, agito nel senso delle istruzioni loro impartite a seguito della riunione del 27 luglio 1930. Mentre però il Marchese Paternò è stato in grado di normalizzare i nostri rapporti con l'Imperatore reinstaurando con lui cordiali relazioni, il Governatore dell'Eritrea ha urtato, nello svolgimento della politica periferica a lui affidata, contro il fatto della prolungata e forzata permanenza dei principali Ras etiopici ad Addis Abeba, imposta dall'Imperatore, che nel frattempo mira con abile ed attivissima politica a sostituire l'autorità del potere centrale a quella personale dei capi in tutto l'Impero, cioè ad attuare in Abissinia l'abolizione del feudalesimo.

Il progressivo rafforzamento dell'Impero quale Stato unitario e l'abile politica estera dell'Imperatore, che mira fra l'altro a stringere rapporti economici con gli americani e con i giapponesi, non solo allontanano la possibilità del formarsi di situazioni interne tali che ci consentano di profittarne al fine ultimo a cui deve tendere la nostra politica in Etiopia, ma rappresentano insieme il costituirsi di una minaccia, oggi solo potenziale domani forse efficiente, verso le nostre colonie dell'Africa orientale, territori delle quali sono dagli etiopici considerati quali terre irredente.

Due fatti nuovi si sono nel frattempo verificati:

l) il formarsi nei rappresentanti francesi di Addis Abeba del convincimento che la politica di sostegno sinora adottata dal Governo della Repubblica in Etiopia non corrisponda più, dato il rafforzamento a carattere intransigente e nazionalista del potere centrale, agli interessi francesi in Etiopia, che potrebbero essere meglio serviti dal raggiungimento di accordi fra le Potenze interessate, allo scopo di tendere a quello che i detti rappresentanti francesi, in rapporti inviati al proprio Governo, hanno chiamato • le morcellement • dell'Etiopia;

dei quali il Governatore dell'Eritrea r>otrà svolgere una r>iù attiva politica periferica. Altri danari potranno essere stornati da altre zone. Iniziando la seconda parte della discussione, di cantenuto politico. prega il Marchese Paternò di esporre la situazione.

Marchese Paternò: AI suo giungere in Addis Abeba ha trovato una notevole diffidenza verso l'Italia che si risolveva talvolta in aperta ostilità. Molte le ragioni di questo stato di cose ma una è fondamentale: noi siamo possessori di territorio abissino, e l'Imperatore per accontentare il partito dei nazionalisti abissini su cui si appoggia, ha bisogno di farsi paladino delle

rivendicazioni nazionali dell'Etiopia. L'Imperatore è uomo abilissimo non soltanto in politica

interna ma anche in politica estera. Egli detiene i Ras ad Addis Abeba, ed attua delle riforme che seppure vane ed irrilevanti nelle apparenze, sono di effetto decisivo non solo all'interno. in quanto con esse egli abolisce gradualmente il sistema feud<>.le, ma anche all'estero in quanto fanno apparire un'Abissinia progrediente sulla via del progresso, e volenterosa a raggiungere al più presto il grado di civHtà europeo. Di fronte a questa situazione egli ha dovuto morfinizzare la situazione, secondo le istruzioni ricevute; ha fatto intendere all'Imperatore che l'Italia era forte e non aveva alcun timore, ma insieme Io ha convinto che l'Italia è un elemento di pace e che non aveva alcuna mira verso l'Etiopia, il cui interesse era di accordarsi con noi.

Si sono nel frattempo maturati due nuovi fatti. La cordialità delle relazioni francoetiopiche si è man mano attenuata; senza esporre le cause di questa attenuazione, quando il Ministro di Francia ha mostrato di volersi unire all'oratore, questi Io ha naturalmente incoraggiato. Effetto di tutto ciò è stato che, man mano, si è insinuata nell'animo dei rappresentanti francesi ad Addis Abeba e a Gibuti la convinzione che non convenisse più alla Francia di continuare nell'attuale politica di appoggio all'Impero etiopico, ma di rivedere le proprie posizioni, cercando un accordo con noi. I rappresentanti francesi in Addis Abeba hanno prospettato in tal senso le loro idee a Parigi.

S. E. De Bono: Interromoendo conferma che egli ha avuto qualche sintomo di ciò durante la visita da lui fatta a Parigi nell'agosto scorso.

Marchese Paternò: Non sa quale esito abbiano avuto i rapporti di Addis Abeba al Quai d'Orsay, ma è certo che questa tendenza si è imposta fra i rappresentanti francesi di Addis Abeba e di Gibuti; ed egli ne ha riferito dopo esser certo che non si trattasse di un trabocchetto tesoci, e che i francesi locali erano veritieri ed in buona fede.

D'altra parte l'Imperatore ha attivato una politica di favoreggiamento verso l'America prima e verso il Giappone poi.

Verso di noi, di fronte all'attenuazione della cordialità dei rapporti franco-etiopici, l'Imperatore ha tentato di riaccostarsi, prima facendoci delle proposte concrete di collaborlzione nel campo agricolo, economico ecc. e poi con la nota proposta di uno scambio territoriale che nella sua mente dovrebbe essere il prologo di un'intesa di carattere più vasto.

Occorre studiare, di fronte a queste nuove tendenze francesi da un Iato ed a queste proposte dell'Imperatore dall'altro, quale miglior linea di condotta ci convenga adottare.

2) la proposta ·fattaci dall'Imperatore di uno scambio di territori (l'Ogaden etiopico contro una zona ancora indeterminata della Colonia eritrea, che dia alla Etiopia sbocco al mare).

DIRETTIVE POLITICHE.

Di fronte a tali fatti nuovi, è stata constatata l'opportunità:

a) da un lato di sondare indirettamente le intenzioni del Governo francese per conoscere se nelle intenzioni del Quai d'OTsay una possibile comune azione italo-francese verso l'Etiopia possa essere attuata all'infuori della realizzazione di un accordo generale italo-francese, che per il momento appare impossibile. Ove così fosse, si cercherà di sviluppare la collaborazione italo-francese in Etiopia, avendo di mira le realizzazioni a cui tendeva l'accordo tripartito del 1906;

b) per quanto riguarda la proposta di uno scambio di territori, pur apparendo essa inaccettabile specie nei termini e limiti in cui è stata fatta, non si opporrà un rifiuto assoluto all'Imperatore ma si cercherà di tirare in lungo le trattative, servendosi anche di ciò come elemento tattico nelle conversazioni con i francesi.

In ogni caso è stata riconosciuta la necessità di rendere, quanto più possibile, attiva la nostra politica in Etiopia, per cercare di contrastare in qualche modo la realizzazione della politica centralizzatrice dell'Imperatore. Insieme occorre rafforzare militarmente le nostre colonie dell'Africa orientale, specialmente dal punto di vista dell'aviazione.

MEZZI NECESSARI.

Si prospettano quindi a V. E., le seguenti necessità:

l) Avere i mezzi per attuare l'installazione dei progettati campi di aviazione in Eritrea e per mantenervi un congruo numero di apparecchi militari. Al riguardo il R. Ministero delle Colonie ha formulato apposite richieste.

2) Completar·e la ferrovia eritrea fino al confine con l'Abissinia. Al riguardo il R. Ministero delle Colonie chiede a V. E., con apposita relazione, l'autorizzazione

Certo è che l'azione politica dell'Imperatore nelle relazioni estere è di tale abilità che, ove non intervengano fatti nuovi, è da aspettarsi la impossibilità futura di qualsiasi pratica realizzazione dell'accordo tripartito del 1906, od anche forse di un accordo diretto.

S. E. Astuto: Osserva che, se Pure si dovesse realizzare lo scambio di territori propostodall'Imperatore, il partito dei nazionalisti non ne sarebbe contentato ed il programma loro rimarrebbe integro, dato che essi mirano a riconquistare i territori abissini che noi possediamo.

S. E. Grandi: Chiede quale sia il reale valore del territorio dell'Ogaden che l'Imperatore

ci offre.

Marchese Paternò : L'Ogaden è un territorio di ben misero valore: è assolutamente da scartarsi la proposta di scambio di territori nei termini offertici; ma è da considerare se non si possa trattare sulla base di altri territori etiopici e di altre intese aggiuntive. L'Imperatore non ha d'altra parte indicato dove egli desidererebbe lo sbocco al mare.

S. E. Grandi: Ricorda di aver ricevuto una recente relazione sull'Etic;>h del Ministro Guariglia [cfr. n. 128], nella quale la situazione è colorata a tinte fosche, e con cui si sostiene non essere possibile un accordo itala-francese per l'Etiopia, se non come parte di un accordo generale politico itala-francese. Egli ritiene che, se un accordo itala-francese per l'Etiopia deve, nella mente del Governo francese, far parte di un accordo generale su tutte le questioni pendenti fra l'Italia e Francia, nulla è possibile fare nell'attuale momento. Ma egli non esclude che sia possibile un accordo itala-francese che abbia portata locale e che si limiti alla sola materia etiopica. Conviene quindi non lasciar cadere questa possibilità. ed è perciò che egli ha dato istruzioni al Marchese Paternò di recarsi a Parigi e prenderequalche contatto indiretto a titolo personale per approfondire quali siano le idee del Quai d'Orsay.

Comm. Guariglia: Crede che le tendenze degli agenti locali francesi in Etiopia possano essere sfruttate dal Quai d'Orsay ai fini politici generali della ;Jolitica francese verso l'Italia. Ma è certo conveniente di continuare a sviluppare l'attuale collaborazione itala-francese instaurata dal Marchese Paternò e sondare al rig-uardo le opinioni del Quai d'Orsay. Egli ha fatto presente nella sua relazione il continuo peggioramento della situazione etiol)ica che rende sempre più difficile il raggiungere da parte nostra quegli intenti a cui mirammo fin dalle nostre prime occupazioni in Africa Orientale; ma tale sua O!linione non significa evidentemente che dobbiamo rassegnarci e aspettare a braccia conserte che l'Etiopia si rafforzi; che anzi egli ha sostenuto che, quanto più peggiora la situazione r>er noi nell'Etiopia, tanto più dobbiamo farci attivi per opporre alla politica centralizzatrice e modernizzante

di contrarre un mutuo, estinguibile in trent'anni, con un ammortamento a carico del bilancio dell'Eritrea.

3) Rafforzare e migliorare la rete di nostre agenzie consolari in Etiopia ed insieme non abbandonare per mancanza di mezzi delle iniziative già bene avviate (impianto, ad esempio, delle stazioni radiotelegrafiche in Etiopia, Istituto Siero Vaccinogeno in Etiopia) che rappresentano o indispensabili affermazioni del nostro prestigio o mezzi per svolgere una più attiva politica periferica verso i Ras. I fondi a tal uopo necessari vengono in parte detratti da quelli a disposizione del Ministero degli Affari Esteri, ma dovrebbero ,essere integrati con una assegnazione di mezzo milione all'anno • spese segrete • del R. Ministero degli Esteri.

4) Curare l'impianto di linee aeree civili in Etiopia. Al riguardo il R. Ministero degli Affari Esteri si riserva di sottoporre a V. E. precise proposte al momento opportuno.

YEMEN.

Nel mentre i nostri rapporti commerciali con lo Yemen vengono riallacciati a cura della Società di Navigazione Eritrea, che ha recentemente iniziata la sua attività, il R. Ministero degli Affari Esteri deve prospettare a V. E. che, nella impossibilità di ricorrere per il futuro ai proventi annui della Kosseir, da V. E. destinati ad altri scopi, ed essendo totalmente impegnato per lo svolgimento dell'attività della S.N.E. il fondo Yemen già assegnato al Ministero degli Esteri, non vi è più modo di provvedere alle spese correnti nello Yemen, per il pagamento degli agenti, medici, radiotelegrafisti, colà distaccati e per le spese abituali di regali all'Imam ecc. Il bilancio dell'Eritrea ha già anticipato notevoli fondi a tal uopo ma non potrebbe continuare in definitiva ad affrontare tali spese continuative, per le quali d'altra parte nessuna somma è stanziata in bilancio. Il R. Ministero degli Esteri e quello delle Colonie devono quindi rappresentare a V. E. la necessità di una assegnazione continuativa nelle • spese segrete • del R. Ministero degli Esteri di un milione e mezzo all'anno per le spese nello Yemen.

Riassumendo, i mezzi occorrenti ammontano (senza tener conto di quelli necessari alla installazione di basi aviatorie coloniali e per il completamento della ferrovia eritrea) a:

l) mezzo milione annuo per l'Etiopia; 2) un milione e mezzo per lo Yemen.

dell'Imperatore una nostra politica disgregatrice. Del resto il Negus non è eterno, ed in caso di sua morte non si può prevedere quali complicazioni avverranno in Etiopia...

S. E. Grandi: Si può da quanto è stato detto ricostruire facilmente la storia del nuovo atteggiamento francese nei riguardi dell'Etiopia. Il rapporto del Ministro di Francia ad Addis Abeba è stato diretto nel luglio scorso al Quai d'Orsay. Fu nell'agosto che nelle conversazioni con i francesi venne fuori per la prima volta la parola Etiopia. Al che noi rispondemmo facendo sondaggi indiretti circa Gibuti. Ora vi può essere nella mente dei francesi l'idea di gettarci l'Etiopia come offa per un accordo generale, ed allora non vi è nulLa da fare poiché la situazione attuale non è matura per un accordo generale. Ma può anche darsi che i francesi vogJi.ano realmente giungere ad un accordo parziale con noi limitato all'Etiopia. È bene quindi che il Marchese Pr!.ternò parli a Parigi in termini di cooperazione locale e si serva, come elemento tattico di manovra, dell'offerta di scambio territoriale presentataci dall'Imperatore. D'altra parte verso di questi non si d_Qyrà dire di no ma continuare a trattare. Le linee della nostra politica verso l'Abissinia devono del resto rimanere immutate. La nostra azione ad Addis Abeba potrà essere più o meno energica a seconda che le nostre colonie siano più o meno pronte dal punto di vista militare.

Comm. Guariglia: Osserva che occorre non esagerare i pericoli per le nostre colonie, che non bisogna spaventarsi di piccoli incidenti. L'Etiopia non ha per ora interesse né possibilità di attaccarci. Raccomanda quindi al ministro in Addis Abeba di non lasciarsi preoccupare da tali considerazioni, quando sia necessario condurre un'azione energica...

Circa lo Yemen Guariglia osserva che , la situazione è oggi caratterizzata dal fatto nuovo dell'accordo intervenuto fra lo Yemen e lo Hegiaz che ha eliminato una delle questioni di confine fra i due potentati arabi, quella cioè del Gebel Oura. Tale accordo, con il quale Ibn Saud, nominato arbitro dal suo avversario l'Imam. si è condannato, per usare la sua espressione, a cedere il Gebel Oura, è stato seguito a distanza di giorni dalla firma di un trattato di amicizia fra i due capi arabi. La situazione è quindi tale che ci consente nell'attuale momento di procedere convenientemente alla conclusione dei noti trattati di amicizia e di commercio con l'Hegiaz, implicanti il formale riconoscimento da parte dell'Italia del re Ibn Saud ». Cfr. n. 55.

(l) -A questo doc. ne faceva seguito un altro pari data (t. per corriere rr. 408/62), con giudizi di Goring sul corpo diplomatico accreditato a Berlino. (2) -La relazione, approvata da De Bono con lievi varianti, fu da questi presentata, con la doppia firm3 sua e di Grandi, a Mussolini il 27 gennaio (ASMA!, Fondo segreto).In Archivio Grandi è conservato il testo definitivo, datato 27 gennaio 1932 e firmato da De Bono e Grandi. (3) -Del verbale di questa riunione si vubblicano i passi seguenti: • S. E. Grandi ritiene che la discussione di oggi pcssa utilmente dividersi in due parti. La prima ha carattere interno: è col più vivo compiacimento che egli oggi esprime il suo elogio al Governatore dell'Eritrea ed al Marchese Paternò per la concorde azione da loro svolta nelle rispettive cariche; pur in circostanze difficili essi hanno dato, per la prima volta dopo lunghi anni, esempio di unità di intenti e di azione fra Addis Abeba e l'Asmara. Da parte del R. Governo come dei due Ministeri interessati è giusto se ne dia loro esplicito riconoscimento.
178

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. RR. 326/4/9. Belgrado, 22 gennaio 1932, ore 21,30 (per. ore 0,30 del 23).

Esco dal colloquio con Re Alessandro durato due ore e che ha avuto un momento assai diffidle e quasi drammatico.

Mentre egli conviene interamente sul progetto generale politico cui dare ogni massima possibile estensione e durata, si è mostrato però tenacemente irriducibile quanto ad assume11e qualsiasi impegno ad appoggiare la dichiarazione dell'anno 1921 per l'Albania 1in vista di un nostro eventuale intervento.

Ha dichiarato con irritatissima violenza che piuttosto che accettare qualsiasi analoga cosa preferirebbe rompere ogni conversazione.

Ricondottolo con fatica al:la cailma e fattogli nuovamente considerare con ogni possibile argomento i vantaggi dell'accordo che ,avevo istruzioni di offrirgli, ha concluso col dirmi che mi farebbe dare da Jeftic nei prossimi giorni un progetto scritto sulle linee programmatiche generali dell'auspicabile accordo politico e le sue proposte per l'Albania.

Segue rapporto (1).

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI (2)

T. PER CORRIERE 83. Roma, 24 gennaio 1932, ore 10.

Questo Ambasciatore d'Inghilterra mi ha consegnato avantieri il promemoria di cui accludo copia (3), contenente la proposta di far esaminare nella prossima riunione del Comitato dell'Unione europea a Ginevra la questione di una unione doganale completa fra gli Stati danubiani. L'ambasciatore non era dettagliatamente al corrente deNe idee e dei progetti del suo Governo, oltre quelli esposti nel detto promemoria, e quindi non è stato nemmeno in grado di dirmi se l'unione doganale progettata dovesse comprendere tutti o parte degli Stati danubiani. Ad ogni modo ho ritenuto necessario di fargli subito presente la gravità ,e la complessità della questione e la necessità per il R. Governo di rendersi scrupolosamente conto delle ripercussioni che un tale progetto dovrebbe avere sugli interessi economici e politici dell'Italia prima di iniziare una discussione a Ginevra. Già fin d'ora

dovevo però rilevare come la proposta inglese avesse tutta l'aria di coincidere con le idee enunziate più volte dal signor Benès, per le quali avevamo da parte nostra fatto ogni più ampia riserva.

Se proprio così fosse, noi non potevamo che ripetere immediatamente tali riserve, poiché sono ben note 'le ragioni che ci inducono a considerare tali progetti come capaci di determinare pericoli e danni di carattere economico e politico altrettanto gravi come quelli che sono stati riconosciuti come derivanti dal progettato accordo austro-tedesco (1).

Sarebbe stato quindi opportuno che il Governo britannico avesse riconsiderato amichevolmente con noi tutta la questione, piuttosto di iniziare subito

Come tu stesso pensi e come appare dagli appunti acclusi, necessariamente sommari data la ristrettezza del tempo e la scarsezza delle fonti utilizzabili, le preoccupazioni dal punto di vista economico sembrano preponderanti nei riflessi degli interessi agrari del nostro Paese, pur non avendosi da escludere che ad alcuni inconvenienti si possa ovviare con opportuni accorgimenti: contingentamenti, consorzi, mantenimento di alcuni dazi ecc.

È superfluo accennare che assai gravi, per quanto neanche in via approssimativa valutabili, sono le ripercussioni nel campo finanziario, le quali assumerebbero ampiezza più

o meno notevole a seconda del numero degli Stati che dovrebbero costituire l'unione, della estensione che si intendesse di dare alle franchigie e all'entità delle importazioni degli altri Stati fornitori che per effetto dell'unione fossero eliminati dal comune territorio doganale •.

Si oubblicano dello studio i passi seguenti:

• Trattando la questione dell'unione doganale fra l'Italia, l'Austria e l'Ungheria è stato posto in rilievo come la fusione delle economie dei tre Stati suddetti racchiude in sé elementi compensatori ed integratori con prevalenza dell'interesse economico italiano, pur non costituendo l'unione un notevole vantaggio oer il nostro Paese.

Non altrettanto sembra possa dirsi se a far parte dell'unione dovesse essere chiamata anche la Cecoslovacchia...

Le maggiori importazioni [della Cecoslovacchia] sono di cereali e di fibre tessili; le esportazioni di carbone, legname, zucchero, vetro, prodotti delle industrie tessili e pesanti. Per lo zucchero è il paese maggiore esportatore dell'Europa e per il vetro il maggiore del mondo...

Esiste... fra molti rami d'industria dell'uno e dell'altro paese [Cecoslovacchia ed Italia] un contrasto d'interessi così profondo da non ammettere nonché la convivenza sullo stesso territorio doganale, neppure una possibilità di collaborazione...

Occorre a tal punto ricordare che l'alto dazio doganale che grava attualmente sullo zucchero, circa tre volte e mezzo il valore commerciale della derrata estera, è dovuto pro

prio alla insostenibile concorrenza cecoslovacca e al prezzo bassissimo a cui il prodotto

cecoslovacco è offerto in Italia. Non sembra possibile un accordo tra le due industrie data la orofonda differenza di situazione e l'assoluta prevalenza della produzione cecoslovacca.

Pertanto un importante interesse agrario del nostro Paese -è noto che alla coltivazione delle bietole è legata l'economia agraria delle regioni padane -sarebbe compromesso. Ma è da tener conto anche dell'industria dell'alcool che è collegata intimamente a

quella dello zucchero. Anche in tal campo ci sarebbero da temere ripercussioni.

Dal punto di vista delle esportazioni agrarie il mercato cecoslovacco si prese:>terebbe conveniente, non fosse altro perché l'unione doganale eliminerebbe per i prodotti tipici ttaliani, agrumi, vino, olio d'oliva, frutta, la partecipazione dei Paesi concorrenti oggi fornitori di quel mercato.

Ma i vantaggi che si potrebbero realizzare in questo campo non sembra che compensino a sufficienza gli svantaggi nel campo industriale. In sostanza con l'unione si ricostruirebbe l'unità economica dei Paesi dell'ex-Impero absburgico, con sicuro profitto di detti Paesi, ma non con eguale profitto italiano.

Più conveniente dal punto di vista economico. a prescindere dalla grande importanza politica, si presenterebbe la partecipazione all'unione anziché della Cecoslovacchia, della Jugoslavia invece.

Paese a carattere agricolo, esso costituirebbe un buon mercato di sfogo per i nostri prodotti industriali e nel cam:!)o agrario, ad eccezione del bestiame, ver il Quale potrebbero costituirsi consorzi fra gli allevatori e commercianti dell'uno e dell'altro Stato, non presenta produzioni in aperto contrasto con la produzione italiano..

La contiguità dei territori favorirebbe le correnti di scambio e rifiorirebbe indubbiamente anche la vita economica del porto di Fiume. In un certo senso le produzioni sono complementari e nel quadro dell'unione doganale la Jugoslavia apparirebbe come un elemento di p~imo ordine ai fini degli interessi italiani.

Certo molte sono le difficoltà. specie nel dominio politico, che si oppongono alla realizzazione di tale programma, ma si è voluto ad esso accennare come ad una soluzione veramente soddisfacente e si potrebbe dire ideale.

2a Ipotesi; UNIONE DOGANALE DELL'ITALIA CON I PAESI DANUBIANI.

Prima di passRre a considerare, sia pure a grandi linee, la po~tata economica dell'unione suddetta, è opportuno premettere alcuni cenm illustrativi sulla struttura economica dei

una discussione a Ginevra che può suscitare un nuovo vespaio di polemiche e di contrasti ed alla quale noi non potremo certo partecipare con favorevoli disposizioni.

Mentre attendevo l'esito di questi! mia conversazione con Graham che egli avrà riferito subito a Londra, è v'enuto ogg,i a vedermi l'Ambasciatore di Germania il quale mi ha dertto che i;l suo Governo era stato informato del progetto inglese ed avrebbe gradito cono~cere il pensiero italiano. Ho ripetuto a Schubert quanto avevo detto a Graham e gli ho chiesto a mia volta il pensiero del Governo tedesco, ma egLi se ne è schermi:to adducendo di aver ricevuto un telegramma • molto confuso •. Mi ha chiesto se pensavo che l'Ungheria sarebbe stata contraria a tale progetto ed io, dopo avergli detto che avevo ragioni per credere che lo sarebbe stata effettivamente, gli ho chiesto a mia volta che cosa pensasse delle intenzioni austriache, al che Schubert ha risposto che l'Austria avrebbe già fatto sapere a Londra che sarebbe stata favorevole al progetto soltanto se fossero entrate nell'unione doganale la Germania e l'Italia.

Paesi diversi da quelli già considerati (Austria, Ungheria, Cecoslovacchia) che dovrebbero far parte dell'unione doganale con l'Italia. Jugoslavia. -Si è già accennato, parlando della Jugoslavia, che detto Paese ha una produzione quasi esclusivamente a~rricola.

La maggior parte dei seminativi è dedicata ai cereali, fra i quali di gran lunga predominano il mais ed il frumento, che danno una discreta produzione unitaria e superano i! fabbisogno.

Fra le altre colture sono notevoli quelle dei legumi, delle patate, delle barbabietole da zucchero, del luppolo, della canapa, del lino, del tabacco. Per la canapa specialmente la Jugoslavia è, dopo l'Italia, il maggior produttore europeo (1/4 circa della nostra produzione). Ma produzioni ancora assai importanti sono quelle della vite, dell'olivo e soprattutto quella dei susini (il frutto oltre ad essere esportato viene anche destinato alla distillazione}. Nel suo complesso, però, l'agricoltura, a cui si dedica la quasi totalità della popolazione (circa 1'85% ), malgrado vada compiendo notevoli progressi. è ancora piuttosto arretrata, e, ad eccezione dei cereali e di alcune colture caratteristiche, basta soltanto ad alimentare la popolazione.

Il maggior prodotto di esportazione rimane il legname.

Per una popolazione che non è neppure un terzo di quella italiana, la Jugoslavia ha lo stesso numero di cavalli e di suini, la metà dei bovini e dei caprini, due terzi degli ovini dell'Italia e può così esportare carne, prosciutto, burro ecc., oltre a gran numero di bovini e di suini e, per l'abbondanza di pollame, circa 250 mila ql. di uova all'anno.

Possiede anche ricchezza di minerali metallici, ma tale ricchezza non ha potuto finora essere messa in potenza e dar vita a una grande industria, Per mancanza quasi assoluta di carbon fossile e per la scarsità dei capitali.

Le industrie tessili non sono sviluppate.

La Jugoslavia possiede appena 122 mila fusi e 3 mila telai meccanici per il cotone, 20 mila fusi e 300 telai per lana.

Diffusissime, invece, sono le industrie molitorie e quelle della distillazione. ma la più importante fra tutte rimane sempre quella del legno. Le esportazioni, di legname, animali vivi, carni ed uova, rame grezzo, frumento, luppolo, frutta secche e fresche, compensano le indispensabili importazioni di filati e tessuti di cotone, di !ana, di macchine, di carbone ecc.

La Jugoslavia riceve invece soprattutto dalla Cecoslovacchia e dal!'Austria, da!l'Italia e dalla Germania. L'Italia, poi, ne è il principale cliente (legname, susine secche, legumi, bestiame) assorbendo circa un quarto del valore delle esportazioni jugoslave.

Romania. -... Le esportazioni sono costituite soPrattutto da cereali, dal petrolio, dal legname ed uguagliano in valore le imoortazioni, dovute specialmente ai cotoni e tessuti, ai metalli e prodotti metallici, alle macchine, ecc.

Il commercio d'importazione si svolge soprattutto coi paesi industriali d'Europa e specialmente con quelli più vicini dell'Europa centrale: il commercio di esportazione si dirige soprattutto verso gli Stati successori dell'Austria...

La rapida illustrazione della struttura economica dei Paesi suindicati sta a significare quale sarebbe il carattere dell'unione doganale con i Paesi danubiani.

Da una parte un gruppo di Stati con industrie assai sviluppate (Italia, Austria, Cecoslovacchia} e dall'altra un gruppo di Stati a carattere prevalentemente se non esclusivamente agrario (Jugoslavia, Romania, Ungheria, Bulgaria).

Per i Paesi del primo gruppo l'unione rappresenterebbe un vasto mercato di collocamento. È difficile valutare la misura di partecipazione dei singoli Stati a detto mercato, poiché tale partecipazione dipende anche in buona parte dalla maggiore o minore distanza, dalle vie Più o meno rapide, più o meno costose di comunicazione, dai costi di produzione ecc.

Dato che l'Ambasciatore di Germania non aveva in realtà istruzioni di espormi chiaramente il pensiero del suo Governo in proposito, occorre che

V. E. faccia subito di quanto precede oggetto di una sua conversaZJione con Biilow e lo induca a manifestarle chiaramente e Iealmente l'opinione e le intenzioni del Governo tedesco.

(l) -Cfr. n. 213. (2) -Il doc. fu inviato • solo per conoscenza personale » anche alle ambasciate di Parigi e Londra e alle legazioni di Budapest, Bucarest, Vienna, Praga, Belgrado e Sofia. (3) -Il promemoria non si pubblica. Sulla politica dell'Inghilterra in questi mesi nei confronti della questione danubiana cfr. da ultimo A. ORDE, Grossbritannien und die Selbstdndigkeit è.lsterreichs 1918-1938, in « Vierteljahrshefte fiir Zeitgeschichte •, 1980, pp. 235-236.

(l) Con lettera 389 del 29 gennaio, Mosconi trasmetteva a Grandi uno studio redatto dai suoi uffici circa • le due ipotesi della nostra partecipazione ad una unione doganale fra Austria, Ungheria e Cecoslovacchia e l'altra per la nostra partecipazione all'intero gruppo dei paesi danubiani...

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. P. R. 801. Roma, 24 gennaio 1932, ore 11.

Suo telegramma 4/9 (l) non doveva assolutameente 'essere trasmesso per filo, data estrema delicatezza argomento. Debbo stupirmi che dopo reiterate disposizioni scritte e raccomandazioni verbali, nonché autorizzazioni ad invio corrieri speciali proprio V. S. commetta simile imprudenza aggravata dalla nessuna urgenza della Sua comunicazione.

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IL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Archivio Grandi)

L. P. Roma, 26 gennaio 1932.

Come d'intesa, ho riflettuto sull'idea che hai manifestato ,ieri sera e cioè di proporre, a Ginevra, che in linea generale si applichino i sistemi di limitazione e di viduzioni degli armamenti quali sono stati imposti dai trattati di pace agli Stati vinti (2).

In linea di massima si ha l'impressione che dal punto di vista industriale la partecipazione dell'Italia all'unione doganale presenterebbe vantaggi notevoli per il nostro Paese, trattandosi di un vasto mercato che si aprirebbe alle iniziative italiane e sul quale l'Italia si è già affermata per taluni prodotti, specie di quelli tessili.

Notevole è infatti la nostra esportazione di filati e di tessuti di canapa, cotone, di lana nonché di seta sul mercato jugoslavo, romeno e bulgaro e di maggiore sviluppo essa sarebbe suscettibile pur dovendo tener "onto della similare produzione cecoslovacca e austriaca.

Qualche preoccupazione suscita invece l'unione nei riguardi dei nostri interessi agrari.

Si è già accennato, parlando della Cecoslovacchia, alla grande produzione di zucchero di detto Paese, la quale sarebbe in grado da sola di coprire tutto il fabbisogno degli Stati facenti parte dell'unione.

Ma un'altra produzione italiana sarebbe gravemente compromessa: quella zootecnica.

Si è visto come tutti e quattro gli Stati agrari, Ungheria, Jugoslavia, Bulgaria e Romania hanno un allevamento di bestiame veramente cospicuo. La produzione italiana non potrebbe non essere soffocata dall'ingente produzione del territorio dell'unione doganale.

Lo stesso dicasi per il mais •.

• Pertanto la parità di condizioni la intendiamo ora far valere nel senso che aspiriamo a portare le altre Potenze al livello nostro di armamento, ossia verso la generalizzazione del trattato di Versailles.

Queste limitazioni si possono considerare sotto due aspetti:

l •) di riduzioni: esse si applicano sopratutto agli uomini, ossia agli effettivi ammessi in tempo di pace;

2•) di proibizioni: ossia divieti di artiglierie pesanti, di carri armati, di aviazione militare, di corazzate, ecc.; essi tendono a sopprimere tutte le armi e i mezzi offensivi.

Di questi ultimi elementi -offensivi -noi siamo ora e saremo sempre, finché resteremo poveri, in condizioni di inferiorità rispetto alla Francia, che è tanto ricca da adottare mezzi e armi costose per se stessa e per

suoi satelliti.

Di uomm1, invece, ossia di effettivi, noi (e così la Germania) siamo e saremo ricchi pe·r un bel po' d'anni. La Francia è povera e più ancora J.o sarà per un periodo di quattro o cinQue anni a partire dal 1935. Né la popolazione jugoslava né quella negra possono compensare con qualche larghezza la de·ficienza francese.

Scaturisce di qui la convenienza per noi di sostenere solo quelle tesi che C•i lasciano libertà d'azione nel campo degli argomenti del numero l •) c effettivi • e che· vincolano la Francia nel campo degli argomenti del n. 2•) c armi e mezzi costosi •.

La tesi si può simpaticamente sostenere, perché:

a) tende a sopprimere le armi offensive;

b) concede all'uomo il suo diritto naturale· alla difesa co·i mezzi più semplici che la na·tura gli ha messo in mano fin dalla sua venuta sulla terra.

Il sostenere invece la tesi globale, di applicare integralmente i criteri di limitazione e di soppressione considerati nei trattati di pace, ci sarebbe dannosa se applicata; e ci metterebbe in difficili condizioni nelle discussioni tecniche, quando queste dovessero inesorabilmente incagliarsi nelle prevedibili opposizioni francesi.

Ma anche nei riguardi interni il sostenere noi una simile tesi sarebbe pericoloso, perché potrebbe condurre al risorgere di viete tesi certamente

Quindi abolizione dei sommergibili, abolizione dell'aviazione militare, dislocamento massimo delle unità di linea pari a 10.000 tonn., od al disotto, e limite più basso possibile per ogni categoria di unità. In nessun caso cioè aumento, ma solo riduzione di armamenti.

Questa è la legge che seguiremo e che definisce ormai la condotta della nostra Delegazione, condotta che è da prevedersi non potrà subìre cambiamenti per alcun evento politico interno della Germania, anche camb;ando le persone.

Difatti, considerando i casi possibili, si può dire che se dovesse succedere al Governo attuale un Governo socialnazionale, sarebbe piuttosto da attendersi un aumento dl pretese e neanche un Governo comunista potrebbe averne meno.

Tutti poi in Germania, a qualunque partito appartengano, sono concordi nel non ammettere possibilità di adesione a trattative internazionali unilaterali e nessun Governo potrà mai sottoscrivere il riconoscimento dell'art. 53 del progetto di convenzione, redatto dalla Commissione preparatoria del disarmo.

In ultimo l'Ammiraglio von Freyber~t mi ha espresso la fiducia di poter incontrare presso la nostra Delegazione a Ginevra la più fattiva intesa cordiale, poiché non risultano esistere sostanziali differenze di vedute fra i due Governi ed anzi esse concorda.ndo ormai soprattutto nel punto più essenziale, che è: riduzione degli armamenti al livello più basso possibile •.

nocive all'Italia; quelle cioè di creare un piccolo esercito di mestiere, da sostenere al caso del bisogno con leva in massa di gente sostanzialmente non addestrata (1).

(l) -Cfr. n. 178. (2) -Per l'atteggiamento della Germania cfr. le dichiarazioni fatte a Trebiliani dal viceammiraglio von Freyberg Eisenberg Allmendingen (rapporto rr. di Trebiliani, Berlino 8 gennaio 1932, in USM, cart. 3240/4):
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L'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 204/100. Madrid, 27 gennaio 1932.

Da persona di fiducia mi sono state riferite akune notizie circa il movJmento hitleriano in Questa colonia tedesca che conta all'incirca 3500 persone.

Da alcuni mesi 'esiste a Madrid un gruppo hitleriano diretto da certo Walter Zuchristian, impiegato della Siemens, oriundo austriaco, forte attualmente di 60 membri.

Delle cinque società tedesche della capitale, due, ossia la Federazione Impiegati e la Società Ginnastica, già sono controllate dagli hitleriani. Il mio colLega Conte Welczeck, come del resto ebbe a dichiararmi lui stesso, si mantiene assolutamente neutrale nei riguardi del movimento hitleriano: ma il gruppo è deciso ad assicurarsi nell'Ambasciata un'influenza o rappresentanza diretta e fattiva nel prossimo auspicato giorno in cui il partito nazional-socialista giungerà al potere a Berlino. Frattanto si viene procedendo ad un'attiva propaganda, con buone speranze di successo: propaganda metodica mediante invio di pubblicazioni e schede di adesioni ecc. ·ed accurata preparazione comprendente un minuto schedario sulle condizioni economiche e sociali e sull'atteggiamento poHtico dei cittadini germanici residenti nella circoscrizione. Già sarebbero pronte più di 600 schede riguardanti le persone più in vista della colonia. Il gruppo si mantiene in relazione col segretariato g·enerale di Amburgo e col comitato centrale di Monaco Baviera. Il Dr. Heusling, segretario generale, dopo le sue visite in Italia ed Inghilterra, si recherebbe nel prossimo febbraio ad Oporto per proseguire poi per Lisbona e Madrid dove H 23 febbraio terrà due conferenze nella sede di una delle due società ginnastiche controllate dal gruppo e nella chiesa protestante annessa. Si vuole

« Mentre il progetto di convenzione elaborato dalla Commissione preparatoria era

fondato sul principio della limitazione quantitativa, nella discussione generale del primo

mese venne messo in rilievo dalla grande maggioranza delle delegazioni il concetto della

!imitazione qua!itativa come quello che poteva più facilmente condurre verso una riduzione

degli armamenti.

L'idea della limitazione qualitativa, genericamente enunciata per primo dalla Dele

gazione britannica, venne subito ripresa e sviluppata dalla Delegazione italiana con un

piano organico e completo di abolizione di tutti gli armamenti aventi un carattere specifi

catamente aggressivo.

Da notare che la proposta italiana, essendo basata sulle restrizioni imposte dai Trat

tati di pace ai Paesi vinti, mirava a risolvere, contemporaneamente a quella del disarmo, la

questione dell'uguaglianza di diritto.

La Delegazione francese, ostile in massima al principio della limitazione qualitativa,

non lo combatté direttamente, ma oppose al concetto dell'abolizione delle armi aggressive

quello della loro messa a disposizione della Società delle Nazioni.

Alla fine della discussione generale la Conferenza, dopo aver adottato il principiodella limitazione qualitativa, incaricò le Commissioni tecniche di studiarne le modalita di applicazione, stabilendo la natura e le caratteristiche delle armi aggressive ».

che il Ministro germanico di Lisbona sia nettamente contrario a1l movimento, tuttavia ii Dr. Heusling si sarebbe già assicurata la possibilità di tenere in quella capitale una conferenza per radio.

Interessandomi in modo speciale al movimento hitleriano (e ricordo a questo proposito che durante la mia missione a Monaco Baviera nel 1923 ebbi occasione di incontrarmi col Signor Hitler, il quale personalmente, ed a mezzo del suo giornale Volkischer Beobachter tenne fin d'allora l'attitudine la più amichevole verso S. E. Mussolini e l'Italia giungendo a dichiarare fra altro con grande coraggio il suo disinteresse per la questione d'eli'Alto Adige, in Quel tempo allo stato acuto in Germania), pregherei V. E. di farmi conoscere se, qualora se ne presentasse l'occasione, e naturalmente con la riserva del caso, potrei ev,entualmente avere un abboccamento riservato col Dr. Heusling (1).

(l) Sulla conferenza del disarmo cfr. anche un appunto ministeriale, probabilmentedell'agosto 1932:

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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

TELESPR. R. 202682/80. Roma, 29 gennaio 1932.

In relazione alle considerazioni di opportunità del momento, che V.S. ebbe a far presenti in occasione del suo recente soggiorno a Roma, sono state date, disposizioni perché venga sospesa la pubblicazione sui nostri giornali di articoli di tono ostHe al!la Jugoslavia. Speciali istruzioni sono state impartite per la Vedetta di Fiume e per il Littorio Dalmatico (2).

La S.V. avrà cura di segnalare, in questo periodo di tempo, il contegno generale nei nostri viguardi della stampa di codesto paese.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI (Copia)

L.P.RR. 772. Roma, 31 gennaio 1932.

Il Marchese Paternò, R. Ministro in Addis Abeba, trovandosi in licenza in Italia, mi ha chiesto l'autorizzazione di recarsi per aualche giorno a Parigi per sue private ragioni.

«Questo Ufficio, in seguito ad ordini superiori, ha disposto affinché l'attuale indirizzo dei giornali italiani piuttosto ostile alla Jugoslavia sia per il momento sospeso. Speciali istruzioni sono state impartite alla Vedetta di Fiume e al Littorio Dalmatico •·

12 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

Sono note a V.E. le aperture fatte allo stesso Marchese Paternò da funzionari della Legazione di Francia in Addis Abeba circa l'a convendenza e la possibmtà di una collaborazione delle ilocali rappresenrtanze diplomatiche italiana e francese nei riguardi della azione da svolgere localmente verso il Governo etiopico. Ora il Marchese Paternò potrebbe forse durante il suo breve soggiorno a Parigi provocare un'occasione qmiil'siasi per ,incontrarsi, a titolo assolutamente privato, col funzionario francese Signor de St. Quentin (al quaile lo legano rapporti di personale amicizia) per cercare di sondare se, e fino a qual punto, le aperture della Legazione di Francia in Etiopia corrispondano alle ;intenzioni del Quai d'Orsay.

Tutto ciò mantenendosi naturalmente nel campo esecutivo delle direttive dell'azione diplomatica locale.

Ove Ella non vedesse alcun inconveniente a tale incontro, da concretarsi nei modi che il Marchese Paternò Le esporrà meglio a voce, questi si regolerà secondo le intese che prenderà con V.E. (1).

(l) -Annotazione di Grandi : • Rispondergli di si ». (2) -Cfr. l'appunto n. 559/102 di Rocco, dell'ufficio Stampa, per Paolo Cortese, del 27 gennaio:
185

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 520/195. Mosca, 31 gennaio 1932.

Ho sempre dimenticato di riferire all'E.V. e lo faccio ora a solo titolo documentavio, che già due volte Litvinov mi ha, per quanto assai di sfuggita, domandato notizie delle ripercussioni del movimento hitleriano in Italia.

Ritornato io a Mosca alla fine di novembre, Litvinov è ritornato sull'argomento domandandomi se ritenevo che con l'avvento degli hitleriani al potere le relazioni fra l'Italia e la Germania sarebbero divenute più intime ( • would get any closer • ). Al che io replicai, in un certo senso eludendo la domanda, e riferendomi ai risultati del viaggio di S.E. Grandi a Berlino e all'appoggio dell'Italia alla Germania in tutte le questioni internazionali fondamentali che gli avevo poco prima illustrato : • Don't you think that they are olose enough? •.

A parte il valore aneddotico di questi accenni, essi mi sembrano interessanti in quanto sintomi di una preoccupazione sovietica per una più accentuata intimità con la Germania che potrebbe essere la conseguenza di un avvento di Hitler al potere. Ciò che in condizioni normali sarebbe ben visto, diventerebbe invece preoccupante con un Governo hitleriano tendenzialmente, come qui si ritiene, antisovietico (2).

Naturalmente, un'altra ipotesi è ancora possibile. Berthelot potrebbe benissimo aver detto a Zaleski quanto questi gli attribuisce, ma, in quale misura Berthelot avrebbe -a sua volta -riferito con esattezza il pensiero di Biilow? Non potrebbe forse Berthelot aver messo in giro questa voce per aumentare le diffidenze contro la Germania?».

186.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Roma, [ ... gennaio 1932].

Ho fatto redigere l'unito rapporto (l) sugli accordi Br.iand-Maglione relativamente agli onori liturgici concessi dalla Santa Sede alla Francia in Oriente. La questione diventa di maggiore attualità in questo momento in cui ci giunge notizia che la Santa Sede ha attribuito alla Francia, strappandolo alla Custodia del Santo Sepolcro cioè all'Italia, la tutela religiosa dell'intera zona del Canale di Suez, dove noi abbiamo istituzioni religiose fiorenti. Ciò a nostra intera insaputa.

Io ritengo sia giunto il momento di affrontare la questione colla S. Sede, senza cedere ai consueti invi,ti vaticani di indi11izzarci alla Francia. È un problema di prestigio, esclusivamente di prestigio, fra noi e la Francia, di Eronte ahla Chiesa cattolica, ma soprattutto di fronte alle popolazioni cattoliche

o no dell'Oriente mediterraneo.

Ove nu1la osti da parte Tua, inizierei pe! tramite della nostra Ambasciata l'azione presso la Santa Sede (2). Dopodiché dovremo affrontare un'altra questione, di maggrl.ore portata concreta, le Missioni religiose italiane all'estero, che non figuravano e non potevano figurare per ovvi·e ragioni, nel Concordato.

(l) -A mar~ine annotazione di de Ciutiis: • L'originale è stato consegnato al Marchese Paternò, che lo porterà personalmente all'ambasciatore Manzoni. 31 gennaio 1932 •. (2) -Con rapporto s. 112/40 del 12 gennaio, Attolico riferiva che Zaleski a Varsavia gli aveva riferito • una notizia veramente sbalorditiva: che cioè, in occasione del viaggio di Laval a Berlino, Biìlow avrebbe detto a Berthelot, nell'offrirgli l'" alleanza " della Germania, che questa sarebbe stata pronta a dare all'alleanza un carattere ed un programma nettamente anti-sovietico, fino al rovesciamento del regime comunista in Russia ed alla restaurazione dello Zarismo (!?), con conseguente costituzione di sfere d'influenza francotedesche in Russia...
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PROMEMORIA DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL GABINETTO DEL MINISTRO

... (3).

In relazione al:la :r>ichiesta contenuta nell'Appunto del Capo di Gabinetto di S.E. il Ministro n. 675 del 28 Gennaio u.s., la Direzione Genera·le E.L.A. ha il pregio di comunicare, in merito alla personalità ed alla attività del Signor Giabotinschi le seguenti notizie che risultano dagli atti e documenti in suo possesso.

Vladimiro Giabotinschi, pubblicdsta, già direttore del giornale Doar Ajom in Palestina è capo del movimento sionista revisionista e antibritannico, in opposizione al partito così detto di Governo capeggiato dal Dottor Weizmann.

• Con riferimento alla precorsa corrispondenza relativa alla situazione nella quale ci siamo venuti a trovare ai riguardi degli onori liturgici in alcuni paesi d'Oriente, per effetto degli accordi Briand-Maglione del 1926, prego V.E. di volere esaminare se non fosse giunto il momento opportuno per riprendere con la Santa Sede concrete conversazioni allo scopo di giungere ad una sistemazione di carattere generale della questione, in guisa che ci venga assicurato, per quanto concerne almeno le Chiese sulle quali abbiamo esercitato il nostro protettorato, una situazione analoga in via di principio a quella colà esistente in favore della Francia in seguito agli accordi anzidetti •.

Nel 1931 il Giabotinschi venne espulso dalla Palestina appunto per il suo atteggiamento antibritannico.

A mezzo di un intermediario (il Signor Donati) il Giabotinschi cercò di 1vvicinare nel giugno scorso la R. Ambasciata a Parigi alla quale fece conoscere ii essere personalmente assai simpatizzante per l'Italia, e pel Fascismo e di iesiderare che la cmtura e l'influenza italiana assecondino il movimento da lui diretto : a tale scopo, anche in vista di creare delle squadre d'azione per la lotta contro gli arabi, il Giabotinschi si era allora proposto di istituire in Italia una scuola speciale, a base di corsi culturali e sportivi, per i giovani che dovrebbero venire inviati in Oriente.

In cambio il Giabotinschi avrebbe permesso di svolgere una vasta azione in favore dell'ItaUa.

Già in epoca precedente (autunno 1930) (l) ce·rto Signor Chivuoli (recte Mosè Krivosheim, di origine russa) appartenente allo stesso movimento sionista ~evisionista, aveva presentato a S.E. GiuDiati, il quale ne aveva a sua volta interessato S.E. Grandi, un progetto analogo, di collaborazione italo-sionista.

A tali progetti non venne da parte di questo R. Ministero, per ovvie ragioni di ordine politico generale, dato alcun seguito. È ora probabile che il Giabotinschi solleciti di ottene-re una udienza da

S.E. i1l Capo del Governo allo scopo di ritornare alla carica esponendo in dettaglio a S.E. Mussolini il progetto da lui ideato.

La Direzione Generale scrivente, pur non dubitando delle favorevoli disposizioni del Giabotinschi a favore dell'Italia e del Fascismo, esprime per parte sua l'avviso che l'udienza sollecitata dal Giabotinschi sia preferibilmente da evitarsi per non dare a quest'ultimo possibilità di sfruttarla a fini non ancora ben chiari.

Il Giabotinschi potrebbe essere invece ricevuto da qualche funzionario di questo Ministero H quale potrebbe mantenere anche dopo i contatti con lui allo scopo di seguire gli sviluppi del movimento sionista revisionista, e rendersi meglio conto dell'atteggiamento che· al Governo italiano converrebbe di assumere di fronte ad esso (2).

(l) -Non si pubblica. (2) -Con telespr. 70/20 del 5 febbraio 1932, indirizzato a De Vecchi, Grandi scriveva:

(3) Il promemoria fu preparato in gennaio e, come ha annotato Guariglia, consegnato al gabinetto il l o febbraio.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (3)

T. PER CORRIERE R. 526/85. Parigi, 1 febbraio 1932 (per. il 3).

Ho provveduto subito a diramare il più largamente possibile le precisioni ed affermazioni dei telegrammi di V. E. n. 121 e n. 135. Nessuna persona seria mette qui in dubbio la irremovibile decisione del

R. Governo di non rinunziare al tallone oro. Ripetere affermazioni in tal senso crea impvessione contraria a quella che si vuol dare, crea impressione dannosa

per la nostra gestione finanziaria, crea 'impressione che si tiene conto non dell'opinione della gente e dei circoli seri ma di quella di circoli politici avversi i quali sono ben Heti di constatare che le loro manovre vengono tenute in considerazione e riescono a indebolirei presso quei circoli importanti della Finanza che considerano che le decisioni nostre sono solidamente prese e

;olidamente mantenute.

Nei detti circoli finanziari e politici di importanza le situazioni uff1ciali della Banca d'Italia danno motivo, non alla questione se manterr,emo o no H tallone d'oro ma ad altre. Essi osservano che al 31 dicembre 1929 la r~iserva totale della Banca d'Italia ~era di Lire 10.341.277.617,35: al 31 dicembre 1930, era d:i Lire 9.624.260.683,70; al 20 di dicembre 1931 era di Lire 7.851.397.287,02. Ossel'vano pure che se nel frattempo la riserva oro effettivo è salita da Lire 5.190.137.968,48 a Lire 5.625.984.728,88, quella delle divise e di buoni del tesoro di Stati esteri è scesa da Lire 5.151.139.649,07 a Lire 2.225.412.558,14. Osservano pure che questa discesa è costituita da una emorragia costante, mensile, di queste divise. Osservano infine che la circolazione dei biglietti è discesa, nello stesso periodo di tempo da Lire 16.774.337.100 a Lire 13.957.897.250.

In base a queste osservazioni i detti circoli pongono tre quesiti. Primo: -da che cosa dipende quest'emorragia delle divise estere che non è compensata dall'aumento della riserva oro metallo? Secondo: -da cosa dipende che quest'emorragia è costante, è a cifre mensili quasi costanti?

Terzo: -come può agevolmente funzionare l'economia e la vita monetaria di un paese di 42 milioni di abitanti, dove il sistema delio chèque è molt.o poco usato, con una circo1lazione fiduciaria di soli appena 14 miliardi? Non è forse questa circolazione fiduC>iaria contratta artificialmente per tenere proporzionalmente alto il rapporto tra essa e la riserva oro metallico, e non è essa troppo contratta di fronte alle esigenze della vita economica del paese?

Se il R. Governo crederà fornirmi esaurienti e sintetiche risposte a questi quesiti le farò circolare tra i suddetti importanti centri finanziari, e esse sì, non le ripetizioni di altre affermazioni già categoricamente fatte, serviranno a rinforzare la fiducia che quei circoli mostrano per la Finanza italiana e la considerazione che non nascondono pel metodo severo ed efiicace con cui ~essa è gestita. In caso diverso essi permarranno, anzi si rafforzeranno, nell'impressione che continuando questa ~emorragia, che alcuni immaginano dipenda da messa in circolazione di divise estere a sostegno del corso della Lira all'estero, il R. Governo sarà a non troppo lunga scadenza di tempo nella situazione di dover fare un prestito estero.

Quanto al corso della Lira sul' mercato francese, ripeto quanto scritto nel mio T.P.P. n. 586.355 del 27 gennaio, e cioè che la Lira declina, costantemente, grado a grado, ma senza interruzione, nel suo valor~e. Colla svalutazione della sterlina essa scese da 134 a 130; da allora è scesa a 127; ier l'altro era ancora scesa a 126,50 (1).

(l) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 486. (2) -Annotazione a margine: • Conclusioni approvate da S.E. il Capo del Governo. 9 febbraio •. (3) -Il tel. fu inviato per conoscenza anche al ministero delle Finanze.

(l) L'esemplare del tel. conservato in Archivio Grandi fu visto da Mussolini e reca a margine la seguente sua annotazione: « Potere d'acquisto della lira nel 1927 : 18,99. Potere d'acquisto nel 1931: 30,62. Occorre quindi una circolazione proporzionalmente diminuita».

189

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO DELLA GUERRA FRANCESE, TARDIEU (l)

(Archivio Grandi)

Ginevra, 3 febbraio 1932.

Tardieu -• Ho desiderato stringervi la mano prima che la Conferenza inizi i suoi ilavori. Non ci vediamo più dalla Conferenza di Londra. Ho la speranza che saremo a Ginevra più saggi di quello che non lo siamo stati allora •.

Grandi -• Speriamolo. Ad ogni modo è sempre per voi e per me una buona pratica l'aver leticato per tre mesi. Vedremo se sarà possibile non farlo qui •.

Tardieu -• Avete idea su quello che dirà Sir John Simon lunedì? •

Grandi -c No •.

Tardieu -c E voi cosa direte di particolare? •.

Grandi -c Nulla, probabilmente. Ma poiché ho l'onore di parlare dopo di voi, il mio discorso sarà facile, perché non mi rimane che dire il contrario di quello che avrete detto voi •.

Tardieu -• Non parlerete della "Tregua"? •.

Grandi -c No. La proposta di 'tregua' fatta dall'Italia nel mese di settembre è sempre là. Se qualcuno pensa di riprenderla in esame, tanto meglio. Ma io non lo farò •.

Tardieu -c Ritenete opportuno che i nostri esperti prendano dei contatti? •.

Grandi -• Li hanno già. Ma ad ogni modo è sempre utile che li abbiano ancora più •.

Tardieu -Si dilunga sul soLito discorso del solito :francese sul solito desiderio della Francia di andare d'accordo coll'Italia. • Io non capisco ancora la ragione perché sia andato a monte l'incontro :fra H Presidente Lavai e il Duce. Laval lo desiderava tanto. C'è stato ad un certo momento qualcosa che io non riesco a capire. È stato un vero peccato •.

Grandi -• Già •.

190

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA RR. 43/19. Belgrado, 3 febbraio 1932 (2).

Questo Signor Karovic, facente funzioni di direttore degli Affari Poliiici ·in sostituzione di Fotic, a Ginevra, mi ha ieri rimesso il foglio croato qui

annesso. Ne allego la traduzione (l) in più esemplari, dalla quale V. E. potrà rilevare il violento tono ri:voluzionario de·H'Ustasa ed anti serbo.

Secondo le affermazioni di KamVIic detto foglio Ustasa -Il Ribelle oUreché venduto sar·ebbe anche stampato a Fiume da certo Servazzi. A Fiume si troverebbero in pubblica vendita anche :la Cri... • (2) e lo Hrvatski Domobran.

Egli mi ha chiesto che sia vietata la pubblicazione di tale foglio a Fiume, e vietata la vendita pubblica di esso come degli altri anti jugoslavi.

Ho risposto a Karovic che la Libertà era qui ed a Sussak pubblicamente venduta (egli invece afferma che ne è vietata la introduzione in Jugoslavia) che a Sussak lavorava tranquiLlamente con l'aiuto di quelle autorità di polizia l'antifascista Adam, per il quale l'allontanamento avvenuto a nostra richiesta, era durato soltanto qualche mese, che lo Zanella in accordo con gli antifascisti stabiliti in Francia, stava, secondo nostre informazioni da Parigi, per aprire un centro di azione antifascista a Zagabria (3).

Sempreché le sue affermazioni fossero esatte, ove il Governo italiano avesse creduto eventualmente accedere alla di lui domanda, che avrei personalmente appoggiata, si sarebbero dovute avere contemporarnee misure precise e definitive contro gli antifascisti stabiliti in Jugoslavia e contro i terroristi sloveni che operano da Lubiana, misure sempre promesse ma mai attuate.

Resto perciò in attesa di quanto la E.V. crederà autorizzarmi a comunicare in proposito.

• appoggio anche finanziario •. Cfr. il telesPr. r. 324389 del 16 dicembre 1931, indirizzato a Parigi e a Belgrado. La risposta di Galli non è stata trovata. Essa è però trascritta nel telespr. ministeriale 302908/178 dell'8 febbraio 1932, indirizzato alla dir. gen. Pubblica Sicurezza. Se ne pubblica qui la prima parte: • Dalle più accurate indagini esperite per conoscere se il Governo jugoslavo fosse propenso a sussidiare i rePubblicani italiani a cui appartiene Facchinetti, e se Zanella abbia promesso o meno, un contributo mensile alla concentrazione antifascista, mi è risultato che tali questioni sono qui comvletamente sconosciute.

La notizia che a Zagabria si stia costituendo un centro di attività antifascista, tipo Londra-Berlino, è per ora prematura. Mi consta che Zanella, durante i suoi frequenti soggiorniin Zagabria, direttamente e indirettamente per il tramite del suo fiduciario Adam Angelo,ha a più riprese cercato degli approcci coi fuorusciti della Venezia Giulia, per una collaborazione con la concentrazione antifascista in Francia. I maggiorenti dei fuorusciti (Dr. Razem, Mihovillovich, Radetich, Cek ed altri} radunatisi al riguardo, hanno declinato la richiesta collaborazione con la motivazione della mancanza di comunità delle aspirazioni,mirando i fuorusciti istriani alla redenzione della Venezia Giulia, la concentrazione invece alla soppressione del Regime in Italia. Tutte le ulteriori premun ..i.i Zanella al riguardo, fatte sotto varie forme ma sempre con lo stesso contenuto, si sono infrante dinanzi alla tesi suesposta •·

Sullo stesso argomento cfr. anche il telespr. ministeriale rr. 304922 del 5 marzo, 1932, col quale venivano comunicate a Parigi e Belgrado informazioni fornite dal ministero dell'Interno:

• Mi si riferisce che, col tramite di Zanella (che doveva partire da qui per ViennaBelgrado, ma ha dovuto rimandare la partenza perché ammalato) erano intercorse anche coi buoni uffici di un consigliere della Legazione jugoslava a Parigi, delle trattative fra la Concentrazione ed il Governo di Belgrado, e che, da parte di quest'ultimo, si era domandata una " prova " dei sentimenti dell'antifascismo, dopo l'abbattimento del Regime Fascista, nei riguardi della Jugoslavia. Ora, nel programma di Giustizia e Libertà fatto proprio dalla concentrazione, non manca una parte, concordata con Zanella, riflettente gli allogeni. Rosselli avrebbe chiesto a Zanella l'appoggio del Governo jugoslavo per azioni aeree da quel territorio, e Zanella avrebbe risposto invitando la concentrazione a delegare un rappresentante che dovrehbe accompagnare Zanella in Jugoslavia ed intavolarvi dei pour-parlers. Intanto Modigliani ha avvertito Rosselli di andare cauto con Zanella, specialmente in materia di accordi con le sette segrete jugoslave. Pare dunque che Zanella sarà accompagnato da qualcuno nel viaggio a Belgrado e si torna a parlare in proposito di Rondani come il più indicato e quotato».

È mia persona·le subordinata opmwne che se per le considerazioni fatte presenti costà in occasione della mia ultima permanenza V.E. ha creduto dare disposizioni alla stampa perché siano evitate pubblicazioni ostili nia Jugoslavia (1), a maggior ragione deve essere tassativamente vietata la pubblicazione di fogli del genere dello Usta8a.

Quanto alla Vlendita di tale foglio o di altr'i consimili di carattere separatista croato anche se pubblicati all'estero, vedrà V.E. se e auali decisioni prendere (sempre peraltro in corrispondenza di analoghi impegni jugoslavi) e se general•i al nostro territorio o particolari a Fiume.

P.er la città di Fiume (e debbo dire altrettanto per Zara) debbo ancora una volta metteve in rilievo ben preciso che molte delle misure restrittive per il rilascio delle tessere di frontiera ed il boicottaggio, sono certamente determinate anche dalla necessità di queste autorità di difendersi dalla propaganda separatista croata ed ooti jugoslava che sembra avere qualche suo centro a Fiume, e dalla conseguente ricerca di ogni possibile mezzo per impedire la introduzione in Jugoslavia di fogli manifesti giornali sovversivi che per es. si possono fare entrare tanto più facilmente quanto maggiore è il traffico attraverso il ponte di Sussak.

(l) -Tardieu era allora ministro della Guerra. Diventerà presidente del Consiglio e ministro degli Esteri il 20 febbraio 1932. (2) -Sic, ma forse deve essere 23 febbraio 1932. (l) -Non si pubblica. (2) -Illeggibile. (3) -Al ministero degli Esteri era giunta notizia che la Concentrazione antifascista aveva chiesto al governo jugoslavo, tramite Zanella (in contatto principalmente con Facchinetti),
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IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 41058. Roma, 4 febbraio 1932.

Rispondo al telespresso n. 202929 del 30 gennaio u.s..(2).

Convengo pienamente circa la risposta che codesto R. Ministero llintenderebbe dare alla nota verbale dell'Ambasciata di Francia; e ciò soprattutto per le accennate ragioni di carattere politico, le quali consigliano una comune linea di condotta allle Potenze del Tripartito.

Pur mantenendo, quindi, in massima, il noto punto di vista contrario al

l'abbinamento delle due questioni, doganale e giurisdizionale, rUengo anch'io

opportuno che si aderisca alla soluzione proposta dal Governo francese (3).

(l) -Cfr. n. 183. (2) -Col quale Guariglia informava circa gli svilupr>i della questione dei dazi doganalietiopici (su cui cfr. serie VII, vol. X, nn. 271 e 293). Il governo inglese aveva suggerito di consentire al Negus di modificare il regime doganale. Il governo francese si era dichiarato contrario alle modifiche proposte dall'Inghilterra e ne suggeriva altre. Sia l'Inghilterra che la Francia intendevano abbinare la concessione a modificare i dazi con modifiche da apportare alla giurisdizione speciale riservata agli stranieri in Etiopia. Palazzo Chigi intendeva rispondere che, • pur essendo sempre stato contrario in linea di principio e per ragioni di prestigio e di opportunità tattica all'abbinamento delle due questioni doganale e giurisdizionale tuttavia, considerata la necessità che ogni giorno più s'impone, che le tre Potenze interessate in Etiopia procedano di comune accordo, il R. Governo, pur mantenendo di massima il proprio punto di vista, è pronto a consentire a che il R. Ministro in Addis Abeba si associ ai suoi colleghi per cercare di conseguire col Governo abissino un accordo sulla base dell'abbinamento delle due questioni doganale e giurisdizionale>. (3) -In seguito ad un appunto di Guariglia per Grandi del 2 febbraio, fu comunicato alla stampa di non parlare della questione delle costruzioni stradali in Etiopia come di ogni altra questione relativa ai rapporti itala-etiopici.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (Archivio Grandi) (I)

R. -728/438. Parigi, 4 febbraio 1932.

Mi riferisco e faccio seguito al mio rapporto n. 564/334 del 28 gennaio ultimo scorso (2).

Mentre sto scrivendo la Camera dei Deputati discute la riforma eLettorale sulla proposta che prende il nome dal deputato Mandel. La proposta tende a introdurre il sistema di votazione vigente in Inghilterra, al Giappone, negli Stati Uniti d'America, in Grecia, dello scrutinio a un solo turno a maggioranza relativa. Volgarmente il progetto è conosciuto come quello del • 40 % •. La riforma è sostenuta dall'attuale maggioranza; è combattuta dalla opposizione. Non appare dubbio, nonostante la lotta che si è accesa intorno ad essa tra maggioranza ,ed opposizione, che la riforma passerà alla Camera dei Deputati. Dana Camera andrà poi al Senato. Si sa che il Senato è contrario, ma un membro del Governo, a tendenza sinistreggiante, si è espressso jeri meco nel senso che se, come probabile, la riforma otterrà alla Camera una maggioranza importante, ad esempio di 50 voti, è probabile che il Senato sospenderà la sua opposizione e lascerà che l'esperimento sia fatto: boccerà la riforma, invece, se otterrà una votazione di esigua maggioranza.

Lo stesso membro del Governo non ha nascosto che J.a maggioranza attuale ripone nella :rdforma elettorale dell'unico scrutinio, un grande elemento di speranza di vittoria nelle prossime elezioni. Lo scrutinio di ballottaggio concentrerebbe infatti contro di essa le forze avversarie, ora divise tra i 3 gruppi comunista, sooiaHsta e radicale.

È dunque quando saranno state decise le sorti della progettata riforma elettorale che si potrà cominciare a fare previsioni sull'esito delle prossime elezioni politiche. Oggi come oggi si sa che n paese domanda essenzialmente che gli sia evitata una nuova guerra. Maggioranza ed opposizione devono perciò basare entrambe la loro tattica su questo sentimento dell'elettorato. Col sistema elettorale vigente dello scrutinio a doppio turno, l'opposizione ha potuto finora non ingaggia11e ancora la battaglia elettorale e J.a maggioranza ha potuto limitarsi a fare della politica governativa elettorale colla vita cara e coi contingentamenti sul campo economico, con la resistenza nelle questioni riparazioni e disarmo nel campo politica estera, col rafforzamento di un bilancio per quanto possibile in apparente pareggio nel campo finanziario, con la vota?lione del progetto di attrezzamento nazionale e di quello del soccorso agli operai senza lavoro nel campo sociale, colla assistenza finanziaria a importanti banche ed importanti intraprese nel campo industriale; ed in generale con misure non generali, non definitive, ma temporanee, dilatorie, empiriche. Se la opposizione, con l'aiuto del Senato, porrà in iscacco la maggioranza, la situazione di questa diverrà difficile. Allora si vedrà quale atteggiamento

prenderà il Gabinetto Laval e lo stesso Signor Laval. E poiché l'elettorato domanda essenzialmente che sia evitata al paese una nuova guerra, e poiché nel paese è diffuso il senso della debolezza attuale internazionale della Francia, del suo isolamento di fronte alla Germania, nei riguardi dell'America, dell'Inghilterra, dell'Italia; dell'incertezza e limitata potenzialità di legami con la Polonia e colla Piccola Intesa per ragioni internazionali e per ragioni economiche e finanziar.Ie, quest'atteggiamento del Gabinetto e del Signor Lavai dovrà portare anche sul campo della politica estera. Il riavvicinlamento coll'Italia sarà uno dei terreni da mettersi in lavorazione.

Ma anche se la riforma ·elettorale passerà è wrosimile che la politica estera sarà per necessità di cose un elemento importante della prossima battaglia elettorale. E ciò tanto per le esigenze pacifiche degLi elettori e per quella situazione personale del Signor Lavai che ho esposto nel rapporto a cui mi riferisco, per far fronte alle quali il Signor Lavai deve districarsi dalla tenaglia da cui è ora stretto, quanto pel fatto che il Signor Herriot, capo gruppo dei radicali è egli pure serrato da una tenaglia e deve tendere a districarsene. Se il Lav~ deve farlo aprendosi una strada verso sinistra, il Signor Herriot, che è stretto tra la maggioranza Lavai e i socialisti, e che deve voler evitare di ritornare al potere (ove le el·ezioni siano favorevoli alla sinistra) nelle condizioni in cui vi venne un anno fa il suo amico Steeg, ossia schiavo dei voti socialisti, deve tendere a aprirsi una strada verso il centro. Tanto l'uno quanto l'altro dovranno operare sul terreno della politica estera e far sentire agli elettori una attività tendente a migliorare la posizione internazionale della Francia col riguadagnarle la amicizia e la solidarietà inglese ed italiana, in modo che sia evitato il pericolo della guerra franco germanica, e che se questa guerra dovesse esservi, la Francia abbia con sé almeno le simpatie inglese ed italiana.

Tutto sembra dunque portare alla conclusione che nella prossima campagna elettorale francese la posta del riavvicinamento coll'Italia sarà giocata tanto dal Signor Lavai quanto dal Signor Herriot, ossia tanto dal centro quanto dai radicali.

Il giuoco nostro sarà di approfittarne. La tattica dovrebbe essere quella di non respingere la mossa, ma di scoprire di quale sostanza è materiata (1).

(l) -Il doc. è cit. da PERFETTI, p. 704. (2) -Non rinvenuto.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (Archivio Grandi, copia)

Ginevra, 5 febbraio 1932.

Nessuna novità che meriti di essere particolarmente segnalata. Da otto anni durante i quali vengo a Ginevra non ho mai assistito ad un inizio di Conferenza più grigio, più moscio, più incerto di questo. Anche qui (che è tutto dire)

si sente l'anacronismo di questa riunione nel momento in cui l'Estremo Oriente è in guerra, la Francia imposta corazzate e altezzosamente conferma il suo programma di egemonia militare europea. C'è in tutti un senso strano di sconcertante perplessità.

Le singole delegazioni stanno abbottonate. Ciascuno spinge gli altri a prendere l'iniziativa. Mi è stato domandato se io volessi aprire Ja discussione. Ho risposto declinando cortesemente l'offerta, aggiungendo che l'Italia aveva già detto tutto ormai in materia di disarmo, e che il mio intervento nella discussione generale sarebbe stato questa volita di pura forma. Non mi sono dato neppure la pena di farmi parte diligente nella cosiddetta • presa di contatto • coi capi delle altre delegazioni. Ed ho fatto bene perché il capo della delegazione britannica Thomas -(che sostituisce fino a lunedì Simon) -, quello francese Tardieu, quello tedesco Nadolny si sono tutti fatti premura di venirmi a fare una visita per primi. Conversazioni senza particolare importanza (1). La delegazione britannica è seriamente preoccupata, quella francese si prepara, per bocca di Tardieu, ad impostare il problema della sicurezza francese senza via di mezzo, Bruening (che arriverà !lunedì e che si è già iscritto a parlare) mi ha fatto sapere per mezzo di Nadolny che si terrà molto sulle generali 'e che non intende polemizzare colla Francia. La delegaz-ione americana giuoca a golf e dichiara su tutti i toni che per ora, dato l'atteggiamento francese, non c'è nulla da fare. Gibson parlerà lunedì sera, dopo Tardieu, a nome degli Stati Uniti, ma mi ha detto che si limiterà ad una pura dichiarazione di forma. Ieri sera Henderson ci ha convocarti per risolvere una piccola (ma sintomatica) questione sorta tra la delegazione francese e quella tedesca. Tanto Bruening quanto Tardieu hanno domandato di poter parlare; il delegato francese prima del tedesco, il tedesco prima del francese. Nadolny (per Bruening) richiesto da Henderson del perché di tanta insistenza, ha dichiarato fra una certa meraviglia di tutti che il Cancelliere desiderava fare un breve discorso che gli evitasse di rispondere ossia di polemizzare con quello di Tardieu (! ?). Tardieu ha dichiarato che egli non intende cedere il turno a nessuno, e così Bruening parlerà dopo Tardieu.

LI lavoro intemo della delegazione italiana ha cominciato in modo soddisfacente. Data l'improbabilità che vengano per ora affrontate auestioni speci.fiche ho cercato di sfollare, anche per ragioni di necessaria economia, consigliando il ritorno a Roma di molti delegati ed esperti. Se nulla accade di nuovo anche io conto del resto di tornarmene la settimana prossima. Non posso essere io il primo a partire, tra i capi di delegazione, ma conto di essere immediatamente secondo salvo Tuoi eventuail,i ordini contrari.

Penso che nella questione generale del disarmo, visto l'impossibilità per ora di accordi internazionali specifici che noi avremmo avuto l'ovvio interesse di favorire, H nostro Paese può tranquillamente vivere di rendita sul credito internazionale accumulato sin qui. Sino a che la grossa questione dei debiti e delle riparazioni non avrà avuto una soluzione definitiva, il problema del disarmo, ossia questo altro pezzo dei Trattati di pace destinato a andare per aria, non potrà essere seriamente affrontato.

(l) A margine annotazione: • Visto da S.E. il Capo del Governo ».

(l) Per il colloquio con Tardieu cfr. n. 189.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (Archivio Grandi, copia)

[Ginevra], 6 febbraio 1932.

Ti allego il • memorandum • presentato ieri sera, improvvisamente sul tavolo della Conferenza dalla delegazione francese (1).

Il • colpo di scena • preparato con particolari perfino melodrammatici (i lacchè del Quai d'Orsay sono venuti apposta da Parigi per distribuirlo in pompa magna) è tuttavia mancato. Nessuno ha preso sul serio questo tentativo di diversione tattica. Esso ha finito al contrario coll'irritare tutti.

Basta leggerne il contenuto per trarre Je conclusioni che esso merita.

Ieri nell'elezione dei vice-presidenti della Conferenza l'Italia ha avuto,

per la prima volta dacché la Società delle Nazioni esiste, l'unanimità dei voti.

195

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 275/111. Angora, 6 febbraio 1932 (2).

Le attribuzioni principali deJ. Consiglio Balcanico che si è riunito in questi giorni a Stambul sono in conseguenza diretta delle deliberazioni prese dalla II Conferenza Interbalcanica dell'ottobre scorso tenutasi pure in Turchia (3), secondo le auali il Consiglio attuale dovrebbe liquidare le pendenze della II Conferenza ·e preparare la III.

Ciò significa che i problemi importanti lasciati in sospeso nell'ultimo convegno, dovrebbero aspettare in questi giorni un principio di soluzione e di indirizzo per la prossima riunione del genere. Talli problemi principali sono: l) il patto balcanico; 2) la questione delle minoranze; tutti gli altri essendo di minore importanza.

Il patto balcanico comprende come è noto i principi di non aggressione, di conciliazione, di arbitrag~io tra gli Stati balcanici i quali dovrebbero pure unirsi in un patto d'amicizia. Ma alla conclusione di questo patto, che è poi un voto emesso da autorità non responsabili all'indirizzo dei propri governi, si è opposta finora la questione delle minoran~e.

Oggi alla r,iunione del Consiglio balcanico il problema era impostato nella stessa maniera ma con la variante, sulla II Conferenza Balcanica, che un

protocollo è stato firmato a Sofia circa il riconoscimento delle minoranze rispettive ed i loro diritti, tra l'Ailbania e la Bulgaria.

Tale intesa che indubbiamente è stata abile da parte degli iniziatori ha funzionato di leva durante i lavori di questi giorni per rimuovere l'intransigenza jugoslava al riguardo.

I delegati bulgari ed albanesi, per esprimere un sentimento di delicatezza verso la Conferenza, dicono loro, hanno comunicato ufficialmente mediante nota diretta al Consiglio, il protocollo di riconoscimento delle rispettive minoranze concluso a Sofia. Il presidente della delegazione jugoslava ha diretto una risposta al Consiglio attaccando tale patto, ed affurmando la non esistenza di minoranze bulgare fuori del ,territorio del Regno.

Le recise affermazioni jugoslave hanno sollevato enorme impressione: i sigg. Yovanovitch e Topalovic sono arrivati a dichiarare che ~e pretese minoranze bulgare non erano che tvibù jugoslave e che a ,somiglianza di esse i buJ.gari avrebbero dovuto entrare a far parte della nazione jugoslava!

I bulgari hanno reagito, ma al solito non troppo vivacemente come era il caso di fare di fronte ad un invHo simile: tuttavia ne è risultata una discussione assai aspra.

L'intervento del delegato albanese ha regolato questo incidente: egli ha pregato semplicemente H suo collega jugoslavo di ritirare la sua nota di protesta contro l'accordo di Sofia. Il sig. Topalovic per tirarsi d'impaccio ha fatto mille difficoltà, ha pretestato di aver bisogno di istruzioni complementari da Belgrado ed infine ha detto che se le delegazioni bulgara ed albanese avessero dal loro canto ritirato la loro nota di comunicazione dell'avvenuto accordo di Sofia, egli avrebbe potuto considerare Ila sua comunicazione come non avvenuta. Siccome quest'ultima, a dire dei bulgari e degli albanesi, era stata diretta per deferenza, cosi l'incidente è stato facilmente regolato.

Ma la nota bulgaro-albanese aveva fatto già il suo lavoro, ed era perciò indifferente oramai che ,essa restasse agli atti della conferenza tanto più che se la comunicazione al Consiglio era abolita, sussisteva sempre di fatto il protocollo di Sofia.

Ed il lavoro fatto sorpassava l'incidente che ho menzionato.

Infatti per la questione delle minoranze, contro la quale, la delegazione jugoslava si è battuta sino all'ultimo momento, essa ha avuto un'influenza enorme.

Mehemet bey Koni<tza, che molto probabilmente ne scontava l'effetto, non ha lavorato poi molto per arrivare ai suoi fini: egli si è ,infatti rivolto in consiglio al presidente della delegazione jugoslava per posargli due questioni: l) Riconosce la delegazione jugoslava l'esistenza di minoranze albanesi? 2) Subordinatamente ne riconosce i dirttti? Ed ha terminato lasciandò chiaramente intendere che se queste due domande non ricevevano una risposta favorevole, egli considerava inutile una sua presenza ulteriore al Consiglio.

Il sig. Topalovic malgrado un lunghissimo discorso di risposta, ha dovuto finalmente riconoscere l'esistenza di queste minoranze e promettere l'applicazione dei loro diritti.

Queste dichiarazioni hanno. permesso alle delegazioni di raggiungere una strana intesa di principio: dico strana perché è stato un accordo che si è voluto buttar giù all'ultimo momento per non mettere •troppo apparentemente in rilievo i contrasti esistenti nel seno stesso del Consiglio. Mi basta ricordare che il presidente della delegazione jugosla.va Yovanovitch ha votato contro mentre il suo vice presidente· Topalovic dava invece il voto favorevole!

Questa intesa, la quale è poi una proposta di patto, dovrà naturalmente essere discussa alla III Conferenza Balcanica, che è stato deciso, si tenga nel prossimo autunno a Bucarest. In essa, la questione minoritaria è trattata in disposizioni che dovrebbero creare una commissione interbalcanica, composta di delegati di ogni paese, incaricata di studiare il problema recandosi sul posto nei vari Stati interessati.

Sugli altri dettagli del lavoro fatto dal Consiglio, come pure sulla cronaca degli avvenimenti, riferirò in separata comunicazione.

Il comportamento della delegazione bulgara, che era stato alquanto difettoso durante la II Conferenza Balcanica, ha dato oggi luogo a minori critiche. Tuttavia esso è stato sempre debole ed il presidente più che gli altri si è addimostrato tentennante. I delegati stessi poi sembrano essere partiti da qui alquanto scoraggiati: essi avrebbero voluto un riconoscimento più solido dei loro diritti minoritari e cioè forse che ogni Stato (e specialmente Jugoslavia e Grecia) avesse dato singolarmente affidamenti. A mio avviso, e ponendomi strettamente dal lato tecnico del problema, e non dal politico, essi delegati bulgari hanno mancato un po' troppo del senso di realtà di un negoziatore in una questione così complicata ed in un ambiente così difficile: non hanno ancora ben compreso Ja situazione. Checché ne sia, e per il caso che ci occupa, è ancora per noi un vantaggio.

Circa al progettato accordo, del quale si parla da parecchio tempo, tra

jugoslavi e bulgavi, ho saputo che la questione è attualmente ridotta nei

termini seguenti: gli jugoslavi domandano ai bulgari la soppressione radicale

dei comitagi macedoni per concedere una rettifica di territorio a Tsarigrad:

questi ultimi rispondono che la soppressione dell'organizzazione rivoluzionaria

macedone verrà di per se stessa allorché verranno accordati i diritti minori

tari ai bulgari in Macedonia. Cioè un circolo vizioso da tenersi presente nel

successivo svolgimento degli avvenimenti.

La delegazione greca, secondo quanto mi ha detto Mehemet bey Konitza,

ha seguito, per mezzo del suo capo sig. Papanastasiu, una linea in opposizione

agli intendimenti del Ministro degli Affari Esteri Mikalakopoulos: questi si

sarebbe impegnato con Belgrado a mostrarsi intransigente di fronte a bulgari

ed albanesi sulla questione minoritaria, mentre che il capo della delegazione

greca si è curato qui !limitatamente di seguire tale ordine di idee per poter

pervenire a quel patto balcanico da lui considerato come il più importante

avvenimento per la riuscita della Conferenza da lui patrocinata.

D'altra parte anche questo Ministro di Grecia, in conversazioni confiden

ziali con me, ha criticato vivamente le direttive politiche balcaniche del suo

Ministro degli Affari Esteri, che afferma essere in contrasto su questo punto

con quelle del sig. Venizelos.

La delegazione albanese, ,e per lei i!l suo capo Mehemet bey Konitza, non si è lasciata sfuggire l'iniziativa della manovra per le minoranze; con quest'ultimo ho avuto vari contatti.

Nulla di speciale ho da rHevare, a mia conoscenza, circa il compito svolto dalla delegazione romena.

La delegazione turca, anche questa volta se non più della prima, si è sforzata di facillitare in ogni modo il lavoro dei colleghi balcanici creando insieme al Presidente della Repubblica, al Governo ed alla stampa, un ambiente di simpatia e di riavvicinamento reciproco.

Secondo il comunicato ufficiale, i lavori del Consiglio si sarebbero chiusi con un successo, ma rle interviste di partenza date ai giornali dai delegati hanno come caratteristica una indecisione nella soddisfazione che esse in varia forma hanno voluto esprimere.

Si è che, a parer mio, l'intesa raggiunta è basata sopra un'unanime malsicura fede di ogni contraente.

Fin qui i risultati del Consiglio nel suo lavoro di Stambul.

Vorrei ora tratteggiare le conseguenze che se ne possono tirare.

Prima di tutto parmi da quanto precede poter dedurre:

l) Che se l'equivoco accordo raggiunto non è sicuro, non è tuttavia nemmeno uno scacco. In una parola il lavoro procede, lento, pieno di ostacoli, ma procede: esso forma una mentalità e quindi, mediante la propaganda, un fattore nuovo dal quale non è più possibile prescindere in fatto di politica balcanica.

2) Che la Jugoslavia intende servirsi della questione minoritaria per uso esclusivo del suo nazionalismo ed impostando la questione rin rtale maniera ci dà avviso manifesto circa i proponimenti che assegna al suo compito nella Conferenza Balcanica.

Queste due premesse, che credo risultino chiare, e che sono sentite, se

non dichiarate, da quanti hanno preso parte ai lavori di questa Conferenza,

influiscono per rinforzare uno stato d'animo, che già avevo segnalato come

latente, e che a me sembra sia assai favor,evole alla nostra linea politica.

Al punto di vista politico balcanico infatti la Jugoslavia e J.a Romania

possono considerarsi come più strette alla Piccola Intesa, ed al punto di vista

economico all'Europa Centrale; mentre che invece la Turchia, la Bulgaria e

la Grecia hanno più stretti rlegami politici tra di loro che tutti gli aJ.tri sei

Stati balcanici. Alle difficoltà attuali, derivanti dalle idee imperialiste jugo

slave, si oppone quindi ora la reazione naturale di queste ultime tre potenze,

le quali dovrebbero formare il vero nucleo dell'u;nione balcanica auspicata {1).

In questo senso si è espresso uno dei migliori pubblicisti turchi il signor Yunus Nady in articolo apparso nell'ufficioso Djuhuriet.

È la tendenza cioè che ho avuto già l'occasione di prospettare a V. E. e che porta per conseguenza un compito di mediazione, e direi quasi direttivo della politica turca. Pertanto a me sembra che convenga a noi di appoggiare tale tendenza e per ciò fare, oltre all'intesa già concordata con V. E. che mi propongo di stringere con questo Governo appena Tefik Ruscdi bey sarà qui di ritorno, suggerirei UJna pressione amichevole di convinzione a Sofia in contrasto con le pressioni contrarie francesi in JugoSlavia e Bulgaria che non hanno lasciato un'impressione favorevole ai dirigenti bulgari né a quelli turchi.

(l) -Manca. Se ne veda un riassunto nel Corriere deUa Sera del 6 febbraio 1932, p. 8. (2) -Il telespresso fu ritrasmesso il 16 febbraio alle legazioni e Belgrado, Bucarest, Sofia, Atene e Tirana. (3) -Cfr. nn. 61 e 62.

(l) La frase in corsivo fu sottolineata da Mussolini.

196

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

TELESPR. RR. 468/731/300. Vienna, 6 febbraio 1932.

Mio telespresso N. 277 del 2 corrente.

Recatomi, come avevo già annunciato, a Budapest, ho avuto il prestabilito colloQuio in Quella R. Legazione con Bethlen, Walko e Khuen, sul quale ~iferirà il coltlega Arlotta.

Tornato stamane a Vienna sono andato da Schuller a dargli notizia del colloquio stesso, sul quale lo avevo informato in precedenza e dell'opinione degli ungheresi quanto alla procedura da seguire.

Circa la proposta ungherese conforme alle indicazioni di S. E. il Capo del Governo, per la quale è preferibile che il primo colloquio avvenga non tra il rappresentante austriaco e l'ungherese, bensì fra i tre rappresentanti, Schuller, per quanto fosse stato dapprima di altra opinione, non ha mosso nuove obiezioni e si è dichiarato pronto ad accettarla. Si è dichiarato altrettanto pronto ad accettare l'altro suggerimento ungherese, conforme anch'esso alle istruzioni di S. E. Mussolini, secondo cui tale colloquio a tre deve avvenire non fra periti tecnici ma fra delegati, in quanto oltre e al disopra del lato economico bisognerà considerare quelllo politico. Ho avuto cura di prevenire Schuller che tale proposta non derivava affatto da prevenzioni nei suoi riguardi, giacché l'Ungheria, al pari dell'Italia, desiderava vivamente che al colloquio stesso intervenisse come delegato austriaco una persona della sua capacità e della sua esperienza. A me era sembrato di comprendere che appunto per H caratte~e politico della questione, Walko preferisse intervenire egli stesso piuttosto che mndare altri (Schuller aveva nella mia precedente conv.ersazione manifestato il proposito di abboccarsi con Nickl e cotesto R. Ministero comprende le ragioni per le quali ho creduto, d'accordo con Arlotta, evitare che, almeno per i primi tempi, quel funzionario ungherese intervenga ai delicati e riservati negoziati). Anche su ciò Schiiller non ha

avuto nulla da obiettare. Egli cO\Ilv,iene, secondo le idee esposte da S. E. il Capo del Governo a Bethlen (1), doversi evitare che il passo dei negoziati affondi nella palude delle discussioni tecniche e che bisogna aver presente innanzi tutto il lato politico della questione. Senonché, secondo Schiiller, tale lato politico, e cioè principalmente i!l modo di evitare o annullare le eventuali opposizioni della Francia e della Germania a questa unione a tre, dipende sopratutto dalla forma tecnica che si darà all'unione stessa, al modo cioè con cui sarà presentata; or appunto dell'aspetto tecnico della questione considerata da tale punto di vista conviene discutere contemporaneamente. In altri termini, secondo le parole di Schiiller, l'espressione • unione doganale • è una bandiera da spiegare soltanto quando ,tutte le posizioni siano state occupate; e il modo di occuparle è appunto quello di seguire la via tracciata dagli accordi Brocchi. Se ne dovrebbe estendere gradualmente la portata, e solo quando si fosse molto avanzati per questa via si potrebbe, affermando essersi con la loro estensione troppo complicata la cosa, dichiarare la conseguente necessità di procedere alla sua sempli:fficazione mediante l'unione. Egli non crede che seguendo con tatto ed oculatezza simile procedura si incontrerebbero difficoltà tali da far rinunciare al progetto. Come ho già riferito con mio precedente telespresso, della Francia Schiiller non mostra preoccuparsi troppo. Da tempo si discute con essa per il noto prestito dei sessanta milioni. Finora la Francia ha tergiversato e ha voluto dare l'impressione che ciò dipendesse dalla presenza di Schober nel Gabinetto. Ma Schober è stato sbarcato, e bisognerà ora che la Francia si decida a dire se è disposta o no alla concessione del credito stesso. NeU'un caso del resto come nell'altro, il nostro piano è attuabile; si tratterà solo di agire con maggiori riguardi per essa qualora accordi effettivamente l'atteso prestito. La Francia non ha nessun piano concreto e attuabile da presentare per la vicostruzione economica dell'Austria. Tutte le proposte di Benes non contenevano alcuna solida idea e lo stesso progetto inglese, di ispirazione francese, per l'unione a sei (2) non potrà evidentemente avere probabilità di effeHuazione. Se l'Austria non vedesse nessun altro spiraglio di luce da nessun altro lato, potrebbe forse dndursi, verso determinati compensi quale la garanzia della stabilità dello scellino da parte della Francia ,ecc., a studiare qualche soluzione che avesse l'appoggio di questa. Ma il piano dell'unione a tre esime l'Austria dal seguire una strada che incontrerebbe la più viva opposizione in Germania e condurrebbe a risultati di incerto vantaggio. Maggiori preoccupazioni Schiiller ha :inv,ece nuovamente mostrato neLriguardi di quest'ultima, tanto più che come prevedeva e mi aveva accennato, essa, da notizie private ma sicure che aveva ricevuto e mi comunicava segretamente, è contra:l'1ia al nostro progetto di unione a tre qualora non 1e si riconosca il diritto di accedervi, ed egli sembra ammettere la possibilità che Berlino cerchi di mandarlo a monte sia pure anche per mezzo di qualche voluta indiscrezione alla stampa. Ma noi potremo evitare qualunque danno di opposizioni ,e indiscrezioni se ci terremo sul terreno fermo degli

accordi Brocchi e della loro estensione. Del progetto rela.tivo a tali accordi Schliller aveva dato a suo tempo notizia a Berlino chiedendo colà se anche 'la Germania intendesse stipulare con l'Austria qurul.cosa di simile. Gli si rispose, come prevedeva, che gli accordi erano troppo complicati (complicazione solo apparente e voluta da Brocchi per celarne il vero carattere) e che si preferiva astenersi dall'accogliere la proposta austriaca. Poco tempo fa essendo qui venuto un funzionario ·tedesco per parlare di alcune speciali questioni commerciali, Schliller gli ha di nuovo accennato alla cosa e non ne ha avuto risposta diversa. Perciò ad ogni modo egli dà grande importanza al suo colloquio con il nostro futuro delegato per discutere con lui sulla forma tecnica da far prendere ai nostri ulteriori accordi diretti a giungere all'unione a tre, nonché sulla configurazione da dare all'unione stessa. Non bisogna dimenticare che, qualè che possa essere la contrarietà di Berlino per il nostro progetto, essa, costretta a rinunciare al suo piano di unione doganale con l'Austria, dovrà considerare qualsiasi altro piano, quale ad esempio il nostro, con minor disfavore che non un piano francese o di ispirazione francese come l'unione a sei o qualcosa di analogo. (Ho assicurato Schliller che continuavamo a voler agire con il maggior tatto nei riguardi della Germania, anche in considera

zione della speciale situazione dell'Austria).

Circa la proposta ungherese di scegliere Ginevra come luogo per il primo incontro data la possibiHtà di farlo passare colà inosservato, Schliller la ha approvata. Si tratta solo di trovare un'occasione nella quale i lavori che vi si svolgono siano tali da consentire che i tre delegati vi si incontrino senza destare sospetti. Non ha escluso che oltre a lui anche il Cancelliere potrebbe recarvisi, pur non essendo finora deciso se Buresch vi andrà durante le sedute della conferenza per il disarmo.

Rimane ·la questione della richiesta ufficiale austriaca da dirigersi a noi

e che gli ungheresi attendono per inviarci la loro.

Quello su cui Schiiller si mostra titubante è non la richiesta stessa, bensi

la frase da includervi di • unione doganale •; e ciò per le ragioni che derivano

da quanto è sopra detto. Ad ogni modo durante la settimana ora terminata,

che è stata la prima del secondo Gabinetto Buresch, non gli è stato possibile

parlare con il Cancelliere con la dovuta estensione e precisione circa i nostri

progetti. Ma intanto nelle dichiarazioni lette da Buresch presentandosi con il

nuovo Ministero alla Camera, egli ha redatto la parte commerciale e vi ha

con intenzione inclusa la frase che l'Austria deve cercare più larghi sbocchi ai

suoi prodotti. Ha quindi preso in mia presenza appuntamento telefonico con il

Cancelliere per lunedl mattina e mi ha assicurato che spingerà avanti con ogni

diligenza lo studio della importantissima questione nel corso della settimana.

Andrà anche da Seipel, che non ha potuto finora visitare perché era indisposto.

E si riserva di tornare con me sull'argomento uno dei prossimi giorni. Io poi,

incontrato casualmente Seipel, che del resto non è guarito ancora della sua

nuova indisposizione, gli ho detto sarei andato a parlargli dopo che Schiiller

gli avesse spiegato l'oggetto della mia visita.

Ri:l!erirò nuovamente appena possibHe. Intanto le voci di un vicino ritorno

di Seipel al potere crescono di numero e forza. Ma non so se vi sia Paese in cui le previsioni siano più che in o.uesto difficili sugli avvenimenti di politica interna; qualunque ipotesi deve nella sua costruzione tener presente che è elevata sull.e sabbie molli di o.uesta vita parlamentare.

(l) Il telespr. fu inviato per conoscenza anche a Arlotta.

(l) -Cfr. n. 166. (2) -Cfr. n. 179.
197

IL MINISTRO PATERNO' (l) AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

L.P. Parigi, 7 febbraio 1932.

Il promemoria qui unito ti dice la mia persuasione che potremmo batterci il naso; se Saint Quentin è l'autore del progetto • trappola • portare la conversazione sul progetto De Reffye significherebbe assumerne dii fronte al Quai d'Orsay la paternità significherebbe pure porgere al sullodato Quai d'Orsay il destro di poter dire ad Addis Abeba che l'Italia vuoi metter le mani sull'Abissinia. E questo verrebbe certamente detto se le conVIersazioni in corso e i memorandum de Caix (sembra che siano due) dovessero fallire.

Arrischiare di scoprirei ancora di più in una situazione già cosi compromessa dai precedenti contatti, significherebbe altresì di compromettere il programma • due • (2) che S. E. Il Ministro vuole giustamente tenere • nella valigia •.

Vuoi che io faccia un salto a Ginevra per informare di ogni cosa S. E. Grandi, ovvero preferisci che torni costì? Attendo un tuo cenno prima di fissare definitivamente la mia azione che è finora assolutamente impregiudicata. Il Conte Manzoni è assai pessimista e teme che ouanto è stato finora detto a Berthelot. de Caix, Theodoli ecc. ci abbia già esposto troppo.

P. S. Non è affatto da escludere che il siluro sia già ad Addis Abeba. Sarebbe prudente impossessarci dei memoriali de Caix che potrebbero servirei eventualmente ad Addis Abeba per controbattere i francesi.

ALLEGATO.

Dalle conversazioni avute col Conte Manzoni, con Theodoli e con Donati avevo tratto l'impressione che prima di affrontare un contatto diretto col Signor di Saint Quentin mi fosse convenuto fare un sondaggio preliminare.

Questo sondaggio mi ha permesso di assodare.

l) Il progetto De Reffye (Ministro di Francia in Etiopia) sarebbe stato radicalmente modificato dal Quai d'Orsay (legga Saint Quentin). Invece di un accordo a tre, la mano libera all'Italia con promessa di benevola neutralità di fronte all'inevitabile (sic) conflitto con l'Etiopia.

2) Questa concessione (sic) francese dovrebbe esser parte di un accordo generale itala-francese avente per base la rinuncia dell'Italia a giuocare la carta tedesca.

3) Il sig. de Caix, creatura di Berthelot, avrebbe già compilato un programma di accordo generale che comprenderebbe i numeri che precedono, nei termini accennati. Questo programma sarebbe stato inviato in questi giorni a Roma.

4) Il Quai d'Orsay persiste nella sua linea di diffidente ostilità che la presenza agli Esteri di Lavai non riesce a modificare; l'ipotesi di una prevalenza della tesi intesista con l'Italia attribuita al Lavai potrebbe forse prevalere ad elezioni ultimate se queste manterranno al potere l'attuale Presidente; ma non sarebbe serio scontare tale ipotesi nell'attuale incerto clima politico ed attraverso un travaglio elettorale necessariamente colmo di imprevisti. In queste condizioni, una conversazione Paternò Saint Quentin non sembra consigliabile. Essa, nel caso (che pure occorre prevedere) di un insuccesso delle trattative per un accordo generale, servirebbe a creare una magnifica tentazione per i francesi a silurarci in pieno ad Addis Abeba, distruggendo completamente quel poco che si è fatto per attenuare il noto processo infiammatorio.

Esprimo il parere che convenga attendere che la situazione si chiarisca meglio anche nei suoi riflessi ginevrini che non permettono ancora di prevedere risultati chiarificatori per lo meno nei nostri riguardi. Il desiderio espresso dal De Reffye che Paternò si incontri con Saint Quentin è stato evidentemente determinato dalla speranza che un tale incontro possa riportare il problema abissino sulla base del tripartito; ma allo stato attuale delle cose unici temi possibili di una conversazione Saint Quentin Paternò potrebbero esser quelli delle tasse e del Giappone; conversazione che potrebbe aver luogo all'Ambasciata durante una colazione. Dato però tutto quanto ho precedentemente esposto anche una conversazione in tal argomento, dovrebbe forse essere aggiornata per lo meno fin quando non si sarà conosciuto esattamente ciò che contengono le proposte de Caix.

(l) -Paternò si trovava in missione a Parigi. (2) -Probabilmente si tratta dello scambio di territori con l'Etiopia (cfr. n. 177, p. 305, punto b).
198

IL VICEDIRETTORE DELL'UFFICIO STAMPA, DEL MINISTERO DEGLI ESTERI, ROCCO, AL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA DEL CAPO DEL GOVERNO, POLVERELLI (l)

T.u. 3. [Ginevra], 8 febbraio 1932, ore 14,15.

A:lcuni corrispondenti locali dichiarano aver ricevuto istruzioni dai loro direttori di prendere decisamente posizione contro progetto francese (2). Premesso che detto progetto dovrà beninteso essere sistematicamente smantellato nelle sue parti contrarie nostra tesi, sembra tuttavia opportuno considerare convenienza graduare pel momento nostri attacchi anche pel fatto che opinione americana già manifesta sua violenta opposizione, mentre tedeschi col solito giuoco, tendono a rimpiattarsi dietro nostra azione.

(l) -Il tel. venne inviato tramite il ministero degli Esteri. (2) -Cfr. n. 194.
199

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL CANCELLIERE TEDESCO, BRUNING

Ginevra, 9 febbraio 1932.

Briining -Desidera anzitutto che io assicuri il Capo del Governo sulle precise istruzioni date dal Cancelliere per impedire d'ora in avanti manifestazioni di attività da parte di antifascisti in Germania (1). Mi domanda se ho nulla di nuovo da dirgli sul tema • riparazioni •. La Germania per conto suo non accetterà compromessi o soluzioni transitorie. Ala scadenza della moratoria Hoover il Reich dichiarerà una volta per tutte la sua impossibilità di pagare.

Grandi -È questo l'unico modo per favorire una soluzione integrale del problema debiti-riparazioni. È chiaro che se la Germania accettasse il.'idea di effettuare qualche pagamento alla Francia nel quadro delle annualità incondizionate, gli altri paesi aventi uguali diritti non potrebbero fare a meno di invocare uguale •trattamento e l'America non accetterebbe mai di discutere un accordo sui debiti lasciando alla Francia un vantaggio suHe riparazioni.

Brtining -È d'accordo. Mi riconferma l'opposizione del Governo tedesco all'idea britannica della sestupla doganale danubiana. Mi domanda l'avviso del Governo italiano.

Grandi -Ho già incaricato l'Ambasciatore d'Italia di confermarvi analoga opposizione da parte dell'Italia. Il progetto inglese sarebbe, in effetto, destinato a favorire la realizzazione delle intese danubiane nel piano francese e cecoslovacco.

Il Governo italiano si rende pienamente conto delle difficili e critiche condizioni in cui si trova l'economia austriaca e ungherese. Un accordo economico, qualsiasi accordo economico che l'Italia potesse concludere con l'Austria e l'Ungheria, rappr·esenta uno svantaggio per l'economia italiana. Ciò nonostante il Governo italiano è entrato seriamente nell'idea di aiutal"e, nei limiti delle sue possibilità, il risollevamento dell'economia austriaca e ungherese e ciò per impedire che questi due paesi, spinti daJlla disperazione, cadano nelle braccia della Francia e della Piccola Intesa. Vi è un pericolo di carattere politico per evitare il quale è giocoforza di fare dei sacrifici di carattere economico. Non ancora sono state precisate le linee dell'azione italiana. Durante il viaggio del Conte Bethlen a Roma si è persino pronunciato, fra il Capo del Governo e Bethlen, Ja parola • défendue • unione doganale (2), ma nulla di concreto è ancora stato deciso aJ. riguardo. Il Governo tedesco è a conoscenza della stipulazione degli accordi • Brocchi • fra Italia, Austria e Ungheria. Si tratta ora di integrare questi accordi nell'interesse dell'Austria e dell'Ungheria (3).

Briining -Mi ringra~ia di queste informazioni. È nelle sue intenzioni ritornare a Ginevra fra una quindicina di giorni. Spera di potermi nuovamente incontrare in quell'occasione, onde riprendere la nostra conversazione.

(l) -Cfr. n. 175. (2) -Cfr. n. 166. (3) -Per il punto di vista tedesco in materia di accordi danubiani e, in particolare, dell'accordo progettato fra Italia, Austria e Ungheria, cfr. quanto dichiarava von Schubert a Fani la mattina del 16 febbraio: « La Germania... non concepirebbe in quel settore nessuna altra unione od accordo economici senza che essa vi fosse presente (allusione evidente al progetto doganale italo-austro-ungherese del quale il suo governo è stato certamente reso edotto dall'Austria) •·
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APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GHIGI

Roma, 9 febbraio 1932.

La pre.go di dare un'occhiata a questo rapporto. Io personalmente lo qualificherei d'ingenuo e con altrettanta benevolenza lo metterei agli atti (1).

ALLEGATO.

DURINI DI MONZA A GRANDI

R.R. 196/94 (2). Madrid, 27 gennaio 1932.

Il Governo della Repubblica (l'attuale o il precedente, non ha importanza) ha diviso gli scioperi in due categorie: i leciti e gli illeciti. Scioperi leciti sono quelli che si svolgono col beneplacito delle autorità, che ne sono previamente informate, ed hanno una giustificazione economica; scioperi illeciti, o anche detti rivoluzionari, sono quelli che scoppiano all'improvviso e senza nessun giustificato motivo. I socialisti (rappresentati al Governo), organizzano i primi, i sindacalisti e i comunisti impongono i secondi. D'altra parte, la mancanza di fiducia, la scarsezza del capitale circolante, la riduzione del consumo interno e del commercio con l'estero, le oscillazioni della peseta, la riluttanza degli industriali e degli agricoltori ad investire capitali nelle loro aziende -date le incertezze dei tempi e della situazione politica -sono altrettante cause che favoriscono l'incremento della disoccupazione. Aggiungasi che con lo scioglimento dell'Ordine dei Gesuiti moltissime scuole si chiudono e migliaia di allievi entrano in un periodo di vacanze, in attesa

manente».

Cfr. anche il telesPr. 139/69 del 20 gennaio col quale Durini aveva comunicato: c Poiché, che al potere vi sia stato ieri Alcalà Zamora, che vi sia oggi Azafia e che vi giunga domani Lerroux, le condizioni non mutano, e soltanto una dittatura di ferro può imporre con la forza il ristabilimento dell'ordine pubblico, e soltanto una dittatura illuminata e prolungata può cambiare lo spirito delle masse o crearne uno ex novo. Ma dove sono gli uomini? Non se ne vedono. Vi sono sintomi di reazione, ma neanche questi confortano. I monarchici timidi e gretti complottano al di là della frontiera, ma non hanno né organizzazione, né coraggio, né voglia di arrischiare fortuna e vita; i cattolici hanno iniziato una propaganda... evangelica, che date le disposizioni ostili dell'attuale Governo minaccia di rifugiarsi nelle catacombe; le destre repubblicane sono inesistenti, tranne che di nome; si parla ancora di generali (prima si sperava in Sanjurjo, ora si crede in Godedl, ma i generali spagnuoli quando non si chiamano Primo de Rivera si chiamano Berenguer, e, per quanto basso sia il livello spirituale di questo popolo, non è presumibile che si rinnovi in caserma.

Forse, come molti sperano, l'uomo sorgerà quando le condizioni generali saranno ancora peggiorate e vi è pertanto chi si augura il disastro nazionale. Intanto i bolscevichi vengonoin !spagna con due materie infiammabili, il petrolio e la propa[anda, ed ecco che ripren

che si organizzino le scuole laiche. Così che ma1 m !spagna si è lavorato meno, come dal momento in cui la Spagna si è definita una repubblica di lavoratori.

Se non vi fossero qui e lì delle macchie di sangue e se non si infiltrassero nel paese pericolose propagande di marca estera che tendono a strapparlo dal suo isolamento transpirenaico ed a trascinarlo inconsciamente nella lotta mondiale contro il regime capitalista, si direbbe che la Spagna sta pacificamente compiendo un esperimento di nuovo genere, quello di dimostrare che malgrado il peccato originale e la susseguente condanna dell'umanità, si può vivere senza lavorare, e mangiare senza che la fronte si imperli di sudore. E, per assurdo che ciò sembri, non è detto che l'esperimento non possa riuscire, poiché gli spagnuoli essendo poco numerosi su di un territorio vasto e ricco, hanno la possibilità di procurarsi col minimo sforzo i beni necessari alla vita materiale e sono per temperamento e per atavismo facilmente disposti a rinunziare a forme ed aspirazioni di vita superiori, mentre la posizione geografica del loro paese li mette al sicuro ed al di fuori delle grandi competizioni mondiali. Il male è che la religione bolscevica vuole proseliti e li cerca dappertutto e specialmente dove le condizioni di ambiente oppongono minori resistenze.

Ma ciò dovrebbe far riflettere l'Europa e in particolar modo i Governi delle Potenze che per contiguità territoriale o per importanza di interessi non possonb e non debbono tollerare che la Spagna diventi un centro di attrazione e di irradiazione di principi sovvertitori.

In quotidiani e numerosi telegrammi Stefani questa R. Ambasciata ha dato notizia del moto nettamente rivoluzionario che iniziatosi nella conca dell'alto Llobregat doveva il 25 corrente travolgere tutta la Spagna in una onda rossa e sostituire alla Repubblica borghese-socialista una repubblica sovietica o comunista. Il moto è in parte fallito perché sembra che il Governo ne fosse edotto e perché per impazienza o per errore di tattica i rivoluzionari della Catalogna sono partiti fuori tempo. Ciò non pertanto si è esteso a tutte le province della Spagna e perdura ancora mentre scrivo, prendendo aspetti più o meno gravi secondo i luoghi, e particolarmente inquietanti in piccoli centri agricoli e minerari già travagliati dalla miseria e dalla propaganda. Ma l'ampiezza del movimento dimostra che era stato concepito e concertato con precisione e in dettaglio, e, se non è riuscito, ha per lo meno servito agli organizzatori per rendersi conto delle cause che ne hanno determinato l'insuccesso e dei punti che bisogna battere per vincere le residuali resistenze e logicamente dovrebbe essere facile profetizzare che questo tentativo rivoluzionario non sarà l'ultimo, tanto più che né da questo Governo né da un successivo probabile governo radicale c'è da attendersi energiche misure repressive, per le ragioni già molte volte esposte in miei precedenti rapporti. Oggi il Ministero Azafia si farà un merito di aver sedato il movimento senza spargimento di sangue o quasi. Ma questo è un male e non un bene, perché i rivoltosi hanno ceduto armi e terreno davanti alle truppe dell'esercito, senza

dono gli incendi di chiese e di conventi (nella provincia di Valenza). ecco a Bilbao comunisti alle prese con tradizionalisti e sciopero generale (vedasi in proposito !"accluso rapporto del R. Console in Bilbao). ecco uno sciopero generale a Plasencia con tentativi di saccheggio della caserma dei carabinieri. ecco uno sciopero rivoluzionario a Valenza. e bombe che scoppiano in Sagunto nel quartiere della guardia civile e nell'ufficio del direttore degliAlti Forni, ecco uno sciopero di tessili a Barcellona e assalti di treni o di depositi di commestibili nelle vicinanze immediate di Madrid, ecco un nuovo sciopero generale annunziato in Galizia ed altri in preparazione altrove, e tutto ciò in meno di una settimana, e !"elenco è !ungi dall'essere completo.

Il Governo ha deciso per !"ennesima volta di non permettere turbamenti dell'ordine pubblico e di applicare severamente la legge 11 in difesa della Repubblica". Prima misura: la sospensione a tempo indeterminato del giornale El Debate, l"organo dei cattolici •.

Cfr. anche il rapporto 335/166 del 16 febbraio 1932, col quale Durini riferirà circa il nunzio mons. Tedeschini: • L'avvento della repubblica non lo impressionò profondamente e si affrettò a prendere ostensibilmente immediati contatti con tutti i nuovi Ministri -coi quali, mi diceva, era assai più agevole trattare che non cogli antichi -e cogli elementi più rappresentativi del nuovo regime, affidandosi in buona fede, non astante la sua grande esperienza, alle l9ro assicurazioni: il risultato fu la più amara delle disillusioni ».

combattere, e così facendo si sono assicurati per ora l'impunità, mentre l'esercito ha visto davanti a sé dei pacifici cittadini e non dei rivoltosi ed ha simpatizzato con essi e domani difficilmente farà fuoco se il tentativo si rinnoverà.

E ancora bisogna tener presente che l'esercito spagnuolo rappresenta oggi e rappr,esenterà sempre più domani una paurosa incognita. Il solo corpo sicuro è quello della guardia civile (circa 30.000). Sicuro, perché ben pagato e ben comandato da un generale di alto prestigio. Ma la guardia civile è dispersa in tutta la Spagna e non può da sola far fronte ad una rivoluzione che scoppi contemporaneamente nelle città e nelle campagne, nei grandi e nei piccoli centri. Di più la guardia civile è fisicamente stanca di un servizio che da mesi compie con crescente intensità e quasi non le consente riposo, mentre moralmente è depressa per l'odio che le dimostra una gran parte del paese e che si estrinseca in malvagi attentati e proditorie aggressioni ed in violente diatribe di parlamentari e capi partito, chiedenti la sua dissoluzione. È noto che il Generale Sanjurjo ha già minacciato di dimettersi. Se insisterà nel suo proposito, la guardia civile perderà molto della sua efficienza. A parte la guardia civile, l'esercito non si sa che cosa sia né che affidamento si possa fare su di esso. In pochi giorni sono stati scoperti complotti di carattere comunista fra le truppe di guarnigione a Valenza ed a Alcalà de Henares, alcuni ufficiali sono stati arrestati; oggi si annunzia l'arresto di un capitano ed altri ufficiali di fanteria per motivi non bene specificati; sono stati sequestrati in caserme fogli e manifesti invitanti i soldati a non sparare sul popolo. Nel febbraio si presenteranno le nuove reclute e queste sono tutte inquinate di comunismo e di spirito di rivolta. Se per necessità di cose, in occasione di un nuovo moto rivoluzionario, il Governo, quale esso sia, dovrà ricorrere all'esercito, nessuno oggi è in caso di prevedere l'atteggiamento che prenderà la truppa, tanto più se sarà costretta a far uso delle armi.

Io non credo che in !spagna si instaurerà un reg,ime bolscevico ad imitazione della Russia e non lo credo per la principale ragione che il bolscevismo è -all'interno -ordine, disciplina, lavoro, sacrificio, qualità e virtù che una minoranza faziosa e violenta è riuscita ad imporre al popolo russo per il conseguimento di inqualificabili ideali e il trionfo dell'idea comunista su una società capitalista, ma qualità e virtù che nessuno riuscirà ad imporre agli spagnuoli. Qui si tende all'anarchia ed allo sbandamento. Un bel giorno, senza che nessuno se l'aspettasse, il popolo ha votato le liste repubblicane ed automaticamente si sono istallate nei municipi delle principali città di Spagna amministrazioni che hanno decretato la fine della monarchia, istituzione cui, come ad un uncino, erano sospese le principali garanzie di autorità e di unità. Un altro giorno, in seguito ad un moto violento che nelle diminuite resistenze di un anno di repubblica sedicente libertaria si propagherà anche alle campagne e forse alle forze armate dello Stato, vi può essere l'automatico insediamento di amministrazioni comuniste e sindacaliste.

Conviene all'Europa in genere ed all'Italia in particolare modo che si possa formare ai loro margini un vasto focolaio di disordine e di infezione? Io credo che ogni pericolo possa ancora essere scongiurato; basterebbe forse una pressione comune, in una forma da studiarsi, dell'Italia, dell'Inghilterra, della Francia, del Portogallo. L'Ambasciatore degli Stati Uniti di America, non so se spontaneamente o per istruzioni ricevute, ha fatto un passo energico presso il Governo di Alcalà Zamora, nei primi giorni del regime repubblicano, perché sia garantito e tutelato l'ordine pubblico. Ma ora non si tratta più di ordine pubblico, si tratta di tutelare e garantire interessi materiali ingenti a valori morali di enorme importanza. Mi risulta che il Governo portoghese è esasperato per il contagio e per le infiltrazioni di elementi sovversivi provenienti dalla Spagna o diretti in !spagna; dietro al Portogallo c'è l'Inghilterra ora conservatrice. Il Governo di Laval in Francia fa per o:ra affidamento su di un Gabinetto Lerroux, francofilo per interessi e per sentimenti, ma si renderà presto conto che un Gabinetto Lerroux non è vitale e che contro di esso si schiereranno anche i socialisti, oltre ai sindacalisti, sì che la situazione generale peggiorerà anziché migliorare a meno di una forte reazione nell'opinione pubblica oggi completamente disorientata. Che a Ginevra o nelle varie capitali degli Stati più interessati si faccia comprendere ai rappresentanti spagnuoli che l'Europa ha il suo patrimonio di ordine e di civiltà da difendere e che pertanto urge la creazione in !spagna di un Governo forte che dia garanzia ed affidamento, e si riuscirà a trattenere questo paese sulla china ove, se lasciato a se stesso, finirebbe col precipitare, con grave danno e rischio anche degli altri.

Se V. E. crede, come penso, che non convenga all'Italia farsi iniziatrice di un simile passo, si potrebbe, a mio avviso, per lo meno far presentire dai nostri rappresentanti diplomatici le opinioni dei Governi inglese, americano, francese, portoghese sugli avvenimenti di Spagna e sulla linea di condotta che quei Governi seguirebbero qualora le cose si aggravassero.

(l) -Appunto di Ghigi: • Sarei d'accordo •. Appunto di altra mano: • Visto da S.E. il Ministro che concorda.. Tuttavia venne predisposto, pare da Quaroni, un telespr. perPaulucci a Ginevra, per Berlino, Parigi, Londra e Washington con istruzione di accertare il pensiero • di codesti ambienti ufficiali nei riguardi degli avvenimenti spagnoli>. Il telespr. non fu spedito. (2) -Il rapporto ha come oggetto: • La repubblica dei lavoratori in isciopero per
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IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA

L.P. [Roma], 9 febbraio 1932.

Sono tornato da Parigi domenica 7. Ho messo al corrente Ghigi e Guariglia di quanto mi è stato detto al Quai d'Orsay ed in altri ambtenti francesi. Ho se·guito alla lettera i consigli che mi desti a voce al Circolo degli Scacchi e per iscritto colla tua del 13 u.s. (1).

La mia impressione è che in Franoia si vuole l'intesa coll'Italia, che le proposte coloniali sono serie e concrete, il programma è totalitario ed il momento favorevole. Al Quai d'Orsay mi hanno ·espresso il desiderio che il Duce sia informato al più presto onde se d'accordo possano inviare qui un loro fiduciario che sarebbe il De Caix. Io mi auguro vederti presto di ritorno a Roma per poterti riferire dettagliatamente e dirti le mi-e impressioni su persone e cose.

Nell'interesse della segretezza e per il caso fosse necessario rispondere subito alla preannunciata lettera spedita con la • valise • a Beaumarchais per essermi consegnata venerdì prossimo (2), io sono pronto anche a raggiungerti dove ti può far comodo.

Ma tengo a dichiararti che resto sempre a disposizione del Gov;erno per servire il mio paese per il caso che l'opera mia potesse essere utile; ma [dato] lo stato attuale delle co.se e data l'estrema delicatezza ed importanza della trattativa di cui mi rendo benissimo conto non intendo fare alcun passo di più senza averne preciso invito.

(l) -Cfr. n. 162. (2) -Cfr. n. 258. il cui testo è diverso da quello progettato in un primo tempo (cfr. più avanti n. 222, pp. 377-378).
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELL'AEREONAUTICA, BALBO

T. (P.R.) 946/12 FUORI COLLEZIONE PRECEDENZA ASSOLUTA. Domodossola, l O febbraio 1932, ore 3 (per. ore 5,45) (1).

Domani mattina dopo Gran Bretagna, Francia, America, Germania, dovrò esporre progetto italiano su disarmo. Dichiarazioni precise altre grandi Potenze mi mettono necessità modificare discorso preparato.

Ho conferito lungamente con Generale Piccio, ma tua presenza qui mi sarebbe stata preziosa per non dire indispensabile anche perché sono certo mi avresti aiutato ancora più di quello che io non posso fare data impossibilità comunicare con te personalmente.

Come avrai visto memorandum francese sostiene creazione esercito internazionale composto mezzi di guerra definiti dallo stesso memorandum come aggressivi e cioè corazzate, navi porta-aerei, sottomarini, grosse artiglierie, apparecchi bombardamento, allo scopo di privare eserciti naz,ionali questi mezzi offensivi.

Per rispondere polemizzando con questa assurdità dirò che se vogliamo privare eserciti nazionali questi mezzi offensivi non c'è che una unica via efficace e cioè abolirli e che ove tutte le Potenze grandi piccole accettassero tale principio non sarebbe certamente Italia rifiutarsi marciare stesso cammino. Tutto ciò uniformandomi pienamente principi generali posti Duce problema armamenti. Si potrebbe andare molto oltre terreno risposta polemica ed è vero peccato tu non sia qui con me perché potremmo su questa strada mettere imbarazzo nostri amici francesi con dichiarazioni molto più radicali.

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IL VICE DIRETTORE DELL'UFFICIO STAMPA, DEL MINISTERO DEGLI ESTERI, ROCCO, AL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA DEL CAPO DEL GOVERNO, POLVERELLI (2)

T.uu. 13. Ginevra, 10 febbraio 1932, ore 18.

Discorso S.E. Grandi prodotto grande -impressione ambienti conferenza dove viene definito universalmente discorso migliore (3) finora conferenza.

Accoglienze incondizionatamente favorevoli presso americani tedeschi inglesi svizzeri nordici spagnuoli oriente europeo. Francesi e loro clienti sono rimasti disorientati da proposte inattese che hanno sconvolto loro impostazione programmatica e contrariati da argomentazioni dialettiche delegato italiano che essi considerano senz'altro dir·ette contro loro ·tesi.

Consensi sono stati veramente unanimi e calorosi (1). Quanto precede per la cronaca che converrebbe contenere in titoli dignitosi* tu conosci gusti Ministro, in questa materia* (2).

Importanza ed evidenza successo italiano credo possano dispensarci dall'appoggiare argomentazioni ufficiali italiane assumendo iniziative atteggiamenti polemici ed aggressivi della stampa italiana contro la Francia, tanto più che si lascia chiaramente intendere che stampa francese, finora mantenuta in atteggiamento di mode·ra2lione e riserbo verso Italia, sarà senz'altro lanciata all'attacco contro tesi italiana.

Nostra stampa potrebbe quindi -salvo diverse istruzioni -illustrare sincerità chiarezza onestà ardimento tesi italiana, rilevare consensi e loro .importanza, non dissimularsi gravità del dissentimento minoranza ed assumere atteggiamento di attesa circa sviluppi discussioni conferenza, sottolineando anzi larghezza vedute Italia disposta esame approfondito qualsiasi proposta interessante.

Ai prossimi attacchi potrassi rispondere spiegando probabile equivoco che tendenziosamente sarà forse avanzato dai francesi che cioè Italia vorrebbe incoraggiare Germania a riarmare.

Spiegherò più dettagliatamente con prossimo telegramma quest'ultimo punto.

(l) -n presente telegramma, preannunziatomi telefonicamente dal Comm. Jacomoni da Ginevra il 9 corr. ore 22,30, partito da Domodossola il 10 corr. ore 3, è giunto a questo Ministero alle ore 5,45; appena decifrato, e conformemente alle istruzioni dello stesso Comm. Jacomoni è stato inviato con fattorino, alle ore 7,30, al R. Ministero Aeronautica (Gabinetto), preavvertito per telefono. [Nota del documento]. (2) -n te!. venne inviato tramite il ministero degli Esteri. (3) -n te!., il cui testo è quello della minuta in partenza da Ginevra, è stato corretto da Grandi. Nella prima stesura al posto di «migliore • si leggeva «dominante».
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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, MAJONI (3)

TELESPR. R. 204044. Roma, 10 febbraio 1932.

Telespresso di V.E. n. 908/446 del 9 novembre 1931.

Nel ringraziare V.E. per le notizi,e comunicate col telespresso sopra riferito in mer·ito alla visita fatta in Giappone dal Ministro degli Affari Esteri etiopico, questo R. Ministero prega l'E.V. di voler compiere indagini al fine di conoscere quale attività abbia svolto costì il Blatingheta Signor Herui e quali sviluppi nelle relazioni politiche ed economiche tra l'Abissinia ed il Giappone si atten

dano, come conseguenza di detta visita, in codesti ambienti governativi e commerciali.

Le informazioni che l'E.V. potrà raccogliere al riguardo interessano particolarmente questo R. Ministero in quanto come è noto, l'Etiopia dimostra da qualche tempo la tendenza a stringere relazioni con paesi extraeuropei, segnatamente col Giappone e con gli Stati Uniti di America (1).

(l) -Il capoverso. prima della correzione di Grandi, diceva cosi: • Congratulazioni e consensi non sono mai stati così unanimi e calorosi nelle riunioni internazionali questi ultimi anni •. (2) -Le parole tra asterischi sono state aggiunte da Grandi. Il testo primitivo proseguiva, dopo «dignitosi», con le parole « e non eccessivamente trionfali •. (3) -Il doc. fu inviato per conoscenza anche al ministero delle Colonie.
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IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, A VITTORIO EMANUELE III

(Ed. in CoRSETTI, pp. 222-225 e in DE FELICE, Mussolini, pp. 272-273, nota)

Roma, 11 febbraio 1932, ore 11 (2).

Le prime battute sembrano imbarazzate (3). Il Santo Padre mi porge la mano e mi invita a sedere • Le porg;iamo H benvenuto in questa che essendo la Casa del Padre è la casa di tutti •. In primo luogo mi domanda notizie di Edda a Sciangai. Il pensiero è molto gentile ed io lo ringrazio profondamente. • Sono molto lieto di questo incontro e pe·r il fatto :in sé e per il giorno. Ciò mi dà l'opportunità di esprimere il mio compiacimento, la mia soddisfazione e ila mia riconoscenza per il modo col quale le cose vanno almeno da qualche tempo a questa parte e dovunque, salvo eccezioni. Mi compiaccio che sia stato processato e punito il direttore dell'Araldo della Verità, di Firenze che aveva tenuto un linguaggio assolutamente indegno nei confronti della Santa Sede e miei.

Ma su la propaganda protestante si converge la mia attenzione, poiché essa fa progressi, in quasi tutte le diocesi d'Italia come risulta da una inchiesta che ho fatto fare dai Vescovi. I protestanti tengono un contegno audace, e parlano di 'missioni' da svolgere in Italia. A ciò ha giovato la legge sui culti ammessi -invece che tohlerati -•.

Cercherò di controllare questa voce.

È indubbio però che il Giappone ha in Etiopia, come suol dirsi, una buona stampa, anche per la nota infatuazione dell'Imperatore e del Blatingheta, che vedono nell'Impero del Sol Levante un esempio non sosr>etto di un r>aese d'oriente che ha sa;>uto assimilare il progresso occidentale senza pregiudizio della propria indipendenza politica. Se questi progetti dovessero entrare in una fase di realizzazione, un nuovo fattore politico verrebbe ad affacciarsi, dopo l'America, sulla scena etiopica, e un nuovo concorrente ben temibile per gli interessi europei e americani, ma per quelli euro!)ei in r>rimo luogo».

Io osservo che secondo i dati dell'ultimo censimento, i protestanti sono appena 135mila, dei quali, trentasettemila stranieri contro quarantadue milioni di cattolici.

• -È vero, continua il Santo Padre, l'l!talia è fondamentalmente cattolica e questo è una condizione di privilegio anche dal punto di vista nazionale, ma appunto perciò bisogna vigilare •. - • -Mi compiaccio anche· per le misure adottate onde ai giovani della premilitare e ai Balilla sia resa possibile l'osservanza del precetto festivo, ma certo "vademecum" che si è distribuito fra i premilitari e gli avanguardisti, non è che fomite e avviamento di corruzione. Sono i padri cristiani che mi fanno prima di ogni altro segnalazioni del genere. Comprendo che in questo mondo nè •tutto H bene si può fare, nè tutto il male evitare. Sono anche soddisfatto che si sia frenata la licenziosità di cevta stampa che circola anche fra i giovani, con effetti deleteri. Sono lieto dell'interessamento del Governo per la costruzione

o ricostruzione nelle zone terremotate, delle case parrocchiali, che mancano quasi totalmente in rtalune zone d'Italia. Sono ben 4000 e più che bisognerebbe costruire. Speriamo con l'aiuto del!la Provvidenza di riuscire. Ma ci sarà lavoro anche per i nostri successori. Una chiesa aperta è una salvaguardia non solo per le anime. ma anche per il paese. I buoni cristiani -oattolici, non possono essere che degli ottimi cittadini.

Debbo anche esprimere la mia soddisfazione per la rapidità con cui in questi ultimi tempi, si è risposto dal Govevno per le nomine dei Vescovi. Alcune grandi diocesi sono così andate a posto, senza lunghe "vacanze" che non giovano ad alcuno. Spero che accadrà la stessa cosa per le nomine future.

Sono lieto che si sia ristabilita la compatibilità fra il Partito fascista e l'Azione Cattolica. Se mai, le difficol•tà avrebbero dovuto partire da parte cattolica. Ma io non v•edo, nel complesso delle dottrine fasciste -tendenti alla affermazione dei principi di ordine, di autorità, di disciplina -niente che sia contrario alle concezioni cattoliche.

E mi spiego anche •la sua reiterata affermazione -un po' meno frequente in questi ultimi tempi -del totalitar.ismo fascista.

Nell'ambito dello Stato questo totalitarismo si comprende, ma oltre gli interessi materiali, ci sono quelli delle anime, e qui entra in azione il "totalitarismo " cattolico •.

Il Santo Padre a questo punto prende UJn libro, cerca una pagina e quindi riprende.

• Ecco un libro di Manzoni, non abbastanza conosciuto " La morale cattolica". Manzoni, in genere, è uno scrittore cauto e moderato, ma in questo periodo sembra stringere il pugno. • Quando, dice Manzoni [,] Cristo disse agli apostoli "Eunte et doce•te (l) omnes gentes" affidò alla Chiesa un mandato divino, un ordine che la Chiesa deve eseguire •.

Io condivido l'opinione del Santo Padre -Stato e Chiesa agiscono su due c piani • diversi e possono quindi -delimitate le loro reciproche sfere di attività -col:laborare insieme.

Il Santo Padre ritiene questa collaborazione tanto più necessaria in questi tempi di crisi e di grande miseria.

c Ricevo, continua il Santo Padre, missive di ogni genere e tutte chiedenti soccorso. Le nazioni che una volrta offrivano oggi chiedono. Il mondo è turbato. Quello che accade nell'estremo oriente nasconde forse una lotta più grande per il dominio del Pacifico •.

Il Santo Padre mi domanda quindi notizie di Ginevra. Gli rispondo che, dopo specialmente il discorso Grandi, le azioni del disarmo sono in aumento.

• Sono stato io, dice il Santo Padre, che ho invitato a chiamare sull'Osservatore Romano " coraggiose " le proposte di Grandi •. Io: • Certo una parola di Vostra Santità, darebbe un impulso fortissimo al problema •. Il Santo Padre: • Dirò domani in San Pietro qualche cosa sull'argomento senza naturalmente scendere in dettagli •.

A questo punto io aggiungo che oltre alla riduzione degli armamenti, occorre la cancellazione dei debiti e riparazioni, l'abbassamento delle frontiere doganali, la smobi1itazione dell'oro, perché la crisi si risolva.

Il Santo Padre consente e osserva che nella storia ci sono state delle crisi, la cui cronicità è durata dei secoli, come quella che contristò il mondo nei secoli V, VI e VII e che si risQJlse al tempo di Carlo Magno. Certo che una crisi non può diventare c cronica • senza mettere in pericolo la stessa vita dei popoli.

• Accanto a queste ragioni di ordine generale che ci contristano, continua il Santo Padre, vi è un triangolo dolente che aumenta il Nostro dolore: il Messico, paese infeudato 'totalmente alla Massoneria; la Spagna dove lavorano bolscevismo e Massoneria, e la Russia che procede nella sua opera di scristianizzazione di quel popolo. Ho ricevuto, proprio in questi giorni, il 36° volume, della biblioteca anti-religiosa russa. Sotto c'è anche l'avversione anti-cristiana del g,iudaismo. Quando io ero a Varsavia, vidi che in tutti i reggimenti bolscevichi, il commissario civile o la commissaria erano ebrei. In Italia, tuttavia, gli ebrei fanno eccezione. Ho avuto -un tempo -dimestichezza col vecchio Massarani, che era il padrone di Balsamo Monzese, e che dotò la chiesa del paese di una Via Crucis; con Elia Lattes e sono stato anche scolaro del rabbino di Milano, da Fano, quando volli penetrare certe 'nuances' della lingua ebraica.

Ora le voglio dare a ricordo di questa giornata tre medaglie due delle quali ricordano la Conciliazione e la ,terza la radio. Talvolta, penso, come sarebbe stata facilitata la propaganda di Pietro e Paolo, se avessero avuto a loro disposizione questo mezzo. È incredibile il cammino che essi compirono, giovandosi dei mezzi del !loro tempo!

In questi giorni, ho pregato e ho fatto pregare per l'anima di suo fratello e di suo nipote •.

(l) Cfr. quanto comunicava Scammacca a Grandi da Addis Abeba con un teles!)r. del 22 marzo 1932: • Si hanno qui evidenti segni di un piano di penetrazione commerciale giapponese, che potrà trovare un campo magnifico per i suoi manufatti. E l'inquietudine e l'apprensione dei commercianti locali fanno già eco a questi segni, giacché è assai problematico che alla concorrenza giapponese, possano fare argine le industrie similari di altri paesi. Ma accanto a questi progetti di carattere economico, sembra che si profili un più vasto piano di natura politica, con l'intenzione che si attribuisce al Governo etiopico di ricorrere a consiglieri giapponesi (si parla di un gruppo di 20 tecnici) Per l'organizzazione amministrativa del paese.

(2) -La data si riferisce a quando avvenne il colloquio tra Mussolini e il Papa. (3) -Per alcuni precedenti della visita di Mussolini al PaPa cfr. la lettera di Tacchi Venturi a Mussolini dell'll febbraio 1932, in ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Tacchi Venturi 404/R, cit. da DE FELICE, Mussolini, pp. 273-274, nota.

(l) Sic, ma il Vangelo dice: « Euntes ergo docete •.

206

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI INGLESE, SIMON

Ginevra, 11 febbraio 1932.

Del 'lungo ed amichevole colloquio con Simon vale la pena di fissare

tre punti:

l) Il Governo britannico è nettamente contrario al progetto francese sul disarmo. La Gran Bretagna non accetta • new committments • oltre quelli già gravosi per la coscienza britannica, rappresentati dal Protocollo di Locarno e dal Patto della Società delle Nazioni.

2) Il Gove:mo britannico non insiste per ora sull'idea dell'unione doganale danubiana.

3) Il Governo britannico desidera collaborare con quello italiano nell'azione comune da svolgere· alla Conferenza delle Riparazioni, ed in genere in tutte le più importanti questioni di politica generale (1).

207

IL MINISTRO DELL'AEREONAUTICA, BALBO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (2)

(Archivio Grandi, copia)

L.P. Roma, 11 febbraio 1932.

Avevo già inviato l'uni,to telegramma a Ghigi perché te lo inoltrasse, quando da Gazzera e Sirianni, arrivati stamane a Roma, ho saputo della poca sicurezza anche dei telegrammi in cifra. Ho preferito così ritardarlo e scriverti.

I colleghi della Guerra e della Marina, mi hanno aggiornato su molti particolari. Ho saputo come subito dopo il discorso Tardieu, tu avessi deciso di formulare proposte precise.

Piccio non mi ha avvertito di nulla. Anzi, ho avuto notizie delle tue proposte solo ieri mattina 10 febbraio alle ore 8,30 dal tuo telegramma cifrato (3). Allora, per non romperti le uova nel paniere a un'ora dal discorso,

dopo aver cercato inutilmente di parlarti al telefono, ho avvertito Piccio e Nonis di farti aggiungere alla frase dell'abolizione del bombardamento quanto segue: • per ouanto la definizione di mezzi of:rensivi e difensivi sia difficilissima, perché, allo stato della tecnica. è molto facile trasformare in offensivo un aereo di difesa o di cooperazione •.

Questa aggiiunta aveva uno scopo solo, quello cioè di togliere all'affermazione ogni contenuto reale, per confinarla nel campo dell'astratto e dell'irraggiungibile.

Sirianni e Gazzera mi dicono che i miei ufficiali si sono mostrati favorevoLi alla proposta. Ne sono rimasto costernato. Essi avevano precisi e chiarissimi ordini SCRITTI nel fascicolo delle istruzioni (appendice riassuntiva pag. 35 e pag. 45) depositato nella cassaforte della delegazione a Ginevra. Oltre ciò hanno dimostrato di non aver capito nulla dell'aeronautica come arma a sé, perché senza bombardamento l'aeronautica è finita. Non sentono che l'aeronautica può salvare l'Italia povera. L'esercito non ha certo accettato di rinuncial'e alla spina dorsale della sua organizzazione! Questione di tradizioni. Nell'aeronautica (te lo dico con amarezza e non per superbia) l'unica tradizione che garantisca una diritta linea di condotta in ogni campo, è costituita dalla mia persona.

Ad ogni modo, bisogna riparare. Manderò in permanenza a Ginevra, Valle, uomo serio e quadrato, e mi preparerò sin da ora a sostenere che tutta l'aviazione è bombardamento, perché ogni apparecchio civile o militare, può portar bombe.

Sono venuto a Ginevra scettico e tranquHlo, ma oggi sono spaventato.

Sono sicuro però del tuo aiuto.

Tu non sei solo un diplomatico: sei un soldato con la testa e comprendi

come la mia tesi serva alla Patria.

In aviazione, con poche centinaia di milioni, possiamo essere sempre i

primi, perché l'aviazione italiana abbonda di un difficile e costosissimo mate

riale: quello umano.

P.S. -Se però non si conclude nulla e la proposta italiana serve a far ritardare il programma di costruzioni da bombardamento della Francia, abbiamo fatto un buon affare!

ALLEGATO.

BALBO A GRANDI

T. Roma, 11 febbraio 1932.

In risposta tuo telegramma del 10 mattina (l) spiacemi che tu abbia lamentata mia assenza Ginevra. Sono partito soltanto perché tu stesso mi avevi affermato essere utile la sola tua presenza e perfettamente superflua la mia e quella dei colleghi militari. In ogni modo mi sono sempre tenuto pronto a raggiungere velocemente Ginevra come d'intesa al tuo cenno telegrafico o telefonico. Se avessi tuttavia saputo che il tuo discorso anziché restare nelle linee generali programmatiche

come avevi annunciato nella riunione del Bellevue avrebbe presentato proposte di limitazioni qualitative, mi sarei precipitato spontaneamente a Ginevra per parlarti. Tu mi devi scusare se il mio impeto e la mia passione di tecnico aeronautico mi fanno velo nella impostazione politica del problema, ma quella tua proposta di abolizione in materia aerea del bombardamento mi fa tremare perché presa alla lettera significherebbe la totale abolizione dell'Aeronautica unica arma che può dare all'Italia con mezzi limitati una preponderanza sugli altri paesi. Capisco benissimo la tua affermazione polemica ma ho il terrore che la Francia, priva di aeroplani efficaci da bombardamento come è stato afiermato per due sedute dieci giorni fa alla Camera da autorevoli Deputati francesi, e l'Inghilterra, che considera il bombardamento aereo come il suo massimo pericolo, vogliano prenderei in parola al cento per cento. Sarei stato più tranquillo se tu avessi accettato d'includere nella tua proposta, c~me ti ho fatto dire da Nonis e da Piccio, il dubbio fondato di non poter riuscire, allo stato della tecnica, a definire il mezzo aereo offensivo e se non si fosse esplicitamente parlato di bombardamento. Certamente le mie paure furono esagerate, tuttavia, per qualunque dubbio, ti prego mandami a chiamare e ritienimi a tua completa disposizione non solo come Capo della

Delegazione ma anche come collega e vecchio amico. Ginevra non è certo il paese ove necessitino risposte a tamburo battente: due ore mi sono sufficienti per raggiungerti anche se imperversano in Italia ed in !svizzera bufere di neve.

(l) -Il 7 gennaio Simon aveva dichiarato a Mameli, in relazione alle conversazioni anglofrancesi in corso per la preparazione della conferenza delle riparazioni, che il governo di Londra non voleva avere segreti nei confronti dell'Italia (DB, III, n. 9). Ma sui rapporti tra Francia e Inghilterra e sulla pubblicazione, avvenuta il 13 febbraio, di un accordo circa la conferenza delle riparazioni, cfr. ibid., nn. 54 e 92. (2) -In Archivio Grandi .si conserva la seguente lettera di Ghigi per Nonis, segretarioparticolare di Grandi, a Ginevra, datata Roma l" marzo 1932 : • Come da tua richiesta, ti invio una copia delle lettera diretta a S.E. il Ministro da S.E. Balbo •. (3) -Cfr. n. 202.

(l) Cfr. n. 202.

208

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELL'AEREONAUTICA, BALBO (l)

T. (P.R.) 1003/15 U. FUORI COLLEZIONE. Ginevra, 12 febbraio 1932, o1·e 12,25 (per. ore 13,30).

Come tu avrai rilevato da stampa interna2iionale nostre dichiarazioni hanno messo nostro paese in una posizione prim'ordine inizio lavori Conferenza. Non posso fare a meno esprimerti mia gratitudine per collaborazione affettuosa che tu hai data nostra comune fatica, e sincero elogio tuoi valorosi e simpatici collaboratori. Arrivederci lunedì.

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IL VISERETTORE DELL'UFFICIO STAMPA, DEL MINISTERO DEGLI ESTERI, ROCCO, IL VICEDIRETTORE DELL'UFFICIO STAMPA, DEL CAPO DEL GOVERNO, POLVERELLI (2)

T. 18. Ginevra, 12 febbraio 1932, ore 18.

È stato suggerito ai corrispondenti da Ginevra di evitare di impostare loro servizi e commenti su una specie di sfida italo-francese cui si ridurrebbe tutta la conferenza. Tale impostazione non giova in nessun caso allo sviluppo della nostra azione. Conviene inoltre rilevare che stampa dei principali paesi

13 -Documenti diplomatici -Serie vn -Vol. XI

mantiene commenti e polemiche in tono piuttosto elevato e obiettivo, pur rilevando i contrasti fra le varie tesi.

Particolarmente fuori tono sono le corrispondenze da Parigi alla Stampa ,e alla Gazzetta del Popolo arrivate qui stamane, che parlano di • sbigottimento francese, ipocrisia, critica intollerabile e disonesta • e simili espressioni.

Ho telegrafato R. Ambasciata Parigi pregandola mantenere contatti con corrispondenti italiani affiché essi seguano direttive conformi all'azione politica che svolgono la delegazione e H governo.

Permettomi inoltre segnalare che larghi servizi Stefani relativi commenti stampa estera non -vengono quasi affatto ripresi da principali giornali italiani. Probabilmente questi preferiscono come è comprensibile loro servizi particolari. Sarebbe tuttavia desiderabile dato che suddetti servizi Stefani sono informati a direttive del Governo, che giornali italiani per lo meno li utilizzassero come norma direttiva per armonizzare ,i loro servizi con linea data dal Governo, e completare i servizi particolari con le più interessanti segnalazioni di stampa fornite dalla Stefani.

(l) -Il t. fu trasmesso da Nonis a Ghigi, al ministero. (2) -Il t. venne inviato t_ramite il ministero degli Esteri.
210

VITTORIO EMANUELE III AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (Ed. in CORSETTI, p. 225)

Roma, 12 febbraio 1932.

Ben cordialmente La ringrazio per il tanto interessante racconto del suo colloquio col Papa (1). Sono lieto che Ella sia stato contento di come sono procedute le cose.

211

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO DELLA GUERRA FRANCESE, TARDIEU

Ginevra, 12 febbmio 1932.

Colloquio di due ore, polemico, vivace, talvolta penoso. Vale la pena di fissare due punti:

l) Tardieu mi pone, alla fine di due ore di conversazione polemica, la seguente domanda: • credete voi che sia impossibile raggiungere un'intesa larga, leale, comprensiva fra le nostre due Nazioni, un'intesa mediante la quale si chiuda il processo delle recriminazioni del passato, e si apra un periodo di sincera collaborazione fra noi? •. A questa domanda del Tardieu ho

risposto: • Non ho mai giudicato impossibile il raggiungimento di tale intesa. Non lo giudico impossibile neppure oggi •.

Tardieu -• Allora siete voi disposto a parlarne seriamente con me, qui a Ginevra, durante le prossime settimane? Io non sono il Ministro degli Esteri di Francia ma sono, su questo punto, perfettamente d'accordo con Lavai, ed ho mandato da lui di trattare con voi •.

Grandi -" Sono sempre a vostra disposizione. Riferirò al mio Capo quanto mi avete detto. Al mio ritorno da Roma avremo modo di incentrarci ancora •.

2) Tardieu accennando alla questione navale itala-francese mi ha detto che la Francia non ha nessun desiderio di concludere per ora quest'accordo sopratutto perché di esso beneficerebbero Gran Bretagna ed America, le quali, una volta tranquillizzate nella materia navale, la sola a preoccuparle, sarebbero intransigenti in materia di annamenti terrestri ed in materia di rafforzamenti della • sicurezza francese •. In altre parole Tardieu ha confermato quello che da parecchio tempo appariva chiaro a noi italiani, e non appariva altrettanto chiaro ai nostri amici di Londra, e cioè la Francia desidera mantenere in piedi la discussione navale come strumento ed elemento di contrattazione coll'Inghilterra.

(l) Cfr. n. 205.

212

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL DIRETTORE GENERALE PER LA SOCIETA DELLE NAZIONI, ROSSO, A GINEVRA

L. P. 204197/19. Roma, 12 febbraio 1932.

Il R. Incaricato d'Affari a Bagdad, Cav. Rulli, in data 29 gennaio, ha comunicato che il Signor Mountain, presidente della B.O.D. (Società petrolifera inglese nella quale è interessata l'A.G.I.P.) avrebbe in quello stesso giorno lasciato Bagdad per le Indie, senza aver potuto raggiungere col Governo irakiano l'accordo relativo alla coneessione petrolifera per la B.O.D. stessa.

Il predetto R. Incaricato d'Affari ha pure segnalato che l'azione svolta dal Mountain è stata sotto ogni aspetto ottima, ma che i negoziatori irakiani hanno avanzato pretese eccessive e non hanno dimostrato quello spirito conciliante quale era lecito attendersi, dopo le promesse che ci erano state ripetutamente fatte.

Il Cav. Rulli ritiene che le difficoltà sorte siano in parte dovute anche all'assenza da Bagdad del Presidente del Consiglio irakiano, Nouri Pascià, senza la cui presenza, nè Re Faisal, nè il Governo vorrebbero assumersi la responsabilità, specie in un momento in cui le opposizioni mostrano una certa attività, di consentire ad una sensibile riduzione delle pretese avanzate, ma insiste nel considerare queste ultime, come «eccessive "·

Ti sarei grato se circa tale importante questione vorrai intrattenerti costì, con Sir Francis Humphrys e successivamente se del caso anche con Nouri Pascià, prospettando loro come la sospensione delle trattative già iniziate fra la B.O.D. e il Governo irakiano e l'intransigenza di cui quest'ultimo sembra aver dato prova. proprio nel momento in cui l'Italia ha dato a Ginevra il suo cordiale consenso alla cessazione del mandato sull'Irak, non abbia mancato di recarci una certa sorpresa: mantenute da parte nostra 1le promesse a suo tempo fatte tanto a Londra quanto a Bagdad attendiamo ora che da parte irakiana si dimostri nelle trattative con la B.O.D. uno spirito conciliante ed un sincero desiderio di concludere.

P. S. -Ti sarò grato se vorrai parlarne anche a Cadogan ricordandogli la nostra longanimità nelle questioni che lo interessano per l'Irak e l'anno scorso e quest'anno! Non vorrei che fosse la solita storia: gabbato il santo passata la festa (1).

213

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R.RR. 24. Belgrado, 12 febbraio 1932 (2).

Tornato da Roma il 19 gennaio e visto Jeftic H giorno successivo per esporgli nella forma più breve e generica ciò che ero autorizzato a comunicare a Re Alessandro, fui convocato dal Re, con inconsueta premura, il 22, il nostro colloquio durando un paio d'ore (3) delle quali solo una mezz'ora fu presa da qualche dettaglio del suo soggiorno a Parigi, dell'esito del consulto col Prof. Castellani (questi verrà in marzo a Belgrado a constatare l'esito del primo periodo di cura) delle visite a librai antiquari, ecc. Il Re si mostrò assai soddisfatto del responso del Prof. Castellani, e fiducioso dell'esito della cura prescrittagli,

Legai la mia esposizione ai recenti articoli del Popolo d'Italia sul problema delle riparazioni ( 4), mostrando al Re come un unico pensiero rettilineo e bene aderente alla realtà guidasse le propost'e che stavo per fargli, inspirate unicamente a trovare le vie efcl!ettive della pacificazione e del disarmo fuori da ogni nebulosa teorica.

E siccome tanto lui Quanto Jeftic avevano affermato nei primi colloqui di questa seconda fase essere loro intento giungere ad una situazione di fatto, che, anche senza averne il nome, corrispondesse ad una vera e propria alleanza, era stata decisione di S. E. il Capo del Governo e di V. E. abbandonare l'idea di stipulare il progetto che era stato fin qui caldeggiato e che si aggirava intorno al solito patto di amicizia, eventualmente completato da qualche

dichiarazione meglio aderente ai nostri reciproci interessi, per passare invece ad una situazione definitiva, completa, ineguivoca e che significasse un vero e radicale capovolgimento dei rapporti italo-jugoslav,i. Era inutile tentare una mezza soluzione che, lasciando forse scoperto qualche punto e generando equivoci, ci lasciasse a mezza via come il patto del 1924. Ne sarebbe derivata una situazione ancora più pericolosa di quella della fine '28 e 1929. Prefer,ibile quindi, accogliendo l'accenno del Re, andare subito e schiettamente al massimo estremo. Per noi ciò era possibile, perché non legati da alcun impegno, liberi quindi di sottoscrivere ogni qualsiasi accordo e trattato. Dicesse Sua Maestà Quali limiti massimi la Jugoslavia, legata da accordi ad altre Potenze, potesse raggiungere. I suoi sarebbero stati i nostri. Noi pensavamo ad una sistemazione completa di ogni possibile aspetto dei nostri reciproci interessi sia politici che militari come economici, finanziari e culturali. Soprattutto per la Jugoslavia ne sarebbe derivata tale una sicura costruzione politica, una così forte garanzia dello sviluppo della sua vita interna, scevra di ogni possibile preoccupazione esterna, una difesa così certa dei suoi interessi e dei suoi confini, sia centro europei che balcanic,i, ed una larga possibilità di alleggerimento dei suoi pesi _militari, che ogni sistemazione che noi potessimo chiedere in conseguenza di essa dei nostri interessi albanesi, avrebbe dato alla Jugoslavia un massimo di garanzia che nessun'altra sistemazione italojugoslava avrebbe mai potuto offrire eguale od equivalente.

E da questo aspetto generale dei desiderati accordi passai alla esposizione della questione albanese rifacendomi dalle origini della dichiarazione del '21 fino allo sviluppo attuale dei nostri interessi, solidamente stabiliti e non modificabili anche se il noto patto con Zogu non erasi rinnovato. Restava pur sempl'e il patto di alleanza, e restava la dichiarazione del '21 alla quale non intendevamo rinunciare. Pensavamo anzi che il punto che aveva costantemente arrestato tutte le precedenti discussioni, e cioè la eventualità di un nostro intervento, potesse essere considerato del ~tutto innocuo agli effetti della sicurezza jugoslava dal momento che l'Italia e la Jugoslavia sarebbero state legate da una reciproca politica di alleanza che un temporaneo intervento in Albania, per .legittima difesa dei nostri interessi, non avrebbe potuto oscurare. Giungevamo anzi a pensare che la Jugoslavia potesse fino da ora dare il suo preventivo assenso alla estrema ipotesi della terza parte della dichiarazione del '21.

Il Re, che aveva ascoltato con v.isibile interesse e consenso tutta la prima parte della mia esposizione qui ora riassunta, cominciò a dare segni di impazienza e di insofferenza non appena accennato alla dichiarazione del '21, ed avendo egli esclamato bruscamente che egli non conosceva tale dichiarazione e l'avrebbe sempre ignorata, ed avendo io allora cercato di esporre nuovamente, quasi a riepilogo, i vantaggi che la Jugoslavia avrebbe tratto dall'accordo, mentre per noi non si ~trattava che di una serie di rinunce ed infine ricordatogli che mancato, per ragioni che era inutile indagare, l'obiettivo dalmata durante ·la guerra, Questo era stato in certo modo sostituito dall'albanese per la nostra difesa adriatica, il Re fattosi pallidissimo ed alzatosi di scatto cominciò a gridare con estrema violenza frasi monche ed interrotte che c.i accusavano di consentire una agitazione dalmatica, di tollerare la esistenza di un comitato irredentista simile al macedone, che mai e poi mai avrebbe accettato, neanche per sola ipotesi, un nostro intervento in Albania. Meglio in tal caso troncare ogni conversazione, avverrebbe quello che dovrebbe avvenire.

Non nascondo a V. E. di essere rimasto assai interdetto per questa burrascosa uscita, e perplesso sul seguito da dare al colloquio. Se la finale .intenzione di V. E. fosse stata quella di rompere ogni conversazione, agevole sarebbe stato troncarle, e vantaggioso per noi, su questa ira Sovrana. Ma tale non è la intenzione ultima di S. E. il Capo del Governo e di V. E. lVfentre d'altro canto se si voglia per ipotesi rompere ogni conversazione non v'è, come V. E. vedrà dalle conclusioni, che fare del consenso anticipato all'ipotetico nostro intervento in Albania condizione sine o..ua non.

Nel rapidissimo riflettere del momento e mentre l'ira del Re aveva ogni più sgradevole esplosione, mi parve miglior consiglio cercare ricondurre alla calma il Sovrano, per consentire la ripresa del colloquio subito o ad altro momento.

Espresso quindi al Sovrano il mio vivo rincrescimento per aver provocato questo suo trascendere, dettogli che forse qualche mia frase era stata male espressa o male compresa, lo pregai di credere che non vi era da noi alcun comitato di tipo macedone, ma solo una agitazione irredentista dalmata, che poteva piacere di più o di meno al Governo jugoslavo, ma i cui dirigent~ erano purissimi e disinteressati patrioti, sulla cui nobiltà di sentire e correttezza di mezzi nulla poteva essere eccepito. Comitati di tipo macedone potevo invece io indicare in Jugoslavia, come potevo dirgli quanto e quale grave e pericolosa propaganda irredentista e terrorista contro il Regime Fascista si facesse nel suo Regno per 'l'Istria jugoslava. Negato dal Re che ciò fosse, poiché egli aveva fatto sciogliere associazioni e disposto affinché ogni propaganda irredentista fosse vietata, ed .invitatomi a citargli fatti e cose, gli promisi per il giorno successivo una lista delle manifcstazioni irredentiste avvenute nel solo ultimo trimestre 1931 (facendogli o..uindi grazia degli altri trimestri) insieme ad una collezione di stampati e di pamphlets terroristi stampati e diffusi negli ultimi mesi.

Ripresi poi il discorso sull'Albania, ma egli mi interruppe bruscamente, avviando il discorso su <>.rgomento mondano dal quale poi il colloquio tornò sul tema generale.

Accennato al Re di Q.Uale forza disponesse il suo regime per attuare una comune politica di pace con noi, dettogli che in altro momento avrei certo avuto agio di riesporgli e persuaderlo come tutto quanto gli proponevo, anche per l'Albania, non rispondeva nel pensiero di S. E. il Capo del Governo che al desiderio di dare al mondo l'esempio più sicuro di come la pacificazione di due Stati che avevano attraversato pericolosi momenti di tensione, potesse essere realmente raggiunta, messo in chiara evidenza soprattutto il realistico pensiero di S. E. il Capo del Governo tanto nella sua politica dei debiti e delle riparazioni, come in quella del disarmo, ed anche in quella della revisione dei trattati (semplice constatazione empirica del divenire di ogni trat

tato, non finalità da imporre anche con la forza) vidi pian piano il Re, che dall'interessamento era passato all'ira più violenta, e da questa alle curiosità antiquarie, manifestare infine un sincero entusiasmo per la persona di

S. E. iJ. Capo del Governo, affermare la sua impazienza di incontrarsi con lui, di risolvere con lui i punti controversi.

Il Sovrano mi congedò dicendomi che mi avrebbe fatto rimettere da Jeftic -le linee programmatiche dell'accordo generale, ed il suo pensiero sulla questione albanese.

Così si chiuse questo singolare e non comune colloquio del 22 gennain.

Volli io stesso vedere Jeftic già il giorno successivo:

a) per consegnargli ogni promessa documentazione sulla agitazione irredentista in Jugoslavia verso i nostri territori popolati da allogeni;

b) per giustificare e chiarire in ogni possibile aspetto la tesi massima nostra sull'Albania, inquadrata ·e garantita rispetto alla Jugoslavia dal patto generale che V. E. era pronta a trattare.

Jeftic mi chiamò poi il 27 gennaio per chiedermi di nuovo quale fosse con precisione il pensiero nostro sull'Albania, ed ho avuto con lui altri colJ:oqui il 6, il 7, il 9 ed il lO corren.te. Sono perciò in totale sei le conversazioni avute col Ministro di Corte in questo periodo.

Esse si sono svolte con qualche alternativa, senza una precisa continua linea, con varie riprese di punti già esaminati, ma principalmente aggirantesi sulla solita ipotesi dell'intervento. Esse sono state guidate sempre da cortesia, comprensione e desiderio vivo di giungere ad una formula di accordo.

Sulla proposta generale Jeftic mi ha detto che anche da parte jugoslava non vi erano limiti. Se mai questi si trovavano già indicati nei trattati che la Jugoslavia ha già con la Francia e con la Piccola Intesa (e per il tempo della loro durata) nel senso che qualsiasi altro accordo che la Jugoslavia firmasse non poteva essere diretto contro alcuno, ma soltanto avere scopi difensivi, assicurando il mantenimento dei trattati, almeno quelli che si riferiscono alla integrità jugoslava. Fuori di questi limiti, ogni altro sviluppo era possibile in ogni senso immaginabile, e quanto più oltl'e si andasse fino dal primo momento tanto meglio sarebbe. Quanto al nome del trattato ciò era indifferente, ciò che premeva era la sostanza, dovendosi tendere a dare una unità di azione e di direttiva alla Jugoslavia ed àll'Italia per tutti i problemi di comune generale interesse. Soprattutto inquietava l'Anschluss. Era opinione del Re che l'Anschluss, evitata mesi addietro, non si eviterebbe in altro momento. Anzi la forza germanica riprenderebbe tanto più agevolmente quanto più presto essa ritornasse alla sua libertà economica con l'annullamento delle riparazioni. Era stoltezza e cecità partigiana quella di qualche politico jugoslavo (e mi citò l'ex deputato socialista Jovanovic detto Pigeon) affermare l'utilità dell'Anschluss, così la Germania sarebbe arrivata a Trieste • deca-duto porto sloveno •. Trieste ha da restare italiana, ché se per avventura i tedeschi dovessero arrivarvi, anche la Jugoslavia sarebbe travolta. Mentre un comune permanente interesse unisce Italia e Jugoslavia su questo punto,

e difese da una frontiera continua (Alpi Caravaniche), esse potevano domani prendere quella migliore decisione che Je circostanze consigliassero. Ne discendeva che l'Adriatico era un mare comune da difendere, e non un campo di reciproche ostilità. lvi non erano che interessi comuni da cercare, mentre l'Italia Ubera da preoccupazioni adriatiche avrebbe altri mari dove rivolgere la sua libera azione.

Uguale era il pensiero jugoslavo per la penisola balcanica: la Jugoslavia non cercava alcuna nuova espansione, ma solo la tranquillità e la pace per provv·edere ai suoi problemi interni, e rispetto alla Bulgaria non si preoccupava d'altro che di vedervi stabilità sociale e politica, ed ottenere su basi possibili un riavvicinamento definitivo. Col nostro mezzo lo troverebbe.

Più grave e delicato il problema albanese.

Egli riconosceva ampiamente che la frontiera albanese fosse parte del sistema difensivo adriatico italiano e quindi costituisse un interesse strategico italiano; ma noi dovevamo pure riconoscere che la medesima linea di frontiera era anche un interesse strategico jugoslavo, perché è difesa di una zona militare di estrema sensibilità, ed è linea di protezione essenziale delle comunicazioni jugoslave col sud.

Niuna eccezione per quello che erano i nostri interessi colà costituiti e per gli aiuti ed appoggi che potessimo ancora dare allo Stato albanese per il suo incremento e rafforzarsi, sempre che questi aiuti (specifica allusione all'esercito) non finissero con l'intaccare l'edificio amichevole itala-jugoslavo e non minacciassero la Jugoslavia. Fin che tali aiuti erano diretti a sviluppare la economia albanese, sfruttarne le ricchezze, sviluppare i commerci (lasciando libertà anche al poco commercio jugoslavo), indirizzare anche con nostri esperti l'amministrazione albanese, nulla eravi a che ridire.

Ma egli doveva anche avvertire, sono sempre paro:le di Jeftic che ripeto, che oltre un determinato limite di azione, noi avremmo risvegliata la suscettibilità albanese, che forse non era nello stesso interesse italiano arrivare al massimo sviluppo per non vedere il sentimento albanese volgersi contro di noi considerandosi quasi sfruttato. In fondo il 11ifiuto di Zogu a firmare il patto trovava il suo fondamento nella necessi·tà di rispondere ad un sentimento che si sviluppava vieppiù in Albania. E non potevamo d'altra parte farci illusioni che Zogu continuasse nella politica che noi volevamo oggi nella situazione presente itala-jugoslava, senza nuovi tentativi di ricatto contro di noi. Alludeva con ciò alla insistenza albanese per il pagamento delle promesse quote del prestito.

Quanto poi alla ipotesi di un intervento, essa era contemplata nel pro

getto rimessomi nell'ottobre (1), e gli sembrava la formula più felice e più

elastica anche nel nostro interesse. Ove gH albanesi si sapessero abbandonati

a noi forse avrebbero avuto un difficile momento di reazione, che avrebbe

creato pericolosa situazione.

È su questa ipotesi dell'intervento che la nostra discussione è stata più

viva, prolungandosi per diversi colloqui.

Gli dissi che a parte ogni altra osservazione il suo progetto non conteneva esplicita affermazione di riconoscimento dei nostri interessi.

Ciò stimavo in ogni caso necessario, fondandomi fra altro sulla esperienza personale: avevo servito in Albania nel 1913-14. Per trovare ivi rimedio alla rivalità italo-austriaca, che partendo dalla dichiarazione di identità di vedute firmata nel 1900, e dopo la elevazione al trono del Principe di Wied (fatta anche d'accordo) era giunta a manifestazioni assai delicate e preoccupanti, San Giuliano e Berchtold si erano incontrati ad Abbazia nella primav,era del 1914 dal quale convegno ne era uscito, fra altro, un accordo per l'azione in Albania che fu chiamato del 50 per cento, poiché su una spartizione di intevessi in zone non era stato possibile intendersi. Si dteneva con ciò eliminato ogni pericolo di attrito. Ebbene, ero stato testimone, ed attore io stesso, di tutti i ripieghi, le astuzie, le manovre, cui i rispettivi agenti ufficiali ed ufficiosi in Albania ricorrevano per guadagnare talora, anche solo apparentemente, qualche frazione più del 50 per cento che apertamente essi potevano assicurarsi in ogni impresa, manifestazione, attività. E gli albanesi per i primi vi speculavano largamente. L'attrito diveniva ta,lmente sensibile che motivo di guerra fra Italia ed Austria, se non fossero sopraggiunti gli altri maggiori, si sarebbe forse trovato in Albania. Simile situazione si ripeterebbe se gli albanesi od i nostri agenti rispettivi in Albania non sapessero ben chiaramente e pubblicamente quale fosse nella precisa volontà dei due Governi la parte assegnata rispettivamente nello sviluppo del giovane Stato, e nel riconoscimento della posizione subordinata dei rispettivi interessi.

Quanto all'intervento lo pregavo dirmi in modo inequivoco se la sua formula lo ammetteva a priori. Non poteva, secondo me, essere diversamente, se egli riconosceva la preminenza degli interessi italiani, la esistenza della dichiarazione del '21, il congegno dei var:i articoli del suo stesso progetto. Evidentemente, anche se egli mi avesse risposto affermativamente, saremmo stati ben ;lontani da quello che V. E. r,ichiedeva, ma si sarebbe tuttavia determinato un accostamento al nostro punto di vista, e mi sarei sentito di esporlo a V. E.

Al termine dei colloqui del 6 e del 7 corrente Jeftic, ammessa la espli

cita dichiarazione di pdorità di nostri interessi, suggeriva una. formula che di

cesse che la S.d.N. avrebbe deciso • in conformità degli interessi ,esistenti in

Albania, tenuto conto dello stato di amicizia fra Italia e Jugoslavia, ed in rela

zione ai principi che ne guidano le decisioni •, intendendosi con questa frase od

altra analoga alludere alla dichiarazione del '21. • Voi non potete chiederci,

concludeva Jeftic, che noi diamo a priori il nostro consenso esplicito alla

occupazione. È anche questione di prestigio. Ma non ci opporremo a che

essa avvenga se la S.d.N. stessa lo deciderà •.

Si era peraltro semp1'e riservato la approvazione del Re.

Ed ieri :l'altro 9 corrente egli mi ha dichiarato che neanche tale ammis

sione era possibile, e che in nessun caso un intervento italiano potrebbe 'essere

accettabile. • Anche soltanto l'idea che voi possiate intervenire in Albania, mi

ha ripetuto, è microbo che minerebbe la nostra amicizia e ci farebbe stare

in costante sospetto sulle vostre generali intenzioni. Se poi l'intervento do

vesse prodursi, non v'è alleanza ed amicizia che resisterebbe ventiquattro ore.

Egli è che, debbo dirvelo con ogni franchezza, noi temiamo che questa vostra insistente domanda celi un vostro disegno di installarvi un giorno definitivamente in Albania, o che se anche ciò non pensate voi oggi, lo potrebbero pensare altri domani, facendosi forti delle nostre stipulazioni odierne •.

E tale è evidente, anche ricordando precedenti dichiarazioni di Marinkovlc, l'irremovibile pensiero del Re su questo punto, per il quale invece tanto Marinkovic che Jeftic avevano pensato possibili delle transazioni.

Ho invano insistito nel colloquio del 9 ed in quello di ieri per cercare di persuaderlo di uno scarso fondamento delle sue preoccupazioni. Se effettivamente vi fosse nel pensiero di qualsiasi uomo politico responsabile italiano l'idea di stabilirsi definitivamente in Albania, noi non avremmo necessità di aderire e far nostre le massime proposte jugoslave per un patto generale. Non avremmo che attendere l'occasione buona. È appunto perché tale intenzione non esiste, e che un nostro intervento se dovesse essere fatale non potrebbe essere che temporaneo, che siamo pronti alla garanzia massima che è il trattato generale proposto. Gli ho pure fatto il caso di una nostra diretta ed indispensabile protezione di interessi, che potrebbe esigere un temporaneo intervento, ed egli ha risposto che in tale caso i mezzi comuni previsti dal diritto internazionale potrebbero bastare senza bisogno di altro.

Ed è stato irremovibile: accennando solo in fine che un tale punto controverso potrebbe essere risolto personalmente dal Re e da S. E. Mussolini nell'auspicato incontro.

Debbo segnalare a V. E. che nel colloquio del 7 corrente Jeftic si informò con molta premura se vi fossero effettivamente colloQui per un riavvicinamento franco-italiano, quale fosse stato l'oggetto dell'incontro di V. E. con Tardieu. Accennò che forse per opportunità tattica • sarebbe stato nostro interesse concludere prima colla Francia e poi con la Jugoslavia •.

È anche troppo evidente che il suo timore era esattamente il contrario, nella inquietudine di un abbandono della Francia, e ricordando forse che Tardieu era stato l'autore di un progetto di compromesso adriatico nella primavera del '19, che prevedeva di affidare all'Italia il mandato sull'Albania.

Questa fase dei colloqui dovendo quindi considerarsi ultimata, il pensiero

di Jeftic può oggi riassumersi così: (ho data lettura ad J eftic di queste sue

idee conclusive). Il trattato dovrebbe avere come massima finalità politica:

fare dei rapporti con l'Italia la base della politica jugoslava, avere carattere

difensivo e mirare al mantenimento dei trattati che garantiscono la integrità

e la sicurezza jugoslava.

In particolare vi dovrebbe essere un prevalente interesse militare comune

al mantenimento ed alla difesa della frontiera nord, ed un impegno a trattare,

possibilmente, a risolvere d'accordo, tutti i problemi politici ed economici che

si dovessero verificare al di là di essa (Anschluss). Ne deriverebbe che la fron

tiera Giulia potrebbe in oerto senso cessare di essere frontiera militare e che

anche in Adriatico dagli interessi italo-jugoslavi sarebbe tolto qualsiasi si

gnificato ostile.

Una stretta collaborazione politica dovrebbe aversi per tutti i maggiori

problemi politico-economici dell'Europa danubiana e balcanica.

Contatti e consultazioni dovrebbero tenersi ~nche per i maggiori problemi europei dove gli interessi comuni potessero trovare comune conclusione e consigliare un unico fronte.

Nel campo economico dovrebbe cercarsi la maggiore compenetrazione possibile delle proprie rispettive economie, tendendo, per comprenderci meglio con una sola espr,essione, alla unione doganale. A tale finalità massima si arriverebbe progressivamente, man mano che gli impegni oggi esistenti con terzi stati venissero a scadere, e compatibilmente con la necessità di non ferire gli interessi fondamentali delle rispettive economie.

Rispetto all'Albania riconosciuto da parte jugoslava il carattere strategico dell'attuale frontiera albanese, vi dovrebbe essere corrispettivo riconoscimento da parte italiana. La priorità degli interessi italiani in Albania allo scopo anche di sostenere lo stato albanese ed i suoi istituti, nel quadro dell'amicizia italajugoslava, e subordinatamente alla sicurezza jugoslava, sarebbe pure accettata. Per la eventualità di un intervento che non potrebbe essere determinato che da una situazione anarcoide interna, e che si esclude possa avvenire nel caso di sincero accordo Roma-Belgrado, dovrebbe essere chiamata a decidere la

S.d.N. escludendosi peraltro tanto l'intervento italiano quanto lo jugoslavo. Durata di questo impegno dovrebbe essere il tempo minimo per costituire un solido e non modificabile edificio, cioè non meno di 10 anni.

Tale è il pensiero grezzo di Jeftic. Una sua messa a punto più diplomaticamente agile comprensiva e chiara non sarebbe troppo difficile, pur restando ferme le nostre obiezioni al suo punto di vista per l'Albania dove fra l'altro è da rilevare che data la sua assoluta negativa ad un nostro eventuale intervento, la vera reciproca del nostro (l) riconoscimento che le frontiere attuali dell'Albania sono intel'esse strategico italiano, non è già quella che le stesse frontiere difendono la vallata del Vardar. È Ia costa albanese che difende la Jugoslavia nei nostri riguardi, come le Alpi Albanesi l'Italia nei riguardi jugoslavi.

Attendo ora le istruzioni di V. E. per l'eventuale seguito, avvertendo peraltro che Marinkovic ha avvertito del colloquio di Rakic con Guariglia del 15 gennaio, e che probabilmente alla prima occasione egli cercherà riprendere le conversazioni con V. E. per quanto egli ignori i colloqui con il Re, e non abbia (così mi ha detto Jeftic) istruzione alcuna di farlo. Ma egli è che Marinkovic parte dalla supposizione che la mancata firma di Zogu al patto lasci noi più liberi di concludere e trattare altra sistemazione con la Jugoslavia.

Mi sia concesso esporre ora a V. E. alcune brevissime subordinate considerazioni.

Non sta certo a me indicare se per lo sviluppo della nostra politica europea debba essere o no concluso questo patto generale che la Jugoslavia si mostra seriamente disposta a trattare e che implica conseguenze così vaste che esse sfuggono al mio apprezzamento e competenza. Non posso però non ricordare che sotto un certo riguardo una situazione analoga alla odierna si presentò alla politica italiana nel 1882 quando fu concluso il primo trattato della Triplice durato poi 33 anni. Allora fra la soluzione di problemi storici adriatici, la

liberazione di circa un milione di italiani, l'allontanamento d'un esercito straniero dalle ultime pianure venete, e la difesa dalla supremazia francese in Mediterraneo noi preferimmo assicurarci questa difesa lasciando ad una futura favorevole crisi bellica europea la possibilità di risolvere i problemi storici dell'Adriatico.

Lo stesso problema fondamentale, peraltro con molti termini migliorati a nostro vantaggio e col necessario adattamento alla situazione europea odierna, può oggi in qualche modo ripetersi: o difesa della parità mondiale in generale e mediterranea in ispecie nei rispetti della Francia, o soluzione degli ultimi problemi strategici e nazionali adriatici (Albania -Dalmazia).

Mi limito ad additare il formidabile problema. Quanto all'Albania cui dedico ormai da 19 anni ogni mia ininterrotta attenzione espongo pure le osservazioni seguenti:

a) La nostra attività in Albania sembra attraversare un momento di singolare delicatezza per quello che (nell'assenza assoluta di ogni e qualsiasi comunicazione da parte del R. Ministero) posso giudicare con le poche voci che mi giungono. Ho avuto un lungo colloquio anche con questo Ministro di Albania. Egli ripe't'e in altri termini Quello che Jeftic [mi ha detto], e debbo notare che Jafer Vila è fra i più degni ed onesti albaneSii che abbia mai incontrato. Egli mi ha cioè confermato il sorgere e lo svilupparsi di un sentimento di diffidenza e di ostilità verso l'azione itaJliana che sarebbe secondo lui, come se l'Albania fosse una colonia. Tale azione finirebbe quindi con l'offendere quel sensibilissimo orgogl•io albanese che fu sempre ~loro sentimento capitale. Jafer Vila mi ha affermato che a Tirana non era da mesi mistero per alcuno che Zogu non avrebbe rinnovato il patto con noi. E Zogu è stato soprattutto guidato dal desiderio di non mostrarsi al servizio degli ,italiani. Egli è disposto forse ancora alla stessa identica politica seguita fin qui, ma con apparenza di libertà anziché forzato da un trattato come que1lo del '26.

Ad ogni modo rifiuto a rinnovare il patto (è curioso che i giornali jugoslavi non ne hanno mai parlato), invio di Rauf Fitzo quale Ministro a Belgrado, articoli del Journal de Genève, offerta del Re Alessandro di assumere a suo carico il pagamento del prestito italiano (vedi teleposta n. 360/56 del 15 gennaio scorso), campagna contro il ~trattato di commercio, etc. sono atti che resteranno senza seguito, o sono l'indice di una situazione in c!'escente sviluppo a noi ostile? La risposta a tale domanda può certo avere ~nfluenza nella valutazione complessiva della situazione.

b) L'importanza militare dell'Albania, minaccia di un punto nazionalmente e militarmente assai sensibile quale è la Macedonia, è massima. Ma a parte il grave onere militare che imporrebbe ed il rapporto fra questo onere ed il vantaggio di tenere impegnata la Jugoslavia sul fronte albanese quando noi fossimo ingaggiati sulla frontiera Giulia, a Zara e più ancora sul fronte occidentale, non v'è dubbio che la funzione militare dell'Albania è in stretta connessione con ,i rapporti militari itala-jugoslavi.

c) Nella situazione diplomatica presente il solo nostro titolo alla occupazione dell'Albania è la dichiarazione del '21 (collaborai al suo congegnarsi,

ma allora nel Consiglio della S.d.N. non vi erano che soli 7 membri, i permanenti avendo la maggioranza) ma subordinatamente alle decisioni della S.d.N. e solo se vi sia consenso della S.d.N. e, è evidente, alle condizioni che essa stabilirà. Mirare, così come sentii affermare nella riunione presieduta da V. E. l'11 gennaio, ad occupare l'Albania e poi rivolgersi alla S.d.N. non può essere programma politico. Può derivare da assoluta inderogabile necessità per la difesa di fondamentali assoluti nostri interessi. Ma allora è questione di forza la Quale è poi il solvente di tutte lè Questioni e situazioni internazionali. E se la forza vi sia occorre forse il successivo consenso della S.d.N. (dove sono oggi fra permanenti e no 11 membri nel Consiglio) ma non fino da oggi il preventivo jugoslavo.

d) Sfugge al mio apprezzamento se ,}a soluzione integraLe della questione albanese sia oggi problema urgente, o necessità politica che non possa essere rinviata, ovvero se essa debba, più agevolmente, essere frutto di una nuova situazione italo-jugoslava od europea da maturare per motivi ed in modi oggi non davvero prevedibiili.

Se soltanto l'avvenire possa darci la soluzione integrale di tale problema è ovvio che la luce sotto cui guardare le conseguenze del trattato generale può essere favorevole.

Mentre mi riservo riferire sulla situazione interna, e rimango in attesa delle istruzioni di V. E., la prego...

(l) -Dopo uno scambio di telegrammi e di lettere fra Rosso e Guariglia, il primo telegrafò al secondo (t. per corriere 70, Ginevra 7 marzo 1932): Cadogan gli ha comunicato la risposta del Foreign Office. • Da tale risposta sembra potersi desumere che le autorità britanniche si sono interessate presso Nur! pascha nel senso da noi desiderato e che le trattative potranno essere riprese con speranza di buon risultato '. (2) -Come risulta dal contesto, il doc. fu scritto il giorno 11. (3) -Cfr. n. 178. (4) -Gli articoli, attribuiti a Mussolini, uscirono fra il 10 e il 20 gennaio 1932.

(l) Cfr. n. 66, annesso all'allegato.

(l) Sic, ma sembra debba leggersi "suo "·

214

L'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 306/152. Madrid, 12 febbraio 1932.

Il giornale EL SoL nel suo numero odierno pubblica quasi integralmente un sensazionale manifesto inviato ai comunisti spagnuoli da'll'ufficio dell'Internazionale Comunista che dirige e vigila il movimento rivoluzionario nei paesi dell'Europa occidentale.

Tale manifesto, che era stato finora tenuto segreto dai dirigenti del partito comunista spagnuolo, è motivato dalla riunione del IV Congresso di quel partito in !spagna. Esso è la prova più evidente non soltanto dell'interesse che l'Internazionale comunista dimostra verso questo paese ma anche del grave pericolo cui la Spagna va incontro nelle condizioni di disorientamento provocate dall'avvento dei regime repubblicano.

È impossibile riassumere il documento che merita di essere letto per intero e meditato. Ne accludo il testo integrale. In sostanza esso espone i progressi fatti dal comunismo in !spagna ed enumera e spiega le deficienze che si notano specialmente nel campo dell'organizzazione: fa costatare la incapacità dei capi dirigenti il partito e la sopravvivenza di tendenze settarie ed anarchizzanti: segnala fra le maggiori deficienze la lentezza e la passività nell'organizzazione dei contadini delle campagne e il divorzio esistente fra i capi e le masse.

Circa la propaganda bolscevica in !spagna e le sue possibili conseguenze mi permetto di ricordare anche il mio rapporto riservato in data del 27 gennaio u.s. n. 196/94 (1). Aggiungo che da dichiarazioni dello stesso Presidente del Consiglio risulterebbe che soltanto in occasione dell'ultimo moto rivoluzionario la Russia ha inviato ai comunisti spagnuoli due milioni di pesetas (2).

215

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AI MINISTRI A BUDAPEST, ARLOTTA, E A VIENNA, AURITI

TELESPR. S. 1069. Roma, 13 febbmio 1932.

A telespresso della R. Legazione in budapest dell'8 corr. n. 894;132 (3).

Dal rapporto surriferito risulta che il Conte Bethlen ha confermato, nella riunione privata presso la R. Legazione in Budapest (4), che egli aveva prospettato a Schober come non fosse possibile prevedere con precisione l'offerta di una vera e propria • accessione del Reich • alla progettata unione doganale italo-austro-ungherese, pur potendo questa considerarsi quale • utile ponte • per una più intima collaborazione con la Germania, i cui interessi si era già d'accordo di tenere nel maggior conto possibile.

A tale proposito mi pregio di comunicare per opportuna conoscenza di

V. S. che questo Ambasciatore di Germania ha avuto su tale argomento due lunghe conversazioni col Comm. Ghigi (5).

Nella prima egli -a titolo personale ed amichevole, e prendendo lo spunto dai progetti economici riguardanti gli Stati danubiani gli ha chiesto se era autorizzato a comunicargli a titolo confidenziale quanto era stato disposto e proposto durante la visita del Conte Bethlen a Roma (6).

«Nel ringraziare l'E.V. per le interessanti notizie trasmessemi con il telespresso succitato, ho l'onore di riferire che nulla mi risulta circa l'invio di mezzi finanziari da Mosca ai dirigenti del movimento comunista spagnuolo, né come V.E. conosce, ho modo di assumere speciali inforn1azioni in materia così delicata.

È tuttavia naturale che, allo scoppio della rivoluzione spagnuola, circoli della III inter

nazionale abbiano rivolto speciale attenzione agli avvenimenti 1nadrileni, inviando verosimil

mente, tanto uomini, quanto mezzi, per tentare di incanalare il movimento popolare verso il regime comunista.

Dopo che apparve evidente che i moti spagnuoli non dovevano sboccare in un regime bolscevico, gli entusiasmi moscoviti andarono però diminuendo e la cosa apparve palese anche nell'atteggiamento della stampa. Si può quindi ritenere che, se in un primo momento aiuti forse non mancarono, in seguito gli internazionalisti di Mosca devono essere stati ben meno generosi.

Ho d'altra parte già avuto occasione di riferire all'E.V. carne in questi ultimi mesi gli sforzi propagandistici sovietici siano andati progressivamente diminuendo. e cio principalmente per le due ragioni seguenti: 1° necEssità di riservare tutte le disponibilità finanziarie all'attuazione del piano industriale; 2° necessità di non disgustare ulteriormente i Governi degli abborriti paesi capitalisti ai quali tuttavia l'URSS deve pur sempre ricorrere per crediti e forniture.

Tale nuova politica del Comintern diede del resto luogo a discussioni e frhioni di cui questa R. Ambasciata ha già riferito con telespresso n. 5581/2144 del 31 dicembre 1931 •.

Il Comm. Ghigi gli rispose che il Conte Bethlen aveva intrattenuto il Capo del Governo ed il Ministro degli Esteri della situazione economica ungherese. La sua azione era stata di due ordini: una pratica ed immediata, per la firma di alcuni modesti accordi economici, già parafati da molto tempo, con l'Ungheria e con l'Austria; la seconda, più generica, tendente soprattutto a richiamare l'attenzione italiana sulla difficile situazione ungherese, e sulla possibilità che Budapest dovesse finire con l'accedere alle lusinghe di Benes, entrando nell'orbita economica e politica della Piccola Intesa e della Francia, ove la situazione economica dell'Ungheria non venisse risolta altrimenti nel modo politicamente da Bethlen e dagli ungheresi desiderato, e cioè con una combinazione che permettesse intimi rapporti economici con Austria e Italia, e rapporti stretti con la Germania.

Nella seconda conversazione il sig. Von Schubert ha comunicato al Comm. Ghigi di aver ricevuto un telegramma da B2rlino secondo il Quale il Conte Bethlen avrebbe detto al Ministro g,ermanico a Budapest che nelle conversazioni da lui avute con S. E. il Capo del Governo egli (Bethlen) aveva avanzato il progetto di una « Zollunion • fra Italia, Ungheria ed Austria; che il Capo del Governo aveva accettato tale progetto, pure premettendo che desiderava di non fare cosa contraria aHa Germania e pertanto subordinandone l'esecuzione all'accettazione di questa ultima; e che, circa la Francia, il Capo del Governo riteneva che ne avrebbe ottenuto il consenso.

Il sig. Von Schubert -sempre premettendo che parlava a titolo personale ed amichevole -ha chiesto di conoscere possibilmente se le dette notizie fossero esatte e se fosse vero che vi era stato un Consiglio dei Ministri per deliberare la nostra accettazione dell'unione doganale italo-austro-ungherese.

Il Comm. Ghigi ha risposto che le conversazioni erano state varie e di carattere personale -dato che il Conte Bethlen non aveva alcuna missione ufficiale -; e che naturalmente in lunghi colloqui tra persone legate da amicizia di vecchia data, si agitano molti problemi e si discutono molte eventualità. Perciò egli non poteva escludere che il Conte Bethlen avesse ventilato l'idea dell'unione doganale, e che il Capo del Governo e il Ministro degli Esteri avessero accennato alla necessità di considerare in tale ipotesi gli interessi germanici nella questione con particolare riguardo e sollecitudine; ma che nessun progetto era stato formulato e tanto meno discusso dal Consiglio dei Ministri (1), fermi restando il nostro desiderio di cercare una soluzione ai mali dell'Ungheria, e gli affidamenti generici dati in proposito.

Il sig. Von Schubert nell'esprimere i suoi ringraziamenti al Comm. Ghigi gli ha comunicato, sempre in via confidenziale ed a titolo personale, che dalle notizie ricevute dal suo Governo gli risultava che l'atteggiamento germanico, come è contrario al progetto di • custom union • inglese, così non potrebbe essere diverso di fronte ad una unione doganale itala-austro-ungherese od altra simile. Invece il Governo germanico si disporrebbe volentieri a studiare

la possibilità di far parte di un'unione doganale danubiana che comprendesse

anche l'Italia.

Il Comm. Ghigi a questo punto ha trasportato la conversazione in un

campo più generico, parlando dei numerosi progetti che attualmente si fanno

per risolvere la situazione europea e delle gravi difficoltà che ,essi incontrano

nella pratica attuazione, e rilevando che anche la semplice rinnovazione del

trattato di commercio itala-germanico solleva varie difficoltà da parte dei

tecnici tedeschi.

Nel comunicare quanto precede a V. S., mi pregio di ricordare che è

opportuno, da parte nostra continuare a mantenere nei riguardi della Ger

mania la linea di condotta indicata nel telespresso di questo Ministero del

31 gennaio u.s. n. 773 (l) allo scopo di conservare la nostra massima libertà

di azione.

(l) -Cfr. n. 200, allegato. (2) -Questo doc. fu trasmesso ad Attolico, il quale cosi riferì il 18 marzo 1932: (3) -Non si pubblica. (4) -Allude evidentemente all'incontro sul quale cfr. n. 196. (5) -Il 6 e il 9 febbraio. (6) -Cfr. n. 166.

(l) Nessun accenno infatti si trova nei Verbali del Consiglio dei Ministri. Nella riunione del 15 febbraio il Consiglio, sentita una relazione del Ministro delle Corporazioni, autorizzava la conclusione del trattato di commercio fra l'Italia e la Germania « a condizione che il trattato stesso dia affidamento di durata e si stabilisca il metodo di pagamento • (ACS, Verbali del Consiglio dei Ministri, vol. 18).

216

APPUNTO DEL CAPO DELL'UFFICIO I EUROPA LEVANTE ED AFRICA, PITTALIS, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. 204425/20. Roma, 13 febbraio 1932.

Si trasmette un rapporto (2) del R. Ambasciatore a Bruxelles relativo

alla partecipazione di un rappresentante dei Combattenti Italiani ad una

riunione indetta dall'Associazione Nazionale dei Combattenti belgi per il pros

simo marzo, allo scopo di combattere il comunismo.

L'Ufficio sarebbe contrario a qualsiasi partecipazione di rappresentanti

italiani (3), a meno che la cosa si svolgesse intieramente al di fuori della

R. Ambasciata (4).

217

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI

TELESPR. 204479/64. Roma, 15 febbraio 1932.

A telespresso di V. E. N. 0418/202 del 6 febbraio 1931.

Ho il pregio di trasmettere l'acclusa copia di un rapporto in data del 23 gennaio u.s. (5) del R. Ministro in Vienna, dal quale V. E. rileverà che anche quest'anno quella Legazione tedesca ha messo le proprie sale a disposizione della associazione irredentista « Deutscher Schulverein Siidmark » per la consueta serata di beneficenza.

L'anno scorso, come l'E. V. ha riferito col rapporto qui sopra indicato, il M~nistro Freytag attribuì al precedente Ministro di Germania a Vienna, il Conte Lerchenfeld, la responsabilità dell'atteggiamento di quella Legazione in favore della citata associazione: e lasciò intendere che con la nomina del Sig. Rieth molte cose sarebbero cambiate.

In realtà, nonostante che il Comm. Auriti abbia col Sig. Rieth rapporti pm cordiali di quelli che avesse col suo predecessore, pure nessun mutamento è avvenuto sull'atteggiamento di quella Legazione di Germania rispetto al • Deutscher Schulverein Siidmark ». Ciò dimostra che l'atteggiamento stesso non dipende dai sentimenti personali dei rappresentanti tedeschi all'estero, ma è il risultato della politica ufficiale tedesca nei riguardi dell'irredentismo a1to-atesino.

È quindi opportuno che l'E. V. torni a parlare sull'argomento con codesti dirigenti, mettendo in rilievo come la protezione da parte della Legazione di Germania a Vienna di una associazione che esplica una continua ed aperta attività [anti] italiana non può non produrre in noi una spiacevole impressione, non solo per dl fatto in sé, ma anche perché è il sintomo di una mentalità e di un programma che il. R. Governo non può assolutamente ammettere non essendo in alcun modo giustificabile che il Gove11no tedesco assuma ufficialmente anche nei riguardi degli allogeni dell'Alto Adige la parte di tutore del germanesimo che esercita a protezione delle minoranz,e tedesche che in base dei trattati di pace sono state staccate dall'Impero tedesco (1).

(l) -Cfr. pp. 285-286, nota 2. (2) -Non si pubblica. (3) -Per timore di urtare l'URSS. (4) -Così fu scritto a Bruxelles. Analogo era stato il parere di Martin-Franklin. (5) -Manca.
218

L'ADDETTO NAVALE A BERLINO, TREBILIANI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI

(USM, cart. 3237/4, copia)

R. RR. 260. Berlino, 15 febbraio 1932.

In occasione del pranzo che il Ministro della Difesa S. E. Groener ha of:l1erto la sera del 12 c.m. ho avuto con lui una conversazione, di cui ritengo dover segnalare a V. E. i seguenti punti principali.

Il Ministro ha cominciato con ,l'esprimermi nei termini più calorosi il suo entusiasmo per il discorso di S. E. Grandi a Ginevra, che ha detto rappresentare il vero passo avanti sul cammino che dovrà seguire il dibattito del disarmo e che non potrà più venire abbandonato. Egli è stato il primo Ministro degli Esteri, ha detto, che, compreso delle reali necessità dell'ora, ha saputo con straordinaria chiarezza ed efficacia nettamente delineare la

situazione ed indicare ai delegati di tutto il mondo un programma completo e deciso.

Il Ministro Groener ha dall'esposizione di tale programma ccnstatato con grande interesse ancora una volta come i punti di vista dell'Ital;a coincidano con quelli della Germania.

Egli mi ha detto poi, che per ora non si recherà alla Conferenza, ma riserverà il suo intervento al momento che si presenterà più opportuno per poter dare valido sostegno alla tesi tedesca. Ad ogni modo la sua presenza; a Ginevra sarà breve, non avendo egli il compito di esplicare opera diplomatica, ma solo di appoggio alla delegazione militare.

Il Cancelliere del Reich, Briining, invece è previsto che torni a Ginevra entro il mese corrente e che !>.ossa trattenersi colà anche per una ventina di giorni.

Il Ministro Groener ritiene che la Conferenza non potrà avere breve durata, tenuto conto altresì che alcune nazioni, in vista di cambiamenti politici interni, potranno non trovarsi in grado di assumere nette posizioni; sull'esito della Conferenza stessa egli mi ha detto di essere ottimista, soprattutto perché il pessimismo non conduce mai a buoni risultati.

Il Capo della Marina, S. E. Ammiraglio Raeder, altresì intervenuto al pranzo del Ministro della Difesa, mi ha detto non essere improbabile che egli pure debba recarsi prossimamente a Ginevra, anche considerato che si recano colà i capi di tutte le principali Marine estere. In tale occasione gli riuscirebbe oltremodo gradito avere la possibilità di incontrarsi col nostro Ministro della Marina, S. E. Sirianni, onde poter con lui conferire sulle principali questioni navali interessanti le due Nazioni.

(l) Cfr. il t. posta 518/72, Innsbruck 10 febbraio 1932, col quale Ricciardi riferiva che il giornale Tiro!er Anzeiger aveva affermato, • per notizie avute da Bolzano, che pratiche sarebbero in corso presso le nostre autorità per ottenere -ciò che ritengo un assurdo che gli allogeni siano autorizzati a divenir membri dei gruppi locali del partito di Hitler. Se una simile notizia avesse ombra di fondamento, sarebbe superfluo fermarsi ad esporre i pericoli che l'autorizzazione di cui si tratta nasconderebbe ». Il 3 maggio il ministero dell'Interno smentì la notizia, e la smentita fu trasmessa a Ricciardi con telespr. 214924/22 del 14 maggio, firmato Rochira.

219

APPUNTO PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Il Ministro Soragna, essendo stato chiamato a dare il suo avviso per la parte riguardante le condizioni psicologiche dell'ambiente albanese -circa la forma, il tono p:referibile della nota di risposta al Governo albanese (2), ha portato direttamente dai luoghi l'impressione che era opportuno", pur dando una risposta praticamente soddisfacente e tale da tranQuillizzare per ora l'ambiente, di tenerla un po' sul secco e sul sostenuto nella forma, evitando naturalmente ogni inutile polemica o segno di malcontento ma anche astenendosi da ogni minima allusione ad un sanzionamento del passato.

Perciò è stata, secondo queste impressioni, compilata, dopo la redazione

n. l (Lojacono) e quella n. 2 (Gabinetto) una 3• redazione (3) nella quale

S. -E. Lojacono conviene perfettamente e che si sottopone ora definitivamente all'approvazione di V. E.

Si fa osservare che si dà una risposta a tutti i quesiti posti dalla nota albanese: continuazione dell'assistenza finanziaria e tecnica, collaborazione all'equipaggiamento militare, pagamenti del prestito S.V.E.A. Gli albanesi non possono quindi dire che si è lasciato all'oscuro qualcosa. D'altra parte, V. E. osserverà che le risposte sono sufficientemente vaghe per !asciarci una utile libertà di mosse. Ciò è perspicuo anche nella frase rliguardante l'organizzazione militare, che può essere domani interpretata, se occorre, come un preavviso, per una smobilizzazione o viceversa, come conviene.

Il Ministro Soragna ha personalmente insistito perché là dove si promettono i buoni uffici del nostro Gov,erno per un accordo soddisfacente fra

S.V.E.A. e Governo albanese, venisse inclusa una più chiara promessa di influire per evitare oneri immediati. Oiò ha desiderato, perché, siccome il Governo albanese deve preparare subito il bilancio per il 1932-33, senza tale promessa -che può voler dire che nel '32-'33 gli albanesi non pagheranno ad ogni modo nulla -il detto Governo avrebbe avuto il diritto di chiedere di risolvere immediatamente con la SVEA il problema dei pagamenti, e affrontare subito le trattative mentre a noi è conveniente di ritardare ancora almeno qualche mese le dette trattative per vedere come si atteggia la situazione sia internazionale che in Albania. Di più Soragna giudica che l'assenza di una promessa se pur vaga di escludere oneri immediati avrebbe prodotto un vero malcontento in Albania, anche nel popolo, al quale sarebbe stata data l'impressione di una strozzatura all'ultimo momento cosa che gli è parso doversi evitare nelle attuali contingenze perché non favorevole ai nostri interessi.

ALLEGATO

SORAGNA A VRIONI

[Tirana, 18 febbraio 1932].

S. E. il Ministro degli Affari Esteri d'Italia, al quale ho comunicato la nota

n. 430 indirizzatami da V. E. il giorno 2 dicembre 1931, mi ha incaricato di rispondere a V. E., a nome del Governo fascista, quanto segue:

Il Governo di S. M. il Re d'Italia, partecipando agli atti internazionali in vigore concernenti l'Albania, sia a quelli che le hanno dato vita, e che ne hanno delimitato le frontiere, sia a quelli che hanno precisato, nei riguardi di essa, la situazione dell'Italia e le sue ragioni di sicurezza, ha sempre mostrato di volere sapere conciliare, anzi congiungere, i suoi interessi di grande Potenza, e più particolarmente gli adriatici, con quelli del popolo albanese. Le stesse prove inequivocabili esso ha dato negli accordi conclusi fra i due paesi; ed è soddisfatto che

V. E. colla nota sopra citata ne abbia chiaramente confermato il riconoscimento e la riconoscenza da parte del Suo Governo.

Ciò posto, alla richiesta di V. E., che il Governo italiano manifesti, se è disposto a continuare all'Albania quella svariata assistenza finanziaria, tecnica e morale a cui il Governo albanese annette un valore sì decisivo per le sorti del suo paese, il Governo fascista, fermo nel suo spirito di concreta amicizia per il popolo albanese, risponde a mezzo mio che tale benevola assistenza continuerà.

Sarà d'uopo, d'altra parte, di tener conto, per quanto particolarmente si riferisce alla materia finanziaria, che i momenti difficili in cui versa l'economia mondiale impongono a tutti gli Stati un indirizzo di restrizioni e di parsimonia; tuttavia, non verrà meno, fra l'altro, anche l'interessamento italiano all'amministrazione della difesa albanese, nella misura che i tecnici e la situazione internazionale faranno ritenere indispensabile. Ma, specialmente in riguardo di quegli Enti italiani, che, come la S.V.E.A., hanno potentemente contribuito e stanno contribuendo, eol loro apporto finanziario e tecnico, a dare all'Albania un'attrezzatura moderna, il Governo fascista deve senza dubbio vegliare a che gli interessi di tali Enti benemeriti non conseguiscano dei pregiudizii. Esso si propone peraltro di intrattenere il gruppo finanziario, da cui la S.V.E.A. emana, nel senso di indirizzarlo, nelle trattative che passeranno con cotesto Governo, verso una larga e benevola conciliazione dei propri interessi imprescindibili con i beni intesi interessi dell'Albania; e, più specialmente, influendo affinché l'esito di tali trattative non incida immediatamente sulle finanze albanesi.

Mentre dò espressione al convincimento del Governo fascista che le prefate assicurazioni saranno apprezzate ancora una volta al loro giusto valore, mi è grata l'occasione per offrirle, signor Ministro, gli atti della mia più alta considerazione.

(l).

(l) -Si colloca sotto il 16 febbraio, giorno nel quale l'allegato fu portato da Soragna a Tirana, anche se è certo anteriore. (2) -Per la nota albanese cfr. p. 260, nota l. (3) -Si pubblica in allegato solo la terza redazione, che fu approvata da Mussolini e fu quella definitiva. Questa terza redazione fu preparata d'accordo tra l'Ufficio Albania e Soragna.
220

IL MINISTRO PATERNO' AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Ed. in PERFETTI, pp. 745-748)

R.s.s.N. Roma, 16 febbraio 1932.

Il compito da V. E. affidatomi consisteva nel sondare le vedute del Quai d'Orsay nei riguardi di una eventuale intesa sull'Abissinia, cui il noto rapporto del Ministro di Francia ad Addis Abeba, Signor de Reffye, e gli accenni fatti da uomini politici francesi ai nostri fiduciari avevano conferito un valore di attuaUtà su cui il Governo fascista aveVIa giustamente ritenuto utile portare la sua vigile attenzione. Le indagini da esperire assumevano un duplice aspetto :

Anzitutto occorreva assodare entro q_uali limiti intendevano realmente i francesi accogliere le suggestioni del Signor de Reffye da noi favorevolmente apprezzate: secondariamente, con la riserva che questo punto è qui accennato sussidiariamente solo per necessario sviluppo logico, bisognava sincerarsi se i francesi sarebbero stati proclivi ad uno stralcio della eventuale trattazione del problema da quello che sarebbe per essere il quadro generale dei rapporti italo-francesi. In altri termini, occorreva essere sicuri che la supposta 1ntenzione francese di accordarsi con noi circa l'Abissinia potesse formare oggetto di un'intesa che prescindesse da un eventuale futuro accordo generale fra Italia e Francia a cui il governo fascista non intendeva, almeno nel presente momento, impegnarsi. A maggiore chiarezza di questo rapporto, conviene precisare che le accennate suggestioni del de Reffye avevano lo scopo di trasformare l'accordo tripartito da negativo in positivo, sì da assegnare particolarmente in diretto controllo, a ciascuna delle tre Potenze tripartite quelle zone dell'Impero abissino dal medesimo accordo contemplate come eventualmente destinate alla esclusiva influenza di ognuna di esse -nella

mente del Signor de Reffye, la Francia e l'Inghilterra avrebbero così aiutato l'Italia a trovare in un vasto territorio assai ricco, così nel soprasuolo come nel sottosuolo, il modo di risolvere il suo assillante problema demografico nella unica forma da esse ritenuta possibi1e data la persistente loro riluttanza a cederci colonie facenti già parte del ,loro vasto impero coloniale.

Dalle preliminari conversazioni avute con S. E. il Conte Manzoni, col Marchese Theodoli e col Comm. Donati, che ho cercato per procurarmi la possibilità di un ambientamento iniziale necessario a portarmi a scegliere, con la dovuta prudenza, il terreno ed i mezzi tattici di cui abbisognavo per assolvere al mio compito, ho tratto la persuasione come, prima di affrontare contatti diretti con i francesi del Quai d'Orsay, mi fosse convenuto esperire un sondaggio atto a farmi conoscere a priori nei limiti del possibile, i reali intendimenti dei francesi nei riguardi del problema etiopico.

Ho potuto così assodare che il Conte di Saint Quentin, direttore del servizio Africa al Quai d'Orsay, mentre aveva giudicato utile in massima l'idea di un accordo italo-francese sull'Abissinia, si era dichiarato ostile, qualificandolo come contrario alla politica francese in Etiopia, al piano presentatogli dal Signor de Reffye. Invece di un accordo a tre, che nell'assicurare a Francia ed Inghilterra i;l possesso delle zone riconosciute dalla convenzione tripartita le avrebbe portate a solidarizzarsi con noi di fronte all'Abissinia, l'Ufficio competente del Ministero degli Esteri parigino penserebbe:

a) che un accordo con noi dovrebbe consistere nell'impegno francese di lasciare all'Italia mano libera sull'Abissinia nelle zone riconosciute dall'accordo tripartito, con la promessa di benevola neutralità che potesse permetterei di violare a nostro vantaggio il passaggio per Gibuti di truppe e rifornimenti nostri.

Precisavano 1e informazioni avute che la zona Gibuti, ferrovie e di Harrar dovrebbe naturalmente rimanere francese.

b) Queste concessioni (sic) verrebbero considerate come un apporto della Francia in un accordo generale con l'Italia le cui linee sarebbero state già prospettate dal Signor Berthelot in un memoriale (1), che, per suo ordine, avrebbe il Signor de Caix fatto pervenire a Roma per il tramite dell'Ambasciata di Francia presso il Quirinale.

Da queste informazioni discendeva la diretta conclusione che la condi~ zione pregiudiziale da V. E. posta di scindere un accordo italo-francese per l'Etiopia da un eventuale regolamento generale dei nostri rapporti con la Francia non poteva realizzarsi o per lo meno non si poteva più tentare dt realizzarla senza urtarci nel grave pericolo di essere denunciati ad Addis Abeba. Pericolo in atto, e forse g,ià sfruttato dai francesi, ove si pensi alla accoglienza fatta dal Quai d'Orsay al progetto de Reffye e alla circostanza che fin dal luglio scorso si parla, con scarso riserbo, della questione, e quel che più conta ove si tenga presente la persistente ostilità del Quai d'Orsay verso di noi. Ostilità tradizionale nell'organismo degli esteri francese che

il disappunto di un possibile fallimento di un accordo generale non potrebbe che acuire specie in quei settori quale l'abissino dove V. E. sa quanto sia facile invelenire nuovamente una situazione che il concorso fatale di passati eventi ha reso necessariamente incerta e facilmente inquinabile.

Convinto della convenienza di non affrontare una discussione nelle condizioni in cui le circostanze e principalmente le ben determinate mire del Quai d'Orsay, l'avrebbero posta, ammessa altresì l'ipotesi che le mire dei francesi possano tendere a crearci in Abissinia ciò che comunemente potrebbe definirsi una trappola o quanto meno ad imbrogliare fin da ora le nostre carte con l'Imperatore, ho pensato che fosse interessante esaminare la questione etiopica alla luce delle possibilità che essa potrebbe nei nostri riguardi offrire nel maturarsi della convenienza ancora incerta, di accedere ad offerte francesi di un regolamento generale dei nostri rapporti con essi.

Persone autorevoli da me incontrate casualmente mi hanno parlato della necessità di un accordo con l'Italia. Tale idea può oggi considerarsi il leit motif delle conversazioni parigine e quel che più conta fra la gente minuta che in un ambiente squisitamente politico, quale quello di Parigi, segue con appassionato animo le questioni agitate od anche semplicemente prospettate nella stampa quotidiana. Il referendum della Liberté sui rapporti italo-francesi, g~i editoriaii dei giorna:li come il Temps, l'accoglienza stessa della stampa al discorso pronunciato da V. E. a Ginevra, mostrano che nell'opinione pubblica francese va creandosi effettivamente uno stato d'animo che definirei una utile preparazione ad abbordare i problemi italo-francesi alla luce della realtà, verso cui potrebbe a breve scadenza sospingere con crescente ritmo oltre che le disillusioni mietute nella politica filo germanica da un lato la crisi economica francese che va fatalmente accentuandosi e dall'altro la posizione dei partiti attraverso l'imminente lotta elettorale, nella quale si nota già un aspetto per noi inter,essante nella concorrente campagna di destra e di sinistra per far proprio il programma intesista nei rapporti con l'Italia. Ciò permetterebbe di prevedere che anche senza la permanenza del Signor Lava! al Quai d'Orsay, potrebbe giungere al Ministero degli Esteri ugualmente un uomo di sinistra che possa neutralizzare la burocrazia francese sul terreno di una intesa con l'Italia, forse più dello stesso Lava! i cui legami con Tardieu sono ancora troppo forti per sperare in una immediata mainmise sul maggiore organismo anti-italiano che ha avuto finora per esponente permanente il Berthelot, ma riconosce pure come capo politico il Signor Tardieu.

Durante un pranzo intimo cui ho assistito ed al quale era invitato l'ex

Ministro Dupuy (proprietario del Petit Parisien) ho avuto con questi una

conversazione della quale, per gli importanti spunti avuti, ho creduto oppor

tuno conservare precisa memoria, riportando in appunti e nella stessa forma

dialogica gli argomenti più salienti.

Il Signor Dupuy ha anzitutto ricordato di aver parlato per due volte a

lungo con S. E. il Capo del Governo. Conversazione, ha detto, sfrondata da

inutili parole, serrata, densa, volitiva. Ne ha riportato una profonda impres

sione insieme con la persuasione che S. E. Mussolini voglia arrivare ad un

accordo con la Francia. Unica seria difficoltà, ha soggiunto, la parità navale

desiderata dall'Italia. Ho risposto naturalmente che qui si tratta che la Francia pretende da noi la rinuncia alla parità; il che è ben diverso. Dupuy ha convenuto ed ha subito aggiunto che bisognerebbe trovare una formula atta a permettere un incontro tra S. E. Mussolini •ed il Signor Lavai per dare al Capo del Governo il modo di assicurarsi personalmente della ferma determinazione della Francia per arrivare ad un accordo con l'Itaila. Il Signor Dupuy ha accennato più volte alla necessità dl procurare una sistemazione coloniale all'Italia. Si è mostrato propenso ad associare il suo giornale alla attuale campagna intesista; ma ha pure osservato che per farlo utilmente occorre porre di fronte alla opinione pubblica un programma completo, anziché rimanere nei termini vaghi attuali i quali equivalgono a confessare l'esistenza di un dissidio e forse ad acuirlo nell'opinione pubblica dei due paesi.

Dalle cose dettemi dal Signor Dupuy e da ciò che ho sentito un po' ovunque, ho tratto l'impressione che è scarsa in Francia la conoscenza dei reali problemi italiani, mentre ·essi sono ben noti e ben studiati al Quai d'Orsay il quale rimane così, nella esclusiva sua scienza, arbitro e regolatore di tali problemi, nonostante l'esistenza di correnti indubbiamente favorevoli ad una equa soluzione dei problemi stessi.

Fra le persone viste cito pure il Maresciallo Franchet d'Esperey, il quale mi ha parlato con schietta ammirazione di S. E. Mussolini e di quel che è l'Italia sotto la spinta del regime, e ha detto con il suo brusco linguaggio da soldato che con un uomo ' come il vostro Duce • la Francia deve intendersi e finirà per intendersi. Ho voluto a titolo di esemplificazione citare questi due autorevoli personaggi perché il loro atteggiamento come tutto l'andamento dell'opinione pubblica in Francia, mostra una maturazione che forse in passato non si 'ebbe mai.

Se tale maturazione potrà portare realmente ad un accordo italo-francese non è mio compito asserirlo; nè posso formulare, per la mia ristretta competenza, un giudiz,io che investa in pieno un sì poderoso QUesito.

Debbo però per la responsabilità che mi incombe quale Agente politico d'Italia in Abissinia far presente come nella .ipotesi ventilata si debba da noi pretendere che il rapporto italo-francese in un regolamento abissino diventi inequivocabilmente positivo e ponga quindi la Francia in posizione, di fronte all'Etiopia, chiara e netta e di perfetta solidarietà con rioi: senza di che l'apporto francese, in un simile regolamento sarebbe da considerarsi una vera, P propria insidia che perpetuerebbe in. Quello scacchiere la subdola situazione ch'O! ci ha in ogni tempo tanto danneggiato e che ci porrebbe nella necessità di affrontare uno sforzo militare di gran lunga più gravoso e forse tale da• assorbirci per un tempo certo non breve ma sufficiente a distogliere ·la nostra attenzione dagli altri scacchieri nei quali non potremmo non essere presenti senza menomare la nostra situazione di grande Potenza.

Subordinatamente alle sagge determinazioni dell'E. V., data la forzata sosta per una conversazione decisiva con i francesi circa il problema di cui trattasi, esprimerei il parere che a noi convenga, senza in alcun modo impegnarci, fare un accenno all'Imperatore circa il noto programma numero due (1), in

modo tale da neutralizzare nell'animo del Sovrano un possibile sospetto. E per far ciò riterrei particolarmente adatto il R. Incaricato d'Affari il quale potrebbe, senza addentrarsi in una discussione per cui gli mancherebbero i necessari poteri, intrattenere Sua Maestà sull'opera che io starei svolgendo per tentare di varare l'accordo a V. E. noto. Un simile non impegnativo approccio potrebbe permetterei di guadagnar tempo ed attendere lo sviluppo eventuale di risolutivi negoziati con le Potenze Tripartite. Tutto ciò potrebbe fare oggetto d1 un telegramma mio di istruzioni a Scammacca in quella forma ed in quei limiti che a ([, E. piacesse fissare.

(l) Si tratta evidentemente del doc. su cui cfr. p. 337, nota 2.

(l) Allude con ogni probabilità allo scambio di territori con l'Etiopia (cfr. n. 177, p. 305, punto b).

221

IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA E DEGLI AFFARI DI CULTO, ROCCO, AL VESCOVO DI TRIESTE, FOGAR

(ACS, Vescovi, Trieste e Capodistria)

N. 21912. Roma, ... [1932] (1).

In relazione alle premure rivoltemi dall'E. V. (2) per la concessione, come negli anni decorsi, del sussidio di L. 15.000 a titolo di aiuto nelle spese inerenti alla carica, ritengo opportuno comunicarLe che le precedenti concessioni, fatte in via del ,tutto eccezionale, tendevano neJl contempo a raggiungere scopi di interesse politico, nel senso cioè di ottenere, mercé la preziosa collaborazione dell'E. V. Rev.ma, il risanamento deH'ambiente, specialmente di confine.

Invece, le aspettative sono andate finora deluse, essenzialmente perché

l'atteggiamento, in cotesta Diocesi, del Clero, ,ed in particolare di quello croato,

che, come è noto, ha una influenza preponderante presso le popolazioni spe

cialmente allogene, ha creato una situazione politica poco soddisfacente, pro

vocando doglianze da più parti, mentre i rimedi suggeriti e diretti ad ovviare

i gravi inconvenienti verificatisi e ben noti all'E. V. Rev.ma non furono asse

condati, o lo furono solo in parte e, comunque, in modo inefficace.

Ora è mio fermo proposito, in conformità alle dir,ettive del Governo, di

non dar corso a concessioni di favore se prima non si sarà conseguito un

sensibile miglioramento nell'attuale situazione.

Ho fiducia che, con la sincera ed attiva cooperazione della E. V. Rev.ma,

tale intento possa ,essere in breve raggiunto, e solo allora mi riservo di ripren

dere in esame la domanda di concessione del nuovo sussidio (3).

(l) -La minuta reca a margine la data 16 febbraio, giorno in cui fu redatta ovvero archiviata. Si colloca comunque sotto questa questa data. (2) -Con lettera datata Trieste 9 febbraio 1932, che non si pubblica. Mons. Fogar riceveva questo sussidio dal 1924. (3) -Cfr. il memoriale giustificativo di mons. Fogar, datato Trieste 29 febbraio 1932 e ed. in D. KLEN, Neki dokumenti o svecenstvu u Istri izmedu dva rata, Zagreb, 1955, pp. 83-87; e anche, ibidem, appendice fotostatica, il verbale del 12 febbraio 1927 sull'accordo tra mons. Fogar e le autorità italiane. Sui rapporti tra mons. Fogar e il governo italiano cfr. anche G. SALVEMINI, Pre!udio, pp. 727 e 728. Cfr. inoltre, in ACS, Vescovi, Trieste e Capodistria, una lettera di Rocco del 15 luglio 1932; una nota del ministero della Giustizia al procuratore generale del re di Trieste, 19 maggio 1932; una lettera del senatore Salvatore Segré Sartori indirizzata presumibilmente a Rocco in data Trieste 23 febbraio 1932, nella quale Scgré Sartori, riferendo anche il parere dell'avvocato Pieri, si dichiarava convinto, « anche in seguito a tutte le informazioni prese, dell'opera buona e feconda del Vescovo [Fogar] che ha dei terribili detrattori fra coloro che si agitano e informano"· Mons. Fogar era protetto anche da Enrico Corradini.
222

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (Archivio Grandi)

L.P. [Roma], 17 febbraio 1932.

Ti allego un rapporto Theodoli sulle conversazioni avute con Berthelot, conversazioni di cui ebbi ad accennarti prima della mia partenza.

Per la • prima volta • Berthelot ha l'aria di parlare sul serio. Se si colloca il discorso fatto al Theodoli nel mezzo della vasta campagna giornalistica, promossa e favorita dal Governo, per un serio riavvicinamento all'Italia, non credo inesatto di conchiudere che • per la prima volta • dalla guerra abbiamo l'impressione di trovarci di fronte a qualcosa che ha • l'aria • di essere serio da parte gallica (1).

P. S. -Accludo anche un rapporto giunto da Parigi.

ALLEGATO

APPUNTI DI THEODOLI (2)

Sin dal 1925 io ho avuto occasione di avvicinare il Signor Roberto de Caix che rappresenta la Francia p-er la Siria alla Commissione dei Mandati; abbiamo più volte parlato delle relazioni franco-italiane, e mi ero accorto che la sua posizione al Quai d'Orsay senza essere ufficiale lo mette al corrente di tutte le questioni, data la sua intimità coll'Ambasciatore Berthelot.

Due anni fa egli mi parlò degli errori e colpe di Lloyd George e Clemenceau nei riguardi dell'Italia e più specialmente per l'opposizione e difficoltà create al nostro Paese che giustamente aspirava ad un mandato sull'Anatolia occidentale durante e dopo l'armistizio.

Abitando noi lo stesso albergo a Ginevra avevamo spesso l'occasione di parlare di politica coloniale, ed egli per la prima volta nel giugno 1931 mi accennò alla necessità per l'Italia di avere uno sbocco in Africa per i suoi emigranti, in una regione il cui clima salubre le varie risorse e le possibilità di sfruttamento minerario compensassero la mancanza di colonie redditizie. Egli mi parlò dell'Abissinia di cui mi vantò il valore reale e di cui si mostrò conoscitore profondo.

Ai primi di ottobre ossia alla vigilia della mia andata a Parigi, dove quel Governo mi aveva invitato a visitare l'Esposizione Coloniale, accennai a S. E. Grandi la possibilità che De Caix od altri francesi in vista mi parlassero di questioni coloniali. Data la mia posizione di Presidente della C.P.M. irresponsabile e perciò non compromettente, ma (appunto per ciò più libero nel parlare o far parlare) avrei potuto coll'approvazione del Ministro essergli utile a Parigi ed a Ginevra.

Conservo la lettera di S. E. Grandi in data 10 ottobre 1931 colla quale si doleva

di non potermi vedere prima della sua partenza per Ginevra, ed incaricò il Com

mendatore Ghigi di ricevermi. Il 17 ottobre ebbi un lungo colloquio col suo Capo

di Gabinetto che misi al corrente degli approcci ginevrini del Signor De Caix,

gli parlai dell'Abissinia e della possibilità che la eco delle nostre conversazioni

S.E. il Capo del Governo ne ha r>reso visione con molto interesse >.

fosse giunta a Berthelot. Il Comm. Ghigi trovò utile e necessario di ascolta::e sondare e riferire.

Fui ospite del Governo francese a Parigi dal 19 al 27 ottobre. Le conversazioni col Maresciallo Lyautey, coi Ministri Flandin, Pietri e Berard ed alcuni senatori e deputati portarono sempre sulle relazioni itala-francesi ed io non mancai di riaffermare i nostri diritti ed i nostri bisogni lamentando gli errori di psicologia e la condotta della Francia verso di noi. Dopo una colazione offertami al Quai d'Orsay, M. De Caix mi invitò a recarmi da Berthelot per riassumere le nostre conversazioni. Io me ne schermii, perché non rappresentando nulla e non essendo autorizzato, temevo di compromettere e compromettermi.

Ritrovai De Caix a Ginevra ai primi di novembre, e prendendo spesso i pasti con lui all'Hotel des Bergues, egli mi intrattenne sovente dello statuto degli italiani a Tunisi e delle oasi della Libia (questioni che conosco dal tempo della conferenza e per aver fatto una relazione sul Borku e Tibesti) ed in particolar modo delle possibilità di colonizzazione italiana in Abissinia.

Al mio ritorno a Roma e più esattamente il 20 novembre visto che S. E. Grandi si trovava in America, confidai al Comm. Ghigi quanto ero stato sorpreso a Parigi ed a Ginevra dalle conversazioni ed aperture di offerte fattemi in quell'ambiente coloniale e diplomatico, e come l'idea di una penetrazione italiana in Abissinia non avesse prodotto una reazione ostile, ma anzi aveva provocato in De Caix la possibilità di svilupparne tutto un piano generale di azione grandioso ed importante tale di avermi per prudenza indotto ad evitare l'incontro con Berthelot.

* * *

Il 2 gennaio u.s. l'Ambasciatore Beaumarchais mi telefonò essere tornato la vigilia da Parigi e di avere urgenza di incontrarmi. La sera stessa egli mi espresse il desiderio di Berthelot di vedermi a Parigi per riprendere direttamente le conversazioni avute con De Caix. Rimasi sorpreso di tale proposta e per prendere tempo, risposi che ignoravo le date esatte dei miei impegni a Ginevra e che mi sarei riservato di dargli una risposta.

Cercai nei giorni seguenti di essere ricevuto da S. E. Grandi, ma insistendo l'Ambasciatore per rivedermi, scrissi al Ministro il 6 gennaio, e ne ebbi risposta il 13 (1). L'indomani l'Ambasciatore mi telefonò per avvertirmi che desiderava consegnarmi personalmente una lettera di De Caix inviatagli da Berthelot (2).

Avendomi S. E. Grandi invitato colla sua lettera del 13 a mantenere i contatti e ad ascoltare, mi recai a Palazzo Farnese, ove presi conoscenza della lettera del 9 gennaio di cui annetto qui la copia, e pregai l'Ambasciatore di avvisare Berthelot che andavo a scrivere a De Caix per accusargliene ricevuta, e che dopo il Consiglio della Società delle Nazioni a Ginevra sarei passato da Parigi.

Misi al corrente di quanto sopra S. E. il Ministro, Ghigi e Guariglia alla colazione per Nouri Pascià il 19 gennaio e partii per Ginevra il 23.

Appena giunto all'Hotel des Bergues, Massigli mi telefonò che era incaricato dal Quai d'Orsay di avvisarmi che De Caix sarebbe giunto al mio albergo il 26. Il pretesto poteva essere la discussione al Consiglio dell'emancipazione dell'I:-ak; la ragione fu che De Caix voleva parlare meco per riferire a Berthelot prima del nostro incontro a Parigi.

27 Gennaio 1932 Ginema dalle ore 9 aHe ore 11 aLl'HoteL des Bergues.

N o n ho più visto De Caix dopo le nostre conversazioni su l'Abissinia in ottobre ·e novembre. Egli commenta la sua lettera del 9 corrente fatta d'accordo con

Berthelot e trasmessami a Roma da Beaumarchais. Io esprimo mie preoccupazioni per l'intervista da avere con Berthelot a Parigi onde non ingenerare equivoci pericolosi per le relazioni tra i due Paesi ed anche per me!

Io dichiaro che potrò soltanto riferire a S. E. Grandi e d'accordo con questi, forse a S. E. Mussolini, se riterrò le proposte francesi serie e soddisfacenti per me, ma ignoro se lo saranno per il mio Governo. Io non ho incarichi, non posso prendere impegni, accetto soltanto di riferire, ma desidero una seconda lettera di De Caix ispirata da Berthelot dopo avere conferito con lui. De Caix accetta e si dichiara d'accordo. Questi mi avverte che Lavai e Berthelot si preoccupano di sapere:

a) se c'è in Italia una corrente favorevole ad un'intesa con la Francia. b) Se la campagna condotta dal Fascismo contro la Francia è spontanea

od artificiosa. c) Se questa è profonda e sentita. d) Come ed in quanto tempo si potrebbe rimediare.

Io rispondo che da quando fui con Tittoni alla Conferenza della pace ebbi l'impressione della totale incomprensione francese dei bisogni italiani; che gli italiani tutti oggi, ma specialmente i giovani, accusano i francesi di ingratitudine, di avere ignorato l'Italia di Mussolini, e di trattarci come parenti poveri, petulanti e noiosi; si ritiene in Italia avere Mussolini più volte esposti i nostri bisogni reall di espansione, di territorio, di materie prime, ·ecc. e che invece di credere alla forza dell'Italia Fascista la Francia l'ha trattata da parvenue, sicura che qualunque cosa sia per succedere in Europa, l'Italia non potrà mai mettersi contro di essa.

Insomma gratuita classificazione di Potenza di secondo ordine.

Ho spiegato che gli Italiani non leggono i giornali esteri, che alcuni dei giornali italiani servono di palestra ad uomini giovani, che la letteratura fascista, come i discorsi dei Capi, sono sempre intonati e destinati a tener desta la fiamma nazionale e lo spirito combattivo delle masse. Ho dovuto riconoscere che gli spiriti sono molto eccitati in Italia, ma se la Francia si decidesse a cambiare intonazione e rotta, se ci facesse concessioni tangibili, se l'intesa si dimostrasse proficua, l'opinione degli Italiani potrà forse modificarsi.

De Caix dice: En France la foi des gauches dans la démocratie a bien diminué et les intellectuels de tous les partis sont favorables à certains idéals fascistes!

Poi mi domanda se è vero che il Ministro Grandi sia impegnato con i Tedeschi, e si mostra preoccupato dei sentimenti anti-francesi di alcuni uomini politici italiani, mentre Mussolini, pur lasciando insultare la Francia nelle strade e nei giornali, non sarebbe alieno da una intesa con Lavai.

Rispondo conoscere io poco il pensiero recondito degli uomini al Governo, ma ritenere Grandi devoto ed ossequiente alle direttive del Duce.

De Caix dichiara necessaria e indispensabile una chiarificazione ed un'intesa generale su tutte le questioni pendenti fra i nostri due Paesi, come fecero Inghilterra e Francia nel 1904, perché non conviene alla Francia fare piccole concessioni all'Italia che non si dichiarerebbe mai soddisfatta e non si cancellerebbero i malumori del passato.

Pur dichiarando augurabile tale intesa, mi preoccupo della condotta delle trattative preliminari e del segreto indispensabile. C'impegnamo di nuovo a raccomandare fortemente di non parlare mai dei reciproci " grlefs • passati, remoti o vicini.

De Caix mi domanda se l'Italia, oltre lo statuto tunisino (tre generazioni) le oasi libiche e disinteressamento francese in Abissinia può desiderare altro. Rispondo io ignorare quali siano le intenzioni del mio Governo, ma desidererei piuttosto conoscere: non quanto Francia sia disposta ad accordare (per esempio ferrovia, corridoio, baia, porto ecc. in Abissinia); ma specialmente quello che la

Francia desidera dall'Italia per stabilire una pacifica futura e duratura vita diplomatica concorde, ed a quali condizioni sarebbe pronta a marciare in Europa a braccetto di un'Italia amica e non subordinata.

De Caix consiglia di non entrare subito in dettagli tecnici, ma io ribatto, che prevedendo difficoltà da parte dei coloniali francesi è indispensabile precisare con accordi annessi tutte le questioni che io ritengo vitali (Harrar, corridoio, porto, ecc.), perché sarebbe ridicolo offrirei la camera da letto, se poi non abbiamo l'accesso per servircene, quando noi riterremmo giunto il momento di occupare (violare) l'Abissinia.

Accetto di incontrare Berthelot a condizione che De Caix sia presente, e mi scriva con l'approvazione di Lavai ciò che essi mi diranno, onde, se io lo riterrò utile, possa mostrare a Roma commentandolo.

De Caix ritiene indispensabile e necessario avere al momento buono l'Inghilterra favorevole all'intesa franco italiana. Riconosco che bisogna averla favorevole per riuscire, giacché il piano di penetrazione in Abissinia che fa parte della

S.D.N. è delicato e difficile. Egli propone di aggiornare con le opportune modifiche l'accordo a tre del 1906 e quello del 1925 per lo Tsana. E' possibile ottenere un'attitudine simpatica dell'Inghilterra:

a) per i vantaggi che essa può trarre nell'interesse generale europeo da un accordo franco italiano; b) perché l'Italia volta completamente all'Africa potrebbe accordarsi con gli Inglesi nei riguardi dell'altra sponda (Arabia).

De Caix vede la cosa semplice per Mussolini che ha dietro di sè i 42 milioni di italiani, più complicata per Lavai che deve convincere i Ministri, il Quai d'Orsay, la Camera, il Senato, la stampa e più di tutti i ceti coloniali e marittimi. Purtuttavia egli si mostra fiducioso perché nulla divide la Francia dall'Italia, ed il mondo così va alla rovina e torna alla barbaria. Solo ottanta milioni di latini possono salvare l'Europa. Per raggiungere questo scopo ci vuole fede, calma e pazienza. Dentro di me penso alla gente irresponsabile che in tutti i paesi parla ignorando le difficoltà del momento; penso ai tedeschi che mancano di psicologia, ciò che per fortuna fa contrappeso ai difetti dei francesi.

Ginevra, 29 gennaio 1932, dalle 9 alle 11 %.

(mentre io parlo con De Caix il Principe d'Abissinia visita il Palazzo delle Nazioni). De Caix è profondo conoscitore delle cose abissine, perché si occupò per quattro anni di impedire che la ferrovia di Gibuti passasse in mani inglesi.

Quando l'Italia si decidesse a riconoscere senza • arrière pensée • lo stato giuridico territoriale francese dell'Africa nord-occidentale, la Francia sarà felice di coooperare a creare il grande impero italiano nell'Africa orientale, dall'Eritrea a traverso l'Abissinia, sino al Somaliland e Giubaland; ed egli non sarebbe alieno di ridare una parte del Togo Camerun ai tedeschi, se gli inglesi facessero qualche cosa di simile pel Tanganica. lo prendo atto, ed egli così riassume le basi delle offerte francesi :

a) accordo per statuto tunisino (tre generazioni); io gli ricordo la nota Barrère del 1918 e dichiaro che in ogni caso questo dovrebbe farsi in modo che non sia la madre ad abbandonare i figli;

b) la questione delle oasi è facile, se si tiene conto delle comunicazioni che interessano la Francia tra il Sudan ed il sud-algerino;

c) in Abissinia la Francia disnteressandosi di tutto il resto dell'impero dovrebbe conservare l'altipiano dell'Harrar da servire d'interland a Gibuti ed alimentave il tronco ferroviario Dire Daua-Gibuti che rimarrebbe alla Francia, mentre il tronco Addis Abeba ad Amara Malka passerebbe all'Italia con o senza interessenza finanziaria francese. Io faccio le mie riserve per il bacino idrico dello Scebeli a sud dell'Harrar.

La Francia cederebbe una striscia di territorio detto • couloir • (ma da con

segnarsi solo dopo la rottura delle relazioni cogli abissini) striscia di terra tra

Margada Galamò e Bulalà Gubat-el-Kheras, ciò che permetterebbe all'Italia di

costruirsi un porto nell'insenatura occidentale della baia di Tagiura.

Egli prevede lo svolgimento di questo piano in diverse fasi:

l) Désintéressement français en Abissinie et création d'intérets italiens,

communauté de capitaux franco-italiens associés aux entreprises italiennes en

Abissinie avec garanties du Gouvernement italien.

Entente pour l'exploration du chemin de fer et du port de Gibuti (jusqu'à

la rupture avec l'Abissinie et à la cession du couloir).

2) A la suite de complications inévitables avec l'Abissinie il faut prévoir d'abord l'intervention commune diplomatique pour la protection des intérets communs; puis intervention en force des italiens par l'Erytrée et par Gibuti (convention à prévoir pour cette éventualité).

3) Cession du couloir au nord de Dire Daua jusqu'à la mer et construction d'un chemin de fer le long de la vallée où court le Hawash et du port italien.

De Caix si preoccupa del modo di dare agli Italiani la sensazione deH'avvenuto accordo generale tra i due Paesi, onde modificare lo spirito pubblico italiano, essendo impossibile rivelare l'intesa franco-italiana per ciò che riguarda la Abissinia. Bisogna salvaguardare l'interesse materiale dell'Italia (che deve scegliere il momento di agire con la forza) e morale della Francia, (potenza neutra e facente parte della S.d.N. Io rispondo che forse la détente degli animi sarebbe possibile, quando si venisse a conoscere il nuovo statuto per i tunisini, la cessione delle oasi di Libia e la ratifica di qualche cosa, come l'accordo a tre progettato quattro anni fa tra Francia e Italia e Jugoslavia di cui De Caix mi dice essere Berthelot fautore.

Dopo molte divagazioni, io torno alla carica per sapere, se ammettendo che il mio Governo si contentasse di quanto sopra, che cosa esigerebbe la Francia dall'Italia per addivenire ad una generale intesa cordiale e fattiva per garantire, come dice lui, con l'Inghilterra la pace all'Europa.

De Caix rovescia il problema, ma svela così le loro preoccupazioni. Per fare un programma è necessario conoscere che cosa pensano a Roma:

l) dell'Anschluss,

2) della parità navale (1),

3) della revisione dei trattati, in modo di far vivere gli Stati dell'Europa Centrale.

lo mi affretto a dichiarare che mai ho parlato di queste cose a Palazzo Chigi dove non tratto che di Mandati, ma posso esprimere la mia opinione personale fattami in questi ultimi anni seguendo alla finestra lo svolgersi delle polemiche su queste questioni.

l) L'Italia all'Aja ed a Ginevra per la bocca di Grandi e di Scialoja si dichiarò contraria all'Anschluss, ma desiderosa di vedere riprendere e prosperare la vita dell'Austria e dell'Ungheria. Doversi perciò promuovere intese, accordi o trattati finanziari, economici e doganali che il Signor Avenol reduce da Vienna, ci ha così prospettati:

Situazione austriaca migliore di quella ungherese. L'Austria può pagare gli interessi, ma non gli ammortamenti dei suoi debiti; l'Ungheria invece dovrà ricorrere alla moratoria.

Tre, secondo lui, sono le unioni doganali possibili:

a) l'Austria con l'Ungheria,

b) Austria, Ungheria e Cecoslovacchia,

c) Austria, Ungheria e Italia.

De Caix mi obietta che la prima soluzione non può dare esito sufficiente ai prodotti agricoli ungheresi, e l'Ungheria non può assorbire i prodotti industriali austriaci; che la seconda non piacerà all'Italia, come la terza non avrà il beneplacito della Francia; e che tutti questi progetti escogitati per salvare la vita dell'Europa centrale non sono possibili nè attuabili, che se Francia e Italia li studiano e li applicano in un amichevole accordo.

Quel giorno dice De Caix un'intesa economica finanziaria tra capitali francesi ed iniziative intellettuali e mano d'opera italiana troveranno un largo campo in Jugoslavia e nei Balcani, ciò che oggi si desidera, ma che non è possibile realizzare per le condizioni politiche attuali, e perché il capitale non va che là dove la fiducia lo ispira!

2) In quanto alla parità navale, io conosco quanto fu detto in Italia nei giornali ed al Gran Consiglio e quanto hanno strombazzato gli organi marittimi francesi. Spiego lungamente a De Caix come la Francia debba lasciar cadere la sua pretesa d'imporci la riconoscenza giuridica di una sua superiorità navale. È assurdo pretendere che l'Italia d'oggi, il Fascismo e Mussolini sottoscrivano ad un'inferiorità giuridica anche di sole 50' mila tonnellate di fronte alla Francia, quando Schanzer a Washington ottenne una situazione uguale a quella francese. De Caix torna coi soliti argomenti coloniali e marittimi, ed io gli ribatto che noi siamo chiusi a Gibilterra e Suez, mentre la Francia ha i due fronti marittimi indipendenti, ossia l'Oceano ed il Mediterraneo. Nel 1915 noi potevamo prevedere la guerra navale nell'Adriatico, sicuri degli alleati nel Mediterraneo, od a tempo della Triplice la guerra navale nel Mediterraneo sicuri alle spalle in Adriatico. De Caix perplesso, butta la colpa di queste divergenze gravi sui marinai ed i coloniali che egli definisce un mondo chiuso armato di paraocchi. Egli mi domanda consigli ed il mio parere in materia. Io rispondo ignorare l'ultima fase delle conversazioni Massigli-Rosso (1), ma ricordare di avere sentito dire a Londra, che ammessa dalla Francia la parità giuridica coll'Italia, non sarebbe forse difficile trovare nell'esecuzione tecnica dei programmi un accordo tale per le costruzioni ed il rinnovo delle vecchie navi in misura diversa, secondo le impostazioni dei rispettivi bilanci. Ovvero la Francia potrebbe fissare un massimo di tonnellate, anche ridicolmente alto, con libertà all'Italia di raggiungerlo...

Io continuo suggerendo che piuttosto che continuare ad irrigidirsi in formule antipatiche, sarebbe forse meglio prendere occasione della conferenza del disarmo, per non parlare più di questa questione di parità che inasprisce i dirigenti e le opinioni pubbliche. Questa limitazione francese è soltanto utile all'Inghilterra che si preoccupa dell'aumento della flotta francese, per ragioni di economia del suo bilancio navale e nei riguardi dei suoi accordi col Giappone e Stati Uniti.

3) Mi è impossibile seguire De Caix nella questione della revisione dei trattati che dice sta tanto a cuore a Mussolini ed io lo lascio parlare.

De Caix ritiene pericoloso per l'Italia promuovere questa revisione, perché altri solleveranno la questione delle nazionalità; allude ai tedeschi in Alto Adige ed agli slavi sul Carso ed in Istria. Propone farla prospettare, per esempio, dagli americani quando si parlerà dei debiti. Dice poi che Benès sarebbe disposto a

dare una soddisfazione agli ungheresi VIcmo a Bratislava, e crede che la Francia riuscirebbe a convincere i rumeni ad attuare alcune correzioni di frontiera in Transilvania. La Francia non è la sola responsabile di quello che fu fatto nel 1919 per il corridoio polacco e Danzica. Elle n'y tient pas tant que cela!

Infine De Caix conchiude: ma che cosa sperate dai tedeschi? Essi non dimenticano la vostra neutralità nè la nostra alleanza con voi. Pensate al Brennero ed a Trieste. La Francia non vuole nulla di più di quello che detiene, ed è pronta ad intendersi coll'Italia per facilitare il raggiungimento delle sue aspirazioni.

Ma se anche l'Italia potesse battere la Francia, credete voi che la Germania la vorrebbe fort,e e potente, credete voi che l'Inghilterra lascerebbe l'Italia occu~ pare territori o posizioni di capitale importanza? Io non rispondo...

* * *

Pigliamo appuntamento per lunedì a Parigi a casa sua dove mi riferirà il risultato del suo colloquio con Berthelot.

Quai d'Orsay, 2 febbraio 1932, dalle ore 17 alle 18.4.5.

De Caix mi riceve, e mi annunzia che Berthelot mi attende, soddisfatto delle nostre conversazioni ginevrine. Infatti gentilmente accolto da Berthelot questi si dichiara perfettamente al corrente di tutto quello che De Caix mi ha già detto. Non vuoi fare il processo del passato, ma attribuisce in gran parte la colpa della mancata riuscita dei diversi tentativi d'intesa coll'Italia in questi ultimi anni, alla incomprensione da parte dei francesi del Fascismo, al carattere (tempéramentl dei diversi negoziatori che, invece di mirare direttamente allo scopo, si sono spesso logorati rimproverandosi e palleggiandosi i torti reciproci dalla guerra in poi e nella ricerca sterile di soluzioni parziali.

Briand prima Lavai poi, il Governo attuale e persino le sinistre (vedi articoli di giornali) sono decisi a raggiungere coll'Italia di Mussolini un'intesa generale chiarificatrice, ma a condizione di arrivarci con tutta la lealtà e la sincerità necessaria a sgomberare tutti i malintesi passati e dare soddisfazione all'Italia su quello che essa. giustamente desidera ed aspira. La Francia vuoi raggiungere con l'Italia amica dell'Inghilterra la sicurezza di una pace lunga e proficua in Europa che servirà a disarmare gli spiriti e diminuire gli armamenti. Egli insiste sul punto che Francia, Italia ed Inghilterra non possono realizzare ed imporre questa pace necessaria a tutta l'Europa, se Francia ed Italia non si sono messe d'accordo su tutti i punti e nei modi che De Caix ha commentato e discusso con me a Ginevra, e che egli torna a precisare, e su quali dichiara aver l'approvazione di massima di Lavai. Onde non dilungarmi qui, voglio soltanto sottolineare quanto di nuovo ed in più di De Caix egli, Berthelot, mi dice.

l) La Jugoslavia ha bisogno di pace interna onde organizzarsi e sviluppare le sue risorse naturali dedicando le sue energie alla parte sud orientale del Regno (Macedonia e Salonicco).

L'intesa franco-italiana porterà subito: a -al riconoscimento senza • arnere-pensée • da parte della Jugoslavia dell'influenza italiana completa e diretta in Albania dalla quale gli jugoslavi

• doivent retirer leurs régards " ; b -cessazione dell'irredentismo slavo e delle sue agitazioni e conflitti sul Carso ed in !stria. La Jugoslavia dovrà ridurre l'esercito, sviluppare l'industria, il commercio, le miniere, le vie di comunicazione... (grazie agli ingegneri ed alle maestranze italiane associate al capitale francese). • L'argent va où la confiance

le guide •. Di sua iniziativa, e con mia grande meraviglia, Berthelot riprende:

2) Comme indice de nos bonnes dispositions et de notre ferme désir de nou"' entendre avec vous, depuis un mais les articles des journaux français et surtout ceux de gauche sont significatifs. Mais com.me gage immédiat d'une entente parfaite avec l'Italie, je vous déclare que la France tout en laissant vivre paisiblement sur son territoire tous les étrangers quelque soit leur manière de penser, et qui en lui demandant l'hospitalité acceptent le respect de ses lois, la France, dis-je, ne pourra pas supporter sur son sol des centres d'activité ou des associations antifascistes qui complottent ou méditent d'organiser des complots ou des attaques contre les institutions et les personnes dirigeantes de l'Italie Fasciste arnie de la France!

J'irai plus loin on ne peut pas admettre qu'en invoquant le principe du droit d'asile on puisse porter atteinte et co.mpromettre les relations avec l'Italie, et ainsi menacer la paix européenne si ébranlée de tous còtés. Il faut se défendre contre la poussée boltchevique qui nous vient de l'est, et en finir avec ceux qui abusent de nos lois et de notre vie aisée. Il faut que Angleterre, France et Italie recherchent et s'efforcent d'organiser sur des bases viables toute l'Europe centrale.

Io lo ringrazio, e mi permetto di domandargli se quanto mi ha detto il Segretario Generale del Quai d'Orsay sarebbe nelle intenzioni e possibilità di questo Governo con questa Camera. Painlevé non abbandonerà mai Nitti!

Berthelot si alza, e con energia mi ri·sponde: Cher Marquis, M. Laval n'hésiterait pas à faire expulser meme une douzaine de chefs italiens qui s'agitent et causent à notre Pays un tort énorme vis-à-vis du Fascisme et de Mussolini, le jour où celui-ci nous tendra loyalement la main.

Attenendomi alla lettera ed allo spirito di quanto mi scrisse S. E. Grandi, in data 13 gennaio, non ho polemizzato con Berthelot, l'ho lasciato parlare per più di un'ora, e mi sono limitato a domandare se egli esprimeva le sue idee o parlava d'accordo col suo Ministro. Egli mi ha subito risposto: lorsque M. De Caix vous a écrit sa lettre du 9 janvier c'est avec M. Briand que nous l'avons inspirée. Aujourd'hui M. Lavai est au courant de votre visite ici et s'il ne connait pas tous les détails de notre projet, je suis d'accord avec lui sur les grandes lignes et avant votre départ pour Rome je vous reverrai et serai plus précis.

M. De Caix discute allora con Berthelot sulle difficoltà della procedura per raggiungere lo scopo a Roma. Dicono incontrare delle difficoltà perché bisogna evitare il circolo vizioso seguente:

a) In Italia vogliono veramente intendersi con la Francia, o sperano ancora di giuocare la carta tedesca? Chi è l'arbitro? Solo Mussolini. Ma, Mussolini per decidersi, vorrà prima conoscere le intenzioni della Francia e le possibilità di realizzazione, e perciò sarà necessario mettere bene i punti sugli i. Questo studio di dettaglio e di precisazione non lo potranno fare nè Mussolini nè Grandi. Ce:: seront les bureaux!! Et alors comment garder le secret absolu indspensable à la réussite de notre entente?

b) Se si procede in senso contrario, ossia si prepara tutto il materialt: prima di avere l'approvazione dei Capi di Governo, allora si mettono in movimento gli organi tecnici che volendo a priori prevedere e precisare tutto, scateneranno i diversi sciovinismi e le inevitabili suscettibilità rischiando di mandare tutto a monte.

Berthelot conclude esprimendo la sua piena fiducia nel patriottismo, nel genio e nell'abilità di Mussolini, nonché nel • savoir-faire • di Grandi, purché si profitti del momento favorevole, giacché oggi tutti in Francia vogliono il riavvicinamento: Lavai, Ministri, Quai d'Orsay, stampa ecc. (questo mi risulta esatto dalle conV'ersazioni avute col Nunzio, deputati e giornalisti francesi).

Interrogato da Berthelot sul metodo che io contavo adoperare per trasmettere queste aperture a Roma, gli ho riferito quanto S. E. Grandi mi disse il giorno della mia partenza per Ginevra alla colazione in onore di Nouri Pascià, allorquando gli comunicai l'invito scritto di M. De Caix di recarmi ad incontrare Berthelot a Parigi.

S. E. Grandi pur meravigliandosi che qualche cosa di nuovo si potesse ancora dire fra Roma e Parigi dopo sette anni di conversazione, mi diede l'incarico con parole lusinghiere al mio riguardo di ascoltare e riferire. In tutti i casi non essendo io, nè un diplomatico nè un inviato autorizzato, desideravo ricevere da Berthelot delle credenziali tali da avvalorare la mia relazione a Palazzo Chigi od a quello di Venezia.

Berthelot stabilisce che De Caix, come fece la lettera del 9 gennaio, ne prepari un'altra a me diretta, mettendo bene in chiaro tutti i punti e tutte le proposte e poi ci ritroveremo tutti e tre, onde io (Theodoli) possa criticarla ed analizzarla esprimendo le mie impressioni (surtout au point de vue psycologique italien) afin que nous soyons bien compris à Rome, et qu'il n'y ait ni sous entendus ni malentendus.

Je veux que nos intentions et nos paroles soient appréciées à leur juste valeur. Je mettrai M. Lavai au courant et ainsi je pourrai vous déclarer que la lettre de De Caix est la photographie de nos conversations et le résumé exact et complet des bases d'une entente possible entre nos deux Pays voulue et désirée par le Gouvernement francais.

Berthelot et De Caix fanno allusione alla possibilità che Grandi si sia sbilanciato con i tedeschi.

Sono le 18 e 45. Berthelot, che ha parlato quasi sempre lui con chiarezza, precisione e debbo dire molta cordialità senza quel tono cattedratico e di protezione che hanno spesso i Ministri francesi, si mostra stanco e seccato che lo interrompano per annunziargli quattro o cinque personaggi che attendono in anticamera.

Esco con De Caix da un'altra porta.

Quai d'Orsay, venerdì 5 [febbraio] dalle ore 11 alle 12.

Berthelot dice avere esaminato il • brouillon • della lettera preparata da De Caix. In massima sta bene: ma M. Laval veut prendre son temps, étudier les différents points, vérifier les notes et les traités, parce que la lettre de De Caix dans son texte définitif doit poser les problèmes de telle sorte, qu'il n'y ait plus que les détails à régler.

Au mois d'octobre l'entrevue entre les deux Chefs de Gouvernement n'a pas eu lieu, parce qu'il y a eu malentendu complet sur le caractère de cette rencontre.

Mussolini la considérant comme une consécration, et Lavai comme un point de départ! Ce fut une faute. Mussolini a raison (c'était l'avis du De Caix). Il faut préparer le tout d'avance afin d'arriver à la consécration. Ce serait un désastre que de faire rencontrer les deux Chefs pour en arriver à un communiqué banal qui cacherait un désaccord pouvant aggraver la situation.

Les français quelqu'ils soient, les Gouvernements de gauche ou de droite ne peuvent envisager qu'un accord complet et définitif, et non pas un cataplasme qui endort le malaise ou mème la douleur pour 15 jours!

Les relations actuelles franco-italiennes ont une analogie prodigieuse avec la querelle séculaire que nous avions avec les anglais.

Les anglais vont en Egypte en 1882 comme les français en Tunisie en 1881. Fureur française, les anglais installés dans un pays où tout était français (écoles, institutions, finances, etc.).

Pendant 20 ans les relations politiques empoisonnées, les frictions continues, les dangers permanents. Pour la première fois en 1897 avant Fachoda M. De Caix et ses amis firent le raisonnement suivant: la France fait une politique négative. Les anglais ne quitteront jamais l'Egypte; si nous voulons qu'ils en sortent, il faudrait faire la guerre; nous ne la voulions pas, et nous ne la pouvions pas. Il fallait pour cela s'allier avec l'Allemagne!

14 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

Meme situation avec l'Italie!

Quand on ne peut pas prendre une chose, on en fait matière d'échange!

Il y avait le Maroc!

Dès ce moment là de Caix trouva la formule: le Maroc contre l'Egypte. Il le dit à Delcassé. Vous connaissez la suite. Depuis 1904 jamais les français ont embeté les anglais; et les anglais nous ont aidé à nous installer au Maroc. La France a tiré parti d'un désistement. Il faut reprendre cette politique avec l'Italie:

• L'Abyssinie contre l'Afrique nord-ouest •.

Je crois, dit Berthelot, que France et Italie s'entendront, il le faut, mais pour cela pas de récriminations, pas de grandes phrases, c'est dans l'intéret des deux Pàys, dans l'intéret de l'Europe.

Quels avantages pourrait retirer la France d'une guerre victorieuse avec l'ItaIie? La France a tout, que voulez vous qu'elle puisse désirer encore. Si on laisse l'Allemagne redevenir forte et riche malgré tout (sans dettes extérieures, sans réparations, avec une structure industrielle et commerciale formidable) en présence d'une France et une Italie divisées, ce sera bientòt la guerre générale, tout sera à recommencer dans 10 ans!

Mussolini a obtenu l'ordre en Italie. Nous désirons l'établir avec lui en Europe. Donc à bientòt. Il ne faut pas fatiguer les bonnes intentions. Prudence et patience.

La lettre de De Caix lorsqu'elle sera approuvée par Lavai vous sera remise par Beaumarchais, mais c'est De Caix qui me sembre le plus indiqué pour aller à Rome l'expliquer et l'illustrer à M. Mussolini, lorsque vous jugerez le moment favorable. ·

Il mercoledì ho fatto colazione con S. E. Mons. Maglione, Nunzio apostolico che conosco da dieci anni e col quale sono in ottime relazioni personali. Egli si dichiarò soddisfattissimo della sua situazione in Francia e bene informato dai 76 Vescovi, ed in ottime relazioni col Capo del Governo e Ministro degli Affari Esteri.

La Francia non vuole la guerra, ma trema, e si sente isolata; raffreddate sono le relazioni con l'Inghilterra e riuscito inutile il tentativo di Briand di riavvicinamento con la Germania. A tre epoche diverse Briand, Doumer e Lavai gli hanno espresso il loro convincimento della necessità di riavvicinarsi all'Italia. Egli ritiene che per ragioni e vedute diverse sia le sinistre sia le destre aspirano ad un'intesa con noi.

Da me interrogato, il Nunzio mi dice che la situazione di Berthelot al Quai d'Orsay è più forte che mai, perché 'tra Briand e lui c'era Leger. Tra Lavai e lui non c'è nessuno. Briand fu Ministro sette volte, e per circa 13 anni si è occupato degli affari esteri. Egli ha un'esperienza ed una conoscenza delle persone e degli affari che Lavai deve farsi. Per ora è Berthelot che dirige il Quai d'Orsay (1).

(Wendel, Peyerimhoff, Schneider e Comnagni) di preoccupazioni bottegaie, vedi industria at guerra e cartelli con la Germania ecc. Egli mi ripete quanto ebbero a dirmi Berthelot e De Caix circa la necessità di evitare nei giornali italiani nuove polemiche sui reciproci "griefs" passati e di non più stampare che la France se raccroche à l'Italie parce qu'elle se trouve isolée...

Il faut en profiter, le moment est trés favorable. Dites à Rome de nous faire renvoyer par vos journaux la balle que j'ai lancée à mon retour de Rome, car si on laisse tomber cette question elle risque de ne plus rebondir. Et alors il faudrait croir qu'en Italie on ne sait pas, ou on ne veut pas saisir l'occasion et les dispositions excellentes ici à tous les points de vue.

Patenòtre ignorando le mie visite al Quai d'Orsay, finisce così congedandosi: que Rome se bouge, je fais de mon mieux ici, mais qu'on se défie de nos bureaux •.

(l) Con lettera 1291 del 24 febbraio, Grandi comunicava a Theodoli: « Ho subito sottoposto a S.E. il Capo del Governo gli appunti da te redatti sulle note conversazioni.

(2) Questi appunti sono cit. in PERFETTI, p. 702.

(l) -Cfr. n. 162. (2) -Cfr. n. 160.

(l) Cfr. rapporto 564/334, Parigi 28 gennaio 1932: il 27 gennaio Lavai ha chiesto a Manzoni: • credete che sia possibile distaccare la questione navale dalle altre? ». Manzoni commenta: • rilevo che il Signor Lavai stavolta, come il 16 ottobre u.s., ha ribattuto sul distacco della questione navale dalle altre •.

(l) Cfr. n. 149.

(l) Cfr. anche un altro appunto di Theodoli (Archivio Grandi) su un colloquio con l"on. Patenòtre, avvenuto il 3 febbraio: • Questo deputato di sinistra indinendente è molto ricco ed ha per moglie una signora anche più ricca. È intimo di Lavai che accompagnò in America. Egli si mostra meco entusiasta del Duce, mi cita le sue parole, e come Berthelot e De Caix si meraviglia che la stampa italiana non faccia migliore accoglienza agli articoli favorevoli ad un'intesa franco italiana pubblicati da tutti i giornali francesi. Io gli domando, com'è che le gazzette del gruppo di destra: Figaro, Ordre, Débats e Temps spmgevano verso l"Italia; ora che i giornali di sinistra pubblicano degli articoli a noi favorevoli, esse hanno cambiato intonazione ed anzi 1'0rdre ed il Figaro r>rotestano allarmati. Patenòtre accusa Coty di gelosia e gli organi appartenenti all'Union des Mines e quella de l"Acier

223

IL DELEGATO ALLA SOCIETA DELLE NAZIONI, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 748/32. Ginevm, 17 febbraio 1932 (per. il 19).

Massigli mi ha intrattenuto stamane della questione degli Stati danubiani mostrando un particolare int€ressamento a conoscere l'atteggiamento che avrebbe preso al riguardo il Governo italiano.

Mi ha detto aver ricevuto un dispaccio urgente da Parigi dal quale risulta l'inquietudine del suo Governo per il seguito che avrebbe potuto avere il passo fatto dal Presidernte del Consiglio austriaco, signor Buresch presso i Ministri d'Italia, di Francia, di 1!nghilterra e di Germania a Vienna.

Secondo quanto mi ha detto Massigli, il Quai d'Orsay avrebbe ricevuto soltanto in questi giorni la comunicazione ufficiale britannica concernente la proposta di far discutere dalla Commissione di studio europea un piano di unione doganale fra gli Stati Danubiani (1). Da parte francese sarebbe stato risposto in via preliminare a Londra che non si vede in questo momento la possibilità pratica di organizzare una unione doganale danubiana e che si giudica quindi prematuro di portare la questione davanti alla Commissione europea.

Essendo stato richiesto di esprimere il suo parere, Massigli mi ha detto che ·intendeva rispondere a Parigi facendo presente:

l) l'utilità e la possibilità di concertarsi con l'Italia per una linea di condotta comune;

2) essere preferibile che Italia, Francia 1e Inghilterra (Massigli non ha parlato della Germania) si mettano d'accordo per suggerire agli Stati danubiani di riunirsi e discutere fra di loro il problema dei reciproci rappocrti economici e commerciali, .indirizzando i loro sforzi non già verso l'Unione doganale, che appare inattuabile, ma piuttosto verso accordi sulla base del regime preferenziale.

Essendomi astenuto dall'entrare nel merito del problema, Massigli ha molto insistito perché so1lecitassi e gli facessi conoscere, sia pure in modo generico, le direttive del R. Governo.

Sarò grato a V. E. di fornirmi qualche indicazione per mia norma di linguaggio anche con Stoppani, le cui idee, come l'E. V. potrà constatare, sembrano coincidere con quelle di Massigli.

(l) Cfr. n. 179.

224

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI

TELESPR. 111/33. Roma, 18 febbraio 1932.

Per opera del Vicariato Apostolico del Canale di Suez si è di recente determinata ai nostri riguardi ,in quella Zona una situazione pregiudizievole che occorrerebbe eliminare al più pl'esto possibile.

Di qui la necessità di passi presso la Santa Sede affinché vog'lia inter~ venire allo scopo di far cessare uno stato di cose che, secondo le informazioni pervenute, tenderebbe a peggiorare sempre più.

Dai rapporti della R. Legazione al Cairo che il Ministero Le ha sempre trasmesso per conoscenza. l'E. V. ha potuto rilevare quale sia la situazione anzidetta.

A ogni modo essa può riassumersi come segue:

• Il Vicariato Apostolico del Canale di Suez ha emanato un • Ordo des Exercises Religieux •, di cui si allega un esemplare che dovrebbe costituire una regolamentazione per la pratica applicazione delle norme dettate da • Propaganda Fide • neU'aprile 1931 per l'esercizio del culto nella zona del Canailie, ma che in realtà, mediante una serie di ben congegnate disposizioni, distrugge praticamente quanto Propaganda Fide aveva stabilito in favore dei nostri connazionali.

L' • Ordo • di cui si tratta limita di molto i diritti del Parroco italiano e l'azione del coadiutore italiano.

Lo stesso uso della lingua italiana viene colpito e limitato in quanto anche nei centri, come Porto Said, nei quali la quasi totalità della popolazione cattolica è composta di connazionali, l'uso deila nostra lingua viene prescritto nelle cerimonie e funzioni religiose, nella identica misura dell'uso della lingua francese e persino del maltese che mai era stato precedentemente impiegato, poiché tutti i maltesi residenti nella Zona del Canale comprendono l'Italiano.

Difatti, da una disamina fatta, delle nuove norme emanate da Monsignor Hiral, dal Parroco Italiano di Porto Said Rev. Padre Stefano Pannizzini, risulta:

l) che la Via Crucis del Venerdì, fatta sempre in italiano è ora da farsi, alternativamente, in italiano, francese e maltese;

2) che la recita quotidiana del rosario, con benedizione semplice, prima fatta sempre in latino con i misteri in italiano, dovrà ora farsi per turno nelle tre lingue sopradette;

3) che 1la spiegazione domenicale pomeridiana del catechismo al popolo dovrà pure farsi nelle tre lingue;

<!!) che gli avvisi alla porta della chiesa e da distribuirsi al popolo dovranno da ora innanzi venire redatti nelle tre lingue citate;

5) che le pubblicazioni matrimoniali, avvisi ecc. alla messa parrocchiale dovranno venir fatte anche in lingua francese; 6) che J.a pvedica domenicale dovrà venire alternata in Italiano e francese; 7) che tutte le opere Eucaristiche dovranno farsi in francese mentre prima venivano fatte solo in italiano;

8) che molte fra le principali funzioni religiose dell'anno dovranno venir svolte alternativamente in Italiano, francese e maltese: così tra le altre ad es. al Giovedì Santo la predica verrà tenuta in francese, la Passione verrà spiegata in maltese e la Via Crucis in Italiano. Lo stesso è a dirsi per le funzioni durante il mese mariano. Le ricorrenze di San Francesco d'Assisi e di Santa Teresa del Bambino Gesù dovranno addirittura venire commemorate un anno in Lingua francese ed un Anno in lingua Italiana;

9) Nelle cerimnoie religiose ogni manifestazione a carattere nazionale viene interdetta.

Tutte queste norme risultano approvate da Propaganda Fide il 17 Novembre 1931 e per una durata di 5 anni.

L'Ordo sopra accennato danneggia gli interessi delle comunità Italiana nella Zona del Canale, e indubbiamente costituisce un sensibHissimo regresso rispetto a quanto erasi ottenuto nello scorso mese di aprile da Propaganda Fide. Esso ha cveato pertanto grave malcontento e agitazione in tutte le comunità Italiane nella Zona del Canale.

Per rimediare a tale situazione occorrerebbe ottenere il ripristino dello

• Statu quo ante • o quanto meno, secondo quanto propone il Parroco Italiano di Porto Sa·id, i.l seguente minimo di modifiche all'Ordo di Monsignor Hiral: 1°) la predica in Italiano nel Venerdì Santo dopo l'Ufficio delle Tenebre; 2°) il mese mariano intero predicato in Italiano; 3") le solite funzioni quotidiane; 4°) predicazioni, pubblicazioni di matrimonio e avvisi nella messa par

:::occhiale delle ore 10 in Italiano; 5°) la Confraternita del Santo Rosario coltivata in Hngua Italiana.

Sarebbe anche da prendersi in considerazione la possibilità di ottenere l'allontanamento dalla Zona del Padre Vibert, che risulta •essere un fanatico antitaliano, e la cui opera antitaliana è la causa principale della grave situazione che si è venuta a creare e che sta peggiorando nella Zona del Canale.

In Porto Said sta sorgendo, sullo stesso terreno dove era la piccola chiesa italiana ormai inadeguata ai bisogni, una più vasta Chiesa annessa alla Scuola Italiana costruita con fondi dati parzialmente dal R. Governo e parzialmente dalle collettività italiane della Zona. Il Rettore della Scuola Italiana Don Biondi ha fatto conoscere che Monsignor Hiral gli ha manifestato la sua disapprovazione per la costruzione della nuova Chiesa, nonché il proposito di impedirne l'apertura al pubblico. Don Biondi ha già avvertito di quanto pvecede la Direzione Generale dei Salesiani, pregandola di intervenire presso Propaganda Fide per sventare la minaccia di Mons. Hiral: occor!'e quindi appoggiare convenientemente tale azione della Direzione Generale dei Salesiani.

In merito alla prescri~ione contenuta nell'Orda emanato da Mons. Hiral e relativa all'uso della lingua maHese nelle cerimonie religiose nella Zona del Canale, si può osservare che tale prescrizione costituisce una innovazione che non ha alcun precede,nte non solo in altri centri nord africani, dove esistono forti nuclei di maltesi, ma neppure a Malta dove nelle funzioni religiose, a parte quelle per cui è prescritto l'uso del latino, la lingua usata è l'Italiana e non il dialetto maltese: Sermoni, annunci, ecc. a Malta vengono fatti in Italiano e sono redatte in Italiano le pubblicazioni religiose, anche ufficiali destinate ai fedeli.

La stessa Costituzione Maltese emanata dal Governo Britannico se pure per il momento sospesa riconosce in Malta ufficialmente la lingua italiana e la lingua inglese e non contempla affatto il dialetto maltese •.

Prego V. E. di volere, con la scorta delle notizie di cui sopra, e di ogni altro elemento eventualmente in suo possesso, iniziare presso la Santa Sede gli uffici che stimerà del caso e di tenermi al corrente dello svolgimento della Sua azione.

225

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA (l)

TELESPR. 1162 (2). Roma, 18 febbraio 1932.

A telespresso del R. Ministro a Vienna N ... del 12 corrente.

Come la S. V. rileverà dal telespr.esso in data odierna diretto alla R. Legazione in Vienna e per conoscenza anche a cotesta Rappresentanza (3), il Ministro Auriti è stato autorizzato a comunicare al signor Schiiller l'accettazione da parte nostra del progetto di richiesta austriaca da lui proposto, così com'è, nonostante che non contenga nessun accenno all'unione doganale.

L'accettazione di tale progetto è stata ritenuta opportuna in vista della situazione speciale dell'Austria e delle difficoltà di carattere politico che potrebbero derivarle in un primo momento da una sua esplicita richiesta di unione doganale, dati i vincoli e le limitazioni ad essa imposte dai Trattati in vigore. È stata determinata anche dalle condizioni speciali in cui si trova il Gabinetto austriaco di fronte alla Germania le cui ostilità al noto progetto cominciano a farsi palesi ove non le fosse garantita una sua partecipazione; e dall'opportunità quindi di non portare la questione nel Consiglio dei Ministri austriaco.

Poiché però la situazione ungherese è diversa da quella dell'Austria, mi sembra che la forma vaga della richiesta austriaca non debba avere alcuna

influenza sulla formulazione della domanda ungherese, la quale sarebbe invece opportuno contenesse la proposta esplicita di unione doganale, così com'è stato concordato a Roma col Conte Bethlen (1).

La richiesta di unione doganale da par.te dell'Ungheria sarà anche utilissima 1in quanto potrà servire a darci in prosieguo lo spunto, anche nei riguardi austriaci, per spiegare come dalla trattativa per lo sviluppo degli Accordi Brocchi si sia passato aWesame di una vera ·e propria unione doganale fra i tre Paesi.

È inoltre opportuno che la richiesta ungherese sia esplicita nei riguardi dell'Unione doganale, giacché, anche indipendentemente da quello che potrà essere il risultato del progetto di unione con l'Austria, resterebbe sempre la possibilità di esaminare un'unione italo-ungherese.

Prego pertanto V. S. di far presente quanto precede sia al Presidente Caroly ed al Signor Walko, sia al Conte Bethlen, e di far conoscere se essi concordano nel punto di vista surriferito, e se il Governo ungherese è disposto -come dovrebbe esserlo dopo le esplicite dichiarazioni fatte qui dal Conte Bethlen -a formulare esplici,tamente la richiesta di un'unione doganale italoaustro-ungherese.

(l) -Il doc. fu inviato per conoscenza anche a Vienna. (2) -Il n. prot. è quello del Gabinetto, che spedì il documento. (3) -Cfr. n. 227.
226

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Ed., con data 19 febbraio, in GUARIGLIA, pp. 144-171; e, con la data esatta, in PERFETTI, pp. 729-744) (2)

Roma, 18 febbraio 1932.

Il momento politico attuale può considerarsi, a parer mio, come una importantissima tappa nel graduale svolgimento della situazione europea del dopo guerra, e mi sembra quindi necessario soffermarci ora a dare un sel'eno sguardo d'insieme a tutto il complesso groviglio di questioni che in questi ultimi tempi si sono ammassate, accavallate, ingarbugliate per individuarle, chiarirle e ritrovare il filo conduttore che ci guidi alla ricerca del migUor modo di salvaguardare * e promuovere* (3) gli interessi del nostro Paese.

La Germania, dopo aver pagato le riparazioni col danaro preso a prestito dagli inglesi e dagli americani, finì l'anno scorso per creare, forse anche inconsciamente, ma con l'aiuto della crisi economica mondiale, uno stato di cose per cui gli interessi dei suoi creditori francesi si trovarono ·in contrasto con quelli dei suoi creditori ingl1esi ed americani, ciò che dette origine alla proposta Hoover, la quale praticamente segnò 'la fine del pagamento delle riparazioni. Da allora il giuoco si è nettamente impostato: Si tratta di stabilire in qual modo la Germania non pagherà, o pagherà delle cifre irrisorie. La Francia cerca di assumere delle posizioni estreme per difendere la maggior

parte possibile dei propri crediti. Lo stesso fa la Germania, approfittando della crisi e più che altro della • mentalità di crisi • odierna per cercare d\ ottenere subito la cancellazione definitiva delle riparazioni. L'Inghilterra, un po' meno apertamente, l'America di più, dedicano in fondo ambedue le proprie cure sostanziali a salvare i proprì crediti privati V'erso la Germania, a scapito di quelli per le riparazioni, e in realtà scontano ma non ammettono ancora la cessazione dei pagamenti dei debiti interalleati. Grandi discussioni tra le varie parti, grandi esibizioni di luoghi comuni a base di • moralità internazionale • di • giustizia dei popoli • di • interdipendenza dei fattori economici • ecc., ma il risultato non potrà essere che quello che si determina sempre a più o meno lunga scadenza nei fatti umani: l'incontro dei varì punti di vista su delle Linee mediane, da cui si partirà poi, attraverso una nuova serie di contrasti per raggiungerne delle ailtre. In ogni caso, siano poi molte

o poche le tappe, la Germania finirà per ottenere il suo scopo di liberarsi dalle riparazioni, ciò che importerà, naturalmente, l'annullamento tacito * od esplicito * dei debiti interaUeat'i verso l'America.

La recente deliberazione di tenere a giugno la Conferenza delle Riparazioni costituisce già un punto d'incontro delle diverse tendenze, ma molto probabilmente anche giugno non segnerà che una tappa e delle altre saranno necessarie prima di raggiungere il risultato finale. Le elezioni francesi, quelle tedesche e più tardi quene americane potranno servire a dare maggiore 01 minor forza alle parti avversarie, ma non è da credere che ne potranno dare mai tanta ad una di esse da permetterle di soverchiare l'altra, potranno bruciare od aumentare qualcun'altra tappa da percorrere, ma non potranno eliminarle tutte nè moltiplicarle eccessivamente. Anche se i partiti nazionali estremi prendessero il potere contemporaneamente in Francia ed in Germania, ·l'accordo potrebbe essere reso più difficile ed allontanato, ma non mai escluso.

Nel frattempo si chiacchiererà sul disarmo, ma le chiacchiere su questo argomento non saranno alla fin dei conti tanto inutili quali è lecito pensare ascoltandole poiché coll'inevitabile miglioramento graduale dell'atmosfera

• riparazioni » migliorerà lievemente a poco a poco anche quella • disarmo • e vi è da credere che anche qui si possa in un tempo più o meno lontano giungere a delle soluzioni concrete, a quel minimo naturalmente bastevole ad illudere il mondo per tutto il tempo necessario a ridargli quel benessere e quella prosperità in cui sono soliti nascere e fermentare i germi della nuova guerra. Poiché in verità tali germi, come tutti .quelli distruttori, hanno bisogno di terra grassa e feconda e non riescono bene nei terreni aridi e magri.

Di fronte a questa oscillante curva della politica europea, la politica italiana (costretta storicamente per ragioni intrinseche ed ovvie a cercare or di qua or di là il proprio • ubi consistam » ed a perseguire l'attuazione dei propri fini ritagliando la stoffa necessaria al proprio mantello sui panni dei diversi avversari, ed a rifugiarsi nei giorni di pioggia, fin quando il proprio non sarà confezionato, sotto quello ampio e capace dell'Inghilterra) ha seguito una curva anche più incerta ed oscillante. Dallo stato di scontento, di debo

lezza e di abulia, determinatosi all'indomani della pace si ris01llevò pian piano per risolvere nel miglior modo possibile le sue immediate questioni rimaste aperte e ottener un lieve miglioramento della sua quota delle riparazioni, finché dopo averle risolte e ripresa coscienza deHe proprie forze, giudicò necessario elevarsi a Locarno a fianco dell'Inghilterra, al di sopra dei contendenti sia per raggiungere una posizione più sicura e sia per trarre da questa quei vantaggi che non poteva certo sperare di accaparrarsi nel folto della mischia. In realtà, essendosi il malcontento italiano esercitato dopo la guerra specialmente contro la Francia e contro l'Italia la diffidenza e la sottovalutazioruet francese, mentre eguale diffidenza, uguale sottovalutazione si era determinata verso di noi in Germania, (con l'aggiunta della persuasione che l'avvicinamento all'Italia poteva ostacola!'e ma non facilitare il raggiungimento dei fini tedeschi) a noi non restava che cercare di salire il colle britannico per' guardare le cose un po' più dall'alto ed insieme ad un * più * potente compagno. Ciò che, ripeto, facemmo a Locarno. Senonché, sia impazienza di forze nazionali messe in movimento dal Fascismo, sia intrattenibili reazioni di questo contro le provocazioni della socialdemocrazia tanto francese che tedesca, sia errore di valutazione della maturità delle forze politiche europee capaci di determinare un nuovo conflitto mondiale ed errore di previsione di una vicina data di questo, cui bisognava meglio prepararsi, fatto è che noi cominciammo con una certa fretta ad abbandonare la nostra posizione elevata, o almeno a fare da questa delle frequenti escursioni che in realtà complicarono di molto le cose. La nostra azione attivamente decisa in Albania, la conseguente tensione con la Jugoslavia che giunse fino al decadimento dell'ampio trattato di amicizia e successivamente di quello con la Cecoslovacchia, ~a nostra politica verso l'Ungheria, i rapporti instaurati con la Turchia e cor. 1.a Russia e con altri Stati Balcanici, l'accentuazione continua del sentimt. "o popolare italiano anti-francese, ci portarono a poco a poco in una :::'~'' ·?'.i"ne che in sostanza era nettamente contraria alla politica frar.-::ese e di c m Ger~ '

si giova grandemente senza aver i!'obbligo né di compensarci né di dir < cene gratitudine, come per una eredità di uno zio d'America pio·.,· da~ cielo.

Il primo esame di coscienza a cui dovemmo procedere dopo di esserci messi su questa strada ed averla percorsa per un bel pezzo ci fece dubitare della possibilità di sostenere con le sole nostre forze il peso di questa politica coi relativi pesi morti ad essa .inerenti, e fu allora che saggiamente pensammo ad inserire più a fondo la nostra azione divenuta forzatamente sempre più anti-francese, nel quadro generale della Società delle Nazioni e nella discussione dei grandi problemi ,internazionali generali, riparazioni e disarmo, dove potevamo trovare potenti alleati a combattere e indebolire le posizioni francesi, con la speranza di consolidare indirettamente le nostre generali e particolari. In tal modo però venivamo sempre più a trovarci costretti a dare ahla Germania un aiuto * gratuito* di cui ·essa aveva interesse e possibilità di non mostrarsi grata. E questa condizione di cose non accennò a migliorare, se non quando, subìto lo scacco per l'Anschluss, aggravatasi straordinariamente

la criSl economica, cresciuto il nostro contrasto coi francesi sulla questione del disarmo navale, la Germania non cominciò ad avere· la sensazione: l •) che vi erano delle questioni in cui .i nostri capitali interessi ci avvicinavano forzatamente alla Francia (Anschluss).

2•) Che occorreva un'azione più .energica, più aperta e meno Stl'esemanniana se si voleva approfittare pienamente della crisi economica per liberarsi definitivamente dal fardello delle riparazioni.

3•) Che occorreva approfondire i punti di contrasto generale. 4• Che conveniva quindi regolarsi con minol'e ipocrisia nei 11iguardi italiani e invece di nascondere, mettere piuttosto in maggiore risalto, creare quasi una complicità italo-germanica da mettere naturalmente a vantaggio delle tesi tedesche.

A questo furono dovute principalmente le simpatiche accoglienze fatteci l'estate scorsa a Berlino, la maggiore franchezza e la maggiore cordialità delle conversazioni politiche che avemmo coi tedeschi in quell'occasione. Messi sulla strada dove ancora oggi ci troviamo noi non potemmo in verità che continuarla, pur rendendoci perfettamente conto che essa non presentava per no.i alcun corrispettivo vantaggioso, alcun aiuto a risolvere le nostre particolari questioni. Cercammo soltanto di non esagerare.

Ma da quell'epoca si può dire che cominciò a maturare anche da parte francese, un certo cambiamento di intenzioni a nostro riguardo. Prima la superficialità politica di alcuni parlamentari, poi con aJltrettanta superficialità lo stesso Presidente del Consiglio francese, Lavai, poi a mano a mano altri ambienti politici, giornalistici, ecc., :infine i ·veri padroni della Francia, cioè i burocratici francesi e per essi il signor Berthelot, hanno dimostrato di essere giunti ad una migliore valutazione del fattore politico italiano, o meglio hanno sentito la convenienza di non trascurarlo comploetamente, ma di cercare di avedo amico in questo ultimo atto del conflitto con la Germania, allo scopo, se non altro, di aumentarne ed allungarne Le scene. Gli interessi contrastanti in Europa ed in America hanno determinato, per la Francia, una situazione che non è di isolamento ma che deve tendere per lo meno a non inasprire l·e inimicizie, le quali trovano per di più facile giuoco nello sfavore demagogico con cui i popoli di tutto il mondo considerano le tesi francesi, mentre invece queste sono le sole che coscientemente si oppongono a quegli sconvolglimenti sociali, in Germania minacciosi e dal cui brusco prorompere possono derivare gravi danni al benessere del mondo. È perciò che la Francia ha iniziato' un'azione di avvicinamento alla Russia, cercando di diminuirne i punti di contrasto col Governo e coi comunismo tedesco. È perciò che si accentuano in questi ultimi tempi i tentativ.i di avvicinamento a noi. Il colloquio recentemente avuto dal sig. Berthelot col Marchese Theodoli (1), * qualunque sia l'opinione che si possa avere sul1'1interlocutore italiano*, è certamente molto

significativo. Per la prima volta il dirigente unico e vero della politica

estera francese ha parlato in modo chiaro ed ha toccato tutti gli elementi

europei ed extra europei che formano il quadro dei rapporti politici itala

francesi. Per la prima volta egli ha avanzato offerte concrete e si è astenuto

dal fare il solito rilievo, che ci siamo intesi ripetere in questi anni di vani

loqui da parte francese: • L'lta'lie est toujours demanderesse •.

Ora sembra dunque che il Berthelot abbia avuta la sensazione che

• demanderesse » poteva esserlo anche la Francia nei nostri riguardi. Il Berthelot inoltre ha chiarito le giuste 11agioni per cui egli non ha voluto l'incontro Laval-Mussolini e per cui non lo volevamo nemmeno noi, malgrado le

* poco accorte * ,insistenze del nostro Ambasciatore a Parigi. * Ed ha indirettamente mostrato, mi duO'le assai doverlo dire, come l'azione politica di quest'ultimo sia stata fin qui sempre ispirata ad una grave incomprensione sia dei fattori politici francesi sia di quelli italiani *.

Il tramite Theodoli è stato nettamente voluto dai francesi a preferenza di qualsiasi altro tramite, tanto di quello ufficiale dell'Ambasciatore quanto di quello ufficioso del de Michelis già sperimentatosi con Lavai, quanto di quelli di maggior tinta fascista che hanno avuto occasione in questi ultimi tempi di parlare a Parigi di faccende itala-francesi. Berthelot ha domandato a Theodoli: • Vous n'ètes pas faschiste n'est-ce-pas? • e voleva con ciò assicurarsi di parlare a persona che supponeva in buoni termini col Governo fascista pur non essendo iscritto al Partito. E ciò dimostra che ancora il Berthelot * non è entrato nello spirito nostro, che * vuoi mantenersi delle vie di ritirata, che vuole offrirne anche a noi, ma tutte queste considerazioni sono per me di secondaria importanza. Resta il fatto che le aperture francesi sono per la prima volta interessanti e per di più sollecitatori<e. Verificandosi nel momento attuale esse ci obbligano ad esaminarle con la massima ponderazione, senza pregiudizi e senza illusioni.

Prima però di scendere a considerare nel loro dettaglio le offerte francesi per valutarne i vantaggi * o svantaggi * particolari, bisogna esaminare due punti generali, e cioè:

l") -i vantaggi derivanti da un accordo generale con la Francia;

2°) -i limiti in cui tale accordo potrebbe per noi realizzarsi data la

situazione * attuale * (l) e le linee seguite finora dalla politica italiana. Cioè · fino a qual punto la Francia potrebbe chiederci di modificare tali linee ~ fino a qual punto sarebbe per noi non solo conveniente ma possibile mo

dificarle.

(l) -Cfr. n. 166. (2) -L'originale è conservato in Archivio Grandi. In ASME varie copie a stampa. (3) -Omesso in GuARIGLIA. E così di seguito le parole o i passi tra asterischi.

(l) Cfr. n. 222, allegato.

1

Se si parte dalla considerazione (giustificabile con molti buoni argomenti ma fondata anche su quell'altro senso che si chiama • intuito politico • ) che un conflitto mondiale *è lungi daill'esseve * (2) alle porte e che per *moiti * (3) anni ancora la risoluz1ione delle grandi questioni internazionali è

affidata a quell'arte della diplomazia che tutti credono di poter esercitare ma che solo pochissimi conoscono, i vantaggi generali di un accordo italafrancese diventano abbastanza chiari. Il problema italiano allo stato attuale delle cose, è di sicurezza in Europa e di espansione fuori di Europa. Questi sono i fini immediati da raggiungere, e soltanto dopo che essi saranno raggiunti si potrà pensare ad altri fini più lontani di espansione Europea e Mediterranea che per ora costituiscono soltanto dei sogni generosi da non abbandonare ma da coltivare soltanto nello spirito delle future più forti generazioni italiane (Corsica, Nizza, Savoja, Dalmazia, Tunisi). Tali vaste aspirazioni della Nazione non sono evidentemente realizzabili in tutto o in parte che in seguito ad un conflitto armato generale, in cui l'Italia si trovasse contro la Francia e ne uscisse completamente vittoriosa. La buona politica si qualifica ordinariamente nel linguaggio volgare di • lungimirante • e tale deve essere. Ma guai se * mira soltanto lontano e * trascura le situazioni e le realtà del momento, se, fissa ad una meta troppo distante, disdegna di adattarsi a quelle circostanze che le si presentino via via nel suo cammino e trascura i piccoli vantaggi che le si offrono per attendere soltanto le soddisfazioni grandi e complete cui aspira. La buona, la reale politica è invece un continuo adattamento al successivo svolgimento dei fatti umani, una continua ricerca di linee di transazione, da considerare però come punti di partenza per raggiungerne altre più avanzate. Dato quindi che le vaste e lontane aspirazioni nostre in materia di espansione europea e mediterranea

* noi non possiamo assolutamente sperare di realizzarle se non* (l) contro la Francia e che (2) alcuna possibilità esiste di un conflitto mondiale che si baserebbe in sostanza su di un conflitto franco-tedesco, bisogna esaminare:

a) se noi possiamo realizzare invece mediante un accordo con la Francia i nostri bisogni immediati di sicurezza in Europa e di espansione fuori di Europa.

b) se possiamo realizzarli continuando nell'attuale metodo di indiretto aiuto alla Germania ed agli Stati minori. o se questo metodo invece non possa danneggiarci più che avvantaggiarci per il caso che conducesse prematuramente alla formazione in Europa di quelle condizioni politiche determinanti un conflitto mondiale in cui fossimo obbligati a scegliere le nostre posizioni a fianco degli uni e degli altri contendenti. La risposta al primo quesito non può essere che affermativa se si pensa che la nostra sicurezza in Europa attualmente non può essere che minacciata dalla sola Francia.

A parte infatti la sicurezza generale europea e quella mediterranea per cui preponderanti sono le forze milita11i francesi, quella che più ci preoccupa e più ci costringe ad una serrata azione difensiva è la sicurezza adriatica. In Adriatico noi siamo costretti a mantenere con tutti i mezzi una situazione albanese la cua * asprezza e la cui * intensità è determinata soltanto dalla preoc

cupazione della minaccia jugoslava, la cui imminenza e la cui importanza sono influenzate alla loro volta dallo stato dei rapporti italo-francesi. Il problema albanese che è forse quello centrale della nostra sicurezza, è stato più volte da noi esaminato e specialmente in questi ultimi tempi in cui i rapporti italo-albanesi hanno attraversato una fase piuttosto critica. Non è qui il caso di discuterlo nuovamente. Mi limito soltanto a ripeteve il mio convincimento profondo che fin quando perdureranno in Europa e specialmente nei Balcani le attuali condizioni politiche, è una pura illusione che le nostre forze politiche e militari bastino per tenere l'Albania completamente e sinceramente a noi legata ed a noi fedele. Che è un grave errore pensare a sviluppare oltre misura le forze nazionali e militari albanesi per consolidare !'·esistenza di uno Stato H quale, quanto più acquisterà di forza intrinseca, più si sottrarrà alla nostra influenza per servire non da cuscinetto fra l'Italia e la Jugoslavia ma per oscillar.e continuamente tra i due Paesi e trarre sia dall'uno che dall'altro i possibili vantaggi, finché, ove in un'ora grave fosse chiamato a decidersi, si metterebbe dalla parte verso cui lo attirassero [e maggiori probabilità di fortuna. Chiunque fosse albanese del resto non potrebbe regolarsi diversamente. Partendo da questa convinzione e con sincera volontà per il bene del nostro Paese di giungere ad un accordo con la Jugoslavia che riconoscendo i nostri diritti in Albania infreni le proprie aspirazioni da quella parte, annulli le rivendicazioni nella Venezia Giulia e proceda d'intesa con noi nella sua politica balcanica garantendoci così da sorprese di fronte a mutamenti nello statu quo balcanico che ora potrebbero pur sempre avvenire in contrasto coi nostri interessi (leggi principalmente Bulgaria), è evidente che al suddetto accordo noi possiamo giungere più facilmente nel quadro di una intesa generale con la Francia, piuttosto che rimanendo a tu per tu con la Jugoslavia. Più volte ci siamo chiesto in questi ultimi anni se fosse meglio percorrere la via di Belgrado per giungere a Parigi o quella di Parigi per giungere a Belgrado. Ma la via di Parigi era chiusa e soltanto da un anno e mezzo si è cominciata a mostrare meno ingombra quella di Belgrado. Io credo però che i tentativi per sgombrare questa ultima erano sin dal principio noti alla Francia e fatti col suo assenso. La realtà è ad ogni modo che mentre il fattore jugoslavo è uno degLi elementi di pressione della Francia contro di noi, questo fattore è considerato a Parigi come un tutto unico e non scisso nei vari componenti del dissenso italajugoslavo: Venezia Giulia, Dalmazia, Albania ecc. Ne consegue che quando alla Francia fosse dato di assicurarsi un'amicizia italiana, non solo la Jugoslavia perderebbe di valore nella politica francese, ma la Francia non avvebbe alcun interesse a contrastarci la via nel raggiungimento di determinati fini nostri particolari per i quaili la Jugoslavia soltanto possLede un interesse proprio ad opporsi alla nostra politica. Voglio con ciò dire che la ques.tione albanese -l'unica veramente seria nei rapporti italo-jugoslavi -è molto più facile regolarla a nostro maggiore vantaggio nel complesso di un regolamento di rapporti italo-jugoslavi che in una trattativa isolata fra noi ed il Governo di Belgrado. L'ultimo rapporto del nostro Ministro relativo

alle sue conversazioni con Re Alessandro (l) ee ne dà una chiara prova. Il Re si è mostrato informato di un miglioramento dell'atmosfera dei rapporti italo-francesi, ha chiesto più ampie notizie e non ha celato in certo qual modo il suo timore che nostre eventuali conversazioni con la Francia potessero prendere un ritmo più rapido che non quelle con la Jugoslavia. Solo Parigi potrebbe infatti costringere Belgrado ad assumere verso di noi un atteggiamento più remissivo nella questione albanese, mentre d'altra parte il Governo jugoslavo in un accordo italo-francese parallelo agli accordi francojugoslavi dovrebbe vedere oltre tutto una garanzia contro i timori delle conseguenze di un intervento armato in Albania. Se si potesse aprire la via di Parigi, meglio dunque sarebbe di servircene per giungere a Belgrado. D'altra parte in tal caso la Francia ci garentirebbe quella sicurezza adriatica che altrimenti sarebbe affidata soltanto al mantenimento dei buoni rapporti fra noi e la Jugoslavia.

Mi pare così di avere risposto esaurientemente alla prima parte del primo quesito concevnente la nostra sicurezza in Europa, la quale è primordialmente sicurezza adriatica. La nostra generale sicurezza (a prescindere dal fronte diretto italo-franeese di cui è evidentemente inutile qui discutere) ha però un aUro aspetto importante se pur meno imminente e meno preoccupante, cioè quello centro-europeo, e che si riassume in una questione negativa piuttosto che positiva, quale la necessità per noi di evitare che si riformino alle nostre frontiere dei nuclei politici abbastanza forti per riprendere la funzione di pressione che esercitava su di noi, sull'Adriatico e nel prossimo Oriente -con tendenza sempre più espansionistica -l'Impero austro-ungarico * ed anche * (2) il blocco austro-ungarico-tedesco.

All'indomani della guerra vittoniosa l'Italia ha sentito la necessità di rivolgere le sue cure ad evi,tare un tale pericolo sia pure ancora lontano, e la nostra politica a questo scopo è stata diretta anzitutto ad affermarci in ogni occasione come uno degli Stati successori dell'Impero austro-ungarico a stringere con legami sempve più forti la piccola Austria a noi tanto economicamelllte che politicamente, a coltivare una amicizia ungherese che aveva bensì anche altri fini ma procedeva pure dalla anzidetta nostra necessità. Azione politica questa che ha trovato, come si sa, ostacoli non soltanto nel sistema generale della politica francese e della Piccola Intesa ma nella scarsità di mezzi economici a nostra disposizione, ed infine nella stessa politica germanica, anzi in questa più che in ogni altra attività contraria. La Germania, infatti, non può ammettere un sistema italo-austro-ungherese di cui essa non faccia parte direttamente o indirettamente, mentre l'Austria stessa non si legherà mai unicamente a noi, trascurando i suoi ,legami tedeschi. Ed è così che noi ci siamo trovati automaticamente accanto alla Francia per impedire quell'Anschluss, da cui tanto potrebbero essere compromessi i nostri interessi politici e la nostra vita economica, ed è così che pur oggi, di fronte alle voci sparsesi di una possibile unione doganale italo-austro-ungherese, la Germania

ci mette quasi il suo veto, ove tale unione fosse realizzata senza la sua partecipazione. Ora a me sembra anche da considerarsi l'apporto che un'intesa italo-francese può darci nella risoluzione di questi problemi, non solo in senso negativo per opporci anche per il futuro con maggiore probabilità di successo all'eventualità di un rinnovato pericolo di Anschluss austro-tedesco, ma per raggiungere positivamente se non proprio una unione doganale, almeno un consolidamento dei rapporti politici ed economici fra noi, l'Austria e l'Ungheria. La pessima situazione finanziaria odierna di questi due paesi offrirebbe delle enormi facilitazioni per un'azione combinata italo-francese.

Nè possiamo trascurare oltre l'esame di questi campi particolari di attiv.ità politica, la QUestione più vasta e più preoccupante che deriva dalla rapida marcia della Germania verso la sua rinascita economica ,e politica. Conviene a noi ritardare od affrettare questo che pur io ritengo inevitabH.e corso d~ avvenimenti? Conviene a noi di trovarci improvvisamente in brevissimo volgere di tempo dinanzi ad una Germania attrezzata industrialmente in modo assai più formidabile deLl'ante guerra, Libera di armarsi come e meglio di prima, ridivenuta centro di attrazione di tutto il mondo germanico (assai più unito e cementato che non il così detto mondo :latino), pronta a stendere nuovamente la sua forza tentacolare verso l'Adriatico e verso i Balcani e verso il Mediterraneo Orientale? Certamente no, o meglio, certamente il più tardi possibile, fino al momento a~.meno in cui alcuni nostri supremi interessi non ci siano stati assicurati in modo da affrontare in condizione di minor debolezza e di minore inferiorità l'arduo problema che si imporrà alle future nostre generazioni: il problema dei rapporti italo-tedeschi. Questi supremi interessi noi non possiamo assicurarceli ora conducendo una politica ostile alla Francia e favorevole alla Germania, e ciò semplicemente perché la loro realizzazione dip,ende più dalla prima che dalla seconda. È forse la Germania che all'ora attuale può darci la nostra sicurezza adriatica, può garantirci contro la Jugoslavia (e tanto più contro una Jugoslavia amica della Francia) può assicurarci la difesa dei nostri interessi in Albania? Evidentemente no, e non vale neppur la pena di chiarirne i motivi. È forse la Germania che può garantirci contro la pressione del mondo germanico? Evidentemente no, poiché essa tende all'Anschluss. È forse la Germania che può facilitarci la risoluzione del nostro problema coloniale? Ev,identemente no, e non soltanto perché non ne ha la necessaria forza politica,

ma anche perché tende essa stessa per sé alla soluzione di un simile problema. E quando scoccherà l'ora di risolverlo, saranno vane -io credo le eventuali assicurazioni di priorità italiana nella retrocessione di mandati

o di ex colonie tedesche. I bisogni italiani saranno di nuovo trascurati, come già a Versailles, di fronte alla formidabile pressione che sarà in grado di esercitare 1la Germania, quando, risolte tutte le altre questioni * continentali * che la interessano, si sentirà in forze tali da affrontare la questione coloniale. Eppure è i:nteresse nostro, capitale interesse, di non lasciare alla futura generazione italiana, che ripeto, si troverà di fronte al gravissimo problema dei rapporti dell'Italia col mondo germanico ricostituito, il peso enorme dell'incertezza adriatica e dell'insoddisfazione coloniale. Questo peso

non vi è altra probabilità che di togliercelo ora, nel clima attuale del duello franco-tedesco in cui la Francia è tuttora preponderante e mediante un accordo con quest'ultima e con l'Inghilterra.

E così ho risposto -mi sembra -anche al secondo quesito che avevo prospettato, ma poiché ho parlato d'Inghilterra non posso esimermi dall'aggiungere altve brevi considerazioni. La politica britannica si svolge ora, come è noto, in senso più favorevole alle tesi tedesche che a quelle francesi, ma non bisogna dimenticare che essa non può oltrepassare in ciò dei limiti, al di là dei quali si troverebbe compromesso il primordiale interesse inglese all'equilibr.io continentale •europeo. Nè si deve trascurare l'osservazione giornaliera del fatto che, quali che siano Je divergenze di punti di vàsta francesi e britannici, essi finiscono sempre per trovare, al ·momento buono un ter-. reno di accordo 'e per agire sostanzialmente di conserva. Questo non è determinato transitoriamente ora dalle speciali condizioni di depressione finanziaria inglese, ma lo sarà sempre da quell'interesse supremo politico dell'Inghilterra che la *porta* (l) a tendere sì verso un maggiore equilibrio delle forze francesi e tedesche, ma conservando un certo predominio delle forze franco-britanniche su quelle tedesche.

Possiamo noi trascurare questo importantissimo elemento? Possiamo noi prescindere dal fattore inglese che è pur sempre primordiale nella nostra politica? E possiamo illuderci che aggiungendo nelle discussioni internazionali la nostra parola a quella tedesca queste nostre forze unite si svolgeranno senza limiti col consenso dell'Inghilterra? Certamente no. L'affiancamento dei punti di vista italiano e tedesco avrà valore soltanto fino a quel punto in cui l'Inghilterra non giudicherà che esso comincia ad intaccare quel minimo di predominio franco-britannico che le è necessario alla difesa dei propri interessi equilibratori nel continente europeo. E la forza (2) dell'Inghilterra, sarebbe stolto negarlo, è sempre preponderante, quali che siano le condizion' attuali della finanza e della economia britannica.

Per concludere questa disamina dei vantaggi generali di un nostro a.rr:;io e generaLe accordo con la Francia su tutti i problemi europei, io debbo riprendere il concetto cui ho accennato in principio. L'Europa e con essa quella che è divenuta oramai uno dei fattori indiretti della poUtica europea, cioè l'America, tendono ineluttabilmente ad un assestamento che garantisca loro una abbastanza lunga èra di pace e di prosperità. La tragedia della guerra, le ansie e le lotte del dopo-guerra, ed oggi questa crisi economica che fiacca i nervi di tutti i popoli e che prospetta alle loro fantasie malat€'! possibilità di disastri e di orrori ancor più tragici della guerra, hanno in sostanza rafforzato in tutti il desiderio di uscire dalle incertezze e lavorare attivamente a porre le basi salde di una più serena e pacifica convivenza internazionale. La Francia difende ancora strenuamente le sue posizioni e si atteggia nello stesso tempo con ciò a conservatrice dell'ordine mondiale, ma sente che l'eccessivo particolarismo delle sue tesi non Jncontra più le simpatie universali e che queste vanno invece nettamente proprio a quella

Germania che non ha esitato e non esiterebbe a vaJersi di tutti gli elementi di disordine interno e internazionale tanto nel campo economico che in quello politico, pur di liberarsi dalle strettoie dei trattati di pace e riprendere validamente il suo cammino. L'egemonia di un sol paese è ora !',incubo di tutti gli altri, e le preferenze dell'opinione pubblica europea vanno verso di quelli che contrastano ogni aspirazione egemonica, mentre ,l'America le contrasta essa pure perché, a torto od a ragione, si è convinta che la sua salvezza economica dipende dal ristabilimento di normali condizioni nel mercato europeo, dalla riacquistata prosperità di questo, dalla rinnovata sua capacità di acquisto dei prodotti americani e di utile impilego dei capitali americani. In questa condizione di cose la Francia pur battendosi con quella tenacia e quella abilità politica che è altrettanto ammirevole come la sua bravura militare, dovrà a poco a poco ripiegare sulle sue posizioni, cedere terreno sia pure palmo a palmo. E in volgere di tempo più o meno lungo si raggiungerà fatalmente quel limite di equilibrio che sarà segnato, soprattutto, dal fattore inglese, ma cui è innegabile interesse generale di arrivare una buona volta. Questo limite, io credo, determinerà al tempo stesso la reale possibilità di un accordo franco-tedesco, qualunque sia il partito che abbia allora il potere in Germania, anche l'hitleriano. Non è pensabile infaHi che la Germania, subito dopo raggiunto il suo ,equilibrio con la Francia, riprenda immediatamente delle aspirazioni nazionalistiche estreme che potrebbero portarla ad un conflitto non solo con la Francia (in cui molto probabilmente non avrebbe amici nemmeno noi, preoccupati ancora di molte ragioni che ci fec,ero entrare in guerra contro il germanesimo nel 1914) ma mondiale, prima di avere acquistate tutte le forze indispensabili ad affrontarlo. A me invece sembra logico (ed una :logica c'è sempre nella storia) che la Germania si imporrà una congrua sosta, durante la quale spariranno moltissimi degli ostacoli che ora si oppongono a delle vaste intese soprattutto economiche con la Francia. Che cosa diverremo noi in tutto ciò? Quale valore avrà allora il nostro piccolo aiu~o portato alla Germania per risolvere i suoi problemi? Non esito a rispondere: nessuno. Come nessuno ne avrà Quello che avremo portato alla :r rancia, se non ne avremo prima realizzato il pagamento. Ora invece il momento psicologico internazionale mi sembra tale da permettere una qualche realizzazione da parte nostra. Fra qualche tempo, forse anche fra alcuni mesi, non sarà più possibile tirare le reti che abbiamo gettate nel mare della politica internazionale, o sarà inutile tirarle perché ,i pochi pesci che contenevano saranno fuggiti attrav,erso iLe maglie. E soprattutto il quarto d'ora di Rabelais della Francia sarà probabilmente passato, ed essa potrà non sentire più il bisogno di togliersi dal pi,ede la piccola spina italiana.

L'ora attuale è grave per noi anche dal punto di vista finanziario. Si può essere, come io sono, francamente ottimisti, ma ottimismo non può significare cecità, non può significare sopratutto volontà di respingere senzai alcuno scopo quegli aiuti che finanze più potenti di noi possono darci per difendere la nostra moneta e la nostra ,economia. Questi aiuti soltanto la Francia è in grado di darceli e non voglio con ciò parlare di prestiti, dii finanziamenti industriali 'e di altre forme di intervento o meglio di coope

razione economica dei due paesi. Voglio soltanto parlare di cooperazione morale nel campo finanziario, per la difesa della nostra valuta e del * suo * (l) prestigio internazionale. Non certo il marco ma nemmeno la sterlina e il dollaro potrebbero nel momento presente porgere una mano efficacemente soccorrevole alla lira ove questa ne avesse bisogno.

Questi tutti mi sembrano i vantaggi di un accordo ampio, franco, generale del nostro paese con la Francia, che io ho sempre auspicato come ho sempre deprecato un accordo particolare che comprendesse soltanto le così dette Questioni coloniali (Libia e Tunisia) e lasciasse non solo insolute, ma anche indiscusse * tutte * le grandi questioni di interesse particolare italiano e di interesse generale europeo che sono la sostanza della nostra politica.

* Ma di questo ampio accordo soltanto ora si intravvede una possibilità *.

(l) -In GuARIGLIA • generale •. (2) -In GUARIGLIA • non è •. (3) -In GuARIGLIA • alcuni •. (l) -In GuARIGLIA c potrebbero essere realizzate soltanto •. (2) -In GUARIGLIA aggiunto • per ora •. (l) -Cfr. n. 213. (2) -In GUARIGLIA • anzi •. (l) -In GUARIGLIA «forza •· (2) -In GUARIGLIA aggiunto c militare •·
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Poiché -a prescindere dalla gallofobia esistente ora su vasta scala in Italia -l'attività poutica italiana si è fino ad oggi prevalentemente esercitata in senso anti-francese, eccetto nella questione dell'Anschluss, occorre esaminare fino a qual punto la Francia ci possa chiedere di modificave la nostra linea di politica generale e fino a qual punto ed in quali modi, n01i possiamo impegnarci a farlo. È Questo un -lato assai importante della trattativa, e nelle due conversazioni che io ebbi col Marchese Theodoli prima della sua partenza per Parigi, non mancai di fargli presente l'opportunità di cercare di far parlare su di ciò il più possibile i francesi, mentre egli doveva limi... tarsi soltanto ad ascoltarli riguardo alle loro ev,entuaH offerte. Gli dissi anzi che a noi interessava Quasi di più sapere auanto i francesi ci chiedevano che quanto ci offrivano. Le conversazioni di Ginevra e di Parigi non hanno portato una gran luce sulle richieste francesi e bisognerà certamente approfondirle se si deciderà di continuare le trattative. Ma fin d'ora è lecito supporre che per QUanto riguarda la sicurezza centro-europea, la Francia non potrà chiedere sostanzialmente di più di quanto le abbiamo dato a Locarno, ma cercherà solo di avere Qualche riaffermazione della nostra garanzia delle sue frontiere. Domanderà poi un patto di amicizia abbastanza largo del tipo di quello già propostoci, ed un patto mediterraneo che le garantisca il suo impero africano. Quest'ultimo patto potrà essere separato o far parte del trattato generale di amicizia, ma in ogni modo esso dovrà essere in connessione col patto di sicurezza adriatica che noi dovremmo domandare. La Francia esigerà inoltre la cessazione delle campagne di stampa a lei ostili ed una pratica consultazione e condotta comune diplomatica nei riguardi delle grandi questioni internazionali. La formulazione di questo impegno, se formulazione vi dovrà 'essere, sarà assai difficile a concretarsi, ma la necessità dell'azione concorde sarà allora anche per noi nei fatti più che nelle parole. Possiamo noi accettare tutto ciò e soprattutto possiamo mantenere senza danno per noi eventuali impegni in proposito? Noi che abbiamo finora battagliato per la

completa cancellazione delle riparazioni, che ci siamo fatti i campioni del revisionismo dei tratta'ti, che abbiamo assunto finora, si può dire in ogni questione, un atteggiamento anti-francese? lo credo di poter rispondere affermativamente. A ciò mi confortano anzitutto alcune dichiarazioni di Bel'thelot, il quale non ha escluso una soluzione conciliativa per il corridoio di Danzica ed ha ammesso la possibilità di una revisione di frontiere fra la Cecoslovacchia e la Ungheria e fra questa e la Romania. Fino a qual punto resta a vedersi, ma l'importante è ora l'ammissione del principio. Anche ~uesta è una prova della tendenza all'assestamento che si manifesta ora anche in Francia. Se tale assestamento avverrà in un'atmosfera di contrasto italo-francese, potremo forse tirarne la soddisfazione di far dire ai nostri giornali che siamo stati noi a provocarlo combattendo vittoriosamente le resistenze francesi, ma non potremo certo trarre nessun vantaggio pratico da questa pretesa battaglia. Non sarebbe meglio ottenerne qualcuno e rinunciare alla stupida soddisfazione di chi si dice da se stesso : • avevo ragione io •?

A me sembra che nella condotta della nostra politica in seguito ad un eventuale accordo con la Francia, si dovrebbe esigere so-ltanto da parte di quest'ultima una intelligente e spregiudicata comprensione delle nostre necessità non solo di politica interna ma di ciò che è ormai la forma mentis internazionale nei riguardi della politica fascista, mentre da parte nostra si dovrebbe procedere con quell'abilità che è certo nel carattere italiano e che consiste nell'adattare vecchie forme a nuove situazioni. La posizione che dovremmo assumere nelle grandi questioni internazionali dovrebbe essere sempre più quella dell'Inghilterra, che non coincide sempre, -specie nei primi momenti -con quella francese ma che finisce dopo qualche discussione, per trovare i punti di accordo. L'ombra dell'Inghilterra ci dovrebbe garantire sia di fronte alla Francia. che alla Germania ed all'opinione pubblica mondiale. Non si tratta insomma di diventare nei rapporti con la Francia una specie di Romania o di Cecoslovacchia, ma soltanto di dim!nuire certe asprezze, di rinunciare a voJte a certe iniziative. di cercare delle soluzioni concilianti, di applicare anche meglio il vero spirito di Locarno, cioè quello che ci pone, a fianco dell'Inghilterra, au dessus de la mèlée. Tutto ciò noi possiamo farlo certamente, senza inconvenienti reali nei riguardi della Germania, alla quale nessun impegno ci lega di alcuna specie nè di natura contrattuale, nè di natura morale. Diminuiranno certo gradatamente le simpatie della destra tedesca, degli hitleriani e degli Stahlhelm, ma anche per ciò si potrà agire con una certa abilità allo scopo di non farle diminuire troppo presto, prima del rtempo in cui ad ogni modo si attenueranno certamente, cioè quando la Germania avrà raggiunto, con o senza il nostro modesto aiuto, i suoi obiettivi nazionali.

Non credo sia il caso di avere preoccupazioni nei riguardi dell'Ungheria, notoriamente desiderosa di un accordo italo-francese, attraverso il quale quasi tutti gli ungheresi vedono (e non il solo partito legittimista né quello socialista) di po.ter meglio che col solo appoggio deLl'ItalJ.a, ottenere dei reali miglioramenti del trattato di Trianon. Tanto meno nei riguardi della Turchia, nella cui considerazione non faremo che aumentare, mentre ora disgraziatamente siamo a volta costretti a far per lo meno finta di discutere con essa da pari a

pari le grandi questioni internazionali. Tanto meno nei riguardi della Russia sovietica già compromessa da Parigi col trattato non firmato sì, ma parafato da Berthelot, e che ad ogni modo chiede attualmente soltanto di proseguire senza disturbi politici né economici il suo piano di ricostruzione basato sulla esistenza e sulla prosperità del capitalismo negli altri paesi.

Basterà dunque chiarire, discutere francamente, precisamente coi francesi tutte queste questioni, basterà rassegnarsi forse ad avere in prosieguo da Parigi qualche amichevole richiamo all'osservanza degli impegni presi, ma non mi sembra che una volta accettati dei postulati generali quali quelli più sopra indicati, sia il caso per noi di temere in eccessiva misura le ripercussioni che possano derivare da un cambiamento di rotta politica di cui saremo aiutati a mascherare la sostanziale importanza dal corso stesso degli avvenimenti politici.

L'unico punto in cui il nostro eventuale accordo con la Francia significherà una vera e propria rinuncia sarà in realtà la questione tunisina.

* * *

Le offerte francesi infatti, a quanto si rileva dalle dichiarazioni di Berthelot, si concretano (a parte quella più importante della sicurezza adriatica e del regolamento soddisfacente della questione albanese) nella cessione delle oasi libiche già prospettata in più o in meno nelle ultime trattative ufficiali, nella soluzione della vertenza tunisina mediante l'accettazione di un periodo più o meno lungo in cui non si applicheranno :i noti decreti di snazionalizzazione, ma con l'impegno che essi si applicheranno senza fallo allo scadere di tale periodo -ed in una serie di impegni che dovrebbero permettere e facilitare una nostra futura spedizione in Abissinia con alcune cessioni territoriali da parte della Francia in tale eventualità e con alcune rinuncie della stessa Francia a diritti spettantile in base all'accordo del 1906. Tutti questi punti naturalmente non sono che delle prime offerte che sarebbe certo possibile di migliorare ove noi entrassimo nell'ord~ne di idee di spingere più oltre le trattative e che in ogni caso si dovrebbero esaminare ponderatamente, ampliare e chiarire. Quali che siano però le ulteriori concessioni che ci riuscisse possibile di ottenere dalla Francia, è indubitabile che lo scopo principale cui essa mira in questa materia, è q_uello di togliere le così dette ipoteche italiane sulla Tunisia. La Francia potrà consentire che tali ipoteche siano estinte in un certo numero di anni piuttosto che in un altro, ma vuole fermamente avere la sicurezza che il suo impero mediterraneo africano, dalla Tunisia al Marocco, le sia durevolmente assicurato da noi e liberato da ogni immediata preoccupazione di rivendicazioni e di aspirazioni italiane, con la possibilità di trasformare a tempo opportuno anche la Tunisia in vera e propria colonia

francese ove il regime di protettorato si rendesse inutile o dannoso. Io sono convinto che, allo stato attuale delle cose un accordo italo-francese non sarebbe possibile che se noi consentissimo a questa precisa volontà francese.

Possiamo farlo? È certamente questa una assai delicata questione. Non è per puro sentimentalismo che noi abbiamo strenuamente difeso per tanti anni l'italianità degli italiani in Tunisia, direi quasi anzi l'italianità della Tunisia.

Non sono soltanto i ricordi storici, le delusioni del passato, gli interessi materiali e la passione italiana dei nostri connazionali di Tunisia che ci hanno spinti finora a tenere desta non soltanto nell'opinione pubblica, ma nei nostri stessi cuori di uomini che la politica abitua ad adattarsi duramente alla realtà, una speranza luminosa se pur lontana di vedere un giorno ingranditi i nostri confini coloniali col possesso della Tunisia, da cui la patria certamente trarrebbe un considerevolissimo aumento dal lato economico e politico di Potenza mediterranea ,e per conseguenza internazionale. Né, a dire tutto il vero, è stato fin o.ui * neanche* intenzione di fare della questione tunisina materia di scambio con la Francia per ottenere altri vantaggi. No , è stata proprio la ferma volontà di tutti noi di non compromettere in alcun modo ma di valorizzare invece ,i nostri diritti e i nostri interessi in Tunisia per risolvere quando che sia la questione tunisina a nostro completo ed unico vantaggio territoriale. E questa volontà è stata quasi un canone della politica italiana.

Ma non v'è sentimento e non v'è speranza che non debbano cedere di fronte alla fredda ragione. La o.uale invece ci mostra che la nostra vertenza con la Francia per la Tunisia potrà trascinarsi per degli anni, che noi potremo ottenere tacitamente od anche contrattualmente una proroga indefinita dei nostri così detti diritti ipotecari, ma che le speranze italiane sulla Tunisia non potranno praticamente realizzarsi che in caso di un nostro vittorioso conflitto armato con la Francia. Tale eventualità non è certo prossima a realizzarsi. Ci conviene dunque nell'attesa di essa eternizzare la controversia diplomatica o non ci conviene piuttosto pensare a trarne qualche vantaggio cogliendo altrove qualche frutto di più immediato godimento? A me sembra che facendo forza al nostro sentimento si debba rispondere affermativamente, tanto più che allorquando si realizzasse L'*auspicata* eventualità di un nostro conflitto vittorioso con la Francia, avrebbe assai poco valo1·e la persistenza o meno delle nostre ipoteche sulla Tunisia, per pretenderne la cessione, giacché il vero diritto ci verrebbe dalla forza e un po' anche dalla storia passata. Non bisogna quindi parlare di rinuncie, giacché le vere 1·inuncie non sono nei fatti ma nelle intenzioni, e le intenzioni e le aspirazioni di quelle future generazioni che faranno l'Italia ancor più grande si rivolgeranno pur sempre verso la Tunisia, malgrado quell'amaro sacrificio di illusioni che noi potremo forse oggi esigere dal paese.

È soltanto questo sacrificio infatti, che ci può permettere di affrontare oggi la questione abissina e risolverla ad una scadenza non troppo lunga e prima che incombano all'Italia più gravi compiti nella politica internazionale, al cui adempimento questa stessa soluzione potrà essere di prezioso vantaggio.

Non ho bisogno nui di ricordare la storia recente delle aspirazioni e delle delusioni italiane nell'Africa Orientale, il significato delle nostre due colonie dell'Eritrea e della Somalia concepite e concepibili soltanto come sbocchi litoranei, economici e politici del più vasto retroterra abissino, senza di cui l'Italia non potrà mai veramente dirsi Potenza coloniale africana. E nemmeno è il caso di ricordare l'accordo tripartito del 1906, con cui salvammo quel poco che c'era da salvare delle nostr,e speranze, e la politica che abbiamo dovuto seguire fino ad oggi per non compromettere l'avvenire. Tutto ciò ha

fatto oggetto di una mia recente relazione (l) in cui ho dovuto crudamente esporre la verità dei fatti: essere non lontano il pericolo di veder definitivamente liquidata ogni possibilità di realizzare le nostre più modeste· asplirazioni in Etiopia; il solo modo di evitare tale pericolo consistere in un accordo con la Francia e subordinatamente con l'Inghilterra; la sola probabilità di raggiungere un tale accordo essere legata a quella di un accordo generale europeo; dov·ersi considerare come vana illusione -rebus sic stantibus -il voler regolar la questione etiopica con la Francia mediante un separato accordo che prescindesse dal complesso delle relazioni politiche italo-francesi. Ma non voglio !imitarmi a 11iaffermare questi concetti basilari. Debbo aggiungere che se noi vogliamo dare una espansione coloniale al nostro paese, anzi, per dire una parola grossa, formare un vero Impero coloniale italiano, non possiamo cercare di fare ciò altro che in Etiopia. I posti al sole e specialmente al sole africano (che sono quelli che più ci interessano) sono tutti accaparrati. Per le colonie portoghesi bisogna fare i conti col Portogallo ed io non riesco a vedere con Quale mezzo, con quaie pretesto si potrebbe cominciare a farli, anche a prescindere dalle pretese dell'Unione Sud Africana e perfino degli impegni esistenti con questa. Per le colonie ex-tedesche bisogna fare i conti con la Germania. Ma poi nessuno di questi territori si salderebbe così naturalmente con interessi nostri preesistenti, con sacrifici nostri già compiuti, con il filo logico di una conquista coloniale già iniziata seppure interrotta per molto t~mpo. E le colonie, io penso, bisogna conquistarle, non aspettare che ci cadano dal cielo come la manna. Se è vero che nulla di grande si fa nel mondo senza .imbrattarsi le mani di sangue, ciò è indiscutibilmente vero nella storia della colonizzazione. Tutti gli Imperi coloniali si sono formati

attraverso lotte sanguinose, -tanto più la colonia è intimamente indissolubilmente legata alla metropoli, quanto più questa ha fatto sacrif.ici per essa e sacrifici sopratutto del sangue generoso dei propri figli. La storia coloniale inglese e francese lo insegna, fino alla recente conquista del Marocco, e lo insegna anche ora la nostra storia della Libia. Noi non dobbiamo perciò chiedere alla Francia di andare insieme a conquistare l'Etiopia, ma dobbiamo chiederle di disinteressarsene e !asciarci andare da soli (dopo aver ottenuto naturalmente, analogo disinteresse dall'Inghilterra salvaguardando i suoi interessi nella regione del Lago Tsana) assicurandoci il suo appoggio e la sua cooperazione locale al momento opportuno, ma più che altro garantendoci le spalle in Europa. Noi commetteremmo infatti, un grave delitto contro il nostro paese se ci avventurassimo in una spedizione africana di grande stile come sarebbe quella etiopica. senza essere sicuri in casa nostra, ma commetteremmo ugualmente un. grave fallo, se potendo ottenere questa sicurezza non ne approfittassimo per risolver·e una buona volta la nostra questione coloniale adoprandovi le forze dell'Italia d'oggi. Il nostro non è più il tempo in cui ignavi poeti cantavano: • La nostra patria è qui, non nei deserti dell'Abissinia orrenda •. L'Italia tutta sentirebbe oggi il dovere del grande tentativo coloniale e farebbe il necessario per attuarlo felicemente.

Certo lo sforzo militare e finanziario cui tale impresa ci obbligherebbe, sarebbe tale da non permetterei di sostener-e per qualche tempo, non solo uno sforzo militare in Europa, ma forse neanche una molto attiva politica europea. Ma e l'uno e l'altro sar-ebbero forse necessari quando 'esistesse un fermo e generale accordo italo-francese? Si può affermare di no e tanto più tranquillamente se si pensa aill'enorme sproporzione di forze militari pur oggi esistente fra noi e la Francia, sproporzione che non potremmo mai colmare neanche in parte se pure ci dedicassimo unicamente a tale compito. E perciò se un nostro impegno militare di qualche anno in Etiopia gioverebbe indubbiamente assai alla Francia per sbarazzarla praticamente da quel modesto ingombro che noi per essa costituiamo, non si deve da ciò inferire che esso potrebbe concretarsi in un reale pericolo per noi, giacché non vi sarebbe in realtà per la Francia ,}'interesse di renderlo tale, senza contare poi che la situazione generale e gli interessi di altri Stati, fra cui principalmente l'Inghilterra, vi si opporrebbero nettamente.

D'altra parte pur essendo necessario di procedere previamente a seri studi di carattere militare, 'e pur non volendo né anticiparne le conclusioni né esprimere dei pareri incompetenti, a me sembra che al giorno d'oggi una nostra spedizione militare in Abissinia non presenterebbe le difficoltà ed i pericoli delle nostre guerre passate, ove fosse fatta con la massima larghezza di mezzi umani e materiali. L'Abissinia è armata in ampia misura ma non di armi molto moderne, ha molto migliorato la sua organizzazione statale e militare, offre un territorio spiccatamente vantaggioso per la guerra difensiva ed ha soldati particolarmente adatti ad essa, ma la tecnica militare moderna europea ha fatto progressi tali da permettere di vincere rapidamente i nuclei maggiori di resistenza, salvo naturalmente a proseguire le operazioni per ìl molto tempo necessario ad assicurare il pacifico possesso di tutto quel vastissimo paese. Il grande mezzo of:f)ensivo che può darci subito ragione delle fondamentali resistenze è l'aeronautica, di cui l'Abissinia è completamente sprovvista, ma essa dovrà essere impiegata senza risparmio su larghissima scala.

Naturalmente occorrerà pensare a coltivare i dissensi dei vari capi feudali fra di loro e con il potere centrale, occorrerà anche prevedere la convenienza o meno di lasciar sussistere uno Stato abissino sotto il regime del protettorato italiano. Ma tuttlt queste sono anticipazioni che servono solo ad illustrare la complessità del problema e ·la ponderazione con cui sarà nec,essario ag,ire al momento opportuno. Momento che noi dovremo poter scegliere a nostro arbitrio e secondo le nostre conv~enienze, ma le cui premesse politiche e diplomatiche dobbiamo stabilire e precisare in tempo debito. L'impresa di Libia fu cominciata a preparare politicamente una quindicina di anni prima, e nel 1902 ebbero luogo i primi accordi diplomatici precisi. È arduo pensare che altrettanto si debba fare ora per l'Etiopia, pur auspicando che la realizzazione degli ,impegni avvenga a scadenza meno lontana?

A me sembra che sia venuto il momento per il Governo italiano di prendere in considerazione tutta questa complessa situazione gravida di pericoli si, ma gravida anche di possibilità reali per il nostro paese e decidere il corso da imprimere alla nostra politica per i prossimi anni. Stabilita una decisione

di massima, non sarà estremamente difficile procedere allo svolgimento delle trattative, all'ottenimento delle indispensabili garanzie, al miglioramento delle condizioni offerteci in un primo momento * (fra cui .jn un eventuale pactum sceleris italo-francese non bisogna dimenticare nemmeno il Mediterraneo orientale e le precauzioni da prendere per possibili cambiamenti nella situazione de.Ua Turchia) alla scelta dei mezzi e dei tempi *.

Ora vi è soltanto una decisione di massima da adottare per raccogliere delle aperture fatteci per il tramite di persone irresponsabili e metterle su di un piano più serio, o !asciarle cadere nel vuoto, sia pure per riprenderle, ove tuttavia ciò sia possibile, in un altro momento.

Se il mio pensiero risulta chiaramente da tutto quanto precede, io mi auguro però di non esser caduto in errore a causa del velo che può aver fatto alla mia ragione il desiderio vivissimo di vedere il nostro paese uscire al più presto da sterili lotte politiche ed assicurarsi una lunga èra di pace e di prosperità, che con la realizzazione di un grande sogno coloniale, gli darà modo di affrontare le più gravi situazioni dell'avv,enire, traendo anche maggior forza dalle risorse di uomini e di materie che appunto la sua espansione coloniale potrà dargli. L'auspicata conquista dell'Abissinia potrebbe dare infatti anche a noi la possibilità di formarci un vero e proprio esercito nero, della cui forza già da lungo tempo sperimentiamo i vantaggi, poiché proprio dall'Etiopia abbiamo tratto i migliori combattenti della Libia. Io mi auguro, ripeto, che questi che possono apparire ora come sogni ancora lontani non ci traggano in errore, ma non posso tuttavia non ricordare le grandi parole di Goethe: • Viveve significa errare, ma che importa l'errore se esso è attivo e fecondo? •.

* Le aperture del sig. Berthelot non hanno infine nemmeno trascurato la questione' della vergognosa p~aga del fuoruscitismo italiano in Francia. Io non son _ uomo di parte né animato da inutile spirito di vendetta, ma avendo dedic::::o la mia vita e il mio lavoro al servizio del paese ritengo che ogni sf01~0 C:cbba f2•_· r:r eliminare coloro che attentano, unicamente per odio e per dispetto essere stati sconfitti nelle lotte di parte, alla vita ed alla grandezza dei>. Patria. I nostri rapporti internazionali e non soltanto quelli itala-francesi ""on debbono più essere avvelenati e minacciati dagli intrighi dei pochi :nalfattori, e le disposizioni manifestate dal sig. Berthelot hanno quindi per me una grande importanza anche nel campo speciale della nostra politica estera e credo che meritino di esseve prese in seria considerazione *.

(l) In GuARIGLIA • nostro •.

(l) Cfr. n. 128.

227

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

TELESPR. 99. 667/428. Vienna 18 febbmio 1932.

Dal telespresso di Arlotta n. 158 in data odierna (2), che mi giunge nel momento di chiudere la valigia, vedo che Bethlen insiste sull'inclusione della

frase • unione doganale • nella richiesta austriaca, e che ha francamente riparlato di unione doganale con Schoen. Evidentemente la concezione di Bethlen sulla tattica da seguire è diversa da quella di Schiiller: poiché Bethlen ha creduto tornare chiaramente sull'argomento con quel Ministro di Germania (ciò che Schii.Uer sconsigliava di fare) si comprende perché egli non veda ragioni di omettere quella frase nella lettera di Buresch.

L'argomento decisivo per scegliere l'una o l'altra tattica mi sembra sia la pl'eVISione se la Germania finirebbe coll'assentire pienamente e lealmente

o no; nel primo caso avrebbe ragione Bethlen, nel secondo Schiiller.

Da quel poco che posso giudicare sulla Germania in base alla sua azione qui credo l'idea di Schiiller preferibile. Quello ad ogni modo che mi sembrerebbe almeno per ora da evitare [è] di far comprendere alla Germania che la via dell'estensione degli accordi Brocchi ci condurrebbe egualmente all'unione doganale; occone proteggere la nostra ritirata e il nostro mutamento di tattica (1).

suggerimento di Schiiller sarebbe disposto ad inviare al Governo italiano, essi [Walko e Bethlen], pur dichiarandosi pronti ad attendere la decisione di S. E. il Capo del Governo manifestarono entrambi una certa sorpresa per l'importanza che Schiiller annetterebbe alla soppressione della menzione esplicita dì " unione doganale " dalla lettera stessa. Mi hanno infatti entrambi detto, spontaneamente e separatamente, di considerare più utile che sin dall'inizio degli studi che dovrebbero intraprendere i delegati dei tre paesi si sia senza ambiguità d'accordo sul fatto che scopo preciso degli studi medesimi sia quello della possibilità di raggiungimento di una unione doganale. Ritengono essere il vero movente del modo di vedere di Schiiller, da ravvisarsi in una tema esagerata di urtare contro recriminazioni tedesche... Circa gli scopi da cui lo stesso Bethlen è animato nel perseguire con tanto fervore il progetto che ci occupa, egli non nasconde per nulla, nei suoi colloqui confidenziali con me, uniformandosi del resto a quanto ha di recente francamente esposto a S. E. il Capo del Governo a Roma, come, a ;:>arte la convinzione che una possibilità di risanamento della precaria situazione economica ungherese risieda quasi esclusivamente nella soluzione indicata, egli ponga in intima connessione un suo eventuale ritorno al Governo, con la realizzazione di un programma concreto e convincente per l'opinione pubblica...

Il Conte Bethlen ha aggiunto di aver parlato chiaramente a Schoen, sempre peraltro sotto il vincolo del carattere strettamente confidenziale delle sue parole (e riterrei, per conseguenza, forse opportuno, ove l'E.V. non giudichi diversamente, non fare risultare a Berlino che noi siamo al corrente di questi colloqui). dei nostri progetti di unione doganale, cercando allo stesso tempo di fargli comprendere l'interesse che avrebbe la Ger

mania nel non ostacolarli, dato, da una parte le nostre leali intenzioni a suo riguardo, e

d'altra parte l'effettivo pericolo che Austria e Ungheria potessero venire spinte " dalla disperazione " (sic) ad accogliere in definitiva le insistenti profferte del gruppo Benes. Bethlen mi ha altresì riferito aver riportato l'impressione che Schoen fosse rimasto personalmente

convinto dalle sue argomentazioni, riconoscendo inoltre come qualunque combinazione si

presentasse all'opinione pubblica internazionale sotto la veste di una immediata partecipazione della Germania, sarebbe fatalmente destinata al fallimento per opposizione francese, come già avvenne per la Zollunion austro-tedesca ».

Converrebbe forse in ogni modo cercare di ottenere che la domanda sia di Vienna che di Budapest possa venirci inviata prima di un'eventuale informazione negativa che dovesse portare Schoen di ritorno da Berlino, e che, certamente avrebbe una qualche influenza sulle determinazioni degli altri due Governi».

(l) -n doc. fu inviato per conoscenza anche ad Arlotta. (2) -Cfr. t. posta 1118/158, spedito a Roma e, per conoscenza, ad Auriti. Se ne pubblicano i passi seguenti: c Per quanto riguarda la bozza di lettera che il Cancelliere Buresch, dietro

(l) Cfr. anche il t . .!)er corriere rr. 865/1333/190, Budapest 25 febbraio 1932, inviato a Roma e per conoscenza anche alla legazione di Vienna, col quale Arlotta riferiva: < Questo Ministro di Germania, von Schoen, mi ha detto ieri di essere stato autorizzato a recarsi a Berlino per dove partirà domani venerdì, 27 corrente, allo scopo di esporvi le note considerazioni circa atteggiamento più conveniente ai veri interessi del Reich che, secondo lui, quest'ultimo dovrebbe assumere di fronte ai progetti di intima collaborazione economica italo-austro-ungherese, ed in contrapposto ai pericoli, altrimenti quasi certo inevitabili, di un, sia pure involontario, assorbimento dell'Austria e dell'Ungheria nel ciclo di combinazioni economiche facenti capo alla Cecoslovacchia e, indirettamente, alla Francia...

228

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 512/323. Vienna, ... febbraio 1932 (1).

Questo mio collega di Francia ha desiderato intrattenermi sulla situazione interna austriaca.

Mi ha smentito ch'egli abbia come che sia agito per ottenere che Schober uscisse dal gabinetto, ma non ha negato che qualche pressione sia, direttamente o indirettamente, stata qui fatta da Parigi per mezzo di quel ministro d'Austria. Mi ha del pari smenttto le accuse di ingerenze nelle riforme finanziarie austriache attribuitegli dai giornali francofobi di Vienna. Considera probabile il prossimo avvento di Seipel al governo con ampi poteri. Ha parlato contro il vice cancelliere Winkler, '{!he intriga per evitare l'avvento di Seipel, e ha detto che dobbiamo • entrambi • sorvegliarlo perché annessionista e socialisteggiante. Si è mostrato preoccupato della situazione finanziaria della repubblica.

Sui progetti di confederazione danubiana Clauzel non ha con me stamane, come del resto mai finora, pronunciato parola. Evidentemente si rende conto che, nei riguardi dell'Austria, se i nostri interessi coincidono con quelli francesi, tale coincidenza è soltanto negativa, e cioè concerne la nostra comune opposizione così ai socialisti come all'annessione, giacché nella parte positiva non possiamo consentire con i disegni francesi di confederazioni danubiane. Ma il non averne mai fatto cenno prova la sua volontà di mantenere l'e nostre conversazioni sul terreno nel quale i nostri due paesi si trovano d'accordo, e lascia quindi comprendere come a tale accordo egli attribuisca valore in relazione agli interessi francesi in Austria.

Per conto mio ho risposto e chiesto Quel tanto che era necessario per sostenere la sua conversazione, mantenendola però entro i limiti di Quei nostri negativi interessi (2).

229

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLA MARINA, SIRIANNI

L. P. 205234172. Roma, 20 febbraio 1932.

Ho esaminato attentamente la questione del pagamento delle forniture fatte dai cantieri nostri a cantieri esteri, in base a contratti stipulati anteriormente alla svalutazione della sterlina. Gli argomenti a favore del pagamento

Da parte mia non lo scoraggio e non m'impegno •.

in sterline oro sono senza dubbio di grandissimo peso e ove si potessero far prevalere .i nostri cantieri eviterebbero gravi perdite.

Senonché la questione deve essere esaminata e risolta in armonia alle esigenze generali della nostra economia, e perciò appena essa sorse volli avere il parere del M1nistero delle Corporazioni sulla opportunità di far appoggiare dalle nostre rappresentanze diplomatiche le richieste ben note dei cantieri nostri.

La prima risposta del Ministero delle Corporazioni non fu molto esplicita; te ne accludo copia (1). Il legale dei cantieri fece privatamente conoscere in questi giorni che detto Ministero desaminata la questione si sarebbe pronunciato in maniera decisa.

Come ti rendi perfettamente conto la questione stessa non solo è grave e complessa, ma ha collegamenti con altre questioni e avrà inevitabili ripercussioni per il futuro, onde -atteso anche quanto sopra -parve a me opportuno di richiedere senz'altro tale esplicito parere; ciò ho fatto con la lettera di cui pure ti accludo copia (2) insieme con quella di un rapporto del R. Mtnistro a Lisbona n. 27 (3).

Come ora anche in avvenire ti terrò al corrente dello svolgimento della pratica ( 4).

(l) -Il giorno manca. Si colloca sotto il 19 febbraio, data in cui fu protocollato al Ministero. (2) -Con successivo telespr. r. 653/414 del 18 febbraio, Auriti riferiva che Clauzel era tornato a trovarlo. « Questo evidente desiderio di Clauzel di mantenere cordiali e continue relazioni con me in seguito al mio colloquio esplicativo dopo il mio ritorno da Roma, desiderio che mi sembra accentuarsi sempre più, deve certamente derivare da istruzioni inviategli da Parigi dopo conosciute colà le considerazioni da me espostegli nel colloquio stesso. E perciò credo riferire di nuovo su tale argomento a V. E.
230

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE R. 872/395 Bucarest, 20 febbraio 1932 (per. il 27).

Parlando con Titulescu, il discorso è caduto sulla situazione della Romania nella Piccola Intesa e sulle apprensioni che il mio interlocutore nutriva

negli stessi riguardi dei cantieri non si nasconde la preoccupazione che la concorrenza

estera possa avvantaggiarsi sulle nostre industrie dalla loro attuale richiesta di pagamenti in sterline oro e che le condizioni presenti dell'economia internazionale non siano favorevoli

per una nostra azione in detto senso ».

Bottai rispose il 18 marzo 1932, sostenendo che fin dalla prima risposta (per cui cfr. nota l) egli aveva affermato la legittimità della richiesta dei cantieri di venir pagati in valuta aurea e che manteneva tale giudizio.

Quanto sopra si è ritenuto far presente per il necessario coordinamento nella trattazione della questione generale relativa ai pagamenti dovuti da Governi esteri per contratti stipulati anteriormente alla svalutazione della sterlina, e particolarmente in relazione alla considerazione già avanzata da questa Direzione Generale che un nostro irrigidirsi nella questione della sterlina possa in avvenire seriamente com!)romettere la possibilità oer i nostri cantieri di assicurarsi all'estero importanti contratti di forniture navali ».

(t. 3317/53 del 21 aprile 1932, ore 22,30): • Nessun dubbio che azione V.E. sia apparentemente di mediazione e tutela interessi privati ma tale atteggiamento è per ora soltanto tattico. Ove non fosse in tal modo possibile salvaguardare concreti interessi in gioco che sono ingentissimi ed anche di natura generale, l'azione di V. E. dovrà assumere quel carattere di energico intervento anche politico che le circostanze potranno richiedere •.

or sono quattro anni, allorché copriva la ca!'lica di Ministro degli Esteri. (Mio tel. per corriere n. 2641 del 27 ottobre) (1).

Titulescu, dopo avermi ricordato la sua apertura di allora, e sovratutto il suo proposito di avvicinarsi il più possibile all'Italia, mi ha detto che, pur conservando immutati i suoi sentimenti verso il nostro paese, sentiva adesso tutta la necessità di • tenersi ben stretto alla Piccola Intesa •. Subito dopo, quasi a mitigare la portata delle sue parole, Titulescu ha attribuito esclusivamente alla politica revisionistica dell'Italia la ragione vera ed unica che manterrebbe unita la Piccola Intesa e che spingerebbe la Romania a tenersi intimamente solidale con detta alleanza.

La frase del Signor Titulescu è degna di attenzione, e vieppiù lo diverrà a mano a mano che .i progressi del temutissimo revisionismo spingeranno la Romania alla ricerca delle maggiori garanzie. Pel momento essa parmi atta a giustificare le apprensioni che io ho avuto occasione di sottoporre per iscritto ed a voce a V. E. circa un eventuale rafforzamento dell'alleanza romeno-jugoslava, ed a confortare altresì il mio vivo desiderio che la Romania, all'occorrenza, prenda con noi impegni precisi nei riguardi della Jugoslavia.

Al riguardo mi ha profondamente sorpreso che il Signor Argeto,ianu, nella sua recente visita a Roma, non abbia fatto cenno né al Capo del Governo né all'E. V. di quanto ebbe a dirmi circa un'eventuale correlazione di impegni tra l'Italia e la Romania (mia lettera personale del 12 dicembre u.s.) (2).

Anche con me, nei nostri ulteriori colloqui, il Signor Argetoianu non ha fatto più cenno alla cosa: sicché potrebbe supporsi che Titulescu ne lo abbia distolto, sia perché desideri conservare gelosamente la direzione della politica estera romena (mio telespresso n. 158 del 19 corrente), sia perché forse contrario ad intese del genere.

(l) -Manca. Ma cfr. nota seguente. (2) -È la lettera 205483/320 del 23 febbraio, nella quale Grandi, pur ritenendo che le richieste avanzate dai cantieri di venir pagati in sterline oro erano di erande rilievo, riteneva « indis::>ensabile che la questione debba essere giudicata nella sua totalità e

(3) Manca. Ma cfr. in proposito l'appunto ministeriale 205555/506 del 23 febbraio, che riassumeva le notizie pervenute dalla legazione di Lisbona circa il rifiuto del governa portoghese a pagare in valuta aurea i nostri cantieri. « Inoltre il R. Ministro a Lisbona ha fatto rilevare come non giovi alla soluzione dell'attuale vertenza con i cantieri italiani la giurisprudenza che va creandosi in Italia sulla questione dei contratti stipulati in sterline e che avrebbero avuto una recente manifestazione nella decisione adottata dal Consiglio di Borsa di Trieste.

(4) Cfr. infine le istruzioni inviate da Fani ad Aloisi per la vertenza in corso tra i Cantieri del Tirreno e il governo turco circa il pagamento in sterline svalutate o meno

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ORSINI BARONI, A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, MANZONI, A TOKIO, MAJONI, A WASHINGTON, DE MARTINO, E ALL'INCARICATO D'AFFARI PRESSO IL GOVERNO CINESE, CIANO

T. 222. Roma, 21 febbraio 1932, ore 10.

16 corrente dodici membri Consiglio Società Nazioni seduta segreta indirizzarono appello di moderazione al Governo giapponese quale ultimo tentativo di amichevole pressione.

Dietro proposta delegato britannico venne incluso richiamo all'art. 10 del Patto facendo presente che nessuna violazione all'integrità territoriale o della indipendenza politica della Cina potrebbe essere riconosciuta valida dagli altri membri Società N azioni.

Nostro delegato in contrapposizione tendenza verso il • tono forte • avanzata da un gruppo rappresentanti Stati minori ha sostenuto appello non dover

rappresentare una decisione del Consiglio sul fondo del conflitto ma semplicemente appello allo spirito di equità, di moderazione di una grande Potenza. Tesi effettivamente prevalsa.

Secondo quanto riferisce nostro delegato proposta inglese sarebbe stata avanzata per dare una certa soddisfazione al gruppo che spinge il Consiglio ad agire in senso contrario al Giappone.

(Meno Tokio). Quanto sopra risulta confermato da quanto telegrafa il R. Ambasciatore in Tokio in data 18 corr. e cioè: • Questo Ambasciatore d'Inghilterra in via confidenziale mi ha dato visione di un telegramma del Foreign Office nel quale egli viene richiesto di attenuare, colla stampa, portata appello Società delle Nazioni al Giappone che non deve essere considerato come una minaccia •.

S. E. Majoni telegrafa anche in data 19 corr.:

• Appello Società delle Nazioni ha suscitato viva irritazione opinione pubblica che lo considera come ingiustificata umiliazione per essere dil'etto soltanto Giappone.

D'accordo con collega inglese ho cercato smorzare eccessive suscettibilità negando allo stesso carattere di minaccia • .

(l) -N. 3549 R. (• Unione Doganale Danubiana>) [Nota del documento]. (2) -Cfr. n. 123.
232

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL DELEGATO ALLA SOCIETA DELLE NAZIONI, ROSSO (l)

T. PER CORRIERE 229/35. Roma, 21 febbraio 1932, ore 10.

Ella può dire in via generica a Massigli che questo Ministero, ricevette fin dal 19 gennaio scorso la nota britannica contenente la proposta di far discutere dalla Commissione di studio europea un piano di unione doganale fra gli Stati danubiani e mise subito allo studio la questione, la quale potrebbe avere importantissime ripercussioni sugli interessi economici del nostro paese. In attesa dei risultati di tale studio, e dato che la discussione della proposta inglese non era imminente non venne data risposta alla nota inglese, ma io mi limitai in un colloquio personale ad attirare l'attenzione di questo Ambasciatore britannico (2) sulla complessità e la delicatezza dell'argomento, sulla convcenienza di avere maggiori schiarimenti sulle intenzioni inglesi che egli non fu in grado di fornirmi e sulla necessità per noi più che per ogni altra grande Potenza di tenere presenti le speciali condizioni dei nostri traffici verso i Paesi danubiani e quindi le serie conseguenze che potevano derivare ai nostri interessi da qualsiasi risoluzione venisse adottata.

Fino a questo momento non abbiamo ricevuto altre comunicazioni da Londra.

V. S. potrà aggiungere a Massigli che il R. Governo, cui pur stanno a cuore non meno che alle altre Potenze (e forse più che ad esse per l'importanza e l'intimità dei vincoli economici che legano l'Italia agli Stati danu

biani) le sorti di Quei paesi particolarmente colpiti dalla cns1 eonomica mondiale, condivide il pensiero col Governo francese circa le difficoltà pratiche che sopratutto in questo momento presenta il progetto inglese ed apprezza il proposito dello stesso Massigli di suggerire a Parigi l'opportunità di concertarsi con noi. Come già per la questione dell'Anschluss vi possono infatti essere degli utili punti di contatto fra le vedute italiane e quelle francesi, sopratutto se da parte francese si saprà comprendere tutta l'importanza degli interessi economici italiani nei riguardi dei Paesi danubiani, la situazione che ci deriva dall'essere noi stessi uno Stato successore dell''Impero austro ungarico, e la delicatezza dei problemi che solleva H progetto inglese. In tale ordine di idee giudichiamo anche noi prematuro e inopportuno di portare la questione davanti alla Commissione europea.

(l) -Risponde al n. 223. (2) -Cfr. n. 179.
233

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ORSINI BARONI, A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, A PARIGI, MANZONI, E AI MINISTRI A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, PREZIOSI, A BUDAPEST, ARLOTTA, A PRAGA, PEDRAZZI, A SOFIA, CORA, E A VIENNA, AURITI

TELESPR. (1). [Roma, 21 febbraio 1932].

Mio telegramma per corriere n. 85 del 24 gennaio scorso. (Per tutti meno Budapest). Per esclusiva personale conoscenza di V. E.

(V. S.) accludo copia di una comunicazione di Rosso da Ginevra in data del 17 corrente e copia della mia risposta in data odi·erna (2).

(Solo per Budapest). Di tutto ciò Guariglia ha informato sommariamente questo Ministro d'Ungheria, il quale è .ieri venuto per incarico del suo Governo a chiedere il nostro pensiero circa il prog·etto :inglese. Egli senza dare molto rilievo ad un'eventuale consultazione italo-francese ha fatto presente a de Hory come appunto l'esistenza di tale progetto rendesse consigliabile l'immediata firma e il perfezionamento degli accordi Brocchi nonché il sollecito studio pratico dei progetti del Conte Bethlen per giungere a delle soluzioni concrete costituenti dei fatti compiuti di cui in qualsiasi discussione generale internazionale non si possa non tener conto.

234

MALGOLA CAPPI AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Belgrado, 21 febbraio 1932.

Dopo breve cordiale preambolo Sua Maestà mi ha chiesto chi avevo veduto a Roma.

H0 visto S. E. Mussolini che mi ha incaricato di dire a Vostra Maestà che egli è ora molto meglio disposto verso l'accordo, di quanto lo fosse qualche tempo fa.

Est ce qu'il vous en a dit la raison?

No.

C'est dròle... j'aurais cru le contraire car il me semble que la question soit maintenant de nouveau au point mort. Est ce que M. Mussolini a été informé de ma conversation avec M. Galli? (1). Sì, S. E. mi ha detto di aver avuto un lungo rapporto sul • colloquio drammatico •.

En effet il a été dramatique, mais savez-vous pourquoi? M. Galli revenant de Rome, il vient chez moi tout content et heureux en me disant qu'il m'apportait l'accord complet dans toutes les questions. Vous avez aussi parlé de la question albanaise? je lui demande.

Naturellement, Majesté, ma1is sur ce point l'ItaEe ne peut pas renoncer à ses droits...

Alors j'ai ,vraiment perdu patience, car c'était vraiment se ficher de moi étant la seule chose sur laquelle je demande à l'Italie de céder. Dans toutes 1es autres questions je suis pret à accepter ,entièrement le point de vue de l'!talie.

Vous connaissez la question qui nous sépare en Albanie?

No.

L'Italie prétend avoir un protectorat en Albanie, et le droit d'y débarquer des troupes, pour en assurer, dit-elle, l'ordre intérieur, et protéger les intérèts italiens.

La Yougoslasie prétend que l'Italie renonce à ce droit de débarquer des troupes en Albanie, car je ne peux pas admettre que des troupes italiennes débarquent • chez nous • (car au fond l'Albanie elle ,est chez nous) sous aucun prétexte.

Dieu nous préserve que ce prétexte se présente, car dans ce cas mème malgré moi, c'est la guerre inévitable. Si l'Italie maintient ce point de vue intact, ça vaut mieux qu'elle nous dise tout franchement qu'elle ne veut pas d'accord.

Ho detto al Re che quando io avevo chiesto a S. E. Mussolini, perché l'Italia non aveva presentato delle controproposte scritte, a quelle della Jugoslavia, S. E. mi aveva risposto che erano • inaccettabili •.

Il Re dopo un silenzio meditativo mi ha risposto: Est-il possible que M. Mussolini reçoit des informations pas très exactes? J e ne peux pas m'expliquer comment o n puisse les qualifier • inacceptables •.

J'ai fait dire à M. Mussolini que j'étais prèt à accepter toutes lles conditions de l'Italie, ,excepté sur la question albanaise sur laQuelle on aurait trouvé le moyen de s'accorder d'une manière réciproauement satisfaisante.

Ou bien l'Italie a des arrière-pensées inavouables contre nous, et alors je peux m'expliquer son intransigeance -'et dans ce cas c'est parfaHement inurtile

parler d'accord -ou bien l'Italie n'a vraiment aucune arrière-pensée contre nous, et alors son intransigeance est inutile ou bien exagérée. Le jeu ne vaut pas la chandelle.

Est-il possible que l'Italie veui1le renoncer aux grands avantages que l'accord lui donnerait, plutot que renoncer à ce grand plaisir de maintenir l'ordre intérieur en Albanie, ou de défendre ses petits intérets dans cette terre inospitaHère et de traitres?

Au fond la thèse italienne est la suivante: intégrité territoriale et indédependance albanaise. Une fois que nous sommes prets à garantir l'intégrité territoriale, l'indépendance de l'Albanie avec toutes les formes de garantie demandées par l'Italie, la thèse italienne a gagné.

Je vous ai toujours dit que moi de l'Albanie et des Albanais, je n'en veux pas -on est beaucoup mieux sans les Albanais que avec -ils sont des punaises qu'il faut tenir loin.

L'Italie est une grande puissance, elle peut se permettre le luxe de dépenser des milliards pour civiliser, pour armer les albanais si ça lui fait plaisir; nous avons déjà trop de provinces passives pour en désirer des autres.

Votre ami Ahmed est très fort pour vous faire du chantage, et maintenant pour avoir à chaque instant l'occasion de le faire, il n'a pas fait signer le pacte au Roi.

Ho detto che S. E. Mussolini non era affatto impressionato dal fatto materiale che il patto non fosse più in vigore, perché certo l'Italia non ha bisogno dell'Albania, per il mantenimento dello statu quo, ma che S. E. è stato indignato perché il Re Zog mentre fino all'ultimo momento aveva -promesso dTi:-innovare il patto, ha mancato di parola al momento di firmare.

Je suis très étonné qu'en Italie on ne l'ait pas su bien avant, car je savais depuis longteinps que Zog n'auraH pas signé, et je crois meme Que M. Yeftich l'a dit quand il était à Rome. Du reste en Albanie tout le monde le savait et ça m'étonne que M. Mussolini n'en était pas informé.

C'est vrai qu'il est tellement difficile d'arriver jusqu'à M. Mussolini regardez avec M. Galli il ne le voit presque jamais car il doit à cause deSi règles de la hiérarchie passer par son ministère, regardez avec M. Yeftich il n'a pas pu le voir...

Notata la punta di amarezza di questa osservazione e ricordando i passati sfoghi del Re mi sono affrettato a dire:

Se il sig. Yeftich non avesse mostrato tanta fretta di partire dicendo che era assolutamente atteso da Vostra Maestà e se avesse potuto attendere il ritorno del Capo del Governo dalle manovre aeree, egli sarebbe certamente stato ricevuto -e forse a quest'ora l'incontro sarebbe avvenuto e l'accordo fatto -poiché sono persuaso che se due persone come Vostra Maestà e S. E. il Capo del Governo italiano, di carattere franco e leale, di superiore intelligenza, ed animate dall'amore del proprio paese, e dal vivo reciproco desiderio di arrivare all'accordo si fossero incontrate, ne sarebbe stata inevitabile conclusione l'accordo perfetto.

Mais vous croyez donc Que M. Mussolini le désire vraiment?

Non ho nessuna ragione per dubitarne. S. E. Mussolini non dice una cosa per un'altra -in Italia questo non usa più -·e S. E. lo ha ripetuto anche l'ultima volta che mi ha parlato.

Pourtant vous voy.ez que c'est très difficile aussi pour moi d'arriv·er à lui. Tous ces intermédiaires ils semblent avoir peur de se compromettre, de dire un mot de trop -ils ne peuvent jamais répondre sans demander de!) instructions et comme ca les choses trainent et elles se gatent et voilà maintenant notre affaire de nouveau ·au point mort.

Sono venuti ad annunciare il medico. Il Re mi ha detto che era tormentato dalla sua malattia di stomaco, e che sarebbe rimasto a letto tutto il pomeriggio.

Mais j'espère que vous puorrez rester quelques jours ici, en tout cas je vous verrai demain.

(l) -Il testo che si pubblica è la minuta redatta da Guariglia. (2) -Cfr. nn. 223 e 232.

(l) Cfr. n. 213.

235

IL MINISTRO DELL'EDUCAZIONE NAZIONALE, GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Fondo Ambasciata presso la Santa Sede, busta 27, copia)

N. 2925. Roma, 22 febbraio 1932.

Risposta al foglio n. 22!10/31 (1). In segùito ai rilievi ed alle richieste della Nunziatura Apostolica nei riguardi degli ex sacerdoti Rosario Scalabrino e Paolo La Vespa, insegnanti nel

R. Liceo Ginnasio di Trapani, questo Ministero ha incaricato uno dei propri ispettori centrali di compiere sul luogo un'accurata inchiesta per accertare mediante opportune indagini, se i suddetti professori, per il loro passato, debbano considerarsi incompatibili in quella sede.

Dall'inchiesta, condotta col più grande scrupolo, si è rilevato che i due insegnanti godono della stima delle autorità polHiche e scolastiche e che se qualche lamentela è stata elevata contro di loro, essa ha attinenza soltanto col risultato degli esami ed è stata mossa da alunni riprovati.

Questa Amministrazione ritiene, pertanto, che nessun particolare elemento giustifichi l'allontanamento dalla sede di Trapani di due insegnanti non condiscendenti a eccessive pretese d'indulgenza, anche per la considerazione che il provvedimento potrebbe incoraggiare i più deboli ad indulgere verso i meno meritevoli (2).

De Vecchi rispose con teles-pr. 2966 del 2 marzo (ibid.): "Le ragioni politiche o di giustizia scolastica le quali inducono il R. Ministero della Educazione Nazionale e la E. V. all'avviso che mi manifesta non possono avere da me il necessario esame mancandomene glielementi. Per quanto mi concerne esprimo pertanto il parere che si debba aderire alla richiesta di trasferimento avanzata dalla Santa Sede •. Per l'ulteriore sviluppo cfr. n. 317.

15 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

(l) -Non si pubblica. Ma cfr. n. 63. (2) -Ricevuto questo doc. dal ministero dell'Educazione Nazionale, Fani comunicò a De Vecchi (telespr. 138/41 del 29 febbraio, Fondo Ambasciata presso la Santa Sede, ibid.): « In seguito a tale risposta, questo Mir.istero sarebbe d'avviso di soprassedere, almeno per il momento, dal rivolgere nuove premure al Ministero anzidetto per l'accoglimento della domanda di cui si tratta. Tuttavia, prima di fare qualsiasi altro passo gradirò conoscere l'avviso dell'E. V. in merito alla auestione ».
236

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. P. 1188/149. Berlino, 22 febbraio 1932, ore 14,59 (per. ore 18,45).

È stato Qui nei giorni scorsi Forges Davanzati. Senza che io ne fossi informato egli ha avuto per il tramite di Renzetti colloquio con Goring e Hitler. Ieri mattina ha fatto colazione con Renzetti da Hitler all'Albergo Kaiserhof. Forges è partito per l'Italia ieri sera.

237

MALAGOLA CAPPI AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Belgrado, 22 febbraio 1932.

Ho fatto dire a S. M. il Re che ero impaziente di rivederlo. Mi ha fatto subito salire alla Villa. Vous etes impatient de me voir? qu'est ce QUe vous avez de bon à me dire?

Io non so ma Vostra Maestà mi permetta di dire quello che penso. Tanto Vostra Maestà sa benissimo che di poJ:itica non me ne intendo quindi se anche dico delle bestialità sarà questione di riderei sopra. Io non ho né il timore di compromettere un avanzamento, né Quello di perdere il posto.

Dunque tornando alla questione albanese:

L'Italia vuole conservare il diritto di sbarcarvi truppe.

La Jugoslavia non vuole assolutamente ammettere qualunque diritto a sbarchi di truppe. L'Italia [sic] Cl'ede che questo suo diritto sia per lei di tale pericolo che non lo può ammettere.

Fra queste due tesi parallele e che non si possono mai incontrare, è possibile che non vi debba essere una tesi media che considerando l'utilità dell'Italia possa assolutamente escludere il pericolo per la Jugoslavia?

Se l'Italia dichiara che l'eventuale sbarco dovrebbe esclusivamente avvenire per il caso di dover sedare disordini interni albanesi, non si potrebbe essa accordare per unirsi in questa eventuale azione, alla Jugoslavia inviando insieme truppe? Anche magari nella stessa quantità?

Non potrebbe l'Italia limitare questo sbarco sia nel tempo, sia nella qualità di truppe di polizia?

Non potrebbe l'Italia subordinare lo sbarco a certe eventualità che lo rendessero quasi impossibile?

Io non so, ma una soluzione ci dovrebbe pur essere.

Vous voyez, ce n'est pas ça le point de vue à considérer.

L'Albanie, est elle un pays Ubre et indépendant, comme par exemple la Grèce, la Hongrie, ecc. alors il n'y a pas une raison que l'Italie se méle dans ses affaires intérieures, comme elle ne penserait pas d'intervenir avec des troupes, si demain les grecs, les hongrois, se chamaillent entre· eux.

Si l'Albanie est une colonie italienne alors j'ai un autre front italien en Albanie. Si nous sommes ennemis je peux le considérer comme ça, mais si nous sommes de bons alliés, je ne peux pas admettre c.ue l'ltalie garde le droit d'envoyer des troupes sur cette partie du front le jour qu'elle voudra, et sous un prétexte que l'on peut toujours se procurer.

Si l'Italie ne veut pas considérer ce point de vue, elle doit forcément avoir des arrière pensées contre nous; ou pour se laisser une porte ouverte pour nous sauter dessus, ou pour se prendre définitivement l'Albanie.

Dans ce cas c'est inutile de parler d'accord loyal.

L'accord entre nous doit étre ou parfait ·et complet, ou bien il ne peut pas exister. Nous sommes trop près l'un de l'autre, nos intérets sont trop communs. Nous devont étre ou très bons amis ou ennemis, il n'y a pas la solution moyenne.

On dit en !talie: l'Adriatique doi t étre le notre. Est ce que il n'est donc pas le vòtre? est que nous, av·ec nos quatre barques, nous pouvons faire une concurrence à l'Italie?

L'Italie doit avoir la clef de l'Adriatique. Est ce que elle ne l'a pas avec les iles -et une fois que nous sommes liés d'une bonne amitié est ce que nous n'aurons pas les memes intérets à tenir ensemble la clef de l'Adriatique? .Je serais alors bien disposé à vous donner le Bocche di Cattaro pour défendre ensemble nos intérets communs en Adriatique contre les tiers (1).

.Je veux ou bien l'accord complet ou bien restons comme nous sommes. Si je m'accorde, cet accord doit étre inattaquable. .Je ne peux pas laisser un foculaire rsic] d'infection.

.Je dois prendre, vis à vis de mon pays, l'entière responsabilité de cet accord -je vous donne ma parole que M. Marinkovich n'en sait rien. Lui aussi devra changer endtièrement sa politique et il le fera; si quelqu'un voudra crier contre le Ministre des Affaires Etrangères, je le couvrirai, en disant que lui n'en savait rien, et que c'est moi qui ai vou;lu l'accord. .J'aime de prendre vis à vis de mon pays les responsabilités surtout quand il s'agit de • grandes choses • mais pour ça l'accord doit etre complet et alors tout le monde l'acceptera et reconnaitra que le Roi a fait le bi·en de son pays.

Mais pour revenir à l'Albanie, admettons que l'!talie veuille pr>endre tout à fait l'Albanie -quel advantage elille en aurait? Le pays est pauvre -pas des ressources naturelles, pas de fertilité à l'exception de Quelque partie sur la cOte, population sauvage, misérab1e, déloyale, Si l'Italie est en guerre avec nous, alors l'occupation de l'Albanie peut etre très utile comme téte de pont contre nous, mais si nous sommes de bons amis, est ce que nous n'aurons pas les memes intéréts de garder une Albanie ìndépendante?

Est ce que par hazard M. MussoHni n'aurait pas promis personnellement au Roi Zog de s'assurer le droit d'intervenir pour lui faire le plaisir de le garder sur son tròne meme contre la volonté du pays'? Mais qu'il reste donc sur son tròne, je n'ai aucune intention de le faire descendre -je peux le lui garantir et déclarer ouvertement.

L'Italie pense à l'Albanie comme à une colonie? C'est une colonie de cailloux et de traitres -est ce que je n'onore [sic] pas à l'Italie une bien meilleure colonie de plusieurs millions de personnes cui achèterons en Italie tous ce dont ils ont besoin?

Il me semble donc impossible que M. Mussolini qui a une vision si exacte des choses, ne veuille pas (rémarquez bien que je ne dis pas • ne puisse » ), comprendre mon point de vue, et la grande importance de notre accord. Justement pour ça j'aimerais tellement pouvoir lui parler.

Io ripeto che non sono né un diplomatico né un politicante, ma se Vostra M:aestà mi autorizza a l'ipetere a S.E. Mussolini ,tutto ciò che ella mi ha detto, ed esprimergli il desiderio di Vostra Maestà di incontrarsi con lui. io parto stasera stessa, e torno fra pochi giorni con una precisa risposta.

Mon cher Malagola, j'ai pleine confiance en vous et je n'ai aucune difficulté de vous dire clairement mes idées pour que vous les répétez à M. Mussolini, et à vous répéter que je désire vivement c.ette rencontre.

Benissimo, ma bisogna autorizzarmi di andarlo a chiedere a S. E. da parte di Vostra Maestà -Vostra Maestà può contare sulla mia assoluta lealtà, sulla mia devozione, sul mio riserbo.

Il Re è rimasto per un poco pensoso. Mais qu'est ce que vous en dites? C'est vous QUi connaissez mieux les dispositions de l'autre còté.

Se S. E. Mussolini mi ha espressamente incaricato di dire a Vostra Maestà che egli è ora meglio disposto di prima verso ,l'accordo, è implicitamente inteso che egli è meglio e più disposto di prima anche per l'incontro con Vostra Maestà. È un piccolo sforzo reciproco che bisogna fare per vincere e sorpassare le ultime incertezze.

S. E. mi ha detto di chiedervi di incontrarvi, ma la mia personale impressione è che egli ne sarebbe molto contento, non dubito poi che dopo aver conosciuto, dopo aver parlato con Vostra Maestà egLi ne sarà • enchanté •. Le ripeto, è la mia personale impressione.

Mais, et si nous nous querellons, qu'est ce au'il va arriver?

Non credo che vi sia questo pericolo, ma anche se ci fosse, credo che una buona lite sarebbe il miglior principio per una buona amicizia. Nessuno è più sincero di quando litiga, e la sincerità non può che portare buoni frutti.

Bisogna ben finire con questa eterna questione che è come una buona cotoletta che a forza di rivoltarla sul fuoco diventa carbone e si deve gettare. Mi perdoni Maestà se parlo così, ma veramente è ora di decidersi.

Questo mio diversivo ha fatto cadere le ultime reticenze.

Bien, partez donc vite et que le bon Dieu vous accompagne, dites à M. Mussolini que je désire bien de le rencontrer et le plus tot possible je ne fais pas question d'étiquette, de prestige personnel, qu'il me fasse seulement savoir

quand et où il veut me voir et je partirais (l) le jour meme. Partez donc ce soir et revenez aussitòt avec une bonne nouvel1e. Vous avez raison, la còtelette est grillée et bonne pour etre mangée maintenant, il ne faut pas attendre davantage, il ne faut pas la laisser briìler.

Bene Maestà, io parto ma non vorrei poi che al mio ritorno mi dicesse come a Zagabria che manderà il signor Jeftic. Je vous dis que je partirais (l) immédiatement, ,seulement aue ça s'arrange

bientot.

Où est ce que l'on pourrai,t se rencontrer, car ce n'est pas Question maintenant de faire un voyage en Italie pour les antiquités.

Per questo non vi saranno diffico:1tà, ou dans votre train ou dans le sien, a Trieste, o Fiume -Abbazia -Venezia -una notte di treno da una parte ed una notte dall'altra. Così appena ci si potrà accorgere della mancanza dei capi dalle capitali, l'incontro sarà già avvenuto. S. E. Mussolini potrebbe anche venire da Ancona a Fiume a bordo di un caccia e V. M. da Bled in auto...

Le plus j'y pense et le plus je ne peux pas comprendre que M. Mussolini puisse renoncer à ce grand projet qui donnerait la prospérité à nos pays, la paix assurée à l'Europe, la tran<:_uillité à nos peuples pour les beaux yeux de Roi Zog.

Pensez donc quel soulagement et on pourrait montrer aussi au mond entier que nos régimes sont les régimes de Ia force saine, de la discipline, mais aussi de la paix et non pas de la guerre comme prétendent nos ennemis. On crie que la dictature porte à la guerre. Il faut montrer le contraire. Puisque nous sommes dans cette position privilégiée de ne pas avoir des gouvernements parlementaires (les parlements y sont, mais nous pouvons passer sur leur tete) donnons nous la main, regardons nous bien dans les yeux, et ayons le courage d'envisager cette dernière difficulté, prenons la responsabilité de nos actes, mais montrons eu pays que nous avons agi pour leur bien.

AUez donc voir M. Mussolini et dites lui mes idées générales.

Politica estera -Paix et accords cordials [sic] avec nos voisins et les loins. Pleine liberté à l'ItaHe d'expansion. C'est nature! que l'Italie a besoin de s'expandre à cause de la trop grande densité de sa population soit en Afrique, soit en Asie, dans le cas que d'autres grandes puissances veuillent obstaculer ces aspirations de l'lta'lde, nous sommes préts à la soutenir toujours.

Nous n'avons aucune aspiration coloniale, nous avons assez à faire chez nous. (Possibilità di conflitto colla Francia per Tunisi).

Ligue des nations -Nous nous engageons à soutenir les thèses italiennes et à nous rester unis dans toutes les questions. L'accord aurait comme effet immédiat et automatique le désarmement car nous nous armons exclusivement contre vous -nous pourrions ·dons nous unir à Genève à l'idée du désarmement de M. Mussolini.

E la Francia, Maestà? Mi pare che Questo accordo sarebbe il crollo del suo edificio -ed i vostri patti colla Francia?

La France! Nous n'avons rien contre la France, et je ne veux rien faire contre la France, car j'ai trop d'ob1igations envers elle. Mais je Jui dirai seulement et tout franchement et librement: nous sommes des bons amis, mais j'ai d'autres bons amis, nos voisins, les italiens; et voilà tout. La France n'aura rien à ajouter -naturellement nos pactes seront corrigés selon les circonstances.

Politica interna -Nous n'avons rien à changer, aucune prétention d'agrandissement territorial. Guerre à fond contre les possibles infiltrations bolchéviques dans le pays, ou asHe aux émigrés itaHens antifascistes. Encourage~ ment du développement culture! commerciai ecc. Réduction des armements au stricte nécessaire, décongélation des énormes frais m~litaires à profit des industries de paix.

Politica finanziaria e comme1·ciale -Nous sommes pvéts à nous engager à acheter tous les produits industriels italiens, en ·excluant, par les tariffes douanières les produits des autres pays; réciprocité itaHenne pour nos produits agricoles.

Nous sommes disposés à faire méme une espèce d'union douanière et abolir les frontières, en faisant entrer dans la combinaison aussi l'Hongrie avec laquelle nous n'avons pas des raisons spéciales ou sérieuses de contraste.

Encouragement et protection pour l'organisation des banques italiennes dans le pays -préférence aux capitaux italiens.

Si l'accord viendra il sera comme si l'on onorait fsic) une division dans un bassin d'eaux, eliles se méleront naturellement et fatalement, sans besoin que personne s'en occupe, les produits, la main d'oeuvre, l'argent tout ira d'un pays à l'autre, selon le besoin, selon les intéréts natureil;s, et voilà le vrai accord sensible, tangible, profond, car, après tout, les intérèts des individus forment .l'intérét général des peuples et les liens d'intérets sont les plus naturels, les plus durables.

De l'Albanie je vous ai assez parlé, mais je répète et je déclare de n'avoir aucune prétention, aucune arrière pensée sur l'Albanie, je répète que je ne veux ni d'Albanie, ni d'albanais. Je suis prét à garantir avec l'Italie l'intégrité, la liberté, ,I'indépendance de l'Albanie dans la manière la plus ampie que l'Italie puisse prétendre méme en faisant entrer une troisième grande Puissance (Angleterre) dans notre engagement.

La formule adoptée avec et pour la Belgique serait considérée idéale pour l'Albanie.

En général je crois que nous sommes d'accord avec l'Italie -je peux ajouter que la Bulgarie, Roumanie, me suivraient, QUe l'Angleterre m'a fait savoir par la bouche de son Ministre qu'elle verrait avec satisfaction l'accord avec l'Italie, et l'éloignement de la France, que les personnag.es Je plus en vue en Yougoslavie sont tous favorables à cet accord.

Il me semble que j'ai tout dit -allez voir M. Mussolini assurez-le de ma part de ma meilleure bonne volonté et de ma confiance en lui. Mais je vous prie de lui dire de ma part que je le supplie de prendre la chose d.ans ses propres mains -assez avec les intermédiaires.

Quando sono uscito ho incontrato il Principe Paolo che prendendomi le mani con effusione mi ha detto: So che lei lavora molto bene per noi, speriamo che abbia successo. Nessuno sarebbe più contento di me che amo tanto il vostro bel paese.

(l) Questo capoverso è citato in HoPTNER, p. 19, dal verbale jugoslavo del colloquio.

(l) Sic, ma con ogni probabilità deve Ieggersi • partirai».

238

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (Archivio Grandi, copia)

T. PER CORRIERE RR. P. 42/18. ' Belgrado, 23 febbraio 1932.

Mi consta che Malagola arrivato qui domenica mattina 21 corrente è ripartito ieri sera per Budapest di dove si recherà al più presto costà. Egli ha avuto qui colloqui con Re Alessandro (1).

Dato quanto il Re mi fece sapere sabarto 20 corrente e da me comunicato privatamente al Barone Indelli poco prima della partenza dell'ultimo corriere, vi è motivo di supporre che Malagola possa fare analoga ambasciata.

Ripeto ad ogni buon fine quanto fu a me detto da parte del Re.

a) Re Alessandro è deciso ad abbandonare ogni alleanza con la Francia (senza peraltro prendere alcun atteggiamento a lei ostile);

b) egli spera che la questione del preventivo assenso jugoslavo al nostro interv•ento in Albania ed ancora non risolta non costituisca ostacolo insormontabiJe all'accordo (debbo peraltro rilevare essere mia impressione che egli cederà assai difficilmente sul punto che ci interessa, preferendo piuttosto rinviare ogni conversazione ad altro momento);

c) egli desidera, se possibdJe, incontrarsi al più presto con S. E. il Capo del Governo; d) attende la risposta di V. E., dopo la chiusura dell'attuale fase delle mie conv·ersazioni con Jeftic. Il Re sembra impaziente di voler arrivare ad un accordo con noi, e forse:

l) per decidere se o no rinnovare entro l'anno il trattato con la Francia che J:o obbliga a pesi militari insostenibili trascinandolo forse in complicazioni internazionali non desiderate;

Il) sicuramente per rafforzare il regime interno, solido e tranquillo alla superficie, ma che cela nel fondo una sorda opposizione che certo sarebbe diminuita se egli potendo annunciare il chiarimento dei rapporti con noi e quindi la pacificazione balcanica, assicurasse l'incremento massimo dei rappol'ti commerciali con l'Italia, insieme ad un largo intervento del capitale italiano;

III) per la situazione dei suoi vicini che egli può riteneve non tranquilla. Se l'agitazione antidinastica in Rumenia, e la agraria comunista in Bulgaria potessero condurre, come egli ripete di temere, a qualche mutamento in quegli Stati, potrebbero verificarsi in Jugoslavia ripercussioni assai poco favovevoli al Regime dittatoriale ed alla Dinastia, quando vi fosse la contemporanea ostiHtà italiana.

(l) Cfr. nn. 234 e 237.

239

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO D'UNGHERIA A ROMA, HORY

Roma, 24 febbraio 1932.

Il Ministro de Hory è venuto a dirmi che dato che tra breve gli accordi Brocchi saranno firmati, egli si augura che Italia, Ungheria ed Austria riescano a concludere al più pr.esto l'accordo doganale, soprattutto per sventare le mene della Francia che sta cercando altre combinazioni doganali nel Sud Est europeo.

Ciò detto, ha aggiunto: « Per concludere l'unione doganale occorreranno certo parecchi mesi, 7 o 8 almeno, gli accordi Brocchi riguardano solo il grano, attualmente in Ungheria tutto il grano è stato venduto, mentre oggi per l'impedimento posto dal Governo italiano alla importazione del bestiame, gli agricoltori ungheresi si trovano in piena miseria. T·enuto presente che la popolazione agricola è la più patriottica, che il Governo si basa molto su di essa, il Governo deve rassicurarla soprattutto per difendere tranquillamente di fronte al Parlamento la poHtica di amicizia per l'Italia •.

Hory ha concluso pregandomi di prospettare a S. E. il Capo del Governo questa situazione speciale, perché si studi la possibilità, in attesa che possa essere realizzata l'unione doganale, di favorire l'esportazione del bestiame ungherese verso l'Italia.

È questo un primo passo di carattere esclusivamente politico che per il momento egli fa, in attesa di interessare più tardi i Ministeri tecnici.

240.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. (P.R.) PER CORRIERE 1294/153. Berlino, 24 febbraio 1932 (per. ore 19,45 del 27).

Telespresso N. 204479/64 del 15 febbraio (1)..

Ancor prima di ricevere il telespresso citato, non appena lessi nelle agenzie telegrafiche della festa data anche quest'anno alla Legazione di Germania a Vienna dal • Deutscher Schulverein Si.idmark •, io espressi la mia

meraviglia al direttore ministeria,le Ki:ipke, ricordandogli le assicurazioni fattemi l'anno scorso. Il Signor Ki:ipke non negò affatto queste assicurazioni e mi assicurò che avrebbe scritto ufficialmente al Signor Rieth.

Oggi, avendo io riportato il discorso su quella festa, mi sono espresso fedelmente in conformità di quanto Ella scrive nel succitato telespl'esso. Ki:ipke ha lamentato che il Signor Rieth, lasciandosi influenzare dal consigliere Clodius, che è un socialista democratico, trasgredendo invece ai consigli da lui

(Ki:ipke) datigli, abbia voluto lasciar passare l'occasione favorevole per troncare una buona volta la consuetudine di questa festa. Ne attende risposta alla lettera che egli scrisse subito dopo il mio rilievo -in ogni modo mi ha promesso, che non mancherà di ripetere i consigli che già gli ha dati in proposito (1).

(l) Cfr. n. 217.

241

L'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 388/191. Madrid, 24 febbraio 1932.

Presentatomi dal comandante Longo, che lo conosce da anni, è venuto oggi a vedermi 'i!l generale in ritiro Barrera, già capitano generale di Catalogna all'epoca della visita di S. M. il Re in !spagna. Trattasi di una personalità delPantico regime, assai conosciuta per la sua rettitudine, intelligenza e grande energia. Egli mi parlò in tutta libertà e, secondo [a sua espressione, da • gentiluomo a gentiluomo •. Riassumo qui appresso le sue principali dichiarazioni:

Sono notori la debolezza, la mancanza di energia degli attuali governanti di Spagna, come la loro incompetenza, il loro vuoto dottrinarismo, parolaio e settario, come infine il Hvello estremamente basso della grande maggioranza dei deputati. Il pericolo comunista-anarchico (mio rapporto riservatissimo

N. 196!94 del 27 gennaio scorso) (2) si avanza a grandi passi: il paese è in piena disgregazione. Prima impellente necessità attuale è il mantenimento dell'ordine ad ogni costo ~e l'imposizione di una fol'te disciplina, senza di che l'avvenire si presenta tristissimo e pericoloso non solo per la Spagna, ma per tutta Europa: solo l'Italia sta, a questo riguardo, in una torre di bronzo, per merito del grande statista che la governa e del Fascismo. Egli e parecchi suoi amici, sono a capo di una organizzazione che recluta i suoi membri principalmente fra la gran massa degli ex-ufficiali, la quale si propone di opporre una salda barriera alla marea rossa che monta, per poi portare al Governo chi l'ordine e la disciplina sappia imporre e mantenere. Detta organizzazione ha già molti aderenti anche nella Guardia civile, l'ex comandante della quale generale Sanjurjo (mio rapporto N. 303/149 del 12 corrente) era pure un simpatizzante, ma al momento di agire non seppe decidersi, titubò:

l'attuale capo, generale Cabanellas, (nùo rapporto N. 351/175 del 18 corrente) è uomo di azione ed energia, ma ancora rappresenta un'incognita per l'organizzazione. Questa che già aveva la Quasi certezza della neutralità della Guardia civile per ventiquattr'ore -e ciò sarebbe bastato -avrebbe già forse potuto agire, ma preferisce consolidarsi e perfezionarsi per esser certa del risultato; senza di che la situazione peggiorerebbe. Quindi si attende e si lavora in silenzio pur sapendo che i capi sono sorvegliati da vicino dal Governo. L'organizzazione in parola non potrebbe contare sulle guarnigioni militari di Madrid e di Barcellona, mal sicure, ma avrebbe forti propaggini nel nord della Spagna.

Fervente ammiratore del Duce e del Fascismo, il generale Barrera mi ha chiesto solo libri ed opuscoli (in francese o spagnolo) illustranti l'organizzazione dello Stato fascista e specialmente ,la storia della rivoluzione fascista per studiarne ed approfondirne i metodi. Egli si è dichiarato monarchico convinto, ma l'organizzazione si propone ora solo, come si disse, di portare al Governo uomini che si oppongano con energia al bolscevismo e ristaurino l'ordine: il paese deciderà in un secondo tempo quale regime darsi.

Nulla di specialmente nuovo mi rivelò il generale Barrera, solo ebbi conferma delle simpatie, di cui già ero al corrente, che per un eventuale colpo di mano militare nutrono tanto il genera1e Sanjurjo che il generale Goded, attuale capo di Stato maggiore dell'esercito.

Data la delicatezza dell'argomento, • stetti ad ascoltare • Quanto il generale Barrera credette di espormi mantenendomi nella più grande riserva. Ora pur volendo consideral'e con qualche riserva l'importanza reale dell'organizzazione militare di cui parla il generale Barrera, non vi ha dubbio che essa esista e che progredisca. Il prossimo avvenire può riservarci delle sorprese. Il malcontento nel paese è diffusissimo, il pericolo bolscevico è denunciato giornalmente dalla stampa e non solo di destra:: l'interessamento per l'organizzazione dello Stato fascista è da Qualche settimana vivissimo; ho ricevuto ripetute richieste di opuscoli e di libri, tanto che ne dovetti richiedere anche al Ministero delle Corporazioni.

(l)Il doc. fu ristrasmesso a Vienna • con riferimento al telespresso della R. Legazione in Vienna n. 482/464 del 6 febbraio u.s. », che non si pubblica.

(2) Cfr. n. 200, allegato.

242

IL GENERALE PARIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (Archivio Grandi)

L. P. Tirana, 24 febbraio 1932.

Dopo le due mie lettere precedenti (l) ritengo opportuno concludere con questa, che tiene anche conto dei primi effetti della risposta alla nota (2). Il recente incidente ha mostrato anche ai più ciechi l'indispensabilità

dell'aiuto italiano per la vita albanese.

Naturalmente non sono mancate le persone che ne hanno approfittato, per mettere in evidenza che l'Albania si è posta su una strada che· la porta ana dipendenza sostanziale da noi, e per sostenere l'esistenza di nostri piani... ultramachiavellici.

La risposta alla nota è valsa a ridare un senso di tranquillità, che faciliterà la ripresa del proficuo lavoro.

Ritengo però mio dovere ripertere che la nostra azione procederà sempre faticosamente, se non fisseremo nettamente lo scopo che vogliamo raggiungere, i mezzi che vogliamo impiegare e, possibilmente, anche Ja via da seguire.

Come ho riferito ufficialmente, il Re, leggendo la risposta alla nota rimase impr·essionato dalla freddezza che da essa traspariva e dalla indeterminatezza degli impegni da parte nostra.

Parlandomi confidenzialmente, mi disse che la risposta non conteneva alcun accenno all'alleanza (che nella nota (l) egli poneva a base della sua azione, considerandola di vitale necessità per l'Albania) mentre invece faceva allusione a convenz,ioni internazionali aJle quali l'Albania non aveva partecipato.

Aggiunse che il tono freddo della risposta ed il fatto che essa non dava alcuna garanzia per Ja moratoria S.V.E.A., non gli consentivano di poter fissare il nuovo bilancio prima di avere ulteriori affidamenti sull'aiuto italiano.

Gli feci considerare che la risposta alla nota doveva forzatamente essere fredda, data l'impr.essione che il suo contegno aveva destato a Roma.

Circa l'allusione alle convenzioni internazionali, gli dissi che essa, secondo me, era la naturale risposta al mancato rinnovo del Patto di Tirana, atto questo che poteva essere apparso a Roma anche di poca fiducia nella lealtà del Governo italiano.

Aggiunsi che, per quanto si riferiva all'assistenza finanziaria dell'Italia,

egli non aveva che da attendere il colloquio col Ministro Soragna, dal quale

avrebbe certamente avuto i necessari chiarimenti.

Approfittai per parlargli chiaramente, direi quasi rudemente, del suo con

tegno verso noi e riportai l'impressione di averlo sufficientemente colpito. Ma

ciò ha scarso valore. Quello che secondo me è importante è che si sia ripresa

l'azione, in merito alla quale mi permetto di rappresentare le mie idee

conclusive.

Nelle mie precedenti ho ridotto a tre i possibili scopi da perseguire e le relative linee d'azione: alleanza, oTganizzazione, penetTazione.

Oggi vorrei completare quanto già ebbi a dirLe, con alcune considerazioni che ritengo utile siano tenute in evidenza, qualunque sia la linea o le linee che si vorranno seguire.

l') -Per conto mio ho suggerito la via dell'alleanza con sostegno organizzativo. Per questa poco vi sarebbe da cambiare nella sostanza. Si dovrebbe solo riesaminare e ritoccare la nostra organizzazione, per renderla migliore, più compatta e facente capo ad un'unica direzione. Converrebbe ridurre il numero degli organizzatori a vantaggio della qualità (v'è qui parecchia gente che rende poco o nulla).

2°) -Se si volesse mettere in prima linea L'organizzazione e tenere l'alleanza come semplice appoggio (a parte la considerazione relativa alla convenienza o meno di fare tale ,esperimento, difficile e che richiederebbe maggiori spese) si renderebbe ancora più necessaria ed urgente J.'attuazione di quanto ho detto al numero precedente, specie nei riguardi dell'unicità di direzione.

Forse questa soluzione potrebbe essere adottata nel caso in cui la complessa visione politica italiana la l'endesse necessaria, in relazione alla questione dei mandati: confesso però che, per conto mio, non vedo la soluzione facile nè proporzionata allo sforzo che richiederebbe.

3°) -Qualora volessimo cedere il primo posto ana penetmzione, mi si consenta di affermare che noi saremmo assolutamente fuori strada.

Alleanza ed organizzazione non dovrebbero essere, in tal caso, che semplici veli di copertura. Se si pensava a questa soluzione, perché abbiamo creato un Re, costituito una forza armata a base nazionale e concesso un nuovo prestito di 100 milioni? Ad ogni modo, per attuare la penetrazione occorrerebbe:

a) Lavorare per legare a noi i vari elementi che si mostrano assimilabili. Ciò esige un precedente accurato studio del caotico complesso albanese, nel quaJe, differenze di razza, di religione, di lingua e di tradizioni hanno lasciato sussistere profonde divisioni, alcune delle quali richiederanno molto tempo prima di esse!'e sanate.

Solo vivendo lungamente in questo paese si_ ha modo di constatare le divergenze esistenti fra i vari elementi e la reciproca loro diffidenza. Solo riscuotendo la pi,ena fiducia si ha la possibilità di ricevere delicate ed utili confidenze. Ma chiarita la reciproca situazione, non è poi difficile l'azione perché tutti hanno bisogno di aiuto e ciascuno ha proprie aspirazioni.

b) Dare ai nostri organizzatori nette e concrete direttive, essenzialmente in relazione al compito di sviluppare r1uanto può servire per intessere reciproci legami economici, culturali e morali.

c) Portare abilmente al fallimento le iniziative che comunque fossero in contrasto con lo scopo prefissoci. Per far questo occorre naturalmente avere profonda conoscenza di uomini ed ambienti, larghezza di vedute, ricchezza di iniziativa, signorilità e calma, per evitare intempe5,tive reazioni.

La via della penetrazione, essendo quella che esige maggiore lotta, è anche la più gravida di pericoli, e non potrebbe essere svolta che da persone che amano la responsabilità ed il rischio.

Inoltre, essa potrebbe facilmente sboccare in atti rivoluzionari (sia pure a nostro vantaggio) che potrebbero preoccupare qualora determinassero ripercussioni internazionali.

Tutto considerato, è da chiedersi se una politica di penetrazione in questo paese, dove domina la miseria, sarebbe effettivamente utile. La valorizzazione delle scarse risorse locali io l'ho sempre sostenuta al solo scopo di creare vincoli economici e di far aumentare le possibilità finanziarie

di questo paese per rendere, col tempo, meno oneroso il nostro concorso diretto.

Concludendo: per quanto mi sforzi, io non riesco a vedere in Albania altro che un interesse poEtico-militare, realizzabile con l'alleanza politica militare, la quale richiede una proporzionata organizzazione del paese.

La penetrazione io la ridurrei a quel tanto che può essere utile al consolidamento dell'alleanza e della organizzazione, scartando tutto quanto può contrastare il raggiungimento dei due scopi anzidetti.

Questa la mia conclusione. Ad ogni modo, qualunque decisione dovrebbe essere netta, per evitare azioni che, non essendo rispondenti allo scopo da raggiungere, potrebbero, ad ogni momento, compromettere i grandi sacrifici precedentemente compiuti.

Se non vogliamo definire, meglio non perdere altro tempo e mezzi. Ed ho finito: questa, ad ogni modo -caro Grandi -sarà l'ultima mia in argomento, perché testardo non mi dispiace essere, ma noioso no.

(l) -Cfr. nn. 159 e 169. (2) -Cfr. n. 219, allegato.

(l) Nella nota all:>anese sulla quale cfr. p. 260, nota l.

243

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 2941. Roma, 25 febbraio 1932.

Te-lespresso di V. E. del 18 febbraio n. 111/33 (1).

Ho preso conoscenza con molta attenzione delle comunicazioni fattemi dall'E. V. col Suo telespresso surriferito, e sono assai dolente della piega che sta prendendo la nostra situazione religiosa nella Zona del Canale, attraverso le locali interpretazioni che falsano o adulterano le direttive e le intenzioni manifestate dalla Santa Sede in proposito.

Benché avessi ritenuto che le posizioni da noi acquistate nella Zona potessero essere ulteriormente ancora migliorate, avevo desistito tuttavia dal seguire da vicino la questione dopo 1le numerose comunicaz;i0111i della R. rappresentanza in Cairo, che rappresentavano i vantaggi conseguiti come un massimo ottenibile (Vledi per es,empio rapporto di R. Legazione in data 23 aprile ultirr:o n. 214403}, e le int,ese fra la R. rappresentanza medesi~a e le locali autorità ecclesiastiche come molto complete e molto cordiali (sul che esprimevo molte riserve anche con mia lettera particolal'e 13 febbraio 1931 diretta al direttore generale degli Affari Politici di Europa e Levante).

Vedo che purtroppo la situazione è nuovamente incerta e, riferendomi anche a mio telespresso 16 maggio ultimo n. 2176, devo nuovamente confermare all'E. V. come sistemazioni conclusive dei nostri interessi religiosi non possano utilmente essere raggiunte se non attraverso trattative da farsi direttamente in Santa Sede.

Della situazione della Zona del Canale, giusta le istruzioni di V. E., tornerò subito ad occuparmi.

(l) Cfr. n. 224.

244

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 451/170 (1). Tirana, 25 febbraio 1932 (per. il 27).

Giunto Allbania, il giorno susseguente, 18 corrente, feci datare e consegnare a Questo Ministro Affari Esteri la nota (2) come redatta presso codesto Ministero.

Ne mandai anche copia al Re a mezzo Libohova, il quale mi espresse a priori che tono austero e freddo della nota, sebbene inusitato, sarebbe stato digerito, pur con Qualche smorfia; ma che sarebbe stato trovato insufficiente passo relativo alla S.V.E.A.

Giorno dopo, e seguenti, raccolsi impressioni di sollievo sia nei circoli governativi, che, in generale, presso opinione pubblica, in cui si era sparsa tosto, come un lampo, voce che era ~iunta una nota la quale sostanzialmente assicurava continuazione assistenza finanziaria e politica.

Domenica cominciarono -da parte goVIerno e Re, non opinione pubblica giungere voci alQuanto diverse: e cioè, netta sensazione del tono severo della nota; attenzione marcata al comma primo, riguardante i trattati internazionali e specie quelli concernenti gli interessi italiani in Albania. Fra uomini politici non partecipanti governo, notai espressione di soddisfazione di Kotta e suo gruppo, perché nota non menziona Re bensì popolo albanese: nessuno però di questi conosceva testo preciso nota.

Lunedì mattina, fui ricevuto dal Re. Questi ostentatamente sorvolò sul tenore della nota -non cercando di nascondermi che gl1i era andata pooo a genio (il che è naturale) -e puntò sul pratico, chiedendomi delucidazioni circa portata delle assicurazioni contenute nella nota stessa.

Mosso dal desiderio di stabilire un modus vivendi sopportabile, almeno per qualche mese, andai tant'oltre nelle assicurazioni, quanto mi era consentito da istruzioni e da necessità non svalorizzare colle parole il tono della nota scritta. In sostanza Ini adoperai a far comprendere al Re:

0 ) Che gli si concedeva, per il '32-'33, una specie di moratoria morale;

2°) che, trascorso l'anno, e quale si fosse per essere il risultato delle conversazioni coLla S.V.E.A., quegli otto o dieci milioni del '32-'33 non sarebbero stati richiesti bruscamente, in modo da dar un colpo fatale alle finanze albanesi;

3") che la fiducia nella longanimità, nella generosità e negli stessi interessi italiani, era l'unica vera garanzia della vita finanziaria albanese; ché, se domani l'Italia avesse voluto strozzare ,economicamente l'Albania, non erano gli otto o dieci milioni del '32-'33 che avrebbero cambiato radicalmente la situazione.

Dopo un certo scambio di idee, mi parve che il Re si fosse persuaso. Ma tenne consiglio dei Ministri subito dopo la mia udienza, e lì si concretarono le prime vere difficoltà. Infatti, da parte dei Ministri della Giustizia e delle Finanze, in special modo, fu posto nella sua più angusta evidenza il fatto che l'Italia, cona nota, non prendeva alcun 'impegno reale. La posizione dell'Albania per il 1932, di fronte al:la S.V.E.A., rimaneva scoperta fino alla conclusione delle trattative future con Gambino; non esservi nessun impegno perché, se le trattativ~e andavano a monte, non venisse bruscamente chiesto di pagare: giacché gli obblighi del Governo italiano, si limitavano ad una raccomandazione.

Libohova venne a riferirmi quanto precede. Sentito lui e visitati Pandeli Evangjeli e Musa Juka, il desiderio di conseguire qualche mese di respiro e forse di varare qualcuna delle nostre questioni, che si accumulano, nonché la sensazione che un nuovo prolungarsi degli attriti fosse da evitarsi in questo momento, mi spinse fino alla promessa di spedire subito, di mia iniziativa, una seconda breve nota ad Hussein Vrioni, esplicativa del punto considerato incerto. Accludo copia del progetto di tale nota (1). So che a V. E. la cosa sarebbe piaciuta mediocremente. E tuttavia, sotto la mia responsabilità, mi decisi al passo, che avrei poi spiegato e difeso presso V. E.

Combinatolo con Libohova, questi andò a tastar terreno riservatamente. Tornò ieri (lunedì) (2) informandomi che anche le delucidazioni della nota non sarebbero state giudicate sufficienti, perché, sebbene in se stesse più precise, erano attaccate, come le ben più secche della nota di prima, al filo tenuissimo della • raccomandazione •, filo che la semplice volontà del Governo italiano poteva troncare in Qualsiasi momento a proprio beneplacito. Per accontentare il Govemo albanese, cioè indurlo a presentare un bilancio senza i milioni di economie (di cui un cinque 1nciderebbero sul comando della Difesa), occorreva per lo meno una formula di questo tipo: il R. Governo d'Italia assicura il Governo albanese che· non si addiverrà ad alcun pagamento alla

S.V.E.A. -per il '32-'33, e che, alla :fline dell'anno, anche se le trattative colla S.V.E.A. -non avranno sortito un esito favorevole per le annualità susseguenti, l'annual'ità '32-'33 verrebbe vipartita in tante parti, libere da ogni interesse di mora, da pagarsi in tante rate annuali auanti sono gli anni rimasti di ammortamento del prestito.

Iersera, dopo aver ben pensato, credetti preferibi1e andare da Libohova a dirgli che io non mi sentivo autorizzato ad addivenire a precisazioni cosi straniere -se non alle intenzioni -per lo meno allo spirito largo, generico, paterno e non gretto, contabile, aritmetico della nota italiana. E gli tenni un discorso perché lo riferisse oggi al Re, di questo tenore.

l") L'insistenza a voler miniare dettagli era, secondo me, un grande errore, specie dopo le assicurazioni precise che gli avevo dato verbalmente, che J.' Albania poteva confidare, come sempre, sull'intervento decisivo :e salvatore del R. Governo. Errore psicologico, perché costituiva una nuova offesa per

il nostro Governo ed il suo Capo, presupponendogli mire recondite e subdole, volontà di bisticci e di inganni; errore contabile, perché se, ad un dato momento, avessimo voluto uscir fuori coi crediti, non sarebbero gli otto o dieci milioni del '32-'33 che ci avrebbero imbarazzato.

2°) A quel proposito, gli dissi di ricordare al Re che la moratoria, non essendo stata eseguita, anzi ·essendo stata violata senza una ragione, senza un avviso, senza una spiegazione, senza nemmeno la lustra della messa in bilancio preventivo delle somme, io ritenevo che i milioni del '32-'33 non erano che una parte di quanto avrebbe potuto chiedere all'improvviso la S.V.E.A.

3°) Gli dissi pure di far presente a Sua Maestà che l'accantonamento in bilancio di molti milioni per pagare la S.V.E.A., se fatto senza il nostro consenso e senza che la Società lo esigesse, mi sembrava ragione sufficiente per sospendere da parte nostra la corvesponsione in tutto o in parte del prestito 1931 -subordinato, com'è noto, alla condizione che il capitolo delle spese non venisse trasformato, senza un nostro beneplacito e senza necessità, pur entro la somma consolidata del bilancio preventivo del 1931. Tanto di più di spesa inutile, tanto di meno di prestito: quindi, se l'Albania avesse esportato otto milioni, diciamo, di franchi oro, a questi se ne potevano aggiung·ere almeno altri otto milioni che non sarebbero entrati. E la bilancia dei pagamenti?

4°) Gli dissi di far presente al Re che io non ignoravo a quali terribili pericoli la diminuzione del bilancio di un terzo esponeva il paese ed il regime: forse tremila impiegati sul lastrico! e gli ufficiali licenziati? e la caduta del credito? e la stabilità della moneta? Il paese avrebbe dovuto ricadere di colpo nel tenore di vita di dieci anni fa. Era ciò oggi possibile?

5°) Esortasse quindi, a nome mio, per un'ultima volta il Re a dare un ordine ai suoi Ministri, a mutare i recaldtranti, e fidarsi del nostro buon volere -al di fuori degli scritti e deUe cifre. Per conto mio, avrei dovuto, com'è naturale, informare subito il mio Ministero.

Lontano, come sempre, da ogni v·elleità di ultimatum o di minacce, non escludevo che il R. Governo, specialmente S. E. Grandi ed il Capo del Governo, potessero, forse, ancora una volta, arrendersi ai miei ormai fastidiosi ed imbarazzanti buoni uffici. Ma gli potevo garantire che ciò non avrebbe potuto non lasciare una nuova ragione di irritazione negli animi; era insomma una misura che, da buon amico dell'Albania, compivo a forza, per dovere d'ufficio.

Le cose stanno per ora così. Stasera mi assicurerò che il Re abbia ricevuto iJ mio messaggio, e considererò l'opportunità di chiedere altra udienza. E tuttavia, i ricordi poco ielici di tre mesi fa, mi distolgono dal rinnovare insistenze, o dal proseguire, se non invitato, negoziati che qui sono interpretati come desiderio di pace e paura, e quindi rinsaldano nelle pretese. Ad interessare i Ministri, rinuncio pure. Il Presidente del Consigilo, come rimbambito e colpito da afasia quando parla cogli stranieri, non sa che stringermi la mano e dirmi che è amareggiato; Musa Juka, è uomo da altri servizi che

non siano questi di grande politica, impastoiato poi com'è dalle taglie dei suoi rubamenti; Hussein Vrioni, senza talento e senza energia, non apre bocca; Izet Dibra non parla che l'albanese, per dire che non c'entra; Tutulani è un omuncolo, una donnola spaurita; Kareço, una vipera che ci odia quanto odia il Re, a cui suggerisce con voluttà dubbi e paure. Meglio è, la Hnea di condotta che vogliamo seguire, presceglierla senza altre discussioni.

* * *

Di fronte al problema vi sono tre alternative.

0 ) Rifiutare ulteriori impegni scritti, ponendo gli albanesi in dimora o di accettare le nostre assicurazioni verbali e confidarsi della nostra bontà, o di procedel'e a quelle misure budgetarie che loro faranno piacere, disinteressandoci dei danni che possano addivenire all'amministrazione ed all'esercito. Questo rifiuto, si comprende, può assumere tanto una forma brusca quanto quella della tergiversazione cortese.

Che faranno in tal caso il Re ed il Governo albanese? Io inclinerei a credere che il Re, mostrando di voler addossare ai suoi Ministri la l'esponsabilità dei guai, li porterà a dichiarargli che è forse meglio accontentarsi delle benevoli assicurazioni italiane, piuttosto che fare un salto nel buio. Nel qual caso l'avremmo vinta completamente. Logicamente, sarebbe l'unica soluzione, a giudicare dalla situazione.

Ma non posso escludere affatto che, nessuno decidendosi a mollare per il primo, pur avendone volontà, prevalgano, se pure a metà, consigli di malevoli interessati albanesi ed anche stranieri. Si potrebbe Quindi veder comparire alla camera il sublime budget del sacrificio patriottico, un budget stillante lagrime e sangue, in cui, caratteristica principale, i fondi della Difesa Nazionale saranno ridotti da dieci a cinque per lo meno; e, in mezzo ai malcontento generale, potrebbe anche darsi che si tentasse qualche inizio di pagamento.

In questo caso, è impossibile prevedere gli sviluppi interni della situazione. Può darsi, anzi è probabile che il regime abbia modo e possibilità ancora di rifare la pace con noi e la S.V.E.A., mollando all'ultimo momento le economie. Ma è da tener conto della sua impopolarità; pullulano nemici acerrimi, la miseria è cattiva consigliera; gli ufficiali probabilmente penserebbero ai casi loro. Re Zog dovrebbe ben misurare i tremendi pericoli personali che incombono a lui ed ai suoi in caso di crisi. Ma confesso che io non mi sento capace di scrutare l'animo di questo tubercolotico coronato.

In definitiva: la risoluzione per o contro questa alternativa dipende dalla situazione politica internazionale, la quale soltanto può fornire a V. E. gli elementi alla decisione. Ripeto che, probabilmente, ed al giudizio di molti, il Governo, messo al punto, non si sentirà di ridurre il bilancio; oppure lo ridurrà, poi non attuerà lte riduzioni, se non in piccola parte ed inizialmente e noi potremmo avere, se pure attraverso fluttuazioni ed emozioni, partita vinta, con grande vantaggio del nostro prestigio: sarebbe la prima volta che abbiamo partita vinta cogli albanesi, da anni. Però, non si può prendere questa

strada, se non preparati a possibili scandali, alla eventualità che il problema albanese venga ricordato in modo seccante all'attenzione dell'Europa, ed anche a qualche disordine in Albania. Se il momento internazionale non è riputato propizio, conviene andar cauti nel prenderla. È, purtroppo, il solito ricatto automatico che ci pone, ad ogni momento di decisione, questo pa,ese mjale augurato; e che continuerà a porci in modo sempre preoccupante, in avvenire, a mo' di quei cinesi classici che, per turbare i sonni del nemico, s'andavano a svenave sulla sua porta.

2°) Darmi facoltà di concedere maggiori impegni scritti, strettamente compresi nella cerchia dei desiderati albanesi che ho sopra esposto relativi alla annualità '32-'33 dell'esercizio S.V.E.A. Prego V. E., ove ritenga che non sia, per ora, il momento di adottare· altra linea di condotta, di tener pr·esente che in tal caso conviene accettar subito di compilare qualcosa conforme ai detti desiderati, perché il tentare soluzioni parziali condurrebbe a nuovi negoziati, ormai indegni di noi, con conseguenti capitolazioni o ritorno all'alternativa numero l.

3°) Provocare dal Governo Albanese la chiamata immediata di Gambino e l'inizio delle trattative. È soluzione che a prima vista non par cattiva, ma che non lascia di presentare molti inconvenienti. Temo nelle conclusioni abborracciate, se Gambino affronta in pieno l'intero problema; ma temo, ancor più negli strilli, negli sdegni, nelle minacce di rottura quando Gambino, come deve, comincerà presentando il conto complessivo, da cui occorre partire per far calcoli e trattati. Non che io mi illuda che non ci saranno tragedie, quando si discuterà, come era stato stabilito, nell'annata in corso; ma io avrei voluto staccare nettament•e questa nuova tragedia dalla storia del non rinnovo del Patto, mediante un periodo di un paio di mesi di pace fittizia; e, soprattutto, ho ragione di pensare che V. E. avrebbe avuto caro di ritardare di qualche mese le discussioni per una sistemazione finanziaria coll'Albania, discussioni che, di qualsivoglia natura sia il loro esito, non mancheranno di avere importanti conseguenze.

Temo insomma, che la venuta di Gambino, in Questo momento non conduca

o ad una sistemazione abborracciata, o ad una rottura analoga a quella prevista all'alternativa numero l, ma fatta più pulsante, più ardente e più popolare, dalla battaglia, dalla magnitudine delle cifre discusse, dalla questione dei pegni, e delle dogane, dalla presenza stessa del rappresentante della

S.V.E.A. sul campo.

Prego V. E. di volermi inviare istruzioni, le più sollecite che crederà di pot.ere e volere, per accorciare questo periodo di tensione e di attesa. Soprattutto, ove prevalga l'opinione che sia da scartare in Questo momento l'alternativa N. l, occorre prevenire Qualche movimento albanese che iniziasse apertamente la riduzione del budget: perché, se gli albanesi ci prevenissero con misura del genere (che bene inteso cercherò di far procrastinare), la nostra accettazione dei loro desiderati assumerebbe un aspetto poco decoroso, perché sembrerebbe fatta sotto la pressione dei loro provvedimenti, ed indebolirebbe per molto tempo la nostra posizione diplomatica quaggiù.

(l) -A margine annotazione: c All'Ufficio Albania (dall'Ufficio Cifra che considera il presente come rapporto). 27 febbraio 1932 •· (2) -Cfr. n. 219, allegato. (l) -L'allegato, datato Tirana 19 febbraio 1932, non si pubblica. (2) -Sic, ma forse è martedì.
245

IL CONSOLE GENERALE A COLONIA, BARDUZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 2409/182. Colonia, 25 febbraio 1932.

Mi onoro di portare a conoscenza di V. E. che al primo borgomastro di Colonia Dott. Adenauer, che manifesta sempre vivo interesse per la conoscenza dei risultati raggiunti dal Fascismo in Italia, ho passato in lettura il libro di Tommaso Sillani sullo Stato mussoliniano.

Il Dott. Adenauer, dopo la lettura, mi ha risposto colla lettera di cui unisco copia.

ALLEGATO

ADENAUER A BARDUZZI (Traduzione)

Colonia, 30 gennaio 1932.

Le rendo, qui allegato, il libro ch'Ella gentilmente mi ha imprestato • L'Etat Mussolinien • coi migliori ringraziamenti. La lettura del libro mi ha fatto molta impressione. M'auguro che nel popolo si diffonda largamente la cognizione del-_ l'opera di ricostruzione fatta dall'Italia.

246

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, ALL'INCARICATO DEGLI AFFARI D'ALBANIA, LOJACONO

L. P. Tirana, 25 febbraio 1932.

Vedi i miei rapporti odierni (1), sugli effetti della nota nostra e sulle ulteriori richieste albanesi, con cortese urgenza. Ti confermo, più chiaramente che non faccia nei detti rapporti, il mio parere:

l) Se teniamo duro, c'è 1'85% che la spuntiamo senza inconvenienti; ma c'è il 15% che inconvenienti possano nascere. Quindi, io sono d'avviso che convenga tener duro soltanto se la situazione internazionalie ci permette di affrontare serenamente un periodo movimentato albanese. Per il piacere di vincerla subito, non anticipiamo il momento della riscossa, se speriamo di poterlo fare a colpo più sicuro ulteriormente.

2) Se invece acconsentiamo alla richiesta albanese, è meglio farlo subito, senza altri negozdati. In sostanza è una mora,toria speciale per l'annualità '32-'33. Inutile mezze misure: gli albanesi hanno visto benissimo che noi non volevamo

prendere un impegno preciso. Basta loro un verbo: garantiamo invece che quello di raccomandiamo. Se noi non crediamo opportuno oggi scendere sul terreno del n. l bisogna adottare senza ambagi il terreno del 2.

3) Io non sono favorevole alla immediata venuta di Gambino. Disegni di largo fiato, come sono quelli riguardanti il futuro del servizio prestiti, non vanno fatti ora, ma più tardi, separati dall'incidente del mancato rinnovo da un • jato • di qualche mese.

Ti ricordi, che io ho presentito che sull'affare SVEA avremmo avuto difficoltà, e che volevo fin d'allora mettere una frase più precisa? È vero che neppure quema sarebbe bastata.

Il sospetto albanese verso di noi è cresciuto, se possibile, ancora di cento doppi.

P. S. Fa in modo che la risposta mi venga al più presto, possibilmente per telegrafo lunedì. Non mi lasciano più r"espirare.

(l) Cfr. n. 244.

247

IL SOTTOSEGRETARIO ALLE COLONIE, LESSONA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 41636. Roma, 26 febbraio 1932.

A seguito di precedente corrispondenza (telespresso di questo R. Ministero N. 40943 del 30 gennaio u.s.) trascrivo il seguente telegramma del 20 corrente, pervenuto dal R. Governo della Somalia, sull'argomento in oggetto:

• Commissione anglo-etiopica ha iniziato movimento per Bohotle. Inglesi stanno scavando pozzi in detta località ed è probabile che non trovandovi acqua sufficiente invieranno carovana ai pozzi di Uarder. Commissione eseguirà con aeroplani rilievi fotografici zone confine da delimitare. Apparecchi g1a arrivati a Burao, si trasferiranno più avanti e forse a Bohotle appena possibile. Prego comunicare S. E. Governatore Rava •.

La eventualità prospettata di una spinta fino a Uarder, per la ricerca dell'acqua, fa sorgere il dubbio che gli scopi siano effettivamente diversi, e tali da porsi in rapporto con i futuri negoziati per la delimitazione del confine Abissinia-Somalia: tanto più che acqua potabUe, secondo sicure informazioni, troverebbesi a Las Anod, in territorio inglese, a pochi chilometri, nei confronti di Uarder, dal posto ove ora si svolgono i lavori della Commissione.

Ho richiamato l'attenzione del Governo della Somalia sul dubbio ora accennato; e gli ho raccomanda,to di tener presenti le istruzioni già dategli con telegramma 3671 del 23 giugno u.s. (inviato per conoscenza a codesto R. Ministero con telespvesso N. 45099 del 26 successivo): cioè, che i nostri pastori armati, ivi, come è noto, collocati da tempo, mantengano le loro posizioni di fronte a qualsiasi eventualità, fermamente e con la massima disciplina.

248

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (Archivio Grandi, copia)

Ginevra, 27 febbraio 1932.

Un breve sunto di queste quattro giornate, che la cronaca giornalistica delusa per la mancata drammaticità che l'interesse professionale attendeva, ha rappresentato come sbiadite e poco importanti. Lo sono state viceversa e di una laboriosità straordinaria.

Tardieu è arrivato mercoledì da Parigi deciso a riguadagnare all'inizio di questa seconda fase procedurale della Conferenza una parte del terreno perduto durante la discussione generale. In questo campo, che è puramente parlamentare, l'abilità dei francesi è veramente diabolica. Scopo francese è di fare gravitare, sin dal primo giorno, le discussioni unicamente sul loro progetto della sicurezza, for:z;a internazionale ecc. ecc., trasformando la Conferenza del Disarmo in una confer,enza di carattere esclusivamente societario sulla riforma del Patto, sanzioni, definizione di aggressore ecc. ecc. e giungendo così a subordinare ogni discussione in materia di disarmo all'esito di questo dibattito. L'antica t,esi, insomma: prima sicurezza, poi disarmo, contrapposta alla nostra: disarmo prima, sicurezza poi. Per questo Tardieu ha cominciato col domandare la costituzione di due Commissioni, una politica, l'altra militare, incaricata la prima di esaminare il progetto di sicurezza francese, la seconda di studiare ,i progetti presentati dalle altre Delegazioni relativi al disarmo. Italiani, inglesi, americani, tedeschi si sono opposti. Tardieu ha ceduto ed ha finito coll'accettare come base di discussione il solo progetto di convenzione 'elaborato dalla Commissione preparatoria. Simon è stato incaricato di portare la proposta alla Commissione generale. Qui lo spagnuolo Madariaga, per evidente mandato della Francia, ha cercato con mossa improvvisa d'utilizzar,e alcune parti della proposta sovietica sul disarmo totale per introdurre nella proposta Simon, accettata preventivamente da tutti (Litvinoff compreso) un inciso tendente a far risaltare la necessità di risolvere preliminarmente la questione della sicur,ezza. Simon e Nadolny (capo della Delegazione tedesca), presi alla sprovvista, non hanno ,capi,to la portata della modifica. Io ho domandato la sospensione della seduta per dieci minuti, durante i quali ho potuto richiamare l'attenzione di Simon e Nadolny sui pericoli insiti nell'emendamento spagnuolo. Tardieu è allora intervenuto direttamente appoggiando lo spagnuolo. La seduta è stata rinviata al pomeriggio.

E nel pomeriggio l'emendamento spagnuolo è stato respinto. La proposta Simon è passata senza modifiche.

Si è venuti quindi alla nomina delle Commissioni. Anche qui Tardieu ha cercato di riprendere il mazzo delle carte in mano, cercando di mercanteggiare la nomina di una sotto-commissione politica coll'opporsi alla nomina delle quattro sotto-commissioni (militare, navale, aerea, bilancio) richieste da Italia, Inghilterra, America. Tardieu ha insistito su un diverso criterio di distribuzione di lavoro nelle Commissioni, domandando cioè invece di quattro

la nomina di due Commissioni incaricate semplioemente di studiare la questione degli effettivi e auella del materiale. I miei colleghi militari, ed in particolar modo il Gen. Gazzera, hanno considerato e considerano la divisione nelle quattro Commissioni dell'esercito, della marina, dell'aria, ecc., come avente un interesse straordinario per noi. Io non sono del loro parere anzi debbo dire che sono stato e rimango del parere contrario. Ho creduto di non oppormi tuttavia al loro desiderio su questa decisione di procedura, ma poiché tutto si paga, ,così ho dovuto a mia volta mercanteggiare coi francesi la nomina di queste quattro benedette Commissioni, dichiarando che non avrei fatto obiezioni alla nomina della quinta Commissione, quella politica. Simon si è trovato egli pure nelle stesse condizioni. I Ministri della Guerra, della Marina, dell'Aria della Gran Bretagna, dell'Italia ed in genere dei paesi che hanno tre distinti Ministeri delle forze armate, ci tengono •in modo straordinario, ed oso dire eccessivo, a mantenere queste distinzioni di competenza anche in seno alle Delegazioni a Ginevra e nei lavori in genere della Conferenza! Su questo punto Tardieu ha potuto utilizzare l'esistenza di un solo dicastero delle forze armate. Da Roma i miei coUeghi mi fanno sapere che sono felicissimi sia andata così. E sta bene ... (1).

La discussione di ieri nell'ufficio di Presidenza ha indicato chiaramente che nei prossimi giorni i francesi torneranno all'attacco, sempre nel campo della procedura, per precostituirsi qualche nuovo vantaggio, sempre allo scopo di isolare il loro progetto da tutto il resto della discussione sul disarmo, e prepararsi così l'alibi facile per far ricadere su di noi, inglesi, americani e tedeschi, la responsabilità del fallimento (fallimento suL quaLe non vi è aLcuno che non sia persuaso già a quest'ora) della Conferenza. Nella riunione dell'ufficio di Presidenza ho domandato da parte mia che il progetto di disarmo qualitativo proposto dall'Italia abbia la precedenza sugli altri. È zavorra che ho messo avanti, per spenderla al momento occorrente. Martedì la discussione si riprenderà.

In queste condizioni ho ritenuto necessario rinunciare al mio ritorno che speravo potesse effettuarsi stasera. Non voglio disertare la seduta di martedì. Simon e Gibson (l'americano), che avevano essi pure in progetto d'andarsene, per tornare giovedì per l'Assemblea, vimangono egualmente. Se me ne andassi stasera alla vigilia d'un possibile attacco, chissà quanti pettegolezzi sciocchi. Essi fiorirebbero come funghi in quest'ambiente pestifero, dove si è veri

(esercito, marina, aeronautica) la discussione sia condotta in modo da fare effettuare l'esame qualitativo dei mezzi di guerra in relazione alle loro caratteristiche idoneità offensive o difensive, in modo che il nostro principio di base rimanga immutato. Il desiderato disarmo ne scaturirà naturalmente, senza bisogno di confronti tra gli Stati, senza bisogno di controlli inammissibili •. Jl

Grandi scrisse a Gazzera il 27 febbraio (ibid.): « Le cose sono andate come desideravi tu ed i camerati Sirianni e Balbo... Tu hai tenuto in modo particolare che io mettessi in rilievo (e giustamente) nelle mie dichiarazioni all'Assemblea, che le proposte italiane costituiscono un " piano organico"· Seguendo tuttavia il metodo della divisione, chiamerò di "competenza ministeriale" noi abbiamo alquanto indebolito questo principio il quale altro poi non era se non l'applicazione di un altro principio al quale la nostra politica in materia di disarmo si è sempre inspirata, e che il Capo del Governo ha fissato nel suo discorso del '28 al Senato, cioè l'" interdipendenza degli armamenti"·

È evidente che noi saremo costretti c.d affrontare la discussione delle nostre proposte avendo noi stessi contribuito a spezzettarle ed isolarle nelle tre singole commissioni dell'esercito, della marina, dell'aria mentre avremmo potuto mantenere il loro blocco ove la discussione fosse avvenuta nell'unica Commissione " Materiale " •.

ficata, in occasione della conferenza del disarmo, una calata organizzata d'antifascisti. Tu avrai già visto le pubblicazioni del Salvemini, del Trentin, e le altre anonime relative alla nostra Milizia. Queste pubblicazioni sono distribuite in gran copia nell'ambiente e ciò mi dà un grande piacere, perché costituiscono una risposta della vecchia regola infallibile, quella cioè che misura l'efficacia della propria azione dalla reazione del nemico.

Ritengo inoltre la mia presenza qui necessaria per ... ragioni interne. Tu mi hai già domandato se tutto funzionava bene. Io ti ho risposto di sì. Non voglio, a così poca distanza di tempo, contraddirmi. Tutto finirà per funzionare bene ma occorre, caro Presidente, un grande tatto ed una grande pazienza.

Tardieu, prima di partire per Parigi, mi ha invitato ad un nuovo colloquio, allo scopo di continuare le conversazioni cominciate due settimane fa sui rapporti italo-francesi (1). :Mi sono schermito con un pretesto qualsiasi. Tardieu ritornerà la prossima settimana. Questo pel caso tu avessi istruzioni da impartirmi su questo punto. Mi permetto al riguardo ricordare che le comunicazioni telefoniche da e per Ginevra sono, assai presumibilmente, controllate non dagli svizzeri soltanto.

Ieri sera il capo della Delegazione tedesca Nadolny mi ha fatto un discorso assai strano. Premesso che non aveva istruzioni di dirmi quello che stava per dirmi, mi ha dichiarato che lo faceva tuttavia molto confidenzialmente e per debito di lealtà. In un colloquio avuto con Tardieu nella giornata di avant'ieri, Tardieu avvebbe detto che, ove la Delegazione tedesca non si fosse mostrata ostile al progetto francese, il Governo francese avrebbe potuto fare qualche conc,essione sulla vitale questione che interessa la Germania ,e cioè l'eguaglianza dei diritti cogli altri Stati (revisione clausole militari dei Trattati). Il rappresentante tedesco ha dichiarato a Tard~eu che in questo caso l'attitudine tedesca sul problema sicurezza sarebbe stata conciliante. Nadolny mi ha aggiunto che la Delegazione tedesca non intende per ora far cosa sgradita ai francesi e giudica-prudente aspettare evitando di scontrarsi con loro. La Delegazione tedesca savebbe inoltre grata alla Delegazione italiana ove questa a sua volta non insistesse troppo sul principio della revisione delle clausole militari, allo scopo di non irritare oltre misura i francesi. Nadolny ha concluso dicendomi che egli mi terrà personalmente al corrente di quanto potesse essere concluso fra le delegazioni francese e tedesca, non nascondendomi che a Berlino sono rinate le speranze per un accordo franco-tedesco, e che il discorso Tardieu alla Camera francese è, per quanto riguarda le' riparazioni, il meno intransigente pronunciato sinora dai passati capi di Governo francesi. Non mi meraviglierei che le fornicazioni franco-tedesche ricominciassero dunque su un terreno assai più positivo che per il passato, e c1oe proprio sul terreno delle riparazioni e del disarmo. È ad ogni modo sintomatico da parte tedesca il desiderio espresso da Nadolny che l'Italia non prenda troppo le difese della Germania.

Lunedì nel pomeriggio avrò una conferenza con Simon e con Gibson per

prendere accordi sulla discussione che si aprirà martedì nella Commissione

generale.

(l) Cfr. quanto aveva scritto a Grandi Gazzera con lettera del 25 febbraio (copia in Archivio Grandi) : « Penso ci convenga perciò insistere che in ciascuna delle tre commissioni

(l) Cfr. n. 211.

249

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (Archivio Grandi, copia)

Ginevra, 27 febbraio 1932.

Allego una lettera simpatica pervenutami dal Sen. Borah (l) che mi prega di ringraziarTi molto per la Tua fotografia.

Allego anche una lettera del camerata Bottai (1), dove egli mi prega di svolgere un' • azione diplomatica adeguata • presso i Governi rappresentati alla prossima Conferenza del lavoro perché appoggtno l'azione che si ripromette di svolgere in quell'occasione la Delegazione italiana. A meno che Tu non mi dia istruzioni in senso contrario, risponderò a Bottai che non ritengo il caso di fare quanto egli domanda. Questa abitudine di mendicare ogni anno l'appoggio delle delegazioni governative perché si oppongano alla solita manovra socialista contro la delegazione operaia italiana alla Conferenza del Lavoro, mi sembra una cosa di così scarso gusto, e non certo adeguata alla nostra dignità di grande potenza.

Desidero da ultimo informarTi che ho seriamente richiamato l'attenzione del Ministro degli Esteri di Turchia e di quello del Portogallo sulla situazione in cui sono v;enuti a trovarsi i nostri cantieri navali per le note difficoltà! sorte in seguito alla caduta della sterlina (2). Il turco non ha escluso la possibilità di compensazioni, a latere, cioè al di fuori della particolare questione dei pagamenti ·in valuta britannica che il Governo turco dichiara non potere pregiudicare data l'entità di altri interessi maggiori (V. debito ottomano ecc.). Il portoghese non ha dato alcun affidamento, di alcun genere, anzi dovrei dire che ha escluso ogni soluzione transattiva. Vi sono questioni qui a Ginevra che stanno a cuore del Governo portoghese e su questo punto ho fatto chiaramente intendere che il Portogallo non mi troverà comodo. Ve ne sono altre di maggior conto, che occorrerebbe, a mio avviso, utilizzare come minaccia di rappresaglia nel campo delle relazioni commerciali, dove, come al solito, la nostra bilancia è passiva. Un serio avvertimento da parte nostra al Portogallo, non sarebbe forse inutile.

Ieri sera Simon è venuto a trovarmi per domandarmi se il Governo italiano aveva difficoltà ad associarsi ad un altro passo a Tokio e Nankino al fine di persuadere i due belligeranti ad una sospensione temporanea delle ostilità. Gli ho risposto naturalmente che non vedevo difficoltà. Vedremo cosa accadrà giovedì all'Assemblea. Ad ogni buon fine ho telegrafato al nostro Ambasciatore a Tokio perché faccia presente al Governo giapponese l'opportunità che esso non dimentichi il mercato italiano nell'acquisto di armi e munizioni. Mi risulta infatti che ufficiali giapponesi incaricati di acquisti straordinari di materiale beUico si trovano a Londra e Parigi.

Oggi Tardieu è tornato a Ginevra.

(l) -Non si pubblica. (2) -Cfr. n. 229.
250

IL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO, GRIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA (Archivio Grandi)

Roma, 27 febbraio 1932.

Riferendomi alla conversazione telefonica di poco fa Ti invio un fascicoletto jugoslavo contenente il rapporto Galli del 12 febbraio (1), un progetto di risposta al rapporto stesso, un appunto che il signor Malagola Cappi ha rimesso a S. E. il Capo del Governo ed il riassunto di una conversazione avuta da Malagola stesso con De Ciutiis (2). Come vedrai tanto l'• ufficiale • quanto l' • ufficioso • hanno camminato molto. Il risultato immediato ed evidente è ·intanto che abbiamo ingenerato nell'animo di Re Alessandro la convinzione che noi ci ripromettiamo di sbarcare quanto prima armati fino ai denti in Albania per restarvi indefinitivamente. Mi sembra quindi che un tempo di arresto sarebbe opportuno, tanto più opportuno se riteniamo esservi la possibilità che la luoe anziché dall'Oriente venga dall'Occidente.

Circa il quale Occidente è venuto questa mattina a vedermi il Marchese Theodoli. Beaumarchais col quale ha pranzato ieri gli ha detto di esser veduce da Parigi ove era stato chiamato a conferire. Al Quai d'Orsay il Tuo discorso ginevrino avrebbe destato una certa apprensione e si sarebbe chiesto al Beaumarchais se era il caso di sospendere l'invio della lettera del signor de Caix (3) (di cui Beaumarchais non conosce il contenuto). Beaumarchais avrebbe risposto: • Voi non conoscete gli italiani. Essi vanno diritti per la !loro strada. Il discorso Grandi non significa né accettazione né non acoettazione della nostra iniziativa di trattare per un accordo •.

Permane quindi nel Quai d'Orsay -secondo quanto Theodoli mi ha riferito aver appreso da Beaumarchais -la stessa intenzione già manifestatagli. Berthelot peraltro non ha avuto finora (fin cioè al momento a cui Beaumarchais si riferisce) la possibilità di parlar·e con Tardieu che pochi minuti, durante i quali sono state confermate le divettive di proseguire nel raggiungimento di una intesa con l'Inghilterra per le riparazioni e di continuare le conversazioni de Caix-Theodoli per l'accordo con l'Italia. Sarebbe stato stabilito che de Caix mandi a Theodoli una prima lettera spiegando il mancato invio dell'attesa comunicazione a causa della crisi ministeriale, comunicazione che sarebbe inviata non appena Tardieu abbia avuto il tempo di mettersi perfettamente al corrente della situazione.

Circa gli accordi commerciali con i tedeschi, francesi e spagnuoli Ti ho riferito che essi potranno essere, salvo imprevisti dell'ultima ora, stipulati nella prossima settimana.

Il l o marzo giungeranno i delegati jugoslavi. Si tratta di giudicare se sia opportuno limitarsi per il momento con loro a discussioni tariffarie o se si debba andare più avanti.

Se non vi fosse altra possibilità che un accordo con Belgrado, io sare1 per spingerei avanti nella via degli accordi economici indipendentemente dai negoziati politici, ma se, come ripeto, vi sono delle possibilità di far • cadere • Belgrado passando per l'Occidente, credo che per il momento convenga segnare il passo anche nei negoziati economici come in quelli politici. Naturalmente, cercando di temporeggiare e senza scoraggiare bruscamente. Ti sarei comunque grato se su questo proposito volessi darci istruzioni.

Da Budapest e Vienna ancora non abbiamo le note lettere (1). Ma pare che per quanto concerne Vienna, ciò dipenda dal fatto che il signor Buresh ha l'influenza (2).

(l) -Cfr. n. 213. (2) -Cfr. nn. 234, 237 e 251. (3) -Cfr. nn. 201 e 258.
251

APPUNTO DELL'ADDETTO AL GABINETTO DEL MINISTRO, DE CIUTIIS, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 27 febbraio 1932.

È venuto stamani a vedermi il sig. Guido Malagola Cappi.

Mi ha detto che egli era stato ricevuto tre giorni fa da S. E. il Capo. del Governo, al quale aveva dato lettura degli appunti da lui presi sui colloqui avuti col Re Alessandro (3).

Richiestogli quale impressione ne avesse riportato S. E. il Capo del Governo, il sig. Malagola mi ha detto che S. E. Mussolini li ha trovati moltd interessanti ed avrebbe anche pronunciato la frase: • Voi mi avere portato tutto quanto occorre per poter addivenire ad un accordo •.

Rispondendo a mia domanda Malagola ha aggiunto che S. E. il Capo del Governo non si era peraltro pronunciato in merito alla insistente richiesta del Re di incontrarsi con Lui, dicendo che occorreva un certo tempo per studiare la cosa e riservandosi di richiamare il Malagola (indirizzo a Roma di Malagola • Hotel Regina •) (4).

252

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA RR. 1353/251. Belgrado, 27 febbraio 1932.

Mio teleposta n. 5774/1701 del 2 ottobre 1931 e telespresso ministeriale

n. 204211/93 del 12 febbraio 1932.

Trasmetto a V. E. una comunicazione inviatami dal R. Console Generale in Zagabria, che riassume l'atteggiamento e l'attività recente dell'elemento dirigente la società d'Assicurazione S.A.V.A. di Zagabria, creatura dell'c Assicurazioni Generali di Trieste •.

Non posso che confermare-l'idea perfettamente espressa dal Comm. Umiltà, che cioè se l'attività del capitale italiano all'estero debba essere apolitica e talvolta coprirsi con un manto nazionale per meglio agire, ed espandersi, non può mai essere arma e sorgente d'anUtalianità come è oggi la S.A.V.A. a Zagabria.

Non è ammissibile, come afferma il Ministero delle Corporazioni con la nota trasmessami da codesto R. Ministero che sia messo il veto all'assunzione di nuovi impiegati per impedire l'infiltrazione di elementi antitaliani. Questa misura conferma anzi lo stato di cose denunziate e ammette implicitamente: l) che il personale della Sava sarebbe altrimenti e per colpa dei divettori, antitaliano; 2) che la società si adatta a subire le loro volontà anche a danno, forse, del lavoro dello stesso rente.

Esiste in atti, inviatomi in visione da V. E. con t. posta n. 215108/472 del 6 maggio 1930, un memoriale riservatissimo della direzione generale delle c Assicurazioni Generali • per il quale V. E. ebbe ad ,esprimermi l'avviso di soprassedere ad una azione energica per vari motivi e di prendere atto delle favorevoli disposizioni che la predetta direzione generale dimostrava • per giungere a modificare, col tempo e gli accorgimenti opportuni lo stato di cose lamentato •.

Da quasi due anni la situazione di fatto invece non solo non è stata\ modificata, benché col mio teleposta n. 3068/1307 (al quarle faccio espresso richiamo) abbia considerato rerrato il punto di vista, contenuto ne'l memoriale accennato, ma è anzi notevolmente peggiorata, fino al punto che l'attività del signor Gamulin e compagni è diventata pericolosa anche ai danni degli interessi della Società.

Dopo questo io mi permetto d'insistere presso V. E. perché le • Assicurazioni Generali • agiscano energicamente nei rispetti della • Sava •.

Tanto dal rapporto unito del Comm. Umiltà, quanto dai rilievi fatti più volte da questa Legazione, si sono dimostrati non del tutto giustificati i timori delle • Assicurazioni Generali • per provvedimenti radicali.

Un uLteriore ritegno potrebbe recare danni tanto maggiori, quanto più protetti e sicuri potranno sentirsi gli indicati direttori ed impiegati.

ALLEGATO.

UMILTÀ A PIETRABISSA (l)

T. POSTA R. 529. Zagabria, 10 febbraio 1932.

Riferimento: N. 2341 B/R in data 29 dicembre 1931. Dato che la situazione della società d'assicurazioni • Sava • (Assicurazioni Generali di Trieste) si è di molto cambiata in questo frattempo, mi pregio di fare

sulla stessa ulteriori considerazioni che dimostrano che le cose sono andate di

male in peggio.

Che il capitale italiano, per penetrare sicuramente in Jugoslavia, per affermarvisi e per mantenervi salde e indisturbate le posizioni raggiunte, abbia bisogno d'essere rigidamente apolitico, operando esclusivamente nel campo degli affari in consonanza con i reali interessi della popolazione, e debba talvolta pure, ove circostanze d'imprescindibile natura lo richiedano, darsi un'etichetta nazionale, è una necessità troppo ovvia, perché valga la pena di soffermarvisi ad illustrarla; ma che, per raggiungere gli scopi sopra accennati, sia necessario che una impresa capitalistica o di previdenza italiana, operante in Jugoslavia, inalberi il vessillo dell'antitalianità ed esageri nelle sue manifestazioni patriottiche jugoslave e addirittura affidi la tutela e l'amministrazione dei suoi interessi ad elementi notoriamente italofobi e aperti e irriducibili dispregiatori del Fascismo, è addirittura troppo concedere.

Quest'è il caso delle Assicurazioni Generali di Trieste, come fondatrici della

• Sava • S.A. d'assicurazioni in Zagabria, che, come questo Consolato Generale ebbe già ripetute volte occasione di segnalare, è il covo dei più arrabbiati odiatori dell'italianità.

L'idea del vero fondatore della • Sava ", del sig. Emanuele Ehrentheil, consigliere di direzione delle Assicurazioni Generali, era di garantire alla nuova compagnia jugoslava tranquillità di lavoro, dandole una veste jugoslava. Tale tranquillità di lavoro avrebbe dovuto poi essere anche garantita in modo fattivo dalle banche partecipanti alla fondazione, che sono: Jugoslavenska Udruzena Banka di Serajevo, Jadransko-Podunavska Banka di Belgrado, le quali detengono il 60 % delle azioni mentre il rimanente 40 % trovasi nelle mani delle Assicurazioni Generali.

L'intendimento delle Generali era, senza dubbio, commercialmente buono, ma poi, sopratutto per opera del sig. Niko Gamulin, anche attualmente primo direttore della • Sava •, appoggiato prima dall'ex ministro dott. Stanko Sverljuga, quale presidente della compagnia, e poi dall'attuale presidente sig. dott. Sumanovic, tale intendimento, frutto di preoccupazioni di carattere politico, diede adito a pochi interessati d'instaurare tutto un sistema, che ha per lontano obiettivo di rendere la • Sava • completamente indipendente dalla Casa Madre, agitando tutti i giorni e tutte le ore la questione politica, per far vedere che la compagnia non

è mai abbastanza jugoslava.

Che tali preoccupazioni, messe continuamente sotto gli occhi dei dirigenti le Assicurazioni Generali di Trieste, non siano basate che parzialissimamente su fatti reali e servano invece a celare altri interessi d'indole privata personale, è dimostrato dal fatto che la Riunione Adriatica di Sicurtà, la quale continua a lavorare in Jugoslavia col suo nome (tradotto soltanto in serbo-croato), non sembra avere al riguardo dei suoi interessi e del suo lavoro in Jugoslavia le inquietudini, che mostrano invece le Assicurazioni Generali.

È questa una specialità di quest'ultima compagnia. Ma vi ha di più; nei giornali di qui e specialmente nel quotidiano Jugoslavenski Lloyd è stata spesso attaccata, e a fondo, la • Sava •, mai o quasi mai la • Riunione Adriatica di Sicurtà • il che evidentemente dimostra che gli oscuri interessati, direttamente o per vie traverse, tengono viva, e dentro e fuori della Compagnia, l'agitazione contro il nome italiano e non si peritano di dare in pasto al grosso pubblico cose di casa pur di riuscire nel loro basso intento e di far risaltare il pericolo più grande di quello che è, conseguendo così un rinsaldamento della propria posizione e il benestare ai loro atti interni, che, come si vedrà più sotto, sono diretti contro l'italianità.

Quanto affermato circa il Jugoslavenski Lloyd è basato:

l") sulla circostanza che gli articoli di questo giornale, pur contenendo delle volte grosse inesattezze, non ebbero mai una smentita, e ciò per deliberazione della presidenza della • Sava •.

2•) Sul fatto che il redattore responsabile e autore degli articoli contro il capitale italiano e la mano d'opera straniera, è proprio certo Ivan Malinar, amicissimo del direttore Gamulin, [e del direttore] Dr. Enrico Wollak.

La tendenza spiccatamente antitaliana della • Sava • si accentuò ancor pm dal 1929, cioè da quando il Grand'Uff. Raicevich lasciò il posto di direttore della

• Sava • per andare a coprire quello di rappresentante generale delle Assicurazioni Generali per tutta la Jugoslavia a Belgrado, e venne al suo posto il su nominato direttore Dr. Enrico Wollak, il quale, non possedendo attitudini speciali per fare il direttore e l'organizzatore, pensò di distinguersi e di accaparrarsi la popolarità tra gli impiegati e tra quelli che vivono attorno alla • Sava • e nella • Sava • appoggiando il direttore Gamulin e altri minori nei loro sforzi intesi a cancellare quel carattere italiano che ancora resta alla filiazione jugoslava della più grande compagnia d'assicurazioni europea, e ad imprimere sempre più il carattere nazionalista jugoslavo.

Il Gamulin, che è dalmata, favorisce l'elemento della sua provincia; il Wollak, ebreo, l'elemento ebraico, ma l'uno e l'altro non hanno esitato di scegliere i peggiori soggetti dal punto di vista italiano.

I due attuali direttori della • Sava • hanno una loro contesa personale, attrito inevitabile tra due capi equiparati nei poteri e nelle attribuzioni, ma nella questione dell'antitalianità vanno egregiamente d'accordo, specialmente se si tratta di colpire o l'uno o l'altro dei due italiani che sono addetti alla " Sava •: l'ing. Italo Forti, vice direttore, e il Cav. Alessio Cargnelli, procuratore (1), oppure se si tratta di favorire elementi di qui, noti per la loro italofobia come certo Prof. Vincenzo Gligo, capo-ragioniere, o certo Ladislao Milin, cassiere, o altri ancora, che servono bene le loro mire.

Il personale è tutto reclutato tra i più accalorati nazionalisti jugoslavi o addirittura tra i profughi istriani, i quali, naturalmente, eccellono nelle dimostrazioni antitaliane e fanno parlare di sé la stampa. Impiegati della • Sava • bruciano bandiere italiane sulla piazza di Zagabria, impiegati della • Sava • tengono accesi discorsi contro l'Italia ed il Fascismo, impiegati della • Sava • vanno a rompere le lastre dei negozi italiani e così via. All'indomani della fucilazione di Trieste (6 settembre 1930) tutti gli impiegati della • Sava • portarono ostentivamente il lutto per le vittime della violenza fascista.

Alla • Sava • era impiegato certo Ante Cek, pericoloso agitatore istriano e pars magna dell' • Istria •, società irredentista.

• Il Dott. Alessio Cargnelli, già funzionario delle Assicurazioni Generali, triestino, volontario di guerra, valoroso combattente, venne fin dal 1923, inviato in servizio presso la " Sava " di Zagabria, società di assicurazioni, affiliata delle Generali notoriamente nido di accaniti antitaliani, malgrado la affiliazione e derivazione delle Generali.

Il Cargnelli, per il suo atteggiamento vivacemente vatriottico è stato, dei pochi funzionari italiani della " Sava " colui contro il quale si sono sem;>re appuntate le più vivaci ostilità da parte degli elementi direttivi croati.

Un banale incidente avuto nell'inverno scorso a Zagahria con tal Gligo, dalm!lta slavo, in cui il Cargnelli insultato ha reagito, ha fornito il pretesto per fare arrestare il Cargnelli, per imbastire un processo per violenze, montare perfino una campagna di stampa. La direzione della " Sava " da parte sua non solo ha rinfocolato la campagna, ma ha sospeso il Cargnelli dall'impiego, nel frattempo liberato dal carcere mercé l'interessamento della

R. legazione. Sempre su nostro intervento fu possibile far conservare al Cargnelli nelle more del giudizio penale intentato, lo stipendio.

Vari tentativi fatti per trovare intanto al Cargnelli una sistemazione conveniente altrove nell'ambito delle Generali hanno trovato nelle Generali delle vive resistenze che non sono giustificate da alcun serio elemento in quanto il Cargnelli é persona che ha sempre risposto in servizio e perfettamente utilizzabile...

Il querelante, impiegato della stessa "Sava", ha fatto mettere sotto sequestro lo stipendio che la " Sava " stessa paga tuttora al Cargnelli.

La Direzione delle Generali di Trieste per non avere imbarazzi sembra disinteressarsi un poco della cosa obbiettando che ;n fondo si tratta di un impiegato della " Sava " stessa.

Per poter sanare una situazione che ha dell'assurdo e che anche per il nostro prestigio a Zagabria deve essere onorevolmente sanata con lo scacco assoluto degli elementi slavi e antitaliani spadroneggianti nella " Sava ", impresa oltre tutto in buona parte italiana e che si giova del prestigio del nome delle Generali, sembrerebbe opportuno far interessare al caso la Presidenza Centrale di Trieste delle GenErali ».

Alla • Sava • sono impiegati altri profughi istriani, tra i quali ricordo: Skopi· nic di Lussimpiccolo, Kumdic di Fiume, Velijcic, Toncic di Pisino ed altri ancora. Gli altri sono dalmati, già priviceviciani, ora 1'80 % favorevoli al regime

attuale, solo perché antitaliani.

Alla • Sava • sono impiegati pure agenti della polizia in servizio, come certo Miletich addetto alla spedizione, e certo Hus usciere.

Il cassiere Milin è confidente del comando militare d'Armata, il Signor Vlacich, impiegato, è pure confidente dei circoli militari e della polizia.

Favorevolissimi al governo di Zivkovich sono naturalmente i due direttori, di cui l'uno, il Wollak, ha un alto grado nella massoneria, e l'altro è membro del consiglio direttivo della Jadranska Ztrasa.

La Jadranska Ztrasa tiene già da due anni le sue sedute nei locali della • Sava •. I signori Gligo e Milin (capo ragioniere e cassiere) sono pure soci attivi della Jadranska Ztrasa.

Le Assicurazioni Generali sembrano non solo di non avere interesse ad ostacolare le malefatte dei direttori, che tendono a formarsi uno stato maggiore proprio, dedito in tutto alle loro persone (a tale riguardo Gamulin è più avanti ài Wollak), ma addirittura di favorire tali tendenze.

In Dalmazia il direttore Gamulin, appena venuto alla • Sava •, sostituì i buoni agenti italiani delle • Generali • con i nuovi agenti, reclutati tra le file dei più arrabbiati italofobi, conseguendo una forte diminuzione degli affari a vantaggio di altre compagnie jugoslave.

Il consulente legale della • Sava • è certo dott. Ugo Werk, avvocato noto in tutta la Dalmazia ed anche in Italia per la sua cieca, irriducibile animosità per tutto ciò che è italiano. È un antico denigratore dell'Italia e incominciò a svolgere azione a noi contraria ancora nei suoi giovani anni nella città di Zara ed ora la prosegue a Zagabria e a Belgrado, ove sembra sia persona graditissima presso il Re.

(l) -Allude alle lettere per aprire il negoziato relativo all'accordo doganale. Per le due lettere cfr. n. 260 allegato, e p. 449, nota l. (2) -Annotazione a margine: • S. E. il Ministro ha risposto in data 29 febbraio 1932 ». Cfr. infatti n. 255. (3) -Cfr. nn. 234 e 237. (4) -n verbale jugoslavo di una ulteriore conversazione fra re Alessandro e Malagoh! Cappi, del 13 aprile 1932, è cit. da HoPTNER, p. 20. n testo di Malagola Cappi non si è trovato.

(l) Il doc. fu inviato per conoscenza anche a Galli.

(l) Sul Cargnelli cfr. un appunto ministeriale per Mussolini, senza data ma del 1932:

253

L'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. STRETTAMENTE SEGRETO 896/108-109. Addis Abeba, 29 febbraio 1932, ore 19 (per. ore 5,30 dell'l marzo).

Telegramma ministeriale n. 55 (1).

Richiesta V. E. mi consente riferire per telegrafo mio rapporto su situazione Etiopia che mi preparavo inviare per corriere. Lungi dall'apparire indebolita, situazione Imperatore si dimostra eccellente e sensibilmente più consolidata. Grande programma accentramento poteri si svolge regolarmente e metodicamente, favorito dalla crescente spinta degli elementi e delle idee nazionaliste, dalla meschina mediocrità e pavidezza dei grandi Ras che soli potrebbero contrastarla. Questi ultimi appaiono sempre più proni alla autorità imperiale e sempre più svalutati nel concetto delle masse e dei il.oro stessi seguaci.

L'Imperatore è riuscito abilmente e rapidamente a scompaginare, isolare e esautorare propri avversari; e i vari capi vengano sempre più rinnovati scegliendoli fra elementi giovani fidati e per così dire • modernisti •.

Anche il clero appare sempre più addomesticato e privo d>i ogni velleità di resistenza.

Lo stesso Ras Cassa, che è stato sempre considerato come il pernio di una eventuale nuova situazione, sembra adattarsi a suo agio alle circostanze e non vi è alcuno che gli attribuisca seriamente dei segreti disegni.

Nel suo atteggiamento verso estero, appare evidente la sicurezza e la garanzia da cui Imperatore si sente sostenuto da quando Etiopia è entrata nella S.d.N.

Di tale si·tuazione, imperniata esclusivamente su Imperator·e e su ·elementi giovani a lui fedeli, sempre più esaltati da smisurato orgoglio razza e volontà emanciparsi da ogni tutela, si hanno ogni giorno evidenti segni: nell'atteggiamento sempre più ostile e intransigente verso privilegi stranieri (che si mira a battere in breccia), nel diminuito, per non dire annientato, •tradizionale rispetto verso bianchi, nei propositi apertamente affermati di sapere e volere fare da soli, nelle difficoltà sempre maggiori che incontra opera rappresentanze straniere, negli inizi, certo ancora primitivi, di un sistema di legislazione e di amministrazione orientati verso gli europei.

Pressione fiscale e difficoltà economiche sono senza dubbio gravi, ma non costituiscono minaccia per il trono, occorre anche tener presente incommensurabile grado di sopportazione di questa popolazione, considerata la primitiva abitudine al servaggio ed alla miseria.

L'opera dei cosidetti • consiglieri stranieri • è presso che nulla: elementi per la più parte mediocri, privi di ogni prestigio, sono considerati alla stregua di gente salariata. Ed essi stessi per timore di perdere le laute prebende, si prestano docilmente, e con ben scarso senso di dignità e di dovere, a trovare comode giustificazioni formali alle abituali malefatte etiopiche.

I rappresentanti stratnieri sono unanimi neli considerare la situazione come ho avuto l'onore di prospettarla a V. E.; se ne ha una utile ripercussione nell'atteggiamento di solidarietà determinato nel Corpo Diplomatico, allo scopo di opporre un fronte unico degli interessi stranieri alla crescente alterigia e ai sempre maggiori arbitri di questa gente.

Ritengo di poter affermare che la nuova Etiopia, sia pure lentamente e penosamente, • mette le malizie • e che un avvenire non troppo lontano, potrà segnare tempi ben difficili per gli interessi europei nel paese, e per la protezione degli stranieri qui residenti.

Telegrafato Asmara Mogadiscio.

(l) T. s. 197/55. a firma Guariglia, Roma 16 febbraio 1932, ore 16,30: richiesta di informazioni sulla situazione politica interna etiopica con riferimento alla posizione dell'Imperatore.

254

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (Archivio Grandi)

Ginevra, 29 febbraio 1932.

Giornata di ieri dedicata quasi esclusivamente all'Estremo Oriente. Tentativo da parte di alcune piccole Potenze (Spagna) di contestare alle quattro grandi Potenze Gran Bretagna, Francia, Italia ed America interessate nel settlement internazionale di Shanghai il diritto di intervenire direttamente in nome dei propri interessi in a.uesto tentativo (che non sarà l'ultimo) di pacificazione fra le parti in conflitto, lasciando da parte gli interessi vaghi e generici della... Società delle Nazioni. Le Quattro grandi Potenze hanno dichiarato d'accordo che marciano per la loro strada. Questo il fondo dell'affare.

Ho avuto due conversazioni di certo interesse con Nadolny e con Tardieu, ripartito quest'ultimo stamane per Parigi per ritornare lunedì (1). Nadolny è venuto per informarmi d'un secondo colloquio avuto con Tardieu sempre in tema di rapporti franco-tedeschi e particolarmente della rispettiva condotta sui problemi della Conferenza. I due sono r>imasti d'accordo di favorire .le interpretazioni ottimistiche sulle· possibilità di un accordo fra le due delegazioni germanica e francese per una condotta comune. Tardieu ha dichiarato a Nadolny che egli può regolarsi come si regolerebbe nell'ipotesi di raggiungimento d'un accordo sul problema, l'unico e solo che interessi la Germania, della parità dei diritti. Nadolny, da parte sua, ha dichiarato che, prendendo atto di quanto Tardieu gli ha detto, non insisterà troppo né sulla specifica domanda germanica né si dichiarerà contrario al progetto francese.

Di analoghe • seduzioni • da parte francese è oggetto la povera Delegazione ungherese.

Tardieu non mi ha parlato di questo problema. Egli sa che non c'è troppo da sperare in un nostro attegg,iamento benevolo circa il suo farraginoso progetto. Io credo d'altra parte che data sopratutto la condotta tedesca non valga la pena di scaldarsi troppo né prò né contro il progetto francese. Salvo Tue istruzioni contrarie, la Delegazione italiana starà per ora, un po' in margine a vedere.

Tardieu mi ha detto che suo scopo era di conferil'e seriamente con me sulla situazione economica dei paesi danubiani. Austria ed Ungheria sono aJl'esrtremo. Gli altri paesi, non a questo punto, ma su un'identica strada. La Francia da sola non può far nulla. L'Italia da sola non può far gran chie~ Mettiamoci insieme, Francia ed Italia, a qualcosa di costruttivo che salvi dal baratro quei paesi, e indirettamente non aggravi le nostre difficoltà. Voi, Italia, avete un mercato economico che vi interessa, noi abbiamo un mercato finanziario che ci interessa. Tanto voi Quanto noi dovremmo • tomber d'accord » di rinunciare in questa nostra azione a perseguire mire di carattere politico, ma soltanto salvare la casa che brucia. Per cominciare io sarei d'avviso che i Governi di Parigi, di Roma e di Londra facessero insieme un. invito ai cinque paesi danubiani di esaminare fra di loro le loro reciproche necessità e situazioni economiche. Poi vedremo noi in seguito a.uello che si potrà fare se, come è probabile, nessun risultato concreto si avrà da questo primo scambio diretto di vedute tra i cinque paesi interessati.

Ho risposto a Tardieu che sul principio di una nostra comune collabo

razione economica nell'Est danubiano, il Governo italiano si era già da pa

recchi mesi, e precisamente dal giugno scorso, espresso in senso favorevole.

Ma che nel frattempo vedendo che nulla di preciso e di concreto era scaturito da questo programma generico d'azione comune, l'Italia aveva già marciato per conto proprio formando e mettendo in esecuzione un accordo tripartito speciale itala-austro-ungherese, negoziato nel giugno scorso, nel momento della minacciata unione doganale austro-tedesca, allo scopo di mostrare coi fatti e non con progetti la sua volontà di fare dei sacrifici onde andar incontro aUe necessità dell'Austria e Ungheria. Il Governo italiano· si era inoltre impegnato a proseguire i negoziati con questi due paesi allo scopo di allargare gli accordi in questione. Quanto sopra, ho aggiunto, ho sentito l'obbligo di dirgli subito, per debito di lealtà, non per anticipargli una risposta da parte del Governo italiano, risposta che sarà data dopoché gli organi tecnici avranno esaminato la proposta ed il Capo del Governo avrà preso le sue decisioni, ma per metterlo al corrente della situazione attuale di fatto, situazione che del resto non è ignota al Governo francese. Tardieu mi ha promesso per oggi un promemoria scritto (1), e mi ha prega,to ove potessi, lunedì p.v., al suo ritorno fargli avere la risposta del Governo italiano.

Questo passo di Tardieu è stato preceduto in questi giorni da numerose conversazioni che il delegato francese Massigli, Avenol ,ed altri hanno avuto col Ministro Rosso (2). Tardieu ha parlato soltanto di un 1invito itala-francobritannico lasciando per ora da parte la Germania. Ma nelle dichiarazioni dei suoi collaboratori risulterebbe che il Governo francese sar,ebbe disposto ad associare anche la Germania, prima all'invito comune che dovrebbe essere rivolto dalle grandi Potenze ai paesi danubiani per un tentativo di intesa diretta fra loro, in seguito ad un sistema di accordi preferenziali. Il Governo

(Archivio Grandi). Del promemoria si pubblicano i passi seguenti: Circa il progetto di unione doganale dei paesi danubiani, • le Gouvernement français croit que la réalisation d'une telle union se heurterait à des obstacles insurmontables, aussi bien dans l'ordre politique que dans l'ordre économique ed il lui parait que, sur ce point spécial, le Gouvernement britannique est aujourd'hui du meme avis. Mais, sur le but, à savoir le resserrement et le développement des liens économiques entre les pays danubiens, les deux Cabinets de Paris et de Londres sont manifestement d'accorò. Le Gouvernement français considère toutefois que le résultat recherché peut etre obtenu par des combinaisons à base préférentielle sur lesquelles il n'a pas à l'heure actuelle une doctrine arretée, mais dont la nécessité lui parait s'imposer...

Il va de soi que le régime qui en sortira, pour etre viable, devrait tenir compte aussi,

dans toute la mesure du possible, des intérets Iégitimes des Etats tiers...

Le Gouvernement français qui, dans ces questions, a le seui souci de servir l'intéret général européen, souhaiterait pouvoir coordonner son action avec celle des Gouvernements auxquels la situation de l'Europe danubienne n'insvire pas moins de préoccupation qu'à lui-méme. Il serait donc heureux de vouvoir se concerter avec les Gouvernements italien et britannique vour déterminer dans quelles conditions l'attention des Gouvernements autrichien, hongrois, roumain, tchécoslovaque et yougoslave pourrait à bref délai etre attirée sur la nécessité de francs et comnlets échanges de vues entre eux, en vue du resserrement de leurs relations économiques et ultérieurement de l'assainissement ou de l'amélioration de leurs situations financières, budgétaires et monétaires ».

" Bisogna insistere sulla necessità di dirigere l'invito eventuale a tutti i cinque paesi [danubiani] e per il primo stadio !asciarli discutere soli. Questa discussione mostrerà probabilmente a un certo momento la necessità di una cooperazione diretta di quei due paesi che ciascuno a modo suo, hanno per il commercio e per la vita economica di quella regione d'Europa un'importanza vitale: l'Italia e la Germania.

La Francia al contrario non potrà mai avere dal punto di vista commerciale un'importanza preponderante nella soluzione di questo problema...

Questa specie di accordo di transitoria neutralità benevola delle Potenze dovrebbe assolutamente includere la Germania. Sarebbe, a parer mio, per l'Austria e la Cecoslovacchia economicamente cosi impossibile di accogliere un Invito di questo genere, da cui fosse esclusa la Germania, come sarebbe impossibile per la Jugoslavia, quando a questo invito non partecipasse l'Italia •.

16 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

francese sarebbe convinto, e quello cecoslovacco anche, che non si può fare ormai più senza la Germania nell'Europa danubiana (questa è la grossa novità che ci interessa più da vicino) e che bisogna aprirle se non le porte, almeno una grossa fessura, nei mercati di quei paesi. Noi ci siamo sempre opposti ad associare la Germania in un qualsiasi accordo che le desse un regime di preferenza nei mercati danubiani. Se l'atteggiamento francese fosse così effettivamente modificato, come sembra, i nostri progetti di triplice doganale correrebbero un serio rischio, quello di vedere ad un certo momento accomunata l'opposizione sia della Francia come della Germania per cui sparirebbero quelle ragioni evidenti di neutralità benevola sulle quali contavamo. Occorrerà, io credo, esaminare con sollecitudine e a fondo questo problema dell'eventualità di una compartecipazione tedesca ad un regime di accordi preferenziali nell'Europa danubiana, onde valutare, a ragion v,eduta, i nostri interessi non da un puro punto di vista assoluto (come spesso i nostri organi tecnici hanno l'abitudine di fare), ma anche da un punto di vista relativo, che è sempre il più realistico.

Ho fatto intanto sollecitare a quei benedetti ungheresi e a quegli altri bei tipi di austriaci (la Delegazione austriaca è qui già incantata dalle promesse di Tardieu) di mandarci una buona volta le due domande ufficiali di unione doganale (1), domande non ancora pervenute, e senza le quali ci sarà ancora più difficile inserire, subito o in un secondo tempo -a seconda di quello che le circostanze ci consiglieranno -nell'esame comune che le grandi Potenze faranno della situazione danubiana il nostro progetto di Triplice doganale.

La Delegazione ungherese, con cui ho parlato, ha telegrafato a Budapest pregando Walko di venire al più presto a Ginevra per abboccarsi con me e stabilire una linea comune in relazione alla proposta francese. Il Conte Apponyi mi ha dichiarato che l'Ungheria ha parimenti bisogno della Francia (crediti) e dell'Italia (mercato) per cui si augura che un'azione comune italo-francese possa determinarsi allo scopo di salvare l'Ungheria.

(l) Cioè il 7 marzo.

(l) Il vromemoria, datato 2 marzo 1932, fu consegnato a Ginevra il 3 marzo da Massigli a Rosso, che lo trasmise a Roma con telespr. u. 93, datato Ginevra 3 marzo 1932

(2) Su una di queste conversazioni cfr. un appunto di Rosso ver Grandi, datato Ginevra 27 febbraio 1932 (Archivio Grandi). E cfr. (ibid.) le osservazioni fatte da un anonimo (Stoppani?) all'appunto di Rosso. Di queste osservazioni si pubblicano i passi seguenti:

255

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL SUO CAPO GABINETTO, GHIGI (2)

(Archivio Grandi, copia)

Ginevra, 29 febbraio 1932.

Eccoti il dispaccio per il Ministro Galli (3). Dopo il fantastico e pericoloso diario del falegname Malagola il dispaccio è più che mai necessario, seppure basta. È Malagola che, potendolo, vorrei fermare. Ma non si può, senza dare delle impressioni che non posso dare. Circa l'accordo ad Occidente sono più che mai convinto che è venuta l'ora propizia. Dico di più: non vor

rei che anche per questa volta l'ora stesse di nuovo passando. Tardieu non è Lavai. Tardieu vuole riprendere la trama dell'accordo franco-tedesco, non foss'altro per ragioni elettorali. I ,tedeschi ci stanno. Avrai letto i miei appunti sul colloquio avuto con Nadolny, in\èiati al Capo del Governo (1). Altro particolare che non può non farci seriamente riflettere: il Governo francese ci offre un piano di collaborazione economica Malo-franco-tedesco nell'Est danubiano (2). A meno di un anno dall'opposizione alla Zollunion austro-tedesca, la Francia accetta la collaborazione economica deUa Germania, attraverso il meccanismo di regimi preferenziali, non solo in Austria, Ungheria, ma anche negli Stati della Piccola Intesa suoi alleati. Noi stiamo perdendo del tempo prezioso. Il metodo della pigrizia temporeggiatrice è, questa volta, contro di noi.

Sulla scorta di quello che il falegname Malagola dichiara di aver sentito dal Capo del Governo in merito ai rapporti italo-serbi, mi permetterò di chiedere al Duce, al mio ritorno, se Egli vuole o può spiegarmi il Suo pensiero, che per me è tuttora un enigma. Porterò io stesso in quell'occasione, copia del dispaccio firmato oggi per il nostro Ministro a Belgrado.

Spero di essere di ritorno sabato. Vedrai che nessuna lettera contenente

• sostanza • giungerà daJl noto De Caix (3). Spero di potermi sbagliare.

(l) -Cfr. n. 260, allegato, e P. 449, nota l. (2) -Risponde al n. 250. (3) -Cfr. n. 256.
256

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI (Copia)

D. (4). GineV1·a, 29 febbraio 1932.

Ricevo il Suo rapporto n. 24 rr. del 12 corr. (5).

Ho l'impressione che le vicende dei vari colloqui che V. S. ha avuto ultimamente costà abbiano potuto occasionare, nell'argomento albanese, una discussione di dettaglio, suscettibile di ingenerare, eventualmente, qualche non desiderabile equivoco sulle posizioni fondamentali rispettive nell'argomento stesso, posizioni che, a prescindere da quello che potrà essere l'esito delle conversazioni, è sopratutto indispensabile mantenere, da parte nostra, rigidamente integre nella loro lineare semplicità.

Le riassumo, ad ogni utile fine, ancora una volta: da parte jugoslava, ci è stato dimostrato il desiderio di giungere con noi ad una stretta intesa politica, tale da arrecare un completo, radicale mutamento nelle attuali relazioni italo-jugoslave. In immediata connessione, peraltro, con tale desiderio, si sono formulate inaccettabili riserve circa la nostra situazione in Albania,

in ispecie per quanto concerne quella che ci è specialmente garantita da un atto internazionale della fondamentale importanza della Dichiarazione· del 1921.

Da parte nostra, si è risposto che consideravamo favorevolmente l'intesa propostaci, ma che, naturalmente essa non avrebbe potuto, in alcun modo, consentire la riserva formulata per l'Albania, riserva che avrebbe dovuto, quindi, venire previamente ritirata da parte dei proponenti, la cui esplicita assunzione degli stessi impegni assunti verso di noi, nella materia, dalle principali Potenze, costituiva legittimo presupposto della generale intesa politica propostaci. Tale partecipazione attiva jugoslava alla sistemazione della questione albanese quale è contemplata nella Dichiarazione del 1921 -e, si noti bene, • partecipazione attiva • e non semplice • riconoscimento • od • adesione • giacché l'atto in questione, per le ragioni che sono note alla S.V., può benissimo, nei riguardi della Jugoslavia, prescinderne -costituiva il compenso ai maggiori vantaggi di ogni ordine che il Governo di Belgrado avrebbe tratto da una vasta intesa politica coll'Italia, mentre, d'altra parte, questa stessa intesa avrebbe, implicitamente e praticamente, servito ad ovviare alle preoccupazioni manifestateci nei riguardi delle ripercussioni della speciale situazione italiana in Albania, in ogni e qualsiasi evenienza, nei confronti della sicurezza jugoslava.

Data questa chiara impostazione delle nostre conversazioni, che non consentono che una inequivocabile e globale risposta di principio, appare, evidentemente, non essere il caso di scendere a discussioni od argomentazioni di dettaglio sopra la particolare eventualità di un nostro intervento militare in Albania, tema questo che è bene, per quanto possibile, lasciare in disparte, anche per non contribuire ad avvalorare il sospetto, che le è stato manifestato, che, in fondo, da parte nostra, si miri, più che altro, a preparare il terreno per qualche azione di grande stile cui staremmo pensando per l'Albania. Un intervento militare nostro in Albania potrà aver luogo o non averlo, a seconda che le circostanze detteranno. Certo non per preordinato o voluttuado disegno e, ad ogni modo, in relazione con situazioni internazionalmente riconosciuteci da tempo ed in modo da poter prescindere dalla preventiva adesione jugoslava. Sarebbe, quindi, perfettamente ozioso ed assurdo il fermarci a discutere per ottenere che la Jugoslavia -secondo, in un primo tempo, Jeftic si era mostrato propenso a concedere -acconsenta a • non opporsi ad un nostro intervento in Albania, qualora questo dovesse venir deciso dalla Società delle Nazioni • (1).

La dichiarazione del 1921 va posta, dunque, nella sua integrità, all'infuori di ogni discussione o contrattazione di dettaglio colla Jugoslavia. La S. V. ben sa che quanto più preme a noi di tale documento, e ciò che più sostanzialmente, salvaguarda la nostra posizione, per ogni futura circostanza, nella questione albanese, è proprio quanto non riguarda la Società delle Nazioni.

Osservo poi che anche in argomento di accordo generale politico le idee che le sono state manifestate appaiono ancora, quanto meno, imprecise. Secondo il pensiero di Jeftic, esso dovrebbe: • mirare al mantenimento dei trattati

che garantiscono la integrità e la sicurezza jugoslava •, avere soltanto scopi difensivi, nei limi,ti consentiti, presentemente, alla Jugoslavia dai trattati che essa ha stretto, oltre che colla Francia, coi suoi alleati della Piccola Intesa, liberare l'Italia, affinché possa dirigersi verso altri mari, da preoccupazioni in Adriatico, mare di comuni interessi e di comune difesa. Con questo, la Jugoslavia manterrebbe le sue riserve nei riguardi dell'Albania, ma ci offrirebbe, in compenso, la sua alleanza contro una eventualità futura di Anschluss.

Tutto, quindi, ben considerato, sono del parere che convenga, per il momento, da parte nostra, segnare, nelle conversazioni iniziate, una battuta di aspetto, che potrà dar tempo a Re Alessandro ed ai suoi consiglieri di apprezzare esattamente la situazione e di maturare le relative decisioni. È evidente che trattative del genere· debbono soffrire delle pause e non consentono rapide conclusioni. D'altra parte è preferibile attendere -sopratutto quando lo si può liberamente fare e senza preoccupazioni come nel nostro caso -piuttosto che rischiare di compromettere comunque posizioni, la cui conservazione integrale ed efficiente interessa essenzialmente la nostra linea generale politica, oltre gli stessi confronti jugoslavi.

Senza, quindi, dare costà la sensazione di una rottura di conversazioni, converrà che la S. V. ora che Ja nostra tesi è stata esposta e chiarita, in risposta alle domande che ci sono state rivolte, non si faccia ulteriormente parte diligente, nè presso Re Alessandro, nè presso Jeftic, in attesa, da parte loro, di eventuali nuove comunicazioni concrete in argomento, tali da poter giustificare una ripresa veramente utile di contatti.

La avverto, ad ogni buon fine, che finora nessun accenno ad intenzioni di riprendere direttamente le conversazioni ho avuto nè da parte di Marinkovic nè da parte di Rakic, che, del resto, dall'epoca dell'accennata sua visita a Guariglia, trovasi in lungo congedo.

(l) -Cfr. n. 248. (2) -Cfr. n. 254. (3) -Cfr. n. 258. (4) -Il testo originale del doc. fu trasmesso da Roma a Galli (cfr. n. 255). La coph che si è trovata e che si pubblica è priva di n. prot. (5) -Cfr. n. 213.

(l) Cfr. P. 353.

257

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 2955. Roma, 29 febbraio 1932.

A telespresso di V. E. n. 200529/5 dell'8 gennaio u.s.

La Segreteria di Stato di Sua Santità alla quale non mancai di dar conoscenza delle informazioni trasmesse dal R. Ambasciatore in Mosca col rapporto allegato al telespresso surriferito di V. E., mi risponde ora al riguardo con la nota verbale che mi pregio di compiegar in copia (l) all'E. V. attiran

Finalmente la Pontificia Commissione suddetta è lieta di informare la R. Ambasciata che Monsignor Pio Neveu, Vescovo cattolico di Mosca, di propria iniziativa ha celebrato il 21

done l'attenzione sul significativo tenore di ·essa, che denota oltre a tutto lo stato d'animo che si verifica attualmente in Santa Sede nei riguardi delJ'Italia (1).

(l) Dell'allegato, datato dal Vaticano 26 febbraio 1932, si pubblica solo la parte finale: la Pontificia Commissione per la Russia • è del parere che gioverebbe assai alla difesa della civiltà cristiana, se, mentre la stampa internazionale sovente accoglie notizie diramate da fonti bolsceviche, quella italiana, che lodevolmente vuole tener vivo il culto per i valori spirituali, desse opportunamente notizia delle persecuzioni che avvengono nelle nazioni governate da sovversivi, tanto più che la stampa sovietica non risparmia i suoi attacchi all'Italia, come avvenne nei fogli del 31 gennaio u.s. a proposito della disoccupazione.

258

ROBERT DE CAIX AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, A ROMA (2)

(Archivio Grandi, copia) (3)

... 29 febbraio 1932.

Je m'excuse de ne vous avoir pas écvit, mais plusieurs événementts sont venus à travers depuis les conversa·tions que nous avons eues entre nous, puis avec l'ami Philippe Berthelot.

Le premier de ces événemeruts a été le discours de M. Grandi à la conférence de Genève. I'l m'a paru exprimer une politique profondément étrangère à toutes nos tendances et à la conception d'intérets identiques à sauvegarder par les deux pays. J'ai meme hésité à continuer à poursuivre une entente dont la base spirituelle m'a paru manquer, et j'ai craint de m'avancer beaucoup en essayant de la préparer dans une· telle atmosphère.

Puis est venue la crise miruistérielle française et le remplacement d'un homme pressenti et favorable par un homme à pressentir. Je pense qu'il sera aussi favorable puisque nos idées me paraissent s'inspirer de l'intérèt des deux pays, mais mon ami et moi tenons à nous en assurer, ce que les aJlées et les venues entre Paris et Genève n'ont guère facilité jusqu'ici.

Dès que je serai siìr de mon terrain, je vous écrirai. J'ai d'ailleurs continué à travailler sur les données que nous avons examinées ensemble et il parait qu'elles pourraient ètre encore améliorées. Toute la question est, comme

gennaio u.s. una funzione funebre in suffragio del compianto Arnaldo Mussolini, con la partecipazione assai edificante della Colonia italiana •.

Un Prelato mi ha detto che l'ambiente vaticano -specialmente dopo la visita del Duce al Papa -si è modificato. Ma bisogna distinguere nell'ambiente, l'elemento ecclesiastico e l'elemento laico.

L'elemento ecclesiastico è ormai quasi tutto favorevole. Nell'entourage del Papa tanto il Maestro di Camera Caccia Dominioni, quanto l'Elemosiniere Cremonesi e i due Camerieri segreti di Sant'Elia e Callori, sono assolutamente favorevoli. Piuttosto contrario Mons. Migone, come del tutto contrari gli altri due camerieri segreti -i oiù ascoltati dal Papa, perché milanesi -Confalonieri e Venini, gli amici dell'ex On. Longinott\. Invece l'elemento laico è diviso, e cioè quello di Palazzo, uffici Palatini, Musei -Nogara, Quadrani ecc. -è favorevole, mentre tutto contrario è quello del Governatorato, ove pare si sia rifugiato e impiegato tutto l'elemento ex popolare. L'Osservatore -specialmente con

D. Mario Boehm, col don Manara, con lo Strappati, il Baldelli -tutto avverso.

Lo stesso Prelato mi ha detto che si guarda con paura in Germania al rafforzamento di Hitler. Tutti i Vescovi della Germania sono contrari al suo movimento. Il Card. Cerretti parlando di questo nazionalismo tedesco, lo ha messo insieme a quello dell'Aciion Française e ha detto che tutti i nazionalismi sono un pericolo per la Chiesa che ha carattere di universalità e un pericolo specialmente nei riguardi della gerarchia. Già questo pericolo -diceva il Cerretti -si manifesta con la tendenza nazionalista sempre più accentuata, che il clero e anche l'episcopato, va Prendendo in qualche nazione».

j'e vous l'ai dit, de faire un accord qui ne laisserait pas de bavures, c'est à dire qu'il répartisse de part et d'autre les champs d'action, de manière qu'il ne reste plus de litiges ouverts ni méme latents, et reconnaisse aux deux parties des droits complets et incontestés. L'exemple de l'accord franco-anglais de 1904 et de ses résultats doit nous étre un encouragement. Si une entente aussi compréhensive et définitive pourrait étre assurée on considérerait certainement ici dans un esprit très large l'arrangement dont nous avons jugé l'économie acceptable pour les deux parties.

A bientòt donc, je l'espère...

(l) Si pubblicano qui alcuni passi di una relazione riservata del 21 marzo 1932 di un anonimo informatore di cose vaticane: « Si dice in Vaticano che Mons. Pizzardo è più potente di prima e che è l'unica persona di fiducia del Papa e che quello che vuole ottiene. È anche da rilevarsi -e già l'ho notato -il cambiamento in senso filofascista fatto dal Pizzardo e la sua cura di lasciar fare al Sostituto Mons. Ottaviani tutti quegli atti che potrebbero richiamare qualche antifascista su di lui...

(2) -Annotazione di Theodoli: « Ricevuta dall'Ambasciata di Francia alle ore 11 del 3 marzo •, Annotazione di Grandi : c Ricevuta a Theodoli da De Caix •. (3) -Il doc. è cit. da PERFETTI, pp. 709-710. Altra copia è conservata in ASMAE.
259

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

T. PER CORRIERE 285. Roma, 1 marzo 1932, ore 12.

Suo telegramma per corriere n. 170 (1).

Sono in massima della stessa Sua idea che non convenga far cadere le trattative SVEA in questa fase di liquidazione del fatto politico del mancato rinnovo del Patto e che non convenga poi in ogni caso dare alle trattative un ritmo affrettato. Si tratta quindi di uscire da questa fase con quel minimo di compromissioni che bastino per evitare che codesto Governo metta in scena un preteso gesto di sacrificio patriottico per fare la parte della vittima. Quale sia questo minimo di compromissioni occorre valutare tenendo presente che il vero scopo del meccanismo SVEA non è quello di riscuotere le rate del prestito bensì di tener vivi i pegni. Qualunque dilazione ai pagamenti, ingrossando il groviglio del debito, non può che corrispondere alle nostre vedute sia che si guardi l'interesse immediato di alimentare l'atmosfera di fiducia dell'Albania verso il Governo Fascista e sia che si guardi l'interesse più lontano ed eventuale di accumulare le nostre ragioni ai pegni.

In linea di sostanza perciò è desiderabile che si concreti un atteggiamento di tolleranza di fatto ai pagamenti SVEA. Dico tolleranza di fatto e non moratoria giuridica per le evidenti differenze sul regime dei pegni.

In quanto alla forma di tale atteggiamento è sempre da evitare assolutamente che il Governo Fascista figuri di disporre del prestito SVEA come di cosa propria perché una simile apparenza, una volta ammessa, toglierebbe ogni forza al carattere privato del prestito ed alle possibilità di adoperarlo come uno strumento di rigore. Le assicurazioni che codesto Governo attende non potrebbero quindi in nessun caso essere oggetto di una nota ufficiale di

V. S., tanto più che il R. Governo desidera che la nota 18 febbraio resti senza postille. La via da seguire potrebbe essere che la S. V. dica che questo Ministero aveva iniziato i promessi scandagli verso il gruppo finanziario sopratutto in vista di quella fase di tolleranza a cui la nota stessa allude per l'immediato bilancio albanese. In seguito a tali scandagli V. S. sarebbe stata

ora autorizzata a far sapere che la SVEA, nell'idea di fare onore all'invito di questo Ministero per un inizio di trattative con codesto Governo, non eserciterà atto alcuno che possa riuscire contrario allo spirito conciliativo dell'invito stesso, continuando in quella fase di tolleranza in cui del resto si trova dal dicembre 1930. Ciò non toglie che saranno presentati come al solito gli stati semestrali debito senza che ciò abbia a significare altro che una documentazione contabile in adempimento ad una buona norma di prassi bancaria. Questa fase di tolleranza permetterà che le trattative si compiano con ben' intesa larghezza di tempi ,e di vedute in epoca che potrà ulteriormente fissarsi nel corso dell'esercizio finanziario albanese 1932-33 durante il qual~e il Governo albanese può quindi contare in maniera precisa sopra questa amichevole tolleranza. In questo senso Ella può preannunziare una comunicazione SVEA che segue senza indugi.

(l) Cfr. n. 244.

260

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

(Archivio Grandi)

TELESPR. RR. 860/549. Vienna, 1 marzo 1932.

Come avevo riferito, il Cancelliere è stato alcuni giorni indisposto; perciò soltanto stamane ha potuto consegnarmi l'accluso suo messaggio per S. E. Mussolini, di cui il R. Governo aveva già approvato il testo.

Nel rimettermelo il signor Buresch mi ha pregato di esprimere i suoi

vivi ringraziamenti a S. E. il Capo del Governo per la consentita ratifica degli

accordi Brocchi, dei quali non gli erano ignoti i sacrifici che comportavano

per noi, e di manifestargli la speranza di ulteriori più ampi sviluppi degli

accordi stessi.

Ho risposto al signor Buresch che non avrei mancato di riferire a V. E. le sue dichiarazioni per S. E. Mussolini. Il governo fascista aveva più volte dichiarato ch'era pronto a fare tutto il possibile per la ricostituzione economica dell'Austria. Di tale sua buona volontà aveva già dato ripetute prove: mi limitavo a rammentare il progetto italiano del '25 non potuto attuarsi per le opposizioni cecoslovacche, la rinuncia dell'Italia ai suoi crediti verso l'Austria, più elevati di quelli di qualsiasi altro stato, nonché la nostra partecipazione ai vari prestiti austriaci. Di tale sua buona volontà, non manifestata solo a parole ma attuata altresì nei fatti, il Governo fascista aveva dato ora nuova prova con la ratifica degli accordi Brocchi, malgrado i non lievi sacrifici che essi adducevano all'Italia. Ero sicuro che, con lo stesso spirito di amichevole e operosa collaborazione, S. E. il Capo del Governo avrebbe esaminato la nuova richiesta austriaca contenuta nel messaggio, nell'intento di dare ad essa la desiderata attuazione (2).

ALLEGATO.

BURESCH A MUSSOLINI

Vienna, l marzo 1932.

Le Gouvernement Fédéral a pris acte avec vive satisfaction de la communication d'après laquelle l'accord général sur l'exportation stipulé l'an dernier, grace à l'initiative de S. E. M. le Chef du Gouvernement Royal d'Italie, est en train d'etre signé.

Le Gouvernement Fédéral désire développer les accords généraux sur l'exportation passés entre l'Italie, l'Autriche et la Hongrie et resserrer le plus possible les ·rapports économiques avec l'Italie. Il est pret à envoyer un délégué en vue de ces négociations.

Le Gouvernement Fédéral serait très reconnaissant à S. E. le Chef du Gouvernement Royal d'Italie, si Elle voulait bien appuyer cette action qui, à la conviction du Gouvernement Fédéral, est de la plus haute importance pour l'amélioration de la situation économique si difficile de l'Autriche (1).

(l) -Il doc. fu inviato per conoscenza anche alla legazione di Budapest. (2) -Annotazione a margine: • Visto da S.E. il Capo del Governo >.
261

L'ALTO COMMISSARIO DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI A DANZICA, GRAVINA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Archivio Grandi)

L. P. Danzica, l marzo 1932.

Facendo seguito alla mia del 14 febbraio, sono indotto a scriverLe di nuovo per alcune ulteriori informazioni di carattere confidenziale, intese a mantenerLa al corrente.

• Je viens de prendre connaissance de la signature de l'accord général, dit Brocchi, sur l'importation et l'exportation.

Tout en me félicitant de l'heureuse conclusion de ce traité si imoortant :Dour notre économie, je tiens à préciser que le Gouvernement Royal considère seulement comme un pas initiel l'accord susmentionné qu'il conviendrait intensifier afin de rendre !es rapports économiques entre l'Italie, l'Autriche et la Hongrie aussi étroiis que possible. Au sens des déclarations faites le 4 Février au Palazzo Chigi par le Ministre de Hongrie la solution la plus parfaite serait d'arriver à une union douanière pure et simple entre les trois pays.

Le Gouvernement Hongrois à cet effet est prét entrer en négociations directes à la date et à l'endroit que bon semblera au Gouvernement Italien ».

Si pubblica qui una dichiarazione fatta da Horthy ad Arlotta sulla politica generale ungherese (t. per corriere 1022/1599/225, Budapest 7 marzo 1932, per. il 9): • Il Reggeme Horthy che ho visto in occasione di un pranzo diplomatico a Palazzo Reale, mi ha a lungo e spontaneamente intrattenuto... pregandomi di comunicare a S.E. il Capo del Governo per cortese tramite dell'E.V. la precisa dichiarazione che, fino a quando egli resterà a capo di questo Stato, non si devierà di una sola linea verso sinistra, nella direttiva politica generale ed interna (si c) •.

44~

La mia relazione del 13 febbraio al Segretario Generale Drummond (che Le feci pervenire in copia) è stata trasmessa da Drummond al relatore britannico. Sembra che siano nel frattempo pervenuti direttamente alle capitali europee altri rapporti con qualche esagerazione, forse, sulle circostanze stesse che facevano oggetto della mia relazione; e sembra che ne sia derivato un certo allarme. Ho ricevuto ieri comunicazione confidenziale da Ginevra che Drummond ha fatto prospettare a Simon l'opportunità di far oggetto di una conversazione, con Tardieu, la situazione locale (Corridoio -Danzica -Prussia Orientale -eccitazione degli animi e rapporti tedesco-polacchi).

Una seconda informazione confidenziale è la seguente: preoccupato dalla piega che prendono qui gli eventi, il vescovo di Danzica, S. E. O'Rourke, si è rivolto n 27 febbraio al Va•ticano con la proposta concreta che il Pontefice voglia promuovere un'azione concorde dell'episcopato cattolico polacco e del germanico, al fine di indurre a pacificazione le due nazioni; o, per lo meno, ad un pacifico compromesso suUe questioni che provocano oggi tanta inimicizia e che sono capaci di scatenare nuove calamità.

Sulla situazione generale e sulla possibilità di siffatti compromessi, mi limito a confermare rispettivamente quanto mi permisi di sottoporLe con lettere del 14 febbraio e del 1° novembre u.s., aggiungendo solo che, per il momento, anche lo sviluppo degli avvenimenti locali è intimamente collegato allo sviluppo della situazione interna nel Reich.

Malefica è, senza dubbio, la libertà con cui la stampa dei due paesi porta ad eccitare vieppiù gli spiriti accesi; ma la realtà rimane che la situazione locale non lascia adito a speranza di miglioramento o di stabilizzazione; e che sempre più chiara si presenta l'alternativa o di un compromesso (revisionista dei trattati), o di un conflitto che, prima o poi, dovrà inevitabilmente scatenarsi fra Polonia e Germania.

Interessante mi sembra, infine, di rife11irLe qualche vago accenno che da parte polacca mi è stato fatto recentemente sulla analogia, e sulla ripercussione che compromessi revisionisti polono-tedeschi potrebbero avere nei riguardi delle aspirazioni delle popolazioni tedesche dell'Alto Adige; ma è superfluo ch'io Le enume·ri i molti ed efficaci argomenti (trattati, confini geografici ecc.) coi quali io credo di poter sempre all'evidenza replicare ad insinuazioni del genere, che ritengo essere sopratutto un tentativo di intimidamento del cittadino italiano che si trova investito del mandato internazionale di Alto

Commissario.

Da parte danzico-tedesca, invece, si replica ai miei ammonimenti intesi a moderare le velleità nazionaliste, per un ritorno al Reich, con considerazioni di ordine ·economico, che anche Trieste e Fiume, città essenzialmente italiane, han dato prevalenza al sentimento nazionale su considerazioni di ordine economico. E che la tedesca Danzica vivamente simpatizzando col sentime-nto di quelle due città italiane, crede di poter aspettare dagli italiani, se non analoga simpatia, almeno comprensione per l'analogo sentimento che anima la popolazione danzichese.

(l) Cfr. l'analoga lettera di Karolyi a Mussolini, Budapest 2 marzo 1932:

262

IL VICE DIRETTORE DELL'UFFICIO STAMPA, ROCCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 923/62. Ginevra, 2 marzo 1932, ore 21 (per. ore 23,30).

Negli ambienti giornalistici Ginevra continua grande attenzione dedicata pretesa conversazione per riavvicinamento francese.

Giornalisti francesi diffondono notizia che Tardieu nella sua ultima visita (l) avrebbe fatto precise proposte al Ministro Grandi, ril quale sarebbe partito per Roma per sottoporle a S. E. Capo del Governo. Giornalisti tedeschi si mostrano allarmatissimi e chiedono insistentemente conferma o smentita di tali voci sulle auali naturalmente· è stato mantenuto ogni riserbo (2).

263

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

TELESPR. 206527/75. Roma, 2 marzo 1932.

Con Suo rapporto n. 664/275 del 18 febbraio (3) codesta Ambasciata, trasmettendo a questo Ministero il rapporto della Commissione Reale d'inchiesta per Malta, ne attirava l'attenzione sulle proposte della Commissione relative all'uso della lingua italiana nell'isola che, se applicate, significherebbero un grave colpo alla situazione attuale della nostra lingua.

Accludo a V. E. un rapporto del R. Console Generale a Malta sullo stesso argomento.

La notizia dell'articolo del Petit Marseillais fu comunicata dal comm. Cappelletto, dall'ufficio dell'Agenzia Stefani presso il Ministero dell'Interno, all'on. Polverem, capo dell'ufficio stampa del capo del governo, con sede nello stesso ministero dell'Interno. (Testo in ASMAE della telefonata intercettata).

Cfr. infine un appunto, forse di Suvich, su un colloquio con De Jouvenel, del 3 marzo 1933: Secondo de Jouvenel, con l'avvento di Hitler al potere « la Francia ha perduto il quarto d'ora favorevole per intendersi con l'Italia (conversazioni Laval-Berthelot-Theodoli) settembre 1931-marzo 1932. Oggi tutto è molto più difficile! •.

La Commissione d'inchiesta, pur affacciando dubbi circa l'opportunità che i provvedimenti relativi vengano imposti dall'attuale Governo provvisorio e raccomandando la consultazione melle elezioni, della volontà del popolo sull'argomento, afferma che le innovazioni di cui sopra potrebbero operarsi dalle stesse autorità imperiali al momento opportuno ed indipendentemente· dagli interessi particolari dei partiti poHtici.

Questo suggerimento della Commissione è di natura particolarmente grave, in quanto che mette in forse tutte le speranze che si potevano fondare, per il mantenimento delle attuali posizioni, su di un trionfo, alle elezioni maltesi, del partito nazionalista.

Pur avendo presente J.a delicatezza della questione e la necessità di 'evitare anche l'apparenza di una nostra ingerenza nelle questioni interne della Gran Bretagna, tenuto conto deHa gravi·tà del pericolo che minaccia la lJingua italiana a Malta e delle conseguenze che ne possono derivare, prego l'E. V., analogamente a quanto ha fatto in precedenti occasioni, di voler esaminare l'opportunità di intrattenere ancora una volta codesto Governo, in quella forma che V. E. riterrà più adatta (1).

(l) -Si tratta del colloquio Grandi-Tardieu di cui al n. 254. (2) -Con successivo t. 939/64 del 3 marzo, ore 22,20 (per. alle ore 0,30 del 4) Rocco comunicava: • Sono state eseguite istruzioni telefoniche di V. E. •, il giornalista Martin pubblicò il 4 marzo sul Journat de Genève un articolo dedicato alle voci di intesa italafrancese, secondo le quali Tardieu avrebbe offerto all'Italia il Togo e il Camerun, in cambio di accordo navale fra le due potenze e di una mediazione francese nelle divergenze italajugoslave. Lo stesso giorno 4 Le Petit Marseil!ais pubblicava una corrispondenza da Ginevra della Tabouis, secondo la quale • in seguito alle conversazioni Tardieu-Grandi, dell'altro giorno, il Ministro Italiano è ripartito precipitosamente, relatore a Mussolini, di nuove proposte per realizzare il riavvicinamento franco-italiano. Le offerte, sebbene ancora sconosciute da tutti, sono esattamente le seguenti: la Francia cederebbe all'Italia il suo mandato sulle coJonie tedesche del Camerun; le consentirebbe un importante prestito che garantirebbe all'Italia la stabilità della lira; cederebbe la sua parte nell'accordo tripartito sulla Abissinia e sugli statuti nella zona d'influenza e di espansione sulla Somalia •.

(3) Con questo rapporto Chiaramonte Bordonaro trasmetteva un esemplare della relazione della Commissione inglese su Malta e commentava: • Tutto sommato la Santa Sede ne esce egregiamente. Con grande cautela è trattata qui la questione dell'italianità. Non ho trovato, a questo proposito, alcuna frase che possa darci noia od ombra. II solo punto della relazione per noi ostico è quello dunque della lingua, e, sopra tutto, la raccomandata esclusione dell'insegnamento dell'italiano nelle scuole elementari ».

264

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, ASTUTO, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (2)

T. STRETTAMENTE SEGRETO 961/1247-1248-1249.

Asmara, 3 marzo 1932, ore 19 (per. o1·e 2,30 del 4).

Telegramma 134 in data 29 febbraio della R. Legazione Addis Abeba (3), dà della situazione etiopica una visione prospettica che corrisponde in tutto con quella che appave da Asmara.

Come giustamente osserva R. Incaricato d'Affari, situazione interna è basata su grandissima abilità Tafari, su piccolo ma rumoroso ed energico gruppo nazionalisti, su meschina mediocrità e pavidezza dei grandi Ras, su infinito spirito di sopportazione della popolazione. Nei riguardi dei grandi Ras, credo non debba inoltre escludersi persuasione che Tafari possa venire loro ispirando che uniti, seppure sottoposti a lui, essi si salvano dalle ambiziose mire delle Potenze europee, separati e discordi, anche se non ribelli, cadrebbero vittime di tali mire. Quanto a popolazione, ci si può attendere atti di brigantaggio e razzie anche in grande stile; ma non certo un movimento politico di rivolta.

n. -prot. 134.

Situazione estera (ed anche qui ripeto quanto ha detto barone Scammacca) è basata su appartenenza Etiopia S.d.N., che .dà ad essa una sicurezza che mai aveva avuta da quando si trova a contatto col movimento coloniale europeo.

Ed una, e forse la più importante delle conseguenze di ciò, è convenzione armi ora entrata in vigore, che costituirà nelle mani di Tafari valido istrumento per dare colpo di [grazia] al così detto feudalismo abissino.

Non credo che, nonostante indubbia abilità di Tafari, abissini possano mode·rnizzarsi sulle linee di una organizzazione civile. Se io penso che, nonostante quaranta anni di Governo italiano, l'Eritrea, soprattutto nella sua parte tigrina, ritornerebbe quella che era prima se soltanto per un anno noi l'abbandonassimo, comprendo che soltanto con difficoltà un dittatore potrebbe stabilire ordine, sicurezza ed una rudimentale civiltà nella barbara confusione abissina. Ma dal nostro punto di vista ciò non interessa.

Interessa invece e molto, che se un fatto nuovo non interrompe l'attuale evoluzione, l'Etiopia pur restando barbara diventerà sempre· più uno Stato unitario e militarmente importante. Anche i popoli semi-barbari, e l'abissino primo fra tutti, possono della civiltà assimilare la par.te meccanica della organizzazione militare. E quando si pensi che, per una ovvia fatalità di cui si vedono già i sintomi evidentissimi, J'Etiopia non può non [evolvere] che su linee nazionalistiche, irredentistiche e xenofobe, si comprende quanto giustamente Scammacca dica che un avvenire non troppo .lontano potrà segnare tempi ben difficili per gli interessi europei nel paese e per la protezione degli stranieri colà residenti, ed anche -io vorrei aggiungere -per la sicurezza dei confinanti paesi di dominio europeo.

Che lo spirito xenofobo sia ormai quello che informa i:l Governo centrale e che tutti debbono dimostrare pe·r mettersi in vista e rendersi ben accetti in alto, è fra l'altro dimostrato (per parlare di fatti a mia conoscenza divetta) dall'atteggiamento di questo Console etiopico, noto come creatura del Ministro degli Affari Esteri (l), e dal fatto che ormai è fuori dubbio incidente Adi Abo essere sorto per diretti ordini di Ras Seium. Costui è uomo pacifico, come è noto, non nostro nemico e che al confine dello Adi Abo tiene certo assai poco: ma che ha voluto agire così per mostrare che anche egli è all'altezza del moderno spirito abissino.

Legazione rileva l'atteggiamento di solidarietà determinatosi nel campo

diplomatico. Non sta certo a me di esaminare quanto ciò derivi dalle necessità

• Distribuzione elemosine a Chiese ~ritrea e poveri fatta da sede consolato, se seru:a dubbio corrisponde ad istruzioni Governo centrale etiopico, costituisce provocazione inqualicabile che deve essere punita nella persona dell'Ato Uodaggio per dare salutare sensazione a nostre stesse popolazioni energica e ra:Dida reazione.

Console etiopico in Asmara ha in questi ultimi tempi accentuato sua propaganda

tra clero copto Eritrea, forte della presenza nella vicinanza Adua del nuovo Abuna cui

sforzi naturabnente tendono ad estendere di fatto, se non di diritto, sua giurisdizione ad

Eritrea.

L'ambiente che circonda il consolato etiopico vede nell'Ato Uodaggio una autorità

che si contrappone a Governo ed occorre colr>ire tale presunzione •.

Grandi comunicò a Scammacca con t. (p.r.) 970/36 del 29 gennaio: c Questo Ministero concorda sulle considerazioni che inducono S.E. il Governatore dell'Eritrea a ritenere indesiderabile ulteriore permanenza Asmara del console etiopico Uodaggio Ato •.

della situazione da fronteggiare e quanto dalla grande e fine abilità spiegata dalla nostra rappresentanza e dal suo capo per fare sorgere questo spirito di solidarietà. Voglio soltanto dire che è questo un risultato molto utile, ma che non sarà sufficiente fino a che eguale spirito non informerà le direttive politiche delle grandi Potenze europee che hanno interessi in Abissinia e territori che con essa confinano.

(l) -Annotazione a margine: c Visto da S.E. il Capo del Governo. l marzo 1932 •. (2) -II doc. fu inviato per conoscenza anche alla legazione di Addis Abeba e al governatore della Somalia. (3) -Cfr. n. 253, spedito al ministero Esteri coi nn. prot. 108 e 109, e a Astuto con

(l) Sul console etiopico all'Asmara, Ato Uodaggio, cfr. quanto Astuto comunicava a De Bono e a Scammacca (e da questi comunicato a Grandi con t. (p.r.) 488/365-366, Addis Abeba 22 gennaio, ore 19, per. ore 23,30):

265

L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

T. 948/130. Londra, 4 marzo 1932, ore 3 (per. ore 7,30).

Mio telegramma N. 126.

Gravissimo colpo apportato all'italianità di Malta dalle improvvise decisioni di questo Governo, che sono andate anche oltre raccomandazioni Commissione Reale, nell'abolire italiano come lingua ,insegnamento scuole elementari, non può non essere seriamente risentito dal R. Governo e dall'opinione pubblica italiana.

Vedrò domani Vansittart, che non ha potuto disgraziatamente ricevermi oggi e non mancherò di esprimergli mio legittimo risentimento per non avere questo Governo tenuto nessun conto delle ripercussioni che avrebbe avuto in Italia sua affrettata e radicale decisione nella questione lingua italiana Malta dopo ripetuti passi fatti qui ed a Roma presso codesta Ambasciata britannica. Inghilterra è padrona di fare quel che vuole nelle sue colonie, ma se le attuali decisioni verranno mantenute ed attuate non potrà certo più contare su quella amicizia italiana che anche recentemente ha dimostrato di apprezzare e di volere intensificare. Quanto alla reazione che seguirà a Malta, essa sarà certamente profonda e non mancherà cementare movimento antibritannico finora inesistente.

Riferirò subito esito mio passo e sarebbe forse utile che anche nei rapporti italo-inglesi a Ginevra fosse tenuto conto della situazione determinata da questo fatto nuovo.

266

L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 958/135. Londra, 4 marzo 1932, ore 17 (per. ore 5 del 5).

Mio telegramma di ieri n. 130 (2). Ho detto a Vansittart, che ero stato molto seccato decisioni Governo britannico nei riguardi lingua italiana Malta, considerandole gesto non amiche

vole verso Italia. Ho accennato al tatto da noi sempre usato nella questione, perché non si potesse supporre che ci occupassimo di cose interne e coloniali dell'Inghilterra, ma che avevamo sempre fatto presente grande importanza che attribuivano al mantenimento lingua e cultura italiana a Maita, e ciò non da ie'I"i ma da decenni. Non aver questo Governo tenuto conto alcuno delle ripercussioni che provvedimento preso avrebbe avuto sull'opinione pubblica italiana e sulle relazioni di amicizia itala-britanniche giustificava nostro risentimento. Ho fatto quindi ogni riserva sull'atteggiamento che R. Governo avrebbe creduto di prendere e sugli spiacevoli commenti che sarebbero apparsi nella stampa italiana. Ho aggiunto che non spettava a me preoccuparmi conseguenze che decisioni britanniche avrebbero a Malta, ma ritenevo che, dal punto di vista internazionale e delle relazioni itala-britanniche, tali decisioni erano state uno sbaglio.

Ho pregato Vansittart di far conoscere al Segretario di Stato quanto gli avevo detto.

Vansittart mi è sembrato piuttosto imbarazzato e non ha saputo rispondermi altro che le decisioni per Malta erano state prese per porre termine ad una questione che agitavasi nell'isola e che intralciava lo sviluppo della conoscenza dell'inglese in quella co<lonia, a danno dei maltesi che intendono abbracciare pro:liessioni fuori isola. Ha anche egli accennato, come articolo Times stamane, all'eccessivo sforzo imposto ai bambmi maltesi con educazione trilingue ed al fatto che provvedimento non deve essere interpretato come diretto contro lingua italiana, giacché italiano rimane a parità con inglese nelle scuole secondarie e scuole superiori frequentate dalle classi più colte.

A mia richiesta mi ha detto che decisione presa all'unanimità Consiglio dei Ministri e che suppone anche Simon e Mac Donald assenti fossero stati consultati. Avevo rilevato infatti deplorevoli assenze Primo Ministro e Segretario di Stato per gli Affari Esteri che avrebbero probabilmente avuto maggiore sensibilità internazionale e· in una questione cosi delicata.

(l) -Il tel. fu trasmesso a Roma e a Ginevra. (2) -Cfr. n. 265.
267

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI INGLESE, SIMON (Archivio Grandi, copia)

L. P. Roma, 4 marzo 1932.

On returning to Rome I found your kind letter of the l"' inst. and thank you very much for the interesting news you give me.

I wish to tell you how pleased I have been to work in close touch with

you at Geneva, both in questions concerning the League and in those touching

the Disarmament Conference. As for this, I am afraid we still need to

work pretty hard to reach some definite results. I know that nothing will

be more valuable in this than your personal authority, your sincere goodwill

and your support of the cause of Peace.

I am looking forward to the pleasure of working again together with you for the common aim.

Please remember me most respectfully to Lady Simon and tell her that I have the most pleasant remembrance of the charming evening I spent with her and you (1).

268

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI, A ROBERT DE CAIX, A PARIGI

L. P. Roma, 4 marzo 1932.

Votre silence après la promesse de l'envoi de la lettre que S. E. Berthelot m'avait annoncé à ma derniere visite au quai d'Orsay, m'aurait étonné si je n'avais pas suivi 1le développement de votre crise ministédelle et les déplacements successifs du nouveau chef du Gouvernement français.

Comme vous l'aurez déjà appris, je n'ai pas eu l'occasion de mettre au courant M. Grandi de nos conversations genevoises et pa11isiennes qu'à son retour ici, c'est dire il y a 12 jours environs. Voillà 1la réponse à la première partie de votre intéressante missive du 29 février dont je vous remercie beaucoup.

J'attends maintenant avec impatience votre lettre qui, grace à votre profonde expérience et grande habileté sera, j'en suis sur, encore plus complète et perfectionnée! Mon impatience est d'autant plus justifiée, que vos idées, je l'espère vivement, me permettront de parachever ici 1l'oeuvre à laquelle vous travaillez depuis des mois et couronner nos efforts malgré toutes les difficultées inévitables dont nous avons causé si souvent.

269

APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Archivio Grandi, copia)

Roma, 5 marzo 1932.

Il Consigliere dell'Ambasciata di Francia è venuto ad informarmi, d'incarico del suo Governo, che il signor Tardieu, di fronte alle reazioni che il suo memorandum circa gli accordi danubiani (2) ha suscitato già in Germania, ha creduto opportuno di trasmettere anche al Governo tedesco il detto memorandum che era prima destinato soltanto ai Governi italiano e britannico.

Ho chiesto al conte Dampierre se con ciò doveva intendersi esteso anche alla Germania l'invito a conversazioni preliminari, contenuto nel memorandum, fra i Governi italiano, inglese e francese. Egli mi ha detto di non aver notizie su questo punto, ma che verosimilmente doveva essere così (1).

Il conte Dampierve ha inoltre vivamente deplorato l'articolo del Tevere di stamane il quale condanna l'iniziativa Tardieu prima ancora che n Governo italiano si sia pronunziato.

(l) -Cfr. quanto aveva comunicato Manzoni con r. 1015/600 del 17 febbraio 1932: la scorsa settimana, prima di cadere dal Governo, Lavai era riuscito a stabilire una intesa con l'Inghilterra, sulle questioni economiche e delle riparazioni, nei confronti degli Stati Uniti. (2) -Cfr. p, 441, nota l.
270

L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 936/410. Londra, 6 marzo 1932.

Miei telegrammi nn. 130 e 135 del 3 e 4 corrente (2).

Il telespresso di V. E. del 2 corrente n. 206527/75 (3), mi è giunto troppo tardi perché io avessi potuto fare alcun passo prima che questo Governo prendesse le decisioni sulla questione della lingua italiana a Malta che il Segretario di Stato per le Colonie ha annunciato alla Camera dei Comuni mercoledì scorso. Mi proponevo, infatti, prima ancora di ricevere le istruzioni di V. E., d'intrattenere questo Governo nel senso da esse indicato, come logica conseguenza della pubblicazione del rapporto della Commissione Reale. Ma l'inatteso annuncio delle decisioni già prese con sintomatica rapidità e contro la aspettativa generale, non me ne lasciarono il tempo. E così dovetti !imitarmi ad esprimere tutta l'amarezza che risentivo e che sarebbe stata risentita in Italia, per la grave misura che è stato deciso di adottare e per il modo con cui la decisione era stata presa, senza tener alcun conto dei sentimenti italiani.

Tale decisione è stata annunciata tre giorni dopo l'imponente comizio nazionalista di Malta, di cui nessun giornale inglese ha dato notizia, e può apparire come una risposta ail. comizio stesso. C'è chi vuole vedere nella rapida decisione di adottare le proposte della Commissione, senza neanche aspettare l'esito delle elezioni, come la Commissione aveva pure raccomandato di fare, un ultimo riguardo verso Strickland, il quale pur uscendo biasimato e condannato dalle risultanze dell'inchiesta, ha però la soddisfazione di vedere trionfare la sua politica contro l'italianità di Malta.

Più verosimile spiegazione, credo, bisogna ricercare nell'ondata di chauvinismo che pervade in questo momento l'Inghilterra e che traspare attraverso varie manifestazioni dell'attuale Governo. Agire prontamente ed usare la maniera forte, anche quando, come in questo caso, si commettono dei gravi errori, che potranno avere serie conseguenze.

L'opinione pubblica inglese non capisce la questione di Malta e non se ne interessa affatto. Se ne interessò due anni fa nella vertenza col Vaticano, per l'interesse che sempre suscita in questo paese ogni dissidio con il Papato. Ma tutto il resto, anche la questione della lingua, è seguita con indifferenza da chi non è maltese, nessuno si rende conto della situazione e quando si accenna all'italianità di Malta si crede che ciò significhi aspirazioni territoriali dell'Italia sull'isola e si è sospettosi.

Certo è che se mai simili aspirazioni fossero vagheggiate da qualcuno, nessun maggiore servizio potrà essel'e reso ad esse dal Governo britannico di quello che risulterà dai provvedimenti contro la lingua italiana che ha deciso di adottare.

Che ·le decisioni annunciate possano non essere definitive, come qualche nostro giornale spera ancora di poter credere, non mi sembra probabile. Molto dipenderà dalla reazione che ne seguirà a Malta. Non ritengo che un'azione diplomatica da parte nostra possa oggi avere l'efficacia che ebbe trenta anni fa ai tempi di Joe Chamberlain. Sarà bene tuttavia che la nostra stampa rispecchi il sentimento dell'opinione pubblica italiana con queUa forma e quella misura che sono necessarie a non ingenerare sospetti di altro genere.

(l) -Un successivo appunto pari data di Guariglia per Grandi comunicava una telefonata di Dampierre, secondo il quale non risultava che la comunicazione alla Germania del memorandum Tardieu implicasse • anche la partecipazione del Reich allo scambio di vedute tra i Governi italiano, inglese e francese. Ad ogni modo il conte Dampierre ha chiesto chiarimenti telegrafici in merito al suo Governo •· Cfr. più avanti, p. 481. (2) -Cfr. nn. 265 e 266. (3) -Cfr. n. 263.
271

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

T. 354/76. Roma, 7 marzo 1932, ore 20,30.

Telegramma di V. E. n. 130 (1). Approvo energico linguaggio tenuto da

V. E. con Vansittart circa questione lingua italiana Malta. *V. E. potrà confermare occorrendo sua impressione prendendo occasione dolorosa ripercussione opinione pubblica italiana come risulta articoli stampa* (2).

272

L'INCARICATO DEGLI AFFARI D'ALBANIA, LOJACONO, ALL'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI

TELESPR. 206999/44. Roma, 7 marzo 1932.

Si trasmette all'E. V. copia di un rapporto del R. Ministro a Tirana (3). perché Ella possa tenere presenti, pel caso che costì si parlasse seriamente di una visita di Ismet Pascià a Tirana, le giuste considerazioni che vi sono contenute.

Il console a Malta, Silenzi, con t. 966/17 del 5 marzo, ore 16,02, per. ore 18,15, chie deva istruzioni su come dovessero comportarsi i corrispondenti da Malta dei giornali italiani in merito alla questione della lingua. Su questo tel. Guariglia ha annotato: c Conformarsi agli articoli della stampa italiana specie quello del Corriere della Sera che deve essere giunto a Malta •.

(l) -Cfr. n. 265. (2) -Il passa tra asterischi è stato aggiunto sulla minuta da Grandi.

(3) È il telespr. 485/186 del 26 febbraio, col quale Soragna comunicava la notizia della progettata visita a Tirana di Ismet Pascià. Soragna scriveva: • Finora, l'unico uomo

273

MEMORANDUM DEL MINISTERO DEGLI ESTERI PER IL MINISTERO DEGLI ESTERI FRANCESE

Roma, 7 marzo 1932.

l. -Il Governo italiano ha l'onore di ringraziare il Govemo francese per il cortese invio del memoram.dum del 2 marzo corrente (1), relativo alla situazione economica degli Stati danubiani.

2. -Il R. Governo constata anzitutto che mentre la necessità di provvedere al risanamento dell'economia dei paesi danubiani è ormai divenuta profonda convinzione delle Potenze europee, non è stato invece finora possibile raggiungere un accordo sul modo migliore per iniziare un'azione generale ed organica.

Anche recentemente, l'attenzione dei Governi veniva attratta su una proposta avanzata in data 10 gennaio dal Governo britannico (2) per un'azione doganale. fra i paesi dell'Europa danubiana.

Il memorandum francese manifesta l'opinione che la proposta britannica porterebbe a degli ostacoli insormontabili tanto nell'ordine politico che in quello economico e mostra di ritenere che il Governo britannico condivida oggi questo parere.

3. -Il Governo italiano, come è ben noto, è stato uno dei primi ad occuparsi delle condizioni economiche di taluno degli Stati danubiani maggiormente colpiti ed in modo particolare di quelle dell'Austria :liino all'indomani della guerra. Esso ha portato spesso la sua iniziativa e sempre la sua volenterosa collaborazione all'opera di risanamento che via via si è mostrata ognor più necessaria per quei paesi. Il Governo italiano dunque pienamente condivide le preoccupazioni manifestate dal Governo francese nel suo memorandum e crede di poter affermare che quelle preoccupazioni hanno per l'Italia un'importanza tutta particolare data la special·e situazione in cui essa si trova di fronte all'economia degli Stati danubiani.

L'Italia infatti, se è mossa, in questo problema, dalle stesse considerazioni di carattere generale e di interesse europeo che inspirano il Governo francese, non può però nemmeno prescindere dalle condizioni particolari in cui la pon

politico di grido mondiale che abbia fatto una visita a Tirana, è S.E. Grandi; visita che, tanto pei forestieri come per gli albanesi, assunse un carattere tutto speciale e che quindi non passa in conto. Ma se il celebre Ismet Pascià porrà il piede in Tirana, per trattarvi argomenti politici, io dico senza ambagi a V. E. che qui si perderà la testa; di colpo questisignori si sentiranno sollevati fino al settimo cielo, e stimeranno l'importanza di Tirana non inferiore a quella di Londra o di Washington... Esprimo quindi il parere che sia fatto ogni sforzo per evitare la visita di un alto personaggio turco a Tirana; non di un turco soltanto, ma specialmente di un turco. Ormai, grazie alle conferenze balcaniche che si susseguono come le fasi lunari, gli albanesi sono riusciti a far della politica loro, in sede ufficiosa, senza passare per il nostro tramite; cerchiamo che non si mettano a fare, prima del tempo fatale, anche della politica ufficiale. Io sono persuaso che la nostra pupilla Albania è destinata un giorno a procacciarci disappunti e dispiaceri, appena le capiti l'occasione di far un po' di politica internazionale: non saranno forse cose grosse, perché la possa è piccola, ma farà del suo meglio. Più la teniamo in fascie, e più guadagneremo •·

Guariglia, presa visione del telespr. di Soragna, così annotava il 7 marzo: • Sarebbe il caso di scrivere ad Aloisi perché cerchi di evitare il viaggio di Ismet a Tirana •. E cosi fu subito fatto.

gono la sua posizione geografica nonché il carattere integrativo della sua economia con auella di taluno degli Stati danubiani, né dalla circostanza che l'avere essa partecipa'to alla successione dell'ex Impero austro-ungarico, ha reso ancora più stretti i legami economici che già prima la univano allo Stato da cui quei paesi hanno ereditato parte deLla loro struttura economica.

4. -Il Governo italiano pertanto, se ritiene invero sommamente desiderabile una soluzione generale che risani l'economia di tutti gli Stati danubiani, è altresì convinto che, come il maggiore pericolo risiede oggi nella situazione difficile dell'Austria e dell'Ungheria, così un conside·revole, se non definitivo, passo in avanti sarebbe fatto dando a questi due paesi un conveniente assetto finanziario ed economico.

Il R. Governo dunque, mentre ha sempre portato ben volentieri il suo esame su tutti i progetti che sono stati avanzati, ha creduto opportuno fin dallo scorso maggio a Ginevra di indicare questo suo punto di vista.

E fin da tale epoca annunciava la conclusione con l'Austria e l'Ungheria di speciali accordi i quali hanno appunto per iscopo di facilitare le esportazioni mediante concessione di credito ed altre agevolazioni studiate proprio in base alle necessità del periodo attuale di crisi ed alle condizioni particolari dei traffici italo-austro-ungheresi.

Le caratteristiche delle economie dei tre paesi che si integrano in molti importanti rami di produzione, il desiderio espresso dai Governi di Vienna e di Budapest, e la volontà del Governo italiano di perseguire in questa opera, anche a costo di immediati sacrifici, hanno fatto sì che proprio in questo momento i tre Governi stanno studiando il modo di perfezionare tali accordi e di ampliare ed intensificare i vincoli economici tra ItaJ.ia, Austria e Ungheria in modo da arrecare un efficace contributo al risanamento del1e condizioni economiche dei due Stati danubiani suddetti. Il Governo italiano crede che se, come spera, queste intese potranno in breve tempo essere esecutive, un primo ed importante passo sarà segnato verso il risanamento generale degli Stati danubiani. NeHe sue intenzioni questa azione dovrebbe infatti costituire un efficace apporto all'opera comune a tal fine diretta e potrebbe svolgersi in armonia con l'iniziativa del Governo francese.

5. -Il R. Governo non ha potuto rendersi ancora conto se al risultato generale sperato sia possibile giungere attraverso un piano organico rapido ed efficace che si attagli alle diverse necessità ,e tenga conto degli svariati problemi come certo è più desiderabile, ma anche più difficile, o se invece la sola via possibile sia quella delle intese dirette e degli aiuti singoli, in modo da giungere attraverso un complesso di sforzi comuni alla soluzione desiderata.

Pur rimanendo convinto che, in attesa di realizzare la prima, la seconda via debba essere quanto più attivamente seguita, il Governo italiano è naturalmente disposto e desideroso di collaborare efficacemente allo studio dei vari progetti formulati per la sistemazione economica dell'Europa danubiana.

6. -Con queste disposizioni il R. Governo si accinge a portare il suo più attento esame sulle proposte del Governo francese contenute nel memorandum del 2 marzo giunto a Roma il 5 u.s.

In sostanza il Governo francese, in vista della difficile situazione economica, non solo dell'Austria e dell'Ungheria, ma di tutti i Paesi danubiani e della necessità di non ricercare delle soluzioni parziali o dei palliativi, propone, quale rimedio di carattere generale atto a risanare definitivamente l'economia di auesti Stati, delle combinazioni a base preferenziale tra i paesi danubiani.

Per verità, il memorandum francese riconosce come su queste combina~ zioni a base preferenziale esso non abbia attualmente una dottrina già determinata, e ritiene che dovrebbe essere lasciata a conversazioni fra i cinque paesi interessati, la cura di giungere alla determinazione deHe modalità di un regime consimile, il quale peraltro tenesse il debito conto degli interessi dei terzi Stati.

7. -Riesce difficile al Governo italiano, in mancanza di tutti i necessari elementi, di esprimere fin d'ora un definitivo e ponderato parere su tale proposta, la qual•e peraltro ad un primo esame non gli sembra immune da quelle

difficoltà di natura politica ed •economica che il Governo francese ha ravvisato nella proposta britannica.

Il R. Governo è invece alquanto dubbioso sulla opportunità che lo studio di combinazioni a base preferenziale di cui non è ancora possibile fissare né la natura né la portata, sia affidato ai soli cinque Stati danubiani in quanto che esso teme che simile procedura non tardi piuttosto che affrettare, le soluzioni che sono da attendersi nell'interesse generale. Né è d'uopo dimenticare i vasti e complessi problemi che un regime come quello proposto desterebbe nei confronti dei terzi. È evidente che tali legittimi interessi (che il Gov.erno italiano considera per parte sua di grande importanza) potrebbero ·essere più fadlmente salvaguardati nel corso delle trattative dagli stessi paesi danubiani, che non evocati a posteriori quando tali trattative avessero condotto a soluzioni inaccettabili per i terzi Stati.

Il Governo italiano pertanto, mentre è ben lieto di aderire all'invito del

Governo francese di concertarsi con lui e con quei Governi ai quali la situa

zione dell'Europa danubiana ispira analoghe preoccupazioni, prospetta se non

sarebbe opportuno che gli scambi di idee di cui è menzione nel memorandum

francese, avessero invece luogo fra i rappresentanti dei cinque Stati danu

biani interessati da un lato, ed i rappresentanti della Francia, della Germa

nia, della Gran Bretagna e dell'Italia dall'altro, con l'intervento cioè di quei

paesi che maggiormente possono contribuire al risanamento economico

danubiano.

8. -Il Governo italiano infine, pur condividendo l'opinione del Governo franc.ese che il risanamento economico dei paesi danubiani sia la base essenziale della loro restaurazione finanziaria, ritiene che non si possa d'altra parte non tenere conto del tempo che sarà necessario perché i provvedimenti che saranno concertati ed adottati (qualunque essi siano) portino i loro benefici frutti e ristabiliscano nei mercati finanziari la fiducia necessaria nella capa

cità dei pagamenti di quei paesi.

Il Governo italiano ritiene pertanto che si dovrebbe esaminare la possibilità di accordare loro quegli aiuti finanziari urgenti ed indispensabili ad impedire eventuali catastrofi nelle more di una decisione e necessari anche ad affrettare la difficile opera della loro ricostruzione economica.

(l) -Cfr. p. 441, nota l. (2) -Cfr. n. 179.
274

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

(Archivio Grandi)

R. P.R. 915/442. Berlino, 7 marzo 1932.

Come ho avuto l'onore di telegrafarLe, il signor Nadolny è rientrato stasera a Ginevra, dopo due giorni di vera e appassionata lotta, non per rimanere al posto che occupa ora a Ginevra, ma per rimanervi con quel prestigio e quella autorità che il compito affidatogli reclama. Senza quel prestigio e quell'autorità, egli preferirebbe rientrare in Turchia, dove è meglio retribuito ed ha minori seccature.

Il motivo della sua venuta qui è stato -cosa che Biilow mi ha taciuto l'aver ricevuto da questi una lettera con la quale lo si pregava di cessare ogni traUativa con il signor Tardieu e lo si informava che le trattative con il Governo francese anche per il disarmo, erano affidate al signor von Biilow e a Hoesch, e che si passavano tra Berlino e Parigi. Egli non avrebbe dovuto immischiarsene, Jimitando la sua attività a dar corso alle istruzioni che avrebbe ricevuto da Berlino. Questa lettera era stata occasionata dalla conversazione avuta da Nadolny con Tardieu sulla questione dell'uguaglianza dei diritti, sulla sicurezza (2), dall'indiscrezione apparsa nell'Excelsior della quale l'Ambasciatore di Germania a Parigi aveva ottenuto una smentita da parte della Presidenza del Consiglio. Ma se questa era stata l'occasione, la causa che aveva indotto Nadolny a domandare di essere udito a Berlino dal Cancelliere era ben più profonda. Ed è che egli si era accorto dell'esistenza di un contrapposto -che da un momento all'altro avrebbe potuto divenire un conflitto -tra la Cancelleria del Reich, il Ministero degli Esteri e il Generale Groener, il Generale von Schleicher, la Reichswehr. Da una parte il Cancelliere, Biilow, Hoesch, pieni di riguardo verso la Francia, il signor Tardieu, sempre disposti a compromessi sul terreno delle 11iparazioni e puranco del disarmo, dall'altra il Generale Groener e i suoi generali (dei quali uno, il Generale Blomberg, lavora con Nadolny a Ginevra) che non intendono cedere d'una linea sul terreno sul quale si sono trincerati, che non vogliono compromessi né tanto meno cedere sul terreno militare per trarne vantaggi su

quello finanziario delle riparazioni. Si è riaffacciato quel dissidio fra elemento

militare e civile, che fu una delle cause della disfatta germanica nella gran

de guerra.

Arrivato a Berlino, Nadolny, che rera stato avvertito del telegramma del Generale von Blomberg (che ·l'aveva preceduto presso il Ministro della Difesa Nazionale con preghiera di appoggiarlo fortemente) si è recato dal Generale Groener, per concertarsi, poi ha avuto colloqui con il Cancelliere, con il Presidente della Repubblica -nei quali, con certa sua sorpresa, ha dovuto constatare di essere c sorvegliato • dal signor von Biilow, che lo ha assistito tanto alle conversazioni con il Cancelliere (cui era presente anche il Generale Groener e l'Ambasciatore Hoesch) quanto col Maresciallo von Hindenburg (cui era presente Biilow ed il Segretario di Stato Meissner).

È superfluo che riferisca quanto Nadolny mi ha raccontato di quelle conversazioni. Basta che Le dica: la conclusione essere stata la seguente: È stata riconosciuta al signor Nadalny, per l'oggetto della Conferenza ginevrina, completa indipendenza -soltanto, * siccome il disarmo è una delle questioni attualmente oggetto di trattative fra Berlino e Parigi* (1), Nadolny ha riconosciuto esseve suo dovere di riferire al Cancelliere ogni suo eventuale progetto di proposta, e di nulla intraprendere senza il beneplacito del medesimo. Ha ottenuto, però, che nulla si faccia o si dica ira Parigi e Berlino in materia di disarmo senza che ~egli abbia in proposito potuto manifestare il proprio avviso, e tanto meno a sua insaputa. Il Generale Groener lo ha sostenuto a spada trartta, il Cancelliere ha approvato quanto egli domandava, manifestandogli in pari tempo la fiducia del Governo. Biilow si è dato gran pena per fargli capire che l'interpretazione data alla sua lettera era esagerata. Nadolny parte soddisfatto in parte, ma in parte disgustato per gli intrighi, per la condiscendenza che Briining e Biilow continuano a mettere in mostra di fronte alla Francia e per l'apprensione che vede in questi due del loro incerto domani. Egli sente che in questo momento la sorte dei due dipende molto da quello che egli farà a Ginevra. Alla Wilhelmstrasse si attende da lui che faccia qualcosa per soddisfare i nazionalisti tedeschi, ma si teme che questo qualcosa disturbi le disposizioni d'animo del signor Tardieu verso Briining, agiti l'opinione pubblica franc,ese re ritardi quel lento* rlavoro di cristallizzazione che si sta compiendo nel gran crogiuolo dei rapporti franco-germanici intorno a varie questioni vitali, fra le quali le riparazioni * (1). Basterebbe che Nadolny dando libero corso al suo naturale temperamento o seguendo un calcolo egoistico, compiesse un passo un po' energico (per il Quale sarebbe sicuro d'avere l'appoggio del potente Ministro della Difesa Nazionale) per dare al Cancellieve e al Segretario di Stato un colpo al quale ben difficilmente reggerebbero. Egli però non lo farà, perché mi diceva: c Non ho davanti a me che il mio paese. Sono come un povero asinello che va diritto sulla strada col sacco sul dorso e che non si cura di chi glii dà l~gnate sul di dietrp -però mi devono lasciar fare e non voglio che il signor Hoesch (di cui biasimava la esagerata francofilia) e von Biilow si mescolino nel mio lavoro e lo complichino. Io sarò contento quando a quella parte del trattato di Versaglia che fissa l'inferiorità e la schiavitù della Germania, avrò potuto sostituire. una

convenzione che leghi tutte le potenze ugualmente -più non domando né mi può venire domandato •.

Egli mi ha espresso tutta la riconoscenza per l'alta benevolenza e per l'appoggio concessogli da V. E. • Grandi, aggiungeva, mi ha procurato una sorpresa nella questione della Commissione politica. Mi ha spiegato le ragioni, io le ho capite; e fortemente mi auguro che non mi abbandonerà nella questione della uguagUanza di diritto. Se dovessi però accorgermi che Simon o Grandi, su questo punto, tendono verso un mutamento d'indirizzo, non peritererei un istante a fare con il signor Tardieu l' "affare" che ci viene proposto •. V. E. saprà cosa significhi praticamente il senso di questo verso strano -io mi limito a riferirlo (1).

Nadolny parte da Berlino non convinto della vittoria al primo scrutinio del Maresciallo von Hindenburg e non convinto che il binomio Briining-Biilow sia per restare a lungo alla direzione della politica estera del Reich. Sa che se Groener fosse chiamato a costituire un nuovo Gabinetto, il nome suo verrebbe preso in esame come d'un candidato al portafoglio degli Esteri. Ma nulla farà né per modificare né per anticipare gli eventi. Il 19 marzo, non appena la Conferenza entrata in vacanze, egli partirà direttamente per Angora, onde interrompere l'assenza dalla sua residenza normale -e ciò per scopi burocratici-finanziarii. Il 29 marzo sarà di nuovo a Berlino per conferire con il Cancelliere e riprendere poi a Ginevra il suo posto.

Nonostante le notizie portate dai giornali egli ha ragione di ritenere che né il CancelUere né il signor von Biilow, per il momento, si recheranno a Ginevra.

(l) -Il doc. reca il visto di Mussolini. (2) -Nei nostri documenti esistono accenni a due conversazioni Tardieu-Nadolny. Cfr. nn. 248 e 254.

(l) II !)asso fra asterischi è stato sottolineato presumibilmente da Mussolini.

275

IL MINISTRO A SOFIA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA RR. 779/272. Sofia, 7 marzo 1932.

Ho visto in questi giorni una persona che ha contatti con l'ORMI, la quale mi ha detto di aver avuto un colloquio in Sofia con Ivan Mihailoff venuto per abboccaarsi col noto pubblicista francese avv. Desbons.

Ivan Mihailoff, il quale sarebbe in ottima salute, avrebbe espresso al mio

interlocutore il desiderio di farmi conoscere che l'ORMI ha notato da qual

che tempo un certo raffreddamento da parte dell'Italia: egli si sarebbe inol

tre lamentato che i suoi uomini non riescono più a entrare o risiedere in

Albania né rifornirsi colà di armi e munizioni. Ciò che è di grave danno e

dispendio per l'organizzazione.

Il Mihailoff avrebbe detto che malgrado le passate lotte i suoi sentimenti

sono sempre favorevoli all'Italia e si sarebbe ~espresso favorevolmente nei

riguardi dell'attuale Go:verno bulgaro.

D'altra parte un connazionale, noto e stimato rappresentante di fabbri

che d'armi, è venuto a dirmi che alcuni emissari dell'ORMI erano stati da

lui chiedendo di procurar loro fucili automatici, pistole, bombe, esplosivi, ecc. da spedirsi a mezzo della nave che egli noleggia ogni anno per il trasporto degli esplosivi che questo Governo acquista in Italia. Il connazionale si è schermito facendo presenti le difficoltà che si oppongono ecc. Gli altri hanno risposto che per il pagamento vi sono i denari depositati in Italia ,e che per l'entrata in Bulgaria penserebbero loro per i relativi permessi. Occorrerebbe quello di uscita dall'Ital_ia. Senza il nostro consenso non sarà fatto nulla ed il rappresentante è poco desideroso di compromettèrsi data la situazione del paese: io l'ho incoraggiato in questa attitudine in attesa delle eventuali riservate istruzioni dell'E. V. (1).

(l) A margine Grandi ha annotato: • Ecco come intendono la collaborazione i sig. tedeschi! •·

276

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

TELESPR. R. 207133/162. Roma, 8 marzo 193~.

Suo teLegramma per corriere n. 43/19 del 23 febbraio u.s. (2).

V. S. potrà far sapere al Signor Karovic che siamo disposti a vietare a Fiume, secondo egli ha richiesto, la vendi,ta ed, eventualmente, anche la pubblicazione, qualora ciò risultasse esaHo per l'Ustasa, dei fogli di propaganda croata, antiserbi, che egli ha denunciato.

L'adozione di tali provvedimenti è, però, subordinata alla condizione che, contemporaneamente, altrettanto, ed efficacemente, si faccia dal Governo jugoslavo per quanto concerne la vendita e diffusione costà di giornali di carattere antifascista e la tolleranza di centri di agitazione antifascista e irredentistica specie nelle regioni prossime alla frontiera.

Tale contemporanea azione del Governo jugoslavo costituirà una palese prova delle sue reali intenzioni di contribuire ad eliminare attività che possono avere ripercussioni nocive agli utili rapporti fra i due paesi ed aHa situazione alle comuni frontiere.

V. S. voglia riferire il seguito che, in tal senso, la cosa avrà avuto.

277

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA

TELESPR. 207129/14. Roma, 8 marzo 1932.

Rapporto n. 387/190 del 24 febbraio u.s. di codesta Ambasciata. Col suindicato rapporto l'E. V. nel prospettare la precaria situazione interna spagnuola si è esplicitamente riferita alla minaccia rappresentata dal pro

getto del controllo operaio nelle imprese industriali, la cui approvazione costituirebbe una condizione essenziale alla permanenza di socialisti in codesto Governo.

Il progetto di legge in questione ha pertanto sollevato viva preoccupazione tra le industrie nazionali che hanno filiali o comunque interessi in codesto paese, le quali, qualora il progetto di legge entrasse in vigore si troverebbero costrette con ogni probabilità a por fine alla propria att~vità industriale in !spagna.

Secondo informazioni pervenute a questo Ministero sembra che forti gruppi industriali inglesi, francesi ed americani, abbiano esercitato pressioni presso i rispettivi Governi per la salvaguardia dei ~oro interessi seriamente minacciati dai provvedimenti di pura marca socialista che il Governo spagnuolo si propone di adottare.

Questo Ministero si rende conto delle difficoltà di un intervento in materia di politica sociale interna, in considerazione però delle grandi conseguenze che una tale misura provocherebbe anche per l'economia spagnuola determinando inevitabilmente il ritiro di ingenti capitali stranieri dalla Spagna, prego l'E. V. di voler seguire attentamente la questione svolgendo, in unione eventualmente con le altre rappresentanze estere interessate, la più efficace azione per la tutela degli interessi nazionali in codesto Paese.

Unisco pertanto copia d'una lettera pervenuta al riguardo dal senatore Alberto Pirelli (1).

ALLEGATO.

PIRELLI A GUARIGLIA

Milano, 4 marzo 1932.

È in gestazione da parte del governo socialista spagnolo una legge per il controllo operaio sull'industria, a tendenze bolscevizzanti, che spaventa quanti hanno interessi industriali in !spagna ,e quindi anche la mia Società. La legge in questione, almeno nella forma in cui è redatto attualmente il progetto, rappresenta una minaccia tale da metterei in dubbio se l'eventuale sua entrata in vigore non ci obbligherebbe a considerare perfino la cessazione di tale nostra attività spagnola. Se ne preoccupano vivamente le grandi aziende estere che hanno filiazioni in !spagna, come la Rio Tinto di Londra, la Pennaroja di Parigi, i gruppi elettrici che fanno capo alla SOFINA di Bruxelles ed il gruppo telefonico che fa capo alla International Telephone & Telegraph Corp. di New York. Sono stati fatti passi dalle aziende di cui sopra e da molte altre presso i rispettivi governi affinché i rappresentanti diplomatici in !spagna seguissero la cosa e, pur col necessario tatto, intervenissero tempestivamente.

È ovvia la difficoltà di tale intervento in materia di politica sociale interna, tuttavia quando ,era Ministro degli Esteri Lerroux, già c'era stato qualche approc

« Osserva giustamente l'E.V. che un intervento in materia cosi delicata di politica sociale interna presenta insormontabili difficoltà, sopra tutto nell'eccezionale momento politico che si attraversa: ed è perciò che nessuno dei miei colleghi qui accreditati ha ricevuto finora istruzione alcuna nel senso d'intervenire ufficialmente presso questo Governo ai fini desiderati. Comunque io mi mantengo e mi manterrò in continuo contatto con le altre rappresentanze estere, ed al momento opportuno non mancherò di svolgere la più efficace azione ver la tutela degli interessi nazionali in questo paese, riferendone d'urgenza all'E.V. •·

cio ed egli aveva dato confidenzialmente ad elementi francesi e belghi affidamenti che la legge non sarebbe passata o sarebbe passata con notevoli modificazioni. D'altra parte qualche gruppo estero ha suggerito di far sentire al Governo spagnolo che, se la legge dovesse passare, essa è di tale gravità che dovrebbe essere dato il diritto al capitale estero di ritirarsi, ottenendo anche il relativo permesso di esportazione di valuta.

Il progetto, che qualche mese fa sembrava sospeso, torna ora sul tappeto e Le sarei quindi grato se Ella vedesse la possibilità di interessare l'Ambasciatore Durini a seguire la cosa a tutela degli interessi italiani stabiliti in !spagna, naturalmente nei modi che potranno consigliare sia le circostanze, sia l'azione che sarà svolta da altre rappresentanze diplomatiche (1).

(l) -Allegato a questo doc. e al telespr. per Sofia del 17 marzo (cfr. n. 300), un appunto riservatissimo di Guariglia per Ghigi del 15 marzo: • Richiamo specialissima attenzione e prego sottoporre questione a S.E. il Ministro>. (2) -Cfr. n. 190.

(l) A questo telespr. l'ambasciata di Madrid rispose con telespr. 536/259 del 20 marzo 1932, di cui si pubblica il oasso seguente:

278

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COLL'AMBASCIATORE D'INGHILTERRA A ROMA, GRAHAM

Roma, 8 marzo 1932.

Graham -(alla fine di una conversazione su altri argomenti). Debbo con rincrescimento rilevare la campagna giornalistica italiana nei riguardi della questione linguistica a Malta.

Grandi -Vi ringrazio di questo accenno che mi permette con minori difficoltà di intrattenermi su questo delicato argomento. Vi parlo come amico, come fautore di _una politica di sincera collaborazione fra i nostri due paesi. Quello che la Gran Bretagna sta compiendo a Malta ha suscitato una vera emozione nell'anima degli italiani. A che scopo tutto ciò? Dal Risorgimento ad oggi quando mai la Gran Bretagna ha potuto lamentarsi della condotta dell'Italia nei riguardi di Malta? Mai. E allora perché far nascere una questione quando questa questione non esiste? Mi sembra così poco consono alla tradizionale saggezza politica dell'Inghilterra quello che si sta facendo a Malta oggi.

Graham -Non nega che le decisioni prese sono forse 'eccessive, e che forse qualche misura potrà essere adottata per mitigare i provvedimenti invocati dalla Commissione.

Grandi -L'Ambasciatore Bordonaro ne ha già parlato amichevolmente con Simon. Fatelo anche voi, ve ne prego. Perché vogliamo far sorgere una nube tra i rapporti così cordiali italo-inglesi? (2).

« Questo Ministero si è fatto premura di interessare la R. Ambasciata in Madrid in merito a quanto Ella ha ·fatto presente circa i pericoli della progettata legge spagnola sul controllo O·r>eraio.

La predetta R. rappresentanza non ha mancato invero di seguire la questione, conscia dell'importanza che essa ha Der noi.

Data tuttavia la delicatezza della cosa l'Ambasciab in parola, conformandosi all'atteggiamento delle altre rappresentanze straniere non ha creduto intervenire ufficialmente pressoquel Governo ai fini desiderati, ma ha assicurato che avrà particolare cura di svolgere al momento opportuno la più efficace azione per la tutela degli interessi nazionali in quel

paese'·

(l) Guariglia rispose il 6 aprile con la lettera seguente:

(2) Sullo stesso tema Grandi intrattenne nuovamente Graham in un colloquio sul quale esiste un appunto di Grandi, datato Roma 24 marzo.

279

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO DEGLI ESTERI UNGHERESE, WALKO

Roma, 8 marzo 1932.

Walko -Tiene a dirmi subito di aV€r letto il nostro memorandum (l) di risposta a quello francese, e di constatare come la linea seguita dal Governo italiano coincide con quella del Governo ungherese.

Il Governo ungherese è contrario all'idea britannica di una unione doganale fra i cinque Stati danubiani perché irrealizzabile in mancanza di una compensazione organica e totale negli scambi reciproci. Walko non accenna agli inconvenienti di caraUere politico che ne deriverebbero e non ha l'aria di preoccuparsene molto. Anche ciò è nuovo per uno statista ungherese. Walko non è contrario all'idea francese di esaminare un sistema di accordi preferenziali fra i cinque paesi danubiani come premessa di accordi più vasti colle grandi Potenze. Un sistema di accordi preferenziali danubiani, a sé stanti, avrebbe gli stesSIÌ inconvenienti deUa progettata unione doganale a cinque. I soli ad avvantaggiarsene sarebbero i due paesi industriali (Austria e Cecoslovacchia) a danno dei .tre paesi agricoli (Ungheria, Jugoslavia e Romania).

Circa il progetto della triplice doganale itala-austro-ungherese, Walko mi dice che la situazione è cambiata dall'epoca del viaggio del Conte Bethlen (2). Anzitutto il Governo tedesco ha dichiarato a quello austriaco che, pur consentendo alla firma degli accordi Brocchi e ad un razionale allargamento di questi, il Governo tedesco è nettamente contrario ad un progetto di unione doganale in cui fosse partecipe l'Austria senza la· Germania. Analoga comunicazione il Ministro tedesco Schoen ha fatto, d'incarico del Governo tedesco, a quello ungherese, per quanto riguarda direttamente l'Ungheria. L'Austria quindi, prosegue Walko, rispettosa ed obbediente come è ai voleri di Berlino, non crede sia disposta, nelle condizioni attuali, a marciare avanti sino all'unione doganale. D'altra parte il Governo ungherese non ritiene realizzabile un'unione doganale italo-ungherese senza rAustria, mancando, in assenza dell'Austria, la necessaria continuità territoriale. Il Governo ungherese è invece d'accordo di allargare e sviluppare il più possibile gli accordi Brocchi, senza arrivare per ora all'unione doganale e soprattutto • evitando di parlarne • dato che ciò incontrerebbe l'opposizione netta della Germania.

Walko mi domanda se allo stato delle cose, il Governo italiano ritiene opportuno proseguire attivamente gli scambi di vedute fra esperti italiani, austriaci ed ungheresi, per l'allargamento degli accordi Brocchi, oppure se H Governo italiano ritenga opportuno di attendere a far ciò quando si sia meglio chiarita la situazione creatasi dalla iniziativa francese.

Grandi -Rifaccio dal punto d'origine, la • storia • degli accordi Brocchi sino al viaggio del Conte Bethlen a Roma, e al suo incontro col Capo del Governo. Non è il Governo italiano che ha proposto la Triplice doganale. Questa è stata chiesta dal Conte Bethlen. Essa rappresenta, nel complesso, un grave onere ,economico per l'Italia. Il Capo del Governo, accettando la richiesta del Conte Bethlen, lo ha fatto esclusivamente per venire incontro ai bisogni dell'amica Ungheria. Circa l'opportunità di proseguir,e o no le conversazioni fra esperti italiani, austriaci ed ungheresi, faccio presente a Walko che a questo scopo è stato specialmente diretto il nostro memorandum di risposta a quello francese, iii' quale, in sostanza, se acoettato, avrebbe comportato una interruzione di questi negoziati. Ho informato Walko deH'arrivo del delegato austriaco Schiiller per domani e dell'opportunità che un delegato ungherese venga pure a Roma al più presto. Siamo rimasti d'accordo che il sig. Nickl, esperto economico ungherese, sarà inviato a Roma fra qualche giorno, non appena io avrò informato Walko dell'esito del colloquio con Schuller e Walko mi avrà informato dell'esito dei suoi colloqui con Tardieu e Flandin a Ginevra e Parigi.

Walko -Ci tiene a confermarmi l'inutHità, sia per l'Ungheria come per 1'Italia, che nell'accordo fra Italia, Ungheria ed Austria potesse essere inclusa anche la Jugoslavia. Ciò significherebbe la creazione di un sistema organico ed a interpretazioni omogenee (1). Walko aggiunge che il Reggente Horthy è particolarmente interessa1to alle relazioni Halo-jugoslave, ritenendo egli che la Jugoslavia sia l'unica Potenza della Piccola Intesa con cui l'Ungheria potrebbe trovare un accordo sostanziale e duraturo.

Considerazioni:

0 ) L'Ungheria non • crede • più all'unione doganale con l'Italia e preferisce una rete di accordi preferenziali coll'Italia, con la Francia e con la Germania.

2°) Il Governo tedesco mentre dichiara al Governo italiano il suo più vivo desiderio di collaborare insieme per la soluzione economica del problema danubiano, e mentre il Governo italiano accetta (invita) la partecipazione tedesca all'esame collettivo del problema danubiano dando un'altra prova evidente d'amicizia verso la Germania, il Governo tedesco pone il suo • veto • ai Governi di Vienna e di Budapest per la Triplice doganale itala-austroungherese.

3°) L'Ungheria non mostra più le preoccupazioni di natura politica (che sinora avevano il primo posto in qualsiasi attitudine del Governo ungherese) cui una intesa danubiana potrebbe dar luogo.

4°) L'Ungheria incoraggia l'Italia ad un'intesa con la Jugoslavia.

5°) Un mese fa era il Governo ungherese a chiederci, a mani giunte, l'unione doganale. Oggi è l'Italia che, per evitare il peggio è costretta ad

andare oltre le stesse richieste dell'alleata Ungheria, allo scopo di mantenere il più integro possibile l'attuale piano della sua politica danubiana.

6") L'economia italiana avrebbe dovuto • decidersi • tempestivamente, in luogo di fare come lo struzzo che finge di non vedere quello che non g~ riesce gradito. O colla Francia contro la Germania, o colla Germania contro la Francia. Sembra che quest'ultima ipotesi sia considerata come dannosa all'economia italiana neU'Europa orientale.

Oggi contro il nostro modesto progetto di Triplice doganale, arrivato troppo tardi per avere il tempo di essere vitale, si è levata la Germania.

La Francia, da parte sua, vista la difficoltà di accordarsi con l'Italia per un'azione comune nella Europa orientale, accetta la partecipazione tedesca, ed il Governo italiano, costretto dalla logica della sua attuale posizione nella politica generale, non può fare a meno di aderire all'invito della Germania.

Gli organi della politica economica italiana sono, adesso, spaventati. Era infatti molto comodo dire di no alla Francia lasciando nello ste·sso tempo alla Francia la cura di difendere indirettamente gli interessi dell'economia italiana nell'Est europeo contro la Germania.

Nonostante il tempo perduto, io ritengo che abbiamo ancora la possibilità se l'economia italiana si decide ad avere delle • idee • e la volontà di realizzarle, di affermare le nostre posizioni in questo importante settore della politica e dell'economia europea (1).

(l) -Cfr. n. 273. (2) -A Roma. Cfr. n. 166.

(l) Sic, ma presumibilmente deve leggersi: • e darebbe luogo a interpretazioni omogenee •·

280

APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Archivio Grandi)

Roma, 8 marzo 1932.

Per incarico di V. E. ho ricevuto oggi l'Ambasciatore di Germania il quale ha voluto espormi, d'ordine del suo Governo, il ben noto punto di vista tedesco circa le soluzioni economiche per gli Stati danubiani. E cioè che, si tratti di unioni doganali o di combinazioni a base preferenziale, il Governo tedesco non ammetterà alcun sistema nel quale non partecipino la Germania e l'Italia.

A parte ogni fine politico, il Governo tedesco crede che alcuna soluzione possa essere veramente utile per gli Stati danubiani se non si crea alle loro spalle un territorio economico abbastanza vasto, come quello che unicamente possono offrire la Germania e l'Italia.

L'Ambasciatore von Schubert mi ha aggiunto che uno speciale Consiglio dei Ministri, riunitosi l'altro giorno, ha confermato questo punto di vista nonché il desiderio preciso del Governo tedesco, di proceder•e in tale questione completamente d'accordo con l'Italia. L'Ambasciatore mi ha chiesto quale fosse in proposito il pensiero del Governo italiano.

Ho risposto che era assai difficile pronunziarsi a priori sulla creazione di un territorio economico così vasto come quello proposto dalla Germania. Era necessario, se pur non era facile, studiare profondamente le ripercussioni che avrebbe potuto avere nella ·economia italiana un siffatto colossale progetto.

Ho evitato quindi di dargli sull'argomento delle impressioni aprioristiche tanto favorevoli quanto sfavorevoli.

L'Ambasciatore mi ha infine parlato della risposta data dalla Germania al Cancelliere Buresch, insistendo nello spiegarmi che questa deve intendersi come un'azione di pronto soccorso che il Governo tedesco ritiene necessario svolgere in favore dell'Austria e dell'Ungheria: provocare cioè subito un aumento delle loro esportazioni, mediante diritti preferenziali da accordare loro per parte dei paesi importatori, senza :cl'cuna contropartita o corrispettivo.

(l) Su richiesta di Arlotta, Auriti si proponeva di recarsi a Budapest il 9 marzo. Cfr. t. (p.r.) 1471/40, Vienna 8 marzo 1932.

281

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (Archivio Grandi, copia)

T. PER CORRIERE 71/36. Belgrado, 8 marzo 1932.

Mio telegramma N. 61!30 del 5 corr. e telegramma di V. E. N. 28 di ieri. La sera del 4 corrente fui invitato da Re Alessandro ad un pranzo cui erano presenti anche vari altri membri del Corpo Diplomatico.

Dopo il pranzo Re Alessandro, presomi in disparte, mi disse che attendeva per l'indomani Malagola, ma gli sembrava cosa migliore, poiché il Principe Paolo doveva recarsi a Roma per consultarvi il Prof. Castellani, chiedere se S. E. il Capo del Governo avrebbe potuto ricevere il Principe poiché in tal caso lo avrebbe incaricato di qualche comunicazione.

Re Alessandro mostrò chiara premura di arrivare ad una conclusione delle conversazioni, chè troppo si era ancora tardato per essa, mentre tutto consigliava giungere ad un utile termine.

In un momento successivo il Sovrano mi ha fatto qualche aceenno concreto alle sue conversazioni con Malagola. Questi è arrivato il 4 mattina e ripartito il 6 sera per Budapest e Bucares'"t. Ma tornerà a Belgrado V'erso il 15 per poi recarsi nuovamente a Roma.

Attribuisco le premure del Re alle molte voci sugli incontri fra V. E. a Tardieu in vista di un concreto riavvicinamento italo-franeese, che potrebbe sacrificare gli interessi jugoslavi. Richiamo a tale proposito le precise allusioni di Jeftic che V. E. avrà trovato nel mio rapporto del 12 febbraio (1).

(l) Cfr. n. 213, p. 354.

282

APPUNTO PER IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (l) (Archivio Grandi)

Roma, 9 marzo 1932.

In conversazioni che hanno avuto luogo al Ministero con Schtiller, sono stati a questi elucidati e commentati da funzionari del R. Ministero i concetti della nostra risposta (2) al memorandum Tardi•eu. Gli sono state riferite le nostre informazioni sull'atteggiamento del Govermo inglese e specialmente del Board of Trade, sempre contrario ·in sostanza alle combinazioni preferenziali.

Gli è stato parlato delle dichiarazioni uui fatte l'altro ieri da Schubert (3) circa l'atteggiamento della Germania, di fronte al quale noi non possiamo ancora pronunziarci. È stato informato dell'arrivo della lettera ungherese con l'esplicita domanda di unione doganale (4). Si è sovvolato naturalmente sulle attuali esi•tazioni ungheresi confermate dalla visita di Walko (5). Gli è stato detto che essendo tutti d'accordo, ora, per sviluppare i così detti accordi Brocchi, ragione della visita dello stesso Schtiller a Roma, bisognava però discutere fra noi quale atteggiamento ci convenisse per il momento prendere di fronte alle prossime riunioni di Ginevra, provocate dal memorandum Tardieu, sia che fosse accettata la proposta italiana di discutere a nove, sia che fosse stabilita una via di mezzo, cioè discussione a cinque, mantenendo i contatti con le quattro grandi Potenze.

Per bene conoscere le intenzioni di Schtiller sulle possibilità future dello sviluppo delle intese che abbiamo iniziato, gli è stato detto che la via pi4 logica, ·e quella che noi potevamo essere anche disposti a seguire, sarebbe stata di gettare senz'altro, fin dal principio a Ginevra, la bomba della unione doganale italo-austro-ungherese, pur dichiarando che intorno a questo nucleo si sarebbe potuto lavorare mediante intese con altri Stati danubiani, armonizzando cioè, non gli interessi singoli e separati dell'Italia, dell'Austria ·e dell'Ungheria, con quelli degli altri Stati danubiani, ma armonizzando inv•ece gli interessi del blocco italo-austro-ungherese con quelli degli Stati suddetti.

Naturalmente per far ciò noi avremmo dovuto esseve sicuri del mantenimento di un fronte unico fra i tre paesi durante tutto il seguito delle future trattative.

Se invece Questa chiara impostazione della situazione itala-austro-ungherese di fronte al problema danubiano non si fosse voluta adottare, bisognava manovrare secondo le circostanze, senza mostrare delle obiezioni di principio ai progetti francesi, o a quegli altri che fossero eventualmente ancora messi innanzi, ma pur sempre tenendo presente il desiderio comune itala-austroungherese, di considerare i propri interessi come uniti di fronte agli altri.

Si doveva aggiungere poi che mentre gli interessi economici italiani ci costringono, nel momento attuale, ad usare una maniera forte nelle trattative commerciali dirette itala-jugoslave, noi consideravamo pur sempre desiderabile fare del triangolo italo-austro-ungherese, un quadrato cui partecipasse anche la Jugoslavia, nel qual caso il nostro atteggiamento in materia economica verso di questa sarebbe di molto cambiato.

Come si prevedeva Schiiller ha risposto che conveniva, a suo parere, per il momento non gettare a Ginevra alcuna bomba, dimostrarsi premurosi nel cercare delle soluzioni generali, non compromettersi, nè verso la Francia nè verso la Germania e lasciare piuttosto che le naturali difficoltà sorgenti da ogni progetto generale concernente gli Stati danubiani facessero naufragare le soluziOilli contrarie ai nostri interessi.

Naturalmente si è dovuto dirgli che questo anche era il fondo del nostro pensiero e che anzi desideravamo spingere la concessione di immediati soccorsi all'Austria, come avevamo accennato nel nostro memorandum. Ciò non toglieva che fra di noi si do\"esse proseguire >l'esame dell'ampliazione degli accordi Brocchi, con tendenza all'unione doganale. Schiiller ha convenuto e le riunioni tecniche sono cominciate fin da ieri.

Domani giungeranno a Roma altri due esperti austriaci.

Lo stesso Schiiller ha chiesto se non avessimo avuto nulla in contrario a che egli si fosse recato a far visita agli Ambasciatori di Germania e ~ Francia. Gli è stato detto che nOill si vedeva alcuna obiezione, naturalmente dopo che egli avesse fatto visita a V. E.

E cosi l'Austria continua a tenersi aperte tutte le vie.

(l) -Questo doc. ricalca un appunto pari data di Guariglia per Grandi. (2) -Cfr. n. 273. (3) -Cfr. n. 280. (4) -Cfr. p. 449, nota l. (5) -Cfr. n. 279.
283

APPUNTO PER IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (Archivio Grandi)

Roma, 9 marzo 1932.

L'ambasciatore di Turchia aveva espresso il desiderio di Tewfik Ruschdi bey di essere messo al corrente del nostro pensiero circa le questioni danubiane di attualità.

Ciò è stato fatto e si è creduto anche opportuno di dare alJ'Ambasciatore una copia della nostra risposta (l) al memorandum Tardieu, perché ne desse confidenzialmente comunicazione a Tewfik Ruschdi bey.

Come era da prevedere, l'Ambasciatore ha detto che la Turchia si interessa a quanto si progetta di fare nell'Europa danubiana, perché considera che le questioni economiche di alcuni specialmente dei: paesi danubiani hanno diretta o indiretta ripercussione sui propri interessi economici. La Turchia quindi crede di avere anche la sua paro,la da dire in proposito.

Gli è stato fatto notare tuttavia che ,la Francia, contrariamente alla geografia, non ha creduto di includere la Bulgaria (che più interessa la Turchia) fra ,i paesi danubiani.

17 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

(l) Cfr. n. 273.

284

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI

TELESPR. 207343/102. Roma, 9 marzo 1932.

Suo telespresso n. 0758/364 del 25 febbraio u.s. (1).

Prendo atto di Quanto V. E. mi dice circa sua partecipazione alle ono

ranze di Goethe.

Per quanto riguarda eventualità che V. E. si incontri a Weimar con Bene

detto Croce, è desiderio di S. E. il Capo del Governo che V. E. ne ignol"ii la

presenza alla cerimonia suddetta.

285

IL DELEGATO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (Archivio Grandi, copia)

L. P. Ginevra, 9 marzo 1932.

Mi permetto di scriverLe in via personale per riferirLe alcune cose che non potrei forse esporre in modo abbastanza chiaro in un telegramma. Nel pomerigg,io di ieri ho consegnato a Massigli il promemoria (2) relativo alla questione danubiana, facendogli in pari tempo conoscere che, non potendo

V. E. venire a Ginevra, era stato delegato il Senatore De Michelis a rappresentarLa negli scambi di vedute proposti dal Governo francese sull'argomento. Avendo chiesto a Massigli -prima che egli conoscesse il contenuto della nostra comunicazione -se effettivamente il signor Tardieu sarebbe venuto a Ginevra, mi venne risposto che lo si attendeva per la mattina di giovedì 10 corrente. In base a Questa risposta telefonai al Ministero perché ne venisse avvertito S. E. De Michelis.

Oggi, incontratomi con Massigli a colazione, egli mi disse che -contrariamente a Quanto mi aveva comunicato ieri sera -Tardieu non sarebbe venuto a Ginevra nel corso di q_uesta settimana, avendo rinviato il suo viaggio alla settimana prossima.

Massigli mi chiese allora se V. E. si sarebbe trovato qui la settimana prossima. Gli risposi che non potevo dirglielo perché non conoscevo piani di V. E.

Di fronte a questa mia risposta evasiva Massigli non nascose una certa preoccupazione e, venendo a parlare del nostro promemoria, mi ha detto queste parole: • La risposta che ci avete dato è stata per noi una grossa delu

sione. Insistendo sugli accordi particolari temo che seguiate una cattiva strada perché finirete per facilitare un nuovo tentativo tedesco nel senso dell'Anschluss •.

Gli ho fatto presente la nostra situazione particolare di fronte all'Austria Ungheria ed ho anche alluso alle difficoltà che il progetto francese aveva evidentemente incontrato presso i nostri Ministeri tecnici. Al che Massigli ha osservato: • Temo molto che la stessa in1Huenza che ha determinato il vostro atteggiamento negativo sia quella che tiene il signor Grandi lontano da Ginevra •.

Ho creduto utile riferirLe testualmente questi spunti di conversazione perché credo rappresentino le • reazioni » di Parigi.

Anche il signor Nadolny, col quale mantengo i necessari contatti, mi ha chiesto ripetutamente, al suo ritorno da Berlino, quando V. E. sarebbe tornata. Simon, che mi aveva fatto la stessa domanda la settimana scorsa, non me ne ha più parlato in Questi ultimi giorni. De1la nostra risposta al memorandum francese non mi ha fatto cenno nè io ho creduto di sollecitare le sue impressioni.

Il delegato tedesco Rheinbaden mi diceva ieri che la tattica della sua Delegazione in seno alla Commissione generale sarà quella di far trascinare la discussione sui primi punti del programma (limitazione e riduzione, riduzione per tappe, etc.). Lo scopo che essa vuoi raggiungere è di evitare che si inizi la discussione del piano francese prima della sospensione per le vacanze di Pasqua. Mi ha chiesto dii lavorare in questo senso.

Oggi hanno incominciato a riunirsi le Commissioni tecniche. La Commissione generale, che aveva l'altro ieri approvato il programma preparato dal Bureau, ha invece sospeso le sue riunioni per lasciar modo all'Assemblea di liquidare l'affare cino-giapponese.

La discussione generale su rtale questione si è chiusa ieri con un ultimo razzo ,lanciato da una mezza dozzina di piccole Potenze.

Le dichiarazioni fatte lunedì scorso daJl'Italia, Gran Bretagna, Francia e Germania sono naturalmente state criticate dalla grande maggioranza come mostranti 'eccessiva debolezza nei riguardi del Giappone: ciò che non era completamente esatto, perché alcune dichiarazioni (come la nostra) avevano tenuto -almeno mi sembra -la giusta via di mezzo. (Naturalmente le nostre dichiarazioni, confrontate con quelle violente di certe piccole Potenze, sono riuscite abbastanza gradite al Giappone ed il signor Yoshida ha tenuto ad esprimermi la sua riconoscenza con lettera personale).

Oggi il Bureau della Conferenza si è riunito per cercare di redigere un progetto di risoluzione da fare approvare dall'Assemblea. Si è trovato di fronte ad una diecina di testi varì presentati da diverse Delegazioni e, dopo una lunga discussione svoltasi questo pomeriggio, ha finito con l'incaricare della bisogna un comitato di redazione di cui fa parte P:ilotti. Noi ci eravamo previamente messi d'accordo con un testo preparato da Simon e si cercherà di puntare su quello.

Nella migliore delle ipotesi non credo che l'Assemblea possa concludere i suoi lavori prima di dopo domani venerdì. Sabato prossimo nessuna riunione

di nessun genere per dar modo ai delegati, che lo vogliano, di presenziare ai funerali di Briand. Con Questo credo di averLe riferito le cose essenziali. Suppongo che anche

V. E. considererà la prima parte di questa lette-ra, cioè la conversazione con Massigli, come quella più interessante (1).

(l) -In questo telespr. Orsini Baroni, nel riferire circa le prossime celebrazioni a Weimar del centenario di Goethe, comunicava che, fra gli invitati del Governo tedesco, c'era Benedetto Croce e chiedeva istruzioni su come doveva comportarsi se lo avesse incontrato durante le cerimonie. (2) -Cfr. n. 273.
286

APPUNTO PER IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Roma, 10 marzo 1932.

Questa Ambasciata di Francia ha dato oggi comunicazione del seguente telegramma pervenutole dal Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri, signor Tardieu:

• V·euillez prevenir M. Grandi que je serai siìrement à Genève mardi et que je serai heureux de l'avoir à déjeuner. André Tardieu •.

287

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, TARDIEU (2)

(Copia)

Roma, 11 marzo 1932.

J'ai reçu ·votl"e aimable message (3) et je vous remercie très vivement

de votre si obligeanrte invitation au déjeuner de· mardi prochain à Genève,

à laquelle je me réjouirais tout particulièrement de pouvoir me rendre.

Une séance du conseil des ministres ayant ici lieu mercredi prochain, il

ne m'est malheureusement pas possible, en vue aussi d'autres engagements,

de savoir dès maintenant si je serai à meme de me trouver à Genève mardi;

je ne_ sais pas encore, partant, si je pourrai avoir le plaisir de vous y $n

contrer à cette date ainsi que je le souhaite très vivement.

J e compte en tout cas avoir le plaisir de vous rencontrer à Genève le plus tòt possible (4).

• Ministro d'Austria si mostra preoccupato non del fondo ma della forma della nostra risposta [cfr. n. 273], perché teme essa renda più difficile accordo di massima delle grandi Potenze sull'invito da rivolgersi ai cinque paesi danubiani, invito da cui suo Governo si attende ripercussione favorevole per ottenimento aiuto finanziario a Parigi.

A titolo di cronaca aggiungo Massigli mi ha detto che Tardieu era stato dolorosamente impressionato da alcune parti del memorandum italiano, che desiderava assolutamente vedere S.E. Grandi e che contava nostro Ministro avrebbe accettato suo invito per colazione insieme martedì prossimo a Ginevra •. Cfr. i due doc. successivi.

(l) Cfr. il t. 1057/76, Ginevra 11 marzo 1932, ore 16,16 (per. ore 18,20) di Rosso, del quale si pubblica il passo seguente:

(2) -La lettera fu trasmessa a Tardieu tramite l'ambasciata di Francia. (3) -Cfr. on. 286. (4) -Con t. 375/152 del 2 marzo, ore 23, Grandi informava Manzoni dell'invito di Tardieu e della sua risposta.
288

APPUNTO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON SCHUBERT

(Archivio Grandi, copia)

Roma, 11 marzo 1932.

Ho ricevuto stasera il dott. von Schubert, il quale mi ha comunicato ufficialmente, in nome del suo Governo, che la Germania è d'accordo con la nostra risposta (l) al memorandum Tardieu, in modo speciale per quanto concerne l'Austria e l'Ungheria, e che ritiene -come noi -necessario di preoccuparsi preliminarmente sopratutto dell'aiuto da dare a questi due paesi.

Mi ha dichiarato inoltre esser per il Governo germanico indifferente discutere sul progetto francese o in seno aUa Lega delle Nazioni o in un Comitato 'europeo.

Mi ha dichiarato infine che il Governo del Reich intende esser presente in tutti gli accordi che si vogliono fare per il sud-est europeo (2).

289

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA DI FRANCIA A ROMA, DAMPIERRE

L. P. Roma, 11 marzo 1932.

Après notre conversation de l'autre jour, je me suis empressé de faire examim·er les 4 numéros, parus jusqu'à ce jour, du journal italo-arabe L'Avvenire Arabo. A la suite de cet examen il ne résulte pas que ce joumal ait publié des articles ou des commentaires relatifs à la France ou à la politique française en Orient.

J.e suppose que, au cours de notre conversation, vous avez voulu vous référer à un article paru dans le n. 2 (que je vous envoie ci-joint), concernant la réunion d'un congrès pour la langue arabe à Tunis; je me permets, cependant, de vous faire remarquer que cet article a été reproduit ·tel quel du journa'l arabe Al Ayyam de Damas, cité, du reste, en bas de l'article. Evidemment le directeur de l'Avvenire Arabo n'a pas vu d'inconvénients à insérer un article qui avait déjà paru sur un journal syrien.

En tout cas, je vous ai promis de faire surveiller à l'avenir le journal dont il s'agit: et je ferai tout mon possible à cet effet.

Je sarsrs cette occasion pour vous signaler, dans le mème esprit amicai qui a donné lieu à vos observations, le numéro ci-joint de la revue illustrée mensuelle de Tunis El Alam (L'Univers). Ce numéro contient un artide au sujet de la mort d'Omar-el-Muktar, avec une photo de celui-ci, reproduite aussi sur la couverture, et une autre photo qui montre • douze de nos frères musulmans pendus par les italiens en Cyrénai:que •. L'artide excite les • saints guerriers • de la Cyrénai:que à poursuivre la rébellion contre nous pour • arriver à extirper de ses racines l'ignoble colonialisme •. Le mème numéro de l'Alam contient un artide dans le mème sens, reproduit du journal syrien El Jum (Le Jour) de Damas.

Le Consul Général d'Italie à Tunis a été chargé (l) d'attirer l'attention du Résident de France sur ces publications qui tendent à raviver une agitation artificielle et dépourvue de toute base sérieuse, au sujet de notre action en Cynéna!que.

Je vous fais griì.ce d'autres articles du mème genre qu'il ne me serait pas difficile de trouV"er dans plusieurs journaux de France et des pays sous l'autorité française.

Si je vous en fais mention, ce n'est pas du reste dans un esprit de polémique; mais seulement pour exprimer encore une fois 1e désir que, de part et d'autre, (et de notre còté on agit déjà dans ce sens) on tiì.che d'éviter des manifestations de presse, contraires à cet esprit de solidarité et de collaboration coloniale, qui est, aujourd'hui p:lus q_ue jamais, nécessaire vis-à-vis des tendances subversives et antieuropéennes.

(l) -Cfr. n. 273. (2) -La risposta del Governo tedesco al memorandum Tardieu venne data con un memorandum del 16 marzo. Su questo memorandum cfr. il commento contenuto in un appunto ministeriale dell'agosto 1932: • Il Governo tedesco nel suo memorandum del 16 marzo espresse l'opinione che fosse opportuno dare all'Austria un aiuto rapido ed efficace. mediante condizioni di favore per l'assorbimento delle esportazioni austriache da parte degli Stati ad essa confinanti ed anche di altri Stati e facilitare all'Ungheria ed agli altri Stati prevalentemente agrari l'esportazione dei loro cereali; e si associava alla proposta italiana di non limitare ai soli Stati danubiani le conversazioni al riguardo >.
290

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1076/17. Tirana, 12 marzo 1932, ore 21,15 (per. ore 2 del 13).

Governo albanese dopo due giorni discussioni interne ha accettato lettera

S.V.E.A. ed ha rinunziato chiedere ulteriori assicurazioni.

Capitolazione è dovuta principalmente sensazione precisa da me data a questi signori, specie dopo chiarissimo dispaccio di V. E. (2), che eravamo decisi a !asciarli alla deriva ed inoltre voci qui sparse di accordo italafrancese (3).

• Budget • verrà quindi presentato lunedì senza le note economie. Riferirò prossimo corriere.

(l) -Con telespr. 200604 del 9 gennaio, a firma Guariglia. Si pubblica l'ultimo capoverso di questo doc.: « La S.V. potrà incidentalmente richiamare altresì la necessità che le Potenze coloniali islamiche diano prova di solidarietà e spirito di collaborazione nella difesa dei propri diritti e interessi di fronte alle tendenze sovversive ed anti-europee , . (2) -Allude probabilmente al n. 259, a firma Mussolini. (3) -Sull'esemplare di questo tel. conservato in Archivio Grandi, che reca il visto di Mussolini, Grandi ha qui annotato: « Ecco gli effetti di quello che potrebbe essere un accordo colla Francia! >.
291

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL DELEGATO PRESSO L'UFFICIO INTERNAZIONALE DEL LAVORO, DE MICHELIS (Archivio Grandi, copia)

L. 1666. Roma, 12 marzo 1932.

Ho rilevato dalle notizie giuntemi da Ginevra che negli ambienti della Delegazione francese il memorandum italiano circa le questioni danubiane (l) ha prodotto una impressione sul nostro atteggiamento assai più pessimistica di quello che esso in realtà comporta.

Quanto ciò sia dovuto ad interpretazioni preconcette ed esagerate di alcune delle nostre dichiarazioni e quanto invece derivi dalla disillusione politica della mancata mia pronta venuta a Ginevra e della mancata nostra accettazione senza riserve della riunione a quattro, è superfluo discutere.

È utile però rilevare che in sostanza QueUo che può aver dispiaciuto ai francesi è stato anche il fatto che la nostra pubblica risposta ha in realtà mostrato il vuoto della proposta Tardieu, la quale non si riduce che ad una riunione per scambi di vedute.

Al ritorno del signor Tardieu (che Tardieu mi ha annunciato per martedì) Ella vorrà dirgli il mio rincrescimento per non poter essere in grado di incontrarmi ora con lui, e nello S'tesso tempo assicurargli che ho affidato a Lei il preciso mandato di esprimere sull'argomento l'opinione del Governo italiano la quale, se è chiaramente contenuta nel memorandum, importa però un vivo e reale desiderio di collaborazione nella discussione del problema. Il nostro memorandum non ha fatto altro sostanzialmente che ripetere la tesi da noi sostenuta, a Ginevra e fuori, ormai da lungo tempo, e precisata anche meglio nel maggio scorso costì, e specialmente nel mio ultimo colloquio di lunedì u.s. col signor Tardieu (2).

Ma q_uel documento contiene una dichi_arazione esplicita nel senso che noi vediamo la possibilità di armonizzare le nostre tendenze e i risultati particolari da noi fin q_ui ottenuti con le necessità derivanti dalla sistemazione generale dell'economia degli Stati danubiani e q_uindi in realtà con gli scopi che si propone l'iniziativa del signor Tardieu.

Ciò corrisponde veramente alle nostre intenzioni, che pur rimanendo ferme nel sostenere certi imprescindibili postulati della nostra politica e della nostra economia, debbono appunto essere ispirate ad una valutazione realistica della situazione attuale e della possibilità di successive evoluzioni.

Mi pare del resto che la nostra azione verso l'Austria e l'Ungheria debba esseve ben compresa dalla Francia. Se tale azione infatti può essere in opposizione ad una incontrastata affermazione della Piccola Intesa nella zona

del Danubio, essa contrasta ben maggiormente le tendenze germaniche, e perciò dovrebbe essere considerata dalla Francia come un reale punto di contatto fra i nostri rispettivi interessi.

Questi concetti Le potranno servire anche nel caso che il signor Tardieu non venisse costà per svolgere presso i tecnici della Delegazione francese quell'opera di chiarimento e di smussamento di inutili angoli che mi sembra assai desiderabiLe in questo momento e che è una delle ragioni per cui Ella mi farà cosa assai grata restando qualche giorno ancora a Ginevra.

(l) -Cfr. n. 273. (2) -Sic, ma « lunedì ultimo scorso » era il 7 marzo. Con ogni probabilità Grandi allude al lunedì precedente, che era il 29 febbraio (cfr. n. 254).
292

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL DELEGATO ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, ROSSO, A GINEVRA

(Archivio Grandi, copia)

L. P. Roma, 12 marzo 1932.

Le mando con questo corriere copia di un telegramma di Tardieu con cui comunica la sua presenza a Ginevra martedì prossimo nonché della mia risposta (1). Come Ella vede, molto difficilmente potrò essere costi al principio della prossima settimana.

Ho ricevuto la Sua lettera del 9 (2) ed il telegramma di ieri N. 76. Rilevo anzitutto che per quanto concerne la nostra 11isposta (3) al memorandum francese sulla questione economica degli Stati danubiani le impressioni de'l signor MassigU sono molto più pessimiste di quello che la nostra risposta comporti e di quello che risulti dalla stessa stampa parigina. Sarà dunque bene che al ritorno della Delegazione francese a Gill!evra, Ella continui, come ha già fatto finora, a controbattere questa non esatta impressione. È inutile del resto che Le rammenti:

-che H sig. Tardieu conosceva dalle mie dichiarazioni da me avute nell'ultimo colloquio ( 4), il nostro atteggiamento e quindi ,]:e linee generali che avrebbero ispirato la nostra risposta;

-che dato il carattere vago e generico del progetto francese il nostro atteggiamento non poteva essere che un atteggiamento di riserva come lo è del resto quello britannico (la stampa inglese ha fatto alte meraviglie delle dichiarazioni Tardieu di essere d'accordo col Governo britannico);

-che in sostanza noi abbiamo acceduto ben volentieri all'idea francese di concertarci in proposito e abbiamo anche dimostrato la nostra volontà di mettere il lavoro da nOli già compiuto per il risanamento dell'Austria e dell'Ungheria e gli studi che si stanno attualmente svolgendo in armonia con il progetto e con le direttive francesi.

Circa la riunione a cinque o a nove noi abbiamo prospettato la seconda perché ci appare procedura migliore e anche perché la nostra speciale posi• zione geografica e la nostra qualità di Stato successore che non può essere paragonata nei riguardi degli Stati danubiani a quella di nessun'altra grande Potenza rende particolarmente delicata nei nostri confronti una simile attività di quegli Stati senza il nostro intervento. È ovvio del resto che dopo che il Governo francese (senza consultarci) aveva invitato quello germanico a partecipare all'iniziativa (1), non potevamo non tener conto di ciò nella nostra risposta.

Si tratta in sostanza di procedura che può naturalmente formare oggetto appunto di quella consultazione che il signor Tardieu ha proposto.

Ella d'altronde si rende conto come per un complesso di ragioni sia per ora inopportuno, o quanto meno prematuro, allo stato delle cose, un mio incontro col signor Tardieu, assente, a quanto sembra Sir John Simon, assente il Cancelliere germanico, incontro a cui per ragioni elettorali ,ecc. verrebbe data risonanza vastissima e non proporzionata, con tutte le conseguenti illazioni e supposizioni.

La nostra strada, caro Rosso, non è facile in questo campo, tanto più che i fronti sono vari e nessuno facile! (Legga in proposito la mia conversazione col Ministro Walko che le ,trasmetto con questo stesso corriere) (2).

Noi ci troviamo ad avere da un lato la Germania la quale ha chiaramente manifestato il suo intendimento di entrare con tutto il suo peso in qualsiasi combinazione economica che interessi il Sud Est europeo (veda l'accluso riassunto di dichiarazioni dell'Ambascia,tore di Germania) (3).

Non è escluso d'altra parte che il progetto francese, se pareva in un primo tempo essere ispirato sopr.atutto da preoccupazioni finanziarie della Francia, possa minacciare di trasformarsi in un progetto politico a beneficio della Cecoslovacchi3. e della Piccola Intesa. Tra questi due poli estremi noi cerchiamo, come Lei sa, di inserire una nostra soluzione che potrà essere a seconda delle circostanze, suscettibile di maggiore o minore sviluppo. Se però i nostri i'nteressi in questo campo appaiono difficilmente conciliabili con quelli tedeschi, lo stesso non può dirsi certo della Francia.

In questo senso deve svolgersi la nostra azione, che, in un primo tempo deve esser diretta a prendere contatto coi francesi sulla base di queste direttive.

Le unisco, per Sua intelligenza e norma, copia di una lettera che invio con questo corriere a S. E. De Michelis (4), di un telegramma oggi da rrue diretto al R. Ambasciatore a Lonçlra e di un dispaccio al R. Ambasciatore a Padgi.

Seguo il Suo lavoro, che va molto bene, e me ne compiaccio vivamente con Lei.

a Ginevra (dove, a quel momento, Briand non essendo ancora morto, l'arrivo di Tardieu era preannunciato pel lunedì 7), e poi a Roma, giudicai sotto ogni aspetto opportuno accontentarsi dell'affidamento che, ove ciò risultasse poi necessario dallo scambio di idee che si sarebbe subito avuto con Mussolini e con Grandi, Walko sarebbe stato disposto a ritornare prossimamente a Roma apposta.

Quindi, fino a questo momento Khuen Hedervary mi ha detto di non aver avuto notizie da Walko (né da de Hory), sulle conversazioni di Roma, né, d'altra parte, su quelle di Parigi. Passato il primo momento, dirò così, di sorpresa per la nuova bomba Tardieu, l'opinione pubblica generalissima ungherese -fatta cioè eccezione per quei pochi acharnés opposizionisti quali Friedrich, Gratz, Pallavicini (1), ecc. e per gli illusi utopistici quali l'Hantos è intimamente contraria alla d'altronde praticamente, mi sembra, irvealizzabile proposta preferenziaLe danubiana francese. Erano stati scombussolati un poco dalle prime notizie lanciate dal Temps, insinuanti che il progetto Tardieu fosse stato varato con preventivo perfetto accordo con Inghilterra e Italia; ma poi, la conoscenza del nostro memorandum (2) di risposta a quel:lo francese ha rimesso le cose alla loro giusta portata. L'atteggiamento che ho assunto fin da principio, di fronte alle insistenti domande che mi ponevano, è stato, come del resto a\"evamo convenuto col Ministro, con te e con Ghigi, quello di osservare che cevtamente un progetto concernente una questione così importante, dovesse studiarsi coJ.la maggior serietà ed attenzione, pur dovendosi tenere in tutto il dovuto conto gli interessi particolari del paese, che non avrebbero, comunque, potuto in alcun modo esser ,tutelati meglio che con un procedimento in pieno acco,rdo e c pari passu • con noi.

Molto soddisfatti sono stati qui tutti dall'atteggiamento assunto dalla stampa cecoslovacca, ravvisandovi -forse anche con un tantino di quel semplicismo proprio della mentalità ungherese -un modo di lasciare ad altri la cura di cavar le castagne dal fuoco, pur mostrando alla Francia di non esserle aprioristicamente ostile. Il mio collega tedescho Schon, tornato da Berlino ne ha riportato come certo vi avrà detto Walko a Roma, il punto di vista preciso tedesco :in senso • contrario ad una qualsiasi unione, doganale cui la Germania non partecipasse • ma non ostile, invece c ad un allargamento degli accordi Brocchi (li chiamo così io per semplicità) che non giungesse fino ad un'unione doganale •, e ciò spiega anche meglio, mi pare, la nota attitudine presa dall'Austria nella questione. Nella lettera ungherese diretta al Capo di Governo (3), come avrai constatato, si potè poi fare effettivamente includere la frase di c unione doganale • , malgrado qualche dubbio qui sorto all'ultimo momento. Non mandai in pvecedenza il testo per l'approvazione, perché, una volta ottenuta l'accettazione di principio dell'inclusione della detta frase, non voLli più lasciar adito a nessuna discussione, attenen

domi invece al tuo saggio consiglio telefonico di stringere i tempi. Qualunque sia l'esito, è sempre stato meglio presentare già almeno un certo fronte unico concretatosi nella firma degli accordi Brocchi appunto, tra l'Italia, Austria ed Ungheria, che ·avete anche potuto invocare fondatamente nel vostro assai bene elaborato memorandum di risposta.

Per la Fiat, non mi è stato possibile ancora avere qui almeno per un~ breve corsa <l'ing. Schmidt, mentre si è qui trattenuto tanto a lungo altrei volte. Torno a scrivergli .in proposito.

Ho chiesto autorizzazione a venire in congedo per Pasqua (qui, allora, tutti fanno festa) sempre pronto a tornare al primo cenno, mentre, d'altra parte, può riporsi la più meritata fiducia in Bellardi.

Avendo assai seri interessi familiari tra Napoli e Roma, ti sarò infinitamente grato se, possibilmente, metti una buona parola anche tu al riguardo. Ti prometto che non ti verrò a scocciare al Ministero.

P. S. -Per il congedo, ho scritto a Ghigi anche.

(l) -Cfr. nn. 286 e 287. (2) -Cfr. n. 285. (3) -Cfr. n. 273. (4) -Cfr. n. 254. (l) -Cfr. n. 269. (2) -Cfr. n. 279. (3) -Si tratta con ogni probabilità del n. 288. (4) -Cfr. n. 291. (l) -La minuta del t. (p,r.) 4626 per Budapest del 4 giugno 1932 reca, poi cancellata, una rimostranza perché in quei giorni • alla Camera ungherese non è mancato chi abbia disconosciuto il grande valore morale e materiale dell'amicizia dell'Italia >. La rimostranza, voluta da Mussolini ma poi cancellata, era diretta al discorso tenuto da Pallavicini. (2) -Cfr. n. 273. (3) -Cfr. p. 449, nota l.
297

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON SCHUBERT

Roma, 15 marzo 1932.

Von Schubert -Viene, d'incarico di von Bi.ilow, per domandarmi se vado a Ginevra. In caso affermativo anche von Bi.ilow si recherebbe a Ginevra, desiderando conferire con me.

Grandi -Non vado a Ginevra.

Von Schubert -Mi conferma, d'ordine del suo Governo, il vivo desiderio del Governo tedesco di prendere accordi concreti col Governo italiano per fissare una comune linea di condotta circa i problemi economici dell'Est europeo, e specialmente il seguito che dovrà essere dato all'iniziativa Tardieu. Il Governo tedesco è perfettamente d'accordo colla nota italiana (1), e domanda se l'Italia ha ancora formulato il suo avviso in merito alla comunicazione fatta dalla Germania (concessione ai paesi danubiani di dazi preferenziali ecc. (2).

Grandi -Il Governo italiano non ha nulla da aggiungere al suo memorandum. Il Governo italiano non può accettare l'idea francese di una conferenza danubiana con esclusione dell'Italia che è uno degli Stati successori della duplice Monarchia. Del resto le reazioni suscitate nella stampa in Francia e Cecoslovacchia dalla nota italiana, indicano chiaramente che l'intenzione francese non è soltanto quella di aiutare la soluzione dei problemi economici dei paesi danubiani, ma anche e soprattutto di instituire una proce

dura che, limitando l'esame del problema ai soli Stati danubiani, permetta agli Sta'ti della Piccola Intesa di avere alla • mercè • l'Austria e l'Ungheria. Anche se l'Austria e l'Ungheria non si rendessero conto, come sembra, del pericolo, il Governo italiano non modificherà per questo la sua linea di condotta.

Von Schubert -Uguale linea di condotta sarà tenuta dal Governo tedesco. Ma intanto perché non concordare fra Italia e Germania una linea di azione comune nei riguardi della questione essenziale e cioè gli aiuti da portarsi ai due Sta,ti, Austria e Ungheria?

Grandi -È molto difficile. Gli organi tecnici dell'economia italiana ritengono sia molto difficile conciliare gli interessi economici dell'Italia e quelli della Germania nelJ:'Est europeo. Ad ogni modo sarà bene tentare se ciò è possibile, come mi auguro. Le ultime trattathne commerciali italo-tedesche non sono di buon augurio, bisogna che il Governo tedesco lo riconosca (1). L'azione italiana, sia politica, sia economica verso l'Austria e l'Ungheria differisce profondamente così dall'azione francese come da quella tedesca. La Francia ha un vantagg,io politico e finanziario all'assorbimento di Questi due Stati nell'orbita della Piccola Intesa. La Germania ha un grande vantaggio politico ed economico a concludeve accordi preferenziali con questi due Stati. L'Italia vuole mantenere l'equilibrio danubiano, rinsaldare i caratteri indipendenti ed autonomi di questi due Stati, impedire che essi cadano nell'orbita assoluta sia della Germania come della Francia.

Per ottenere questi risultati il Governo italiano è disposto a fare ancora dei sacrifici così nel campo economico come in quello finanziario. Al contrario, tanto la Germania quanto la Francia, qualunque sia l'accordo, non hanno, nel campo finanziario come in quello economico, che a guadagnarci.

Circa gli accordi preferenziali il Governo italiano non può mettersi su questa strada, senza ledere il 90 % del suo commercio estero (il commercio totale con tutti gli Stati danubiani non giunge al lO r;~ ). Ora, debbo per dovere di assoluta franchezza, dichiara!'e all'Ambasciatore von Schubert che il Governo italiano è stato male impressionato dalla circostanza che proprio nelnstesso momento in cui il Governo tedesco comunicava a Roma la propria volontà di agire d'accordo col Governo italiano, sia a Vienna come a Budapest, il Governo tedesco svolgeva opera in senso contrario, tendente cioè a scoraggiare i Governi austriaco e ungherese ad un accordo sostanzioso e generale coll'Italia. Il Governo italiano è costretto quindi a fare molte riserve su quella che è l'azione del Governo tedesco nel campo dei rapporti economici cogli Stati dell'Est europeo.

Von Schubert -Voi avete parlato di un'attività del Governo tedesco a Vienna e a Budapest diretta contro un progetto italiano?

« Ho creduto op!)ortuno ricordare all'Ambasciatore che In Germania doveva tenere conto dell'atteggiamento assunto dall'Italia nella assai ben più grave e complessa questione delle riparazioni e che doveva essere quindi meno intransigente sui punti controversi degli attuali accordi commerciali.

(Probabilmente la Germania non vuole legarsi oltre il !)rimo ottobre !)er assumere un atteggiamento più libero nei nostri riguardi dopo la conferenza del giugno prossimo a Losanna e cioè quando potrà avere di noi molto meno bisogno)>.

Grandi -Sì. Von Schubert -È vero. Quando si è parlato a Vienna e a Budapest dell'idea di una unione doganale coll'Italia, il Governo tedesco è stato costretto a dichiarare che esso non poteva e non può accettare un progetto di tal genere.

Esso comprometterebbe gli interessi economici della Germania in Austria e in Ungheria.

Grandi -Non ne vedo J:e ragioni. Vedo viceversa una serie di vantaggi positivi che la Germania realizzerebbe se una triplice doganale itala-austroungherese divenisse domani un fatto compiuto. È chiaro che l'Italia non può aderire ad un regime di pl'efeDenze, è chiaro che l'Italia non può accettare un regime di un'unione doganale nel quale sia inclusa la Germania. È chiaro che se si desidera che l'Italia sviluppi gli • Accordi Brocchi •, e vada verso una collaborazione effettiva di carattere economico con l'Austria e l'Ungheria, non c'è che una possibilità pratica e finale: l'unione doganale. Questa sola potrà impedire che l'Austria e l'Ungheria cadano nelle mani della Francia. Ecco il vantaggio politico per la Germania. La triplice doganale itala-austroungherese impedisce alla Francia la realizzazione del suo piano. Circa le difficoltà di carattere economico avanzate da von Schubert gli rispondo che non si tratterebbe naturalmente di unione doganale assoluta (irrealizzabile per ora per ovvie ragioni monetarie ecc. ecc.) ma bensì di un sistema di preferenze, contingentamenti, compensi ecc. ecc. presso a poco della natura di quello progettato nel giugno scorso fra Austria e Germania. Nulla vieta a mio avviso di studiare il modo perché con l'applicazione di tale sistema fossero evitati dei danni all'attuale stato dei rapporti commerciali austro-tedeschi e ungarotedeschi.

Qualsiasi altro piano, all'infuori della triplice doganaLe i:talo-austro-magiara, è destinato ad aiutare il realizzarsi dell'iniziativa francese. Niente più. Occorre che il Governo tedesco ci rifletta bene.

Von Schubert -Mi ringrazia per la chiarezza con cui gli ho esposto il punto di vista dell'Italia. Mi prega di considerare l'utilità di contatti, di discussioni fra i Ministri dell'Economia dei due paesi per trovare un piano di azione comune; Occorre non perdere tempo.

Grandi -Sono anche io dello stesso avviso.

Von Schubert -Prima di partire richiama la mia attenzione sulle espressioni scortesi usate dalla stampa italiana nei riguardi della persona del Maresciallo Hindenburg. Egli ne è molto addolorato (1).

Grandi -Gli rispondo che sono addolorato anch'io, ma che la stampa italiana è libera ecc. ecc. ecc.

Considerazioni -l) Il Governo tedesco ci fa sapere direttamente la sua opposizione al progetto italiano della triplice doganale, ed ammette di avere

• scoraggiato • i Governi di Vienna e Budapest ad aderirvi.

2) Per la prima volta l'esame di questo delicato problema viene affrontato in una discussione dir,etta fra il Governo italiano ed il Governo tedesco. 3) A parte l'obliqua condotta del Governo tedesco, ritengo utile che le conversazioni su questo argomento siano continuate fra i due Governi.

(l) -Cfr. n. 273. (3) -Cfr. D. 477, nota 2.

(l) Cfr. un appunto (di Grandi?) su un colloquio con von Schubert, datato Roma 24 febbraio 1932, del quale si pubblica il Passo seguente:

(l) Cfr. p. 510, nota l.

298

INFORMAZIONI (l) (Archivio Grandi)

Roma, 15 marzo 1932.

In un primo momento la risposta italiana (2) al progetto Tardieu fu considerata negli ambienti diplomatici, compresi quelli francesi, come tale da lasciare moHe possibilità d'intesa fra Roma e Parigi. Le obiezioni italiane parvero a prima lettura riguardare più la procedura che la sostanza del progetto francese.

SoHanto i russi si resero subito conto del valore reale del memorandum italiano e dissero che, malgrado i richiami di certe sirene parigine, Mussolini non si dipartiva dalla linea tracciatasi e ripeteva col memorandum Ja sua opposizione ad una più o meno larvata egemonia francese nell'Europa centrale.

Più tardi anche le impressioni degli altri ambienti diplomatici si sono modificate specialmente in seguito a conversazioni svoltesi a Palazzo Farnese, dove molti si sono recati in questi giorni per raccogliere giudizi. All'Ambasciata di Francia si è risposto a tutti che la tesi italiana non ha molte probabilità di essere accolta e che Tardieu lo ha già fatto capire quando ha detto alla Camera che l'interesse generale per l'unione danubiana deve sovrastare agli intel"essi particolari di questa o di quella Potenza. Inoltre gli Stati della Piccola Intesa sono contrari al punto di vista italiano che considerano ispirato al desiderio di mantenere, se non un antagonismo, un distacco fra l'Austria e l'Ungheria da una parte e gli alleati della Francia dall'altra.

Questo che si diceva a Palazzo Farnese veniva confermato alle Legazioni della Piccola Intesa, dove si rilevava che nessuno spirito conciliativo anima ancora l'Italia la quale, mentre accorda facilitazioni all'Austria e all'Ungheria per i loro commerci, oppone ogni g,iorno nuove difficoJ.tà alle importazioni cecoslovacche, jugoslave e rumene. E ciò mentre essa si dichiara in Hnea di massima desiderosa di collaborare alla restaurazione economica dell'Europa centrale.

Aggiungono in queste Legazioni che la condotta italiana è in contrasto con gli accordi che Grandi avrebbe fatto a Ginevra.

Forse per consolarsi, in questi medesimi ambienti si afferma che il viaggio del Ministro Walko a Roma (3) non ha dato i risuJtati che l'Italia si riprometteva e che anche in Austria sono molti coloro i quali cominciano a tro

vare pesante l'amicizia dell'Italia che ritarda per sue mire particolari la soluzione dei più vitali problemi.

Una prova che l'Italia non desidera sinceramente d'intendersi con la Francia è data, secondo gli ambienti su nominati, dal fatto che la stampa fascista non ha commentato affatto il discorso di Tardieu per il riavvicinamento italo-francese 'e che la stessa stampa ha pubblicato in morte di Briand scritti non troppo deferenti per il defunto uomo di Stato.

Per tutto questo si dice che de Beaumarchais ha ancora un duro lavoro da compiere per assolvere la missione affidatagli dal Quai d'Orsay e che per sapere se egli abbia una qualche probabilità di successo bisognerà attendere che venga in discussione alla Camera italiana od al Senato il bilancio degli Esteri.

In tale occasione til Governo italiano non potrà ignorare che il Presidente del Consiglio francese ha parlato dei rapporti con l'Italia.

I russi si manifestavano stamane soddisfatti dell'esito delle elezioni presidenziali in Germania in quanto i cinque milioni di voti raccolti dal candidato comunista stanno a dimostrare che i socialdemocratici perdono sempre più il loro ascendente sulla classe operaia e che lo spirito combattivo delle masse permane malgrado la minaccia hitleriana. I russi dicono d'ignorare quale linea di condotta sarà dettata agli elettori comunisti per la giornata del ballottaggio.

Essi riconoscono che Hitler è riuscito a raccogliere una votazione lusinghiera, il che farà giuoco alla diplomazia tedesca e per le future discussioni con la Francia (1). Undici milioni di voti socialnazionalisti e cinque milioni di voti comunisti costituiscono un freno per il gov~erno del Reich qualora questo voglia troppo spingersi VTerso la Francia, la quale considera come propria la vittoria di Hindenburg. E forse in parte essa ha ragione, se ha fondamento la voce che la socialdemocrazia tedesca non ha disdegnato aiuti finanziari dai • compagni • di Parigi.

Gli stessi russi osservano stamane che la • Stefani • poteva trovare una forma più felice per dare conto che il senatore Fantoli è stato ricevuto dal Duce. Parlare di una lapide in ricordo del primo scontro • con i bolscevichi • non è né ~troppo preciso, né troppo gradito.

(l) -Queste anonime informazioni sono state trasmesse a Grandi da Polverelli. (2) -Cfr. n. 273. (3) -Cfr. n. 279.
299

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 515/218. Angora, 16 marzo 1932.

Telespresso di V. E. n. 206999/44 del 7 marzo 1932 (2). Condivido le giuste considerazioni espresse dal R. Ministro a Tirana nel di lui rapporto che V. E. ha voluto trasmettermi.

Ho già riferito precedentemente sul lavoro di polarizzazione che fatalmente avviene verso la Turchia nelle questioni balcaniche, e la convenienza per noi di sfruttare ai nostri fini tale tendenza. Anche in Jugoslavia si rendono conto di ciò ed è evidente che nella prossima Conferenza balcanica di Bucarest se ne sconteranno gli effetti.

In ogni modo posso assicurare V. E. che durante i contatti che ho avuto qui con Mehmed bey Konitza, per il riconoscimento ufficiale dell'Albania e per i lavori balcanici, non mi è sfuggita la grande direttiva politica albanese quella cioè di sfruttare l'Italia: e se non me ne fossi accorto allora lo avrei dovuto dedurre dal contegno di Re Zogu dopo che tutti i problemi che gli stavano a cuore erano stati risolti per nostro mezzo.

Ma quei problemi servivano in prima linea la nostra politica ed io mi sono prestato a risolverli fino al punto fissato dai nostri interessi.

Konitza che è un uomo certamente molto abile e che ha ben compreso la preponderanza della Turchia negli affari balcanici, avrebbe voluto andare al di là e cioè avere il mio aiuto incognito per stringere i legami turco-albanesi.

Se nella politica che noi seguiamo nei Balcani è utile che l'Albania si affianchi a noi ed alla Turchia nell'intesa di Questa con la Grecia e Bulgaria, è certamente fuori di discussione che questo avvenga ·esclusivamente sotto i nostri auspici.

Detto questo, pur debbo far rilevare che date le secolari relazioni tra la Turchia e la sua antica vassalla l'Albania, di razza, religione, costumi, ecc., un processo di riavvicinamento turco-albanese è fatale e difficilmente contrastabile e pertanto questo sarà uno dei punti più delicati della nostra politica balcanica.

Per ritardarlo e per evitare che ciò avvenga al di fuori di noi, non v'è che un mezzo, quello cioè con V. E. g.ià esaminato e deciso in principio, di stabilire tra Roma ed Angora un maggior legame per tutte le modificazioni e decisioni che dovranno essere prese nei Balcani.

È ovvio intanto che io assicuri V. E. che farò il necessario nel caso si parli seriamente di una visita di Ismet pascià a Tirana.

(l) -Annotazione di Grandi: • Lo proverò>. Non è però chiaro a quale frase del capoverso l'annotazione si riferisca. (2) -Cfr. n. 272.
300

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, CORA

TELESPR. RR. 1754 (1). Roma, 17 marzo 1932.

Suo telegramma posta n. 779/272 del 7 corrente (2).

V. S. ha fatto bene a non distogliere il connazionale in questione dalle sue giustificatissime perplessità di fronte alle compromettenti richieste rivoltegli.

Anche nei riguardi dell'interlocutore che si affermerebbe autorizzato a manifestarle i pensieri di Ivan Mihailoff -del resto assai concisi ed impre

cisi -la S. V. vorrà, ad ogni buon fine, mantenersi in qualche riserva. Del Mihailoff, del resto, non conosciamo, con sufficiente esattezza, né egli ha curato farlo conosceDe, il sostanziale e complessivo suo programma di azione, né, quindi, converrebbe a noi, nel delicato momento attuale, sia nei riguardi della nostra politica generale, sia in quelli specifici delle nostre r·elazioni coll'attuale Governo bulgaro, andare oltre opportuni, generici contatti, a scopo sopratutto informativo, con emissari dell'O.R.M.I.

(l) -Spedito dal gabinetto. (2) -Cfr. n. 275.
301

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, PER IL CAPO DEL GOVERNO MUSSOLINI

Roma, 17 marzo 1932.

Il direttore dell'Ufficio Internazionale del Lavoro, Signor Thomas -che sarà a Roma oggi e vi si tratterrà a tutto sabato per partecipare ad una riunione della commissione mista agricola presso l'Istituto Internazionale di Agricoltura, -preoccupato da alcune recenti manifestazioni di assenteismo del nostro paese nei riguardi del B.I.T. (1), conta senza dubbio trarre occasione dal suo soggiorno romano per sondare le intenzioni del Governo italiano verso l'organizzazione che egli dirige e per cercare, possibilmente, di trovare una via d'intesa che valga a dissipare le sue preoccupazioni.

V. E. ricorderà che, in seguito all'inasprimento della campagna operaia contro di noi verificatosi in occasione dell'ultima conferenza, il R. Governo ha presentato alcune proposte di modifica al regolamento della conferenza e al Trattato che saranno discusse dalla conferenza stessa nel prossimo mese di aprile e che se fossero accolte, potrebbero risolvere in modo soddisfacente per noi il noto conflitto col gruppo operaio.

Nell'attesa che tali proposte vengano discusse, il Governo italiano ha adottato, nei riguardi del B.I.T. un atteggiamento che si ispira al concetto di limitare la nostra collaborazione a quelli che sono gli stretti obblighi imposti dal Trattato agli Stati membri. E perciò il R. Governo

l) -ha sospeso ogni nuova ratifica di convenzioni del lavoro; 2) -ha deciso di partecipare alla prossima conferenza con una delegazione limitata ai soli quattro delegati previsti dal Trattato, dandole mandato di presenziare i lavori senza peraltro partecipare alle discussioni e ai voti, salvo per quanto riguarda le proposte di cui sopra è cenno.

II Signor Thomas ha già avuto occasione di mostrare la sua inquietudine per questo atteggiamento del Governo italiano, giacché, specie nell'attuale momento in cui l'attiv.ità di carattere sociale del B.I.T. risente le influenze della depressione economica generale, la collaborazione di un grande Paese industriale come l'Italia riesce quanto mai preziosa.

È quindi facile intuire come il nostro atteggiamento di resistenza possa efficacemente agire sull'animo del Signor Thomas e indurlo ad adoperarsi per trovare quella formula di compromesso tra noi e il gruppo operaio che permetta una ripresa normale delle nostre relazioni con Ginevra.

Mi sembrerebbe pevtanto opportuno marcare, durante il soggiorno romano del signor Thomas, pur senza dare eccessivo peso alla cosa, la nostra ferma intenzione di non deflettere dall'atteggiamento assunto fino a che non venga convenientemente reg01lata la nostra situazione nei riguardi della confel'enza (1).

(l) Bureau International du Travail.

302

APPUNTO PER IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Roma, 17 marzo 1932.

Il Governatore di Roma ha fatto presente quanto segue:

Il 2 aprile p.v. avranno m1z1o a Roma i • festeggiamenti Goethiani •, in occasione del centenario della morte del poeta tedesco. Il Comitato per le onoranze, nella persona del suo Presidente, Senatore Gentile, sarebbe del parere che fosse invitato a Roma anche il Dortt. Conrad Adenauer, primo borgomastro di Colonia e presidente del Senato prussiano (politicamente fa parte del centro cattolico germanico). Qualora nulla ostasse all'invio di tale invito, si desidererebbe sapere se l'invito medesimo debba partire dal Comitato per le onoranze o da'l Governatore di Rmna (2).

«L'E. V. ricorderà che l'anno scorso, dopo la chiusura della Conferenza Internazionale del Lavoro (XV Sessione), questo Ministero, d'accordo con quello delle Corporazioni, venne nella determinazione di soprassedere ad ogni nuova ratifica di convenzioni del lavoro, nel

l'attesa che fossero chiariti i rapporti fra l'Italia e il B.I.T. relativamente alla annosa con

troversia tra la delegazione operaia italiana e le delegazioni operaie degli altri Governi.

La felice soluzione che la controversia stessa ha ricevuto quest'anno in seno alla XVI Conferenza del Lavoro, rende necessaria una revisione della linea di condotta adottata l'anno scorso. Essendosi infatti ormai normalizzati i nostri rapporti col B.I.T., appare opportunoriprendere la nostra abituale collaborazione con l'Organizzazione ginevrina e, in particolare, procedere alla ratifica delle convenzioni del lavoro suscettibili di essere applicate in Italia...

Nello stesso ordine di idee, va esaminata un'altra questione che presenta carattere di urgenza.

Si tratta della ratifica, da parte dell'Italia, dell'emendamento all'art. 393 del Trattato di Versailles, approvato dalla Conferenza Internazionale del Lavoro nel 1922. Tale emendamento, in base al quale veniva aumentato da 24 a 3:! il numero dei membri del Consiglio di amministrazione del B.I.T., non è ancora entrato in vigore mancando la ratifica del Governo italiano, il quale ha stimato finora opportuno tenere in sospeso la ratifica stessa nell'attesa che venisse regolata, in modo soddisfacente, la situazione della Delegazione operaia italiana in seno all'Organizzazione ginevrina...

La Direzione Generale Affari Società Nazioni, d'accordo col Senatore De Michelis, ha l'onore di proporre alla E. V. la ratifica dell'emendamento approvato dalla Conferenza del 1922. Al riguardo, è da tener presente che molte pressioni sono state fatte in passato da vari Governi affinché da parte del nostro paese -che è il solo a non avere ratificato l'emendamento -non si impedisca più oltre l'entrata in vigore del nuovo sistema. Anche in occasione delle ultime discussioni a Ginevra, vari delegati che ci hanno dato il loro appoggio sulle note auestioni, non hanno mancato -sia nei contatti personali coi nostri delegati, sia dalla tribuna stessa della Conferenza -di esprimere la loro convinzione che la soddisfacente soluzione delle questioni che ci interessavano, induca il R. Governo a ratificare l'emendamento di cui si tratta. ·

Tenuto conto di quanto precede, la Direzione Generale Affari Società Nazioni si permette far presente l'opportunità che la ratifica in questione avvenga nel più breve termine possibile, ciò che non mancherebbe senza dubbio di produrre la migliore impressione a Ginevra».

In occasione delle celebrazioni romane del centenario di Goethe, Musaolini pronunciò il 3 aprile un breve discorso su Goethe in tedesco.

(l) Cfr. una relazione per Grandi della Direzione Generale Affari Società delle Nazioni, datata Roma 7 maggio 1932, della quale si !lUbblicano i !lassi seguenti:

(2) A margine annotazione di Mussolini: «No».

303

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

T. POSTA 1703/377. Belgrado, 18 marzo 1932.

Nel trasmettere il notiziario sull'agitazione irredentista per il IV trimestre 1931 e che fa seguito a QUelli trasmessi per i trimestri precedenti dello stesso anno, unisco anche uno studio del Comm. Rainaldi sugli sloveni dal 1929 al 1931 (rapporto da Lubiana n. 741 del 29-11-1931) (2), il quale continua quello che andava fino al 1928 e che trasmisi a V. E. da B1ed il 21 agosto 1931 ed altro rapporto pure del Comm. Rainaldi sul fuoruscitismo allogeno, del 15 gennaio u.s. n. 69 R.

Al rapporto del 29 novembre del Comm. Rainaldi è allegata la interessante traduzione di uno studio sugli sloveni dal 1918 al 1928 con un capito.lo sugli sloveni in Italia.

Per l'Ufficio storico diplomatico allego soltanto la traduzione di questo ultimo studio.

Dai chiari e diligenti rapporti del Comm. Rainaldi e dalla ·traduzione che vi è annessa risulta in modo evidente tutta la essenza del movimento .irredentista sloveno col suo contenuto culturale-politico e con le sue aspirazioni. Se ne può desumere con ogni necessaria ampiezza il posto di primissimo piano che questa questione occupa ed occuperà sempre nelle relazioni italo-jugoslave qualunque sia per essere lo sviluppo dei futuri rapporti politici.

Se il primo rapporto del Comm. Rainaldi e la utile traduzione annessa aiutano a comprendere il contenuto del movimento sloveno, il secondo rapporto sul fuoruscitismo allogeno ed il notiziario del IV trimestre di questa

R. Legazione mettono in luce la attività quotidiana della agitazione slovena antitaliana nel suo triplice aspetto di soccorso agli espatriati dall'Italia, di propaganda politica-irredentista, di azione terrorista.

Peraltro come impressione complessiva il IV trimestre del 1931 non ha rappresentato carattere di accentuazione marcata di fronte ai trimestri precedenti.

Osserverò anzi che da talune· informazioni si dovrebbe desumere una diminuzione dell'agitazione, e ciò in conseguenza della diminuzione dei soccorsi statali.

Così per esempio il 25 novembre si afferma che la • Jadranska Straza • di Zagabria non sembra per tl momento spiegare grande attività antitaliana, e ciò sia per l'attuale depressione economica, sia per la mancanza di fondi della società.

Il 29 novembre il • Club Accademico istriano • di Zagabria ha dovuto rimandare la regolare annuale assemblea per il • numero insufficiente • di soci.

A Lubiana il 2 dicembre si è dovuto rinviare la riunione indetta per organizzare l'azione da svolgere in occasione del processo di Roma per • scarso intervento di aderenti •.

Il 15 dicembre si è sciolta silenziosamente per mancanza di mezzi e di aderenti la sezione della • Jugoslovenska Omladina Iskra • (circolo giovanile sentinella jugoslava).

Non intendo affatto con questo svalutare il movimento irredentista: non sarebbe giusto e non sarebbe esatto; ma non occorre neanche esagerarne la portata.

L'attuale movimento irredentista ricorda un poco il non mai abbastanza citato esempio del carbone ardente. Se esso viene alimentato dal vento favorevole può produrre gravi e pericolosi incidenti: in caso contrario esso segue la sua normale combustione e rimane sotto la cenere.

È da mettere in rilievo nel IV trimestre del 1931, la morte dello ottuagenario vescovo Sedej che ha dato luogo a manifestazioni di compianto irredentista. Si sono avuti comizi, funerali, cerimonie religiose.

Monsignor Bauer è diventato più cauto dall'epoca della sua ben nota pastorale (1), ma in sua vece i luogotenenti di lui, specie il suo segr,etario monsignor Slamic, si danno un gran da fare per tenere acCiesa la lampada dell'irredentismo.

Per ciò faccio completamente mio e lo estendo anche ad altre regioni di Questo paese quanto assennatamente ha scritto nel suo rapporto dell'8 gennaio 1932 n. 73/19 il R. Console Generale in Zagabria parlando dell'attività di quei centri politici nei riguardi dell'Italia.

• Di fronte a tante forze che apparentemente. hanno radici e prendono vigore in campi così larghi e differenti del paese, sta in realtà la massa della popolazione croata che, se in tempi non troppo lontani, ha potuto condividere qualcuna delle idee a noi ostili, sulle quali si è poi condotta e sviluppata tutta la campagna antitaliana, da ormai tre anni è disgustata di tale campagna e guarda con antipatia più che con diffidenza tutta uuesta montatura di cui è vittima in gran parte essa stessa. Non mi riferisco qui in modo speciale al vero e proprio partito dell'opposizione croata separatista, ma invece alle persone, che sono la maggioranza, che poco si occupano di politica e molto soffrono nella tranquillità e negli interessi per le dolorose conseguenze che la politica de'l regime fa loro sopportare e pagare.

Tutta auesta gente non ha né odio, né antipatia per noi e senza illudermi che l'Italia, gl'italiani ed il nostro Governo siano proprio amati, a vivere per qualche tempo in Croazia si ha l'impressione che il nostro Paese, i nostri prodotti, la nostra cultura, le nostre istituzioni sono comprese, apprezzate molto più che non siano le cose similari, per esempio o francesi, o inglesi, o americane. Molte difficoltà-affinità in vHri campi ci avvicinano alla gente del paese, che si trova certamente meglio a contatto con gl'italiani che con i serbi.

Di tutto ciò si rende conto certamente il regime, che con ammirabile pertinacia mantiene e sostiene con tutti i mezzi dispendiosi organizzazioni che poi fedelmente lo secondano o danno, specialmente all'estero, o ad osservatori

superficiali, l'impressione di un insanabile dissidio tra il nostro paese e queste popolazioni, fatte forse per intendersi con relativa facilità •.

Ci troviamo, quindi, di fronte ad un movimento irr,edentista, piuttosto alimentato dalle autorità governative, che • sentito • in realtà dalle masse, la cui efficienza potrebbe quindi diminuire quando non avesse il sostegno delle autorità di Belgrado.

Attiro infine in maniera speciale l'attenzione di V. E. su un articolo comparso sul Piccolo di Trieste il 27 :fìebbraio 1932 e dal titolo: • I reduci dai campi della delusione •. Altro artico>lo inspirato agli stessi concetti fu pubblicato sul Corriere della Sera subito dopo.

Le direttive della nostra attuale politica si inspirano a facilitare • l'espatrio clandestino • degli allogeni per diminuire, per quanto è possibile, dal nostro paese il loro numero.

Se Ja politica del governo continua in tali direttive, domando se non sarebbe meglio evitare la pubblicazione di articoli come quelli che ho citato e che dipingendo nei suoi oscuri colori le difficoltà cui vanno incontro gli allogeni nel loro ritorno in Jugoslavia, finiscono per scoraggiare tutti coloro che sono spinti dalla propaganda irredentista a cercare lavoro in Jugoslavia per stabiUrvisi definitivamente venendo così a diminuire sia pure insensibilmente la massa degli allogeni sui nostri confini. Né credo che il ritorno in Italia di disillusi possa sostanzialmente modificare il sentimento irredentista allogeno.

(l) -Il doc. fu inviato per conoscenza anche ai consolati generali di Zagabria e di Lubiana. (2) -Gli allegati non si pubblicano.

(l) Cfr. serie VII, vol. X, n. 94.

304

PROMEMORIA DELL'AMBASCIATORE DELL'URSS A ROMA, KURSKY, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Traduzione; Archivio Grandi, copia; ed. in Dokumenty vnesnei politiki SSSR, vol. XV, pp. 189-191) (l)

RISERVATO. [Roma], 18 marzo 1932 (2).

Noi abbiamo accettato volentieri la proposta del Governo italiano di entrare in trattative economiche, partendo dalla necessità di allargare le reciproche relazioni economiche tra l'Italia e l'URSS (3).

Noi siamo interessati allo sviluppo della nostra esportazione in Italia di prodotti alimentari e di materie prime dei quali l'Italia ha bisogno e siamo pronti ad allargare l'importazione dall'Italia, malgrado la contrazione generale della nostra importazione. Dobbiamo notare che l'Italia si è presentata tardi in qualità di fornitrice delle merci per l'URSS e che l:e nostre organizzazioni economiche ed i nostri tecnici non conoscono ancora in modo sufficiente l'industria italiana ed i progressi raggiunti dalla tecnica italiana. Nei confronti della esportazione occorre rilevare che la nostra propria esportazione in Italia non ha ancora raggiunto le cifre di quella d'anteguerra (essa costituisce i 2/3 dell'esportazione anteguerra) mentre l'importazione dall'Ita

lia supera di due volte quella d'anteguerra. Dal 1927 fino al 1931 compreso, la vendita de1le merci sovietiche in Italia è cresciuta meno dell'SO %, mentre le ordinazioni da noi passate, nello stesso periodo, sono aumentate del 480 %·

I 1lavori delle delegazioni incaricate di condurre trattative si protraggono già da più che due settimane -ma per ora procedono lentamente 'e ancora secondo il parer·e della nostra delegazione non si sono avviate fermamente nella direzione richiesta che deriva da tutto il complesso delle reciproche relazioni intercorrenti fra l'Italia e l'URSS.

Noi abbiamo presentato una serie di proposte relative all'esportazione. Particolarmente importanti per noi sono quelle che riguardano i cereali e la nafta. Però, finora, delle controproposte concrete da parte della delegazione italiana non sono state ricevute. Frattanto, noi riteniamo che i cereali e la nafta costituiscono quegli articoli della nostra esportazione, nei riguardi dei quali l'Italia deve essere maggiormente interessata per gli acquisti da farsi da noi considerando che l'URSS costituisce la fonte natural!e per il rifornimento all'Italia e per la creazione delle riserve necessarie di dette merci in Italia. La delegazione italiana ha presentato la proposta che da parte nostra venisse fatto un depostto in oro per una eerta somma (dapprima era stata nominata la somma di 300 milioni di lire ed in seguito detta somma venne diminuita a 200 milioni di lire), partendo dalle considerazioni concernenti la rispettiva copertura in oro della circolazione monetaria. La delegazione italiana, ·evidentemente, non tiene conto in modo sufficiente del fatto che noi, nelle nostre condizioni di acquisto delle merci d'importazione dobbiamo considerare tutti i nostri rapporti recip·roci con a1tri paesi.

In alcun paese abbiamo fatto depositi di tal genere ed abbiamo categoricamente declinato qualsiasi tentativo avanzato in questo senso. Occorre tener presente che la nostra importazione dall'Italia costituisce meno di una decina per cento della nostra importazione globale e s'intende che in Italia non possiamo accettare tali condizioni ·e fare tali concessioni che significherebbero per noi delle gravi perdite e dei sacrifici nei confronti dei rapporti che intercorrono tra noi ed altri paesi.

Pevtanto noi abbiamo prospettato aHa delegazione italiana che, desidevando venire .incontro all'Italia per ottenere una eerta diminuzione dei mezzi immobilizzati, investiti nei nostri affari, consentiamo accordare all'Italia in altra forma -non in forma di deposito aureo -50-55 milioni di lire. Per questi fini noi siamo anzi pronti ad aumentare il noleggio della flotta mereantile italiana, nonostante la si·tuazione generale del mercato dei noJ.i.

200 milioni di !lire significano, in fondo, il pagamento del 57% (l) in contanti per le nostre ordinazioni, ciò che è per noi inaccettabile.

Noi diamo una ser,ia importanza a queste trattative. In forza di una serie di ragioni -la situazione geografica, i nostri rapporti economici ·ed un insieme di altri fattori di carattere internazionale -le nostre relazioni reciproche sono state improntate, in tutto questo periodo, di caratteri tali, che nel campo del commercio ·estero non solo non hanno avuto elementi contrastanti, ma sono venute, quasi, a completarsi vicendevolmente.

Considerando l'importanza dell'allargamento e del consolidamento dei nostri rapporti economici il nostro Governo ha nominato a far parte della delegazione il signor Piatakoff ed un gruppo di tecnici e di dirigenti economici a sua disposizione, affinché regli potesse prendere conoscenza dell'industria italiana, delie sue possibilità e dei suoi progressi tecnici. Tale lavoro è già stato ,iniziato dal signor Piartakoff e contando che le trattative abbiano un es~to favorevole, sono già state collocate da lui alcune ordinazioni. In particolare il signor Piatakoff ha iniziato questo studio nei riguardi dell'industria militare alla quale noi possiamo dare una serie di ordinazioni.

Sarebbe desiderabile che le trattative fossero compiute nel modo più breve e che ottenessero lo scopo dell'allargamento e del consolidamento dei nostri rapporti reciproci. Noi vediamo le possibilità di ciò -in primo luogo, nel senso dell'allargamento della nostra importazione dall'Italia, che siamo pronti ad effettuare nonostante la diminuzione globale della nostra importazione in questo anno, e [nel] senso di allargare l'utilizzazione dehla collaboraziorne tecnica italiana. In secondo luogo, nel senso di un allargamento della nostra esportazione. In terzo luogo nel senso dell'aumento del noleggio della flotta mercantile italiana (1).

(l) -Annotazione a margine: • Originale all'Ufficio Politica Economica. Inviata copia all'Europa Levante ed Africa •. (2) -Altra annotazione a margine: • Inviato dall'Ambasciata dell'URSS, 20 marzo 1932 •. (3) -Il 27 aPrile 1931 erano stati firmati un accordo commerciale e uno finanziario itnlo-sovietici. Cfr. i docc. ed. in Dokumenty, cit., vol. XIV, pp. 286-290; e la nota di Litvinov per Attolico, del 28 aprile, ibid., pp. 291-292.

(l) 60 %. in Dokumenty, cit., vol. XV.

305

APPUNTO DEL DELEGATO PRESSO L'UFFICIO INTERNAZIONALE DEL LAVORO, DE MICHELIS, SUL COLLOQUIO COL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, TARDIEU

(Archivio Grandi)

[Ginevra], 18 marzo 1932 (2).

Verso la fine della lunga conversazione che aveva messo in luce i punti divergenti circa il metodo di convocazione della Conferenza danubiana, il signor Tardieu ha aggiunto in sostanza quanto segue:

Io non concepisco questa faccenda danubiana che come una iniziativa propizia per un deciso orientamento della politica delle grandi Potenze; meglio ancora, come un mezzo per far sentire al mondo che qualche cosa di nuovo si va maturando nel:la vita europea.

Già volevo parlarne a Grandi, ma non ne ebbi il destro; mi ripromettevo di farlo in questi giorni e perciò avevo insistito perché ci si incontrasse qui a Ginevra.

Poiché so che voi godete la sua fiducia vi ·apro il mio cuore senza riserve e vi prego di riferire a Grandi quanto vi dico, affinché egli ne faccia partecipe Mussolini.

Io riconosco che all'Italia sono stati fatti dei torti: non ne sono colpevole io, e molti dei suoi uomini devono prenderne una parte di responsabilità. Siamo convinti che si debba riparare: ma a questo fine è indispensabile rive

dere insieme le posizioni e precisare punti di divergenza per risolverli e quelli necessari ad un'intesa per fissarli e per ristabilire un'era di assoluta fiducia e di piena collaborazione integrale.

D'altro canto la Francia non può discostarsi dalla Gran Bretagna; né una analoga attitudine è compatibile con gli interessi e con le possibilità dell'Italia. Dunque è necessario ritornare alla situazione del tempo di guerra. Stringere i più solidi legami fra aueste tre grandi Potenze e marciare in stretto contatto.

Noi francesi non possiamo più, dopo oltre 40 anni di sacrifici e di presenza rinunciare alla più piccola parcella dell'Africa mediterranea sulla quale ci troviamo; ma possiamo aiutare l'Italia nelle sue legittime aspirazioni e nei suoi interessi mediterranei. D'altro canto il posto dell'Italia è nel Mar Rosso: noi siamo qui per appoggiarla. In IÌutto questo, l'accordo della Gran Bretagna è indispensabile.

Voi avete g.ià capito quale sarà la mia politica verso questa Potenza. Desidero che l'Italia riprenda il suo posto, il suo grande posto, in una intesa a tre.

Mussolini è troppo grande per non dare ad un piano di questo genere la grandezza che merita.

Ora, secondo me, la prima questione da risolvere è quella che interessa i Paesi danubiani. Essi si trovano tutti in una situazione disastrosa, fallimentare, che da un momento all'altro può sfociare in rivolgimenti sociali e politici la di cui ripercussione si farebbe sentire per tutti noi.

Noi non intendiamo affatto affievolire le posizioni italiane particolarmente attive in alcuni di questi paesi: vogliamo cercare un risanamento economico e finanziario che dia al resto dell'Europa un po' di tranquillità. Io vedo attraverso la sistemazione danubiana il punto di partenza di un'intesa italo-francese che, col concorso della Gran Bretagna, potrà scendere senza difficoltà ad un patto mediterraneo.

Ecco quello che avrei voluto dire a S. E. Grandi. Posta sotto questa luce ila iniziativa francese pel riassetto danubiano dovrebbe trovare l'Italia meno diffidente. Vi ho già detto con sincerità quaH sono i nostri scopi specifici: lasciare esaminare la si,tuazione dagli interessati, in vista di poter trovare delle soluzioni accettabili da noi grandi Potenze e dai paesi terzi per giustificare un aiuto finanziario del quale vi è bisogno urgente.

Ma io vorrei che questa iniziativa portasse fin dal suo sorgere il segno di una intesa anglo-franco-italiana. Ecco perché vi prego di richiamare l'attenzione di S. E. Grandi su quanto vi ho detto. Cominciamo da qui... ma non arrestiamoci qui (2).

« L'Italie est d'accord avec la France pour empècher l'Anschluss, mais elle est aussi d'accord avec l'Allemagne pour s'opposer à la formation dans l'Orient européen d'une énorme union douanière que Paris dirigerait en sous-main à travers la Petite Entente. Elle cherche à se créer dans cette région un marché et une sphère d'influence; l'Union <'-conomique danubienne mettrait ses espoirs à néant; il n'y aurait plus place pour elle dans cet Orient européen voué à la domination des masses slaves de la Yougoslavie et de la Tchécoslovaquie. Elle craint aussi qu'une sorte d'union politique, succédant p eu à peu à l'uni ~m économique, ne crée finalement à sa frontière est une menace pire que l'ancienne ntenace austro-hongroise. Dans ce domaine, sa politique cadre assez bien avec celle de l'Allemagne "·

(l) -Cfr. anche un t. di Kursky del 19 marzo, in Dokumenty, cit., vol. XV, p. 193; e ibid. pp. 191-192 nota, un doc. del 31 marzo. (2) -Sull'originale l'anno, di mano di De Michelis, è 1933, Der evidente errore.

(l) In Archivio Grandi è conservato un ritaglio della Gazette de Lausanne del 18 marzo 1932, che contiene un articolo sulle relazioni franco-italiane del corrispondente da Roma del giornale, M. de Lavallaz. Sul ritaglio Grandi ha annotato: " Questo articolo riproduce con sufficiente esattezza la situazione ». Si pubblica qui un passo dell'articolo in questione.

306

IL PREFETTO DI TRIESTE, PORRO, AL PROCURATORE GENERALE DEL RE DI TRIESTE, MANDRUZZATO

(ACS, Vescovi, Trieste e Capodistria)

N. 011/74 RISERVATO ALLA PERSONA. Trieste, 18 marzo 1932.

Più volte io ho avuto occasione di riferire superiormente, nonché allo stesso Monsignor Fogar e ad un missus della Santa Sede q_ui venuto lo scorso anno, che non ero molto soddisfatto del comportamento politico del clero nella zona allogena ·e nello stesso Comune di Trieste.

Facevo presente che se può comprendersi che i sacerdoti usino la lingua slovena in tutte le pratiche di culto con le persone adulte nei paesi dove, per essere lontani da Trieste ed abitati da allogeni, la lingua italiana è pochissimo conosciuta, per contro i sacerdoti stessi dovrebbero usare soltanto la lingua nostra con i fanciulli che frequentando le scuole elementari l'hanno appresa e la parlano correntemente.

Aggiungevo poi che non potevo ammettere che si continuasse ad usare lo sloveno nelle funzioni religiose, prediche, insegnamento del catechismo nella stessa città di Trieste, come a Barcola, Servola etc. e fino a poco tempo a S. Giacomo, dove tutti comprendono benissimo e parlano la lingua nostra.

Monsignor Vescovo, pur trinoerandosi sulle direttive della Santa Sede ed accennando al timore che in alto nutrivasi che un diverso atteggiamento del clero avrebbe potuto portare ad un allontamento degli allogeni dalla religione cattolica e ad un vero e proprio scisma (1), assicurava sempre che avrebbe cercato a poco a poco di modificare questa situazione di cose.

Non escludo che egli ciò abbia fatto, ma credo che abbia trovato una resistenza passiva nella pervicacia e nella faziosità settaria di una parte del clero allogeno.

Per questa, il sentimento 11eligioso è un pretesto; la lingua slovena viene usata non tanto a scopo di culto Quanto come strumento di irredentismo e di propaganda nazionalista slovena e, difatti, i sacerdoti hanno cura, dopo la scuola, di raccogliere in chiesa od in canonica i fanciulli coi q_uali parlano in sloveno e danno loro pubblicazioni slovene affinché dimentichino la nostra lingua imparata a scuola.

Qualche miglioramento in questa situazione si è ottenuto: alcuni sacerdoti si mostrano più prudenti per timore di provvedimenti a loro carico, ma la

Per casi di passaggio dalla religione cattolica a quella ortodossa di alcune famiglie di contadini emigrati dalla Venezia Giulia cfr. t. posta da Skoplje 7 marzo 1932; telespr. da Skoplje, 2 settembre 1932; nota del ministero dell'Interno del 13 ottobre 1932 (ASMAE).

situazione non sarà radicalmente trasformata finché i preti sloveni non saranno sostituiti da preti italiani che però conoscano lo sloveno per facilitare le pratiche di culto con le persone anziane che poco o punto comprendono la nostra lingua.

Intanto di uno di tali sacerdoti più faziosi ci siamo liberati, cioè del noto Don Leiler Umberto, parroco di Cattinara. Poiché questi pubblicamente, in un'osteria, e ubriaco come di consueto, uscì in escandescenze contro H Governo ed il Fascismo io feci sapere al Vescovo che avrei dovuto promuovere provvedimenti di polizia. Il Vescovo, convenne che miglior partito era quello d'invitave il predetto sacerdote ad andarsene nella sua Jugoslavia, e così avvenne.

Pertanto non è esatto che sia stato Monsignor Vescovo a prendere l'iniziativa della punizione contro Don Leiler.

Aggiungo che contro un altro sacerdote, accanito slovenofilo, sto attualmente promovendo provvedimenti di polizia continuando egli nella subdola propaganda antitaliana malgrado le assicurazioni datemi dal Vescovo che avrebbe desistito.

Quanto a Monsignor Fogar, è inutile che mi soffermi a dire di lui poiché

V. E. lo conosce meglio e da più lungo tempo di me.

Mi limiterò soltanto a rilevare che per dimostrare i suoi sentimenti patriottici egli asserisce che in molte chiese sono state soppresse le prediche in lingua slava.

Sarebbe bene che specificasse quali siano queste chiese, quando è notorio che a Barcola, Guardiella, Servola, Opicina etc., cioè a breve distanza dal centro della città di Trieste, si continua a predicare in slavo.

Egli dice pure, • che in lingua italiana si svolge l'insegnamento religioso tra gli al~oglotti, purché se ne faccia richiesta • ma, purtroppo, c'è questo

• purché se ne faccia richiesta • che frustra ogni buona intenzione essendo notorio che gli alloglotti non fanno questa domanda specialmente perché i preti allogeni non lo permettono.

Comunque, io non dubito dei suoi sentimenti di italianità e non credo che sia esatto che prediliga i sacerdoti slavi e tratti duramente gli italiani.

Credo, invece, che in un ambiente difficile come questo cerchi di mantenersi in equilibrio e che, senza volere, talvolta scontenti gli uni o gli altri: ed è naturale che i più scontenti siano gli italiani per la comprensibile loro ansia di una più rapida penetrazione nazionale tra gli allogeni.

Forse una più decisa energia sarebbe desiderabile, ma, ripeto, il clero allogeno è subdolo e tenace e, d'altra parte, non è facile sostituirlo con elementi italiani poiché in questa regione, dove italianità e massoneria erano termini coincidenti, soltanto gli sloveni si dedicavano al sacerdozio e vi è tuttora penuria di preti italiani.

In conclusione, la situazione politica del clero in questa Provincia va considerata, a mio avviso, con serenità e con la giusta comprensione delle complesse difficoltà che essa presenta e l'azione da svolgersi da parte dell'Autorità politica deve essere, certamente, ferma e metodica, ma deve anche procedere per gradi, senza soverchia fretta.

(l) Cfr. anche quanto scriveva il !)rocuratore generale dc,l Re di Capodistria, dottor Benci, al procuratore generale del Re di Trieste in data 4 aprilè 1932: le autorità ecclesiastiche favorivano o tolleravano l'atteggiamento slavofilo del clero locale oerché « la preoccupazione di un pronunciamento scismatico era troppo sentita perché si !)ensasse in alto loco a parvi riparo » (ACS, Vescovi, Trieste e Capodistria).

307

RAPPORTO DELL'AMBASCIATORE DE MICHELIS AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SULLA CONFERENZA DANUBIANA (Archivio Grandi)

Roma, 19 marzo 1932.

Premessa. -n Governo della Gran Bretagna ha proposto, ora fa un mese (2), che all'ordine del giorno della • Commissione di studio per l'Unione europea • venisse iscritta la questione di un'unione doganale tra i Paesi danubiani (2).

Il Governo francese, con un memorandum del 2 marzo c.m., (3) dopo aver detto che il Governo britannico non teneva più alla sua iniziativa, ha proposto ai Governi britannico e italiano di • concertarsi .insieme per determinare sòtto quali condizioni l'attenzione dei 5 paesi danubiani interessati poteva essere al più presto attirata sulle necessità di sinceri e completi scambi di vista tra loro, col proposito del riavvicinamento delle loro relazioni economiche e del risanamento ulteriore o del miglioramento della loro situazione finanziaria, monetaria e di bilancio •.

Il Governo italiano, ha risposto all'invito con un memorandum (3) nel quale dopo alcune premesse di principio e dopo alcune considerazioni generali, si è dichiarato • lieto di aderire all'invito del Governo francese di concertarsi con lui e con quei governi ai quali la situazione dell'Europa danubiana ispira analoghe preoccupazioni, prospettando l'opportunità che gli scambi di idee di cui è menzione nel memorandum francese abbiano luogo fra i rappresentaiJJti dei 5 Stati danubiani interessati da un lato ed i rappresentanti della Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia dall'altro... •.

Riunioni a 4 ed a 5 -si sono chiesti a Ginevra -oppure riunione a 9 tra due • gruppi •, uno da un lato ed un altro gruppo dall'altro lato?

Colloqui a Ginevra. -Il giorno 8 marzo S. E. Grandi mi affidava l'incarico di recarmi a Ginevra affinché vi incontrassi il sig. Tardieu. Prima di partire assistei ad una riunione tra il sig. Schliller ed i Ministri pl·en. Guariglia e Ciancarelli. n sig. Schliller svolse il punto di vista seguente: • convenire all'Italia di non assumersi >la responsabilità di far naufragare la proposta francese; aderire perciò anche alla riunione a cinque •. Tanto, diceva il sig. Schliller, da quella riunione non uscirà certamente alcun accordo positivo tra gli Stati danubiani. Su queste conclusioni convennero anche i Ministri Guariglia e Ciancarelli.

A Ginevra non .trovai il sig. Tardieu, che desiderava ed insisteva in un suo incontro col Ministro Grandi (4). Egli non poteva muoversi da Parigi essendo impegnato per i preparativi dei funerali di Aristide Briand. Vidi subito il Ministro Rosso, che a Ginevra tiene viv.i abilmente i contatti su tutti i settori, e seppi da lui: l) che n memorandum italiano era stato generalmente interpre

SOl

tato come un tentativo di siluramento dell'iniziativa francese; 2) che Lord Simon ed il sig. Cadogan gli avevano detto che, in massima, essi 'erano favorevoli alla riunione dei cinque Paesi danubiani. In questo senso, del resto, H Ministro Rosso tel,egrafò a Palazzo Chigi.

Nell'attesa del signor Tardieu, ritenni opportuno di parlare della questione con i magg.iori interessati, approfittando di incontri occasionali sia all'albergo, sia al Segretariato della Società delle Nazioni dove non mancano pretesti per recarsi senza sollevare le curiosità malsane dei giornalisti e dei pettegoli, gli uni e gli altri innumerevoli a Ginevra.

Rendo conto di questi colloqui non per ordine cronologico, ma piuttosto per ordine di argomento e di notizie.

I

Avenol e Stoppani. -Sono i due artefici deHa proposta Tardieu, che è stata immaginata dal secondo dei due (1). Di (!uesta circostanza ho avuto conferma da Marinkovitch al quale lo Stoppani si era rivolto perché prendesse proprio lui l'iniziativa della riunione dei Paesi danubiani. lVIarinkovHch lo rinviò all'Ungheria, la quale già era stata inutilmente presentita. È così che Stoppani pvese l'iniziativa della conversazione • casuale • Avenol-Rosso-Massigli-Stoppani che avvenne post pocula in casa del primo di questi signori e della quale vi sono, in atti, la relazione Rosso ed i commenti Stoppani (2).

Quest'ultimo credette, poi, di poter considerare S. E. Grandi come favorevole ad una riunione dei Paesi danubiani e perciò rinunciò alla pedina britannica che aveva mossa per prima (unione doganale) per mettere avanti la pedina francese (riunione dei 5). Questa mossa incontrò il facile consenso del signor Tardieu che, come tutti gli uomini di Governo francesi, ha la smania di offrire all'Europa • piani • clamorosi di sistemazioni generali (plan Briand, plan François-Poncet, plan Maginot, plan Tardieu... ) e che in questi momenti va alla ricerca delle pietanze più svariate ed appetitose per satollare gli elettori della Repubblica.

Il sig. Avenol e lo Stoppani mi hanno illustrato e raccomandato il piano Tardieu, confessandomi che era il parto logico della loro • visione realistica • di quanto l'Europa offre agli occhi del Segretariato. Nessuno scopo politico -dunque -nessuna mira di sminuire posizioni acquisite dalle grandi Potenze nella regione danubiana. Essi si prefiggono di tentare una sistemazione europea incominciando da quella dei paesi che ne hanno assoluto e più urgente bisogno. Punto di partenza economico con finalità di risanamento finanziario.

Avenol è favorevole alla formazione immediata di un comitato finanziario

delle 4 Potenze e lo Stoppani mette in evidenza la necessità di un Segretariato

permanente dei 5 paesi danubiani che, naturalmente, dovrebbe essere affidato

a lui ed a qualche suo collaboratore.

II

Benes. -È stato, in un primo momento, poco bene impressionato dalla risposta itailiana. Ma, avendovi riflettuto, la considera con maggiore tranquillità poiché vi trova in fin dei conti una promessa di discussione. Vede nella iniziativa Tardieu, sopratutto, un mezzo per mettere d'accordo i suoi industriali ed i suoi agrari verso una politica di assistenza danubiana che nel suo paese, il quale sta relativamente bene, non è nè sentita nè compresa. Egli ne sente e comprende, invece, l'importanza e la necessità perché si pone sul terreno europeo e non su quello nazionale.

Però è necessario che la riunione si faccia a cinque e non a nove, perché bisogna allontanare qualsiasi sospetto che le grandi Potenze -se fossero presenti -guidino ,le decisioni secondo i loro voleri ed anche per non dare l'impressione che si vogliono mette11e i 5 paesi in istato di minorità.

Assicura -come già ebbe a dire a S. E. Grandi -che nulla egli proporrà

o farà che non sia di gradimento ed in pieno accordo con l'Italia. Ha aggiunto che la stessa attitudine egli dovrà assumersi nei riguardi della Germania.

III

Marinkovitch. -Non giudica la proposta Tardieu con eccessivo entusiasmo. Egli tentò or sono tre anni l'intesa a tre (Cecoslovacchia, Rumania, Jugoslavia) e non riuscì a condurla in porto; l'intesa a cinque offre ben maggiori difficoltà, difficilmente superabili.

Non gli pare che convenga all'Italia di dare l'impressione di opporsi al tentativo fatto da Tardieu e sul quale la Gran Bretagna si è messa d'accordo. Appena i 5 paesi si troveranno insieme a discutere sorgeranno gli urti, le divergenze, le rivalità, e gli ostacoli che li divideranno. Per parte sua, non farà un cenno senza essere d'accordo con l'Italia, perché -come ha detto a Tardieu questo è il suo vicino più interessante.

Avendo io parlato di unione doganale tra i nostri due paesi e l'Ungheria, Marinkovitch ha esclamato: • se la riunione danubiana farà fiasco, il mio paese dovrà pur fare qualche cosa per la propria salvezza' • Marinkovitch mi ha ripetuto che Lord Simon era favorevole alla riunione dei 5 perché il suo Governo non vuole impegnarsi a priori sulle decisioni che saranno prese. Da parte sua non sarebbe ostile alla convocazione dei nove, purché si affidi subito ai cinque l'esame della situazione insieme all'incarico di riferire ai quattro. Dopo si dovrebbe riprendere tutta la questione a nove.

IV

Pfliigl (rappresentante permanente dell'Austria a Ginevra). -È venuto a trovarmi dopo un suo colloquio con Tardieu per sottopormi una sua idea. Egli suggerisce che si facciano riunire i 5 paesi e che, immediatamente, parta da taluno di questi la proposta di invitare la Germania e l'Italia a prender

parte ai loro lavori. Ho osservato che, logicamente, sarebbe proposto da altri che intervengano anche la Gran Bretagna e la Francia. E allora tanto vale accettar·e subito la proposta italiana. Il sig. Pflugl mi ha ricordato :le raccomandazioni fatte dallo Schi.il!ler affinché all'Italia non si addebiti di far fallire la proposta con un pretesto procedurale.

v

Walko. -Era reduce da Parigi, dove aveva visto un po' tutti. Non ha alcuna fiducia nel successo della riunione, specialmente per quanto si riferisce al trattamento preferenziale, intorno al quale prevede il maggiore disaccordo. Tuttavia, bisognerebbe· facilitare il tentativo Tardteu perché egli ha avuto l'impressione che Parigi non concederà alcun soccorso finanziario all'Ungheria e all'Austria se non si arriva a concretare un qualsiasi principio di sistemazione economica. Ciò sarebbe disastroso tanto per l'Ungheria quanto per l'Austria. Tardieu gli ha chiesto copia degli c accordi Brocchi •, dichiarandosi pronto, se sono compatibili con gli impegni verso i paesi terzi, a sottoscrivere degli accordi analoghi.

VI

Sig. Posse (delegato del Reich). -Era giunto a Ginevra per conferire con gli • esperti • del sig. Tardieu. Mi ha comunicato tl testo del memorandum tedesco (l) e mi ha detto che il suo Governo intende, in questa faccenda, proce~ dere d'accordo con l'Italia. Desidererebbe, anzi, studiare la questione dal punto di vista tecnico, con gli esperti italiani, prima di mettersi a contatto con i rappresentanti degli altri paesi.

Ritiene che il c compromesso • di fare la riunione a 4 per poi convocare i 5 sarebbe accettabile, sempreché i cinque paesi danubiani non fossero poi lasciati in balia di loro stessi, ma potessero tenere i contatti opportuni con la Germania e con l'Italia, principali interessate.

VII

Tardieu. -Dopo avermi espvesso H rincrescimento di non poter conferire con S. E. Grandi ha aggiunto che il memorandum ~taliano aveva impres

c

sionato sfavorevo>lmente molto di più il suo entourage • che egli stesso. Se lo era messo in tasca, lo aveva riletto in ferrovia, e trovava che in realtà la div·ergenza tra la proposta francese e la proposta italiana non era molto profonda. Bisognerebbe cercare di mettersi d'accordo -egli disse -tenendo presente che J.a Francia con la sua proposta non persegue veruno scopo di

carattere politico ·e non intende indebolire in qualsiasi modo le posizioni dell'Italia nei riguardi di taluni paesi danubiani. La questione va esaminata soprattutto dal punto di vista della sicurezza dell'Europa. Nessun'altra questione è così urgente ed angosciosa come questa. L'Austria e l'Ungheria sono minacciate da una catastrofe irreparabile, la Romania non sta meglio, gli altri paesi che le attorniano si trovano più o meno in uno stato di marasma. Bisogna, dunque, che le grandi Potenze si decidano a venire in soccorso di una situazione così tragica, che può essere foriera anche di sovvertimenti sociali e politici i auali non possono non impressionare tutte le persone di buon senso e gli uomini di governo responsabili.

Tutti i paesi che, come la Francia >e l'Inghilterra potrebbero ancora venire in aiuto finanziario dei paesi danubiani, temono, non solo per i miliardi che già hanno consegnato a questi paesi, ma anche per H danaro che potrebbero sborsare ora. La Francia da sola non ,intende più di continuare in questi prestiti fatti a spizzico perché non sono risolutivi della situazione e perché finiscono per rendere antipatico quel paese che finisce per passare come il detentore della ricchezza europea. È necessario, perciò, dare ad un'iniziativa, che miri al soccorso dei paesi danubiani, H carattere internazionale: con la esclusione di ogni preoccupazione politica e con riferimento al ;terreno puramente economico e finanziario.

Se l'Italia è d'accordo su queste premesse, come già è con esse d'accordo Lord Simon, si tratterebbe di esaminare quale parte l'Italia e la Germania possano assumersi in alcuni sacrifici di carattere economico verso questi paesi e quale parte di sacrificio finanziario debbano prevalentemente assumersi la Francia e la Gran Bretagna.

È mia intenzione che le 4 Potenze costituiscano subito un comitato finanziario con 4 esperti di grande rinomanza e che nel quadro finanziario i 5 paesi danubiani siano invitati a studiare la loro situazione economica facendoci poscia le proposte relative. È naturale che essi dovrebbero tenersi in stretto contatto con noi, • dferirci giorno per giorno •, per sottoporci poi il lavoro che avranno compiuto affinché si deliberi in conseguenza. Secondo Tardieu tutta questa attività deve svoig.ersi fuori degli organi competenti della Società delle Nazioni perché egli comincia ad av·ere una limitata fiducia tanto nel Comitato economico quanto nel Comitato finanzia:do che gli sembrano avere eccessivamente burocra1tizzato l'attività del Segretariato.

Il piano franc·ese si prefigge di organizzare un aiuto verso gli Stati dell'Europa centrale su basi durevoli e confida perciò di avere con sé l'Inghilterra e l'Italia. L'organizzazione economica dei paesi danubiani deve essere un primo passo decisivo verso l'unione economica dell'Europa, alla quale si potrà giungere per mezzo di intese regionali e per gruppi. Questi 5 Paesi hanno degli interessi comuni ed un'economia pressoché complementar·e, ma trovano difficilmente gli sbocchi redditizi per la loro produzione. È perciò necessario di procedere ad un migliore assetto dehla distribuZJione tra questi paesi e alla organizzazione del collocamento dell'eccesso della produzione nei paesi compratori. Si tratta di una produzione di carattere agricolo e si vede subito a quali porte si debba bussare perché questa produzione venga acquistata a

18 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

prezzi rimuneratori. Con l'aumento dei prezzi verrebbe a stabilirsi in quei paesi un tenore economico più prospero, creando la possibilità di acquisti di prodotti industriali all'estero da parte dei paesi stessi.

Crede che fino a questo punto non vi possa essere divergenza tra ii.'Italia e la Francia, come non ve ne è tra la Francia e l'Inghilterra e forse neppure tra la Francia e la Germania. Noi dissentiamo sulla procedura da seguire, dice Tardieu. Infatti nel memorandum delii.'Italia si propone una riunione dei 9 paesi. Ritengo -continua -ed in questo ho trovato d'accordo tutti gli interessati e Lord Simon, che sia necessario che i 5 paesi danubiani (Austria, Ungheria, Romania, Cecoslovacchia, Jugoslavia) si intendano tra loro, e da soli a soli, in vista di una fiduciosa collaborazione economica. Io credo che questo sia possibile per mezzo di un sistema di diritti preferenziali con contingentamento delle importazioni: ma si possono trovare altre soluzioni e sebbene io non conosca la portata degli • accordi Brocchi • dico subito che se questo sistema è buono non avrò difficoltà ad appoggiarlo • toto corde • perché venga adottato ed ampliato. Sostengo che l'intesa fra le 5 nazioni interessate deve farsi tra i paesi stessi, senza partecipazione alcuna di una grande Potenza qualsiasi, affinché il lavoro di carattere economico non subisca influenze politiche o di altra natura. È però indispensabile che tra la Francia, l'Italia e· la Gran Bretagna avvenga un accordo completo per favorire l'intesa economica danubiana, trasportandola di peso nella solidarietà europea. Se questo è possibile, sarà facile assicurare a questo raggruppamento di Stati danubiani un aiuto finanziario immediato: esso potrà essere costituito dagli apporti fatti, in maggiore o minore quantità, dalle grandi Partenze a mezzo di un comitato interstata'l~ che tolga a questi aiuti il carattere di provenienza da un paese particolare. Lord Simon, che è venuto a Parigi, si è trovato d'accordo pienamente con me ed abbiamo già redatto insieme un primo schema di appello da lanciarsi ai 5 paesi danubiani da parte delle 4 Potenze. Le obiezioni che voi fate -ha continuato il Sig. Tardieu -a conferma del punto di vista svolto nel memorandum italiano sono tali che metterebbero di nuovo in movimento tutto l'esame della questione tra me e Lord Simon. Dite a Grandi che gli rivolgo un cordiale invito ad evitare questo inconveniente, poiché sono persuaso che la Gran Bretagna non intende associarsi a delle iniziative che possano fin dal principio costituire per lei degli impegni troppo precisi.

A questo punto il Sig. Tardieu i:ni ha intrattenuto su alcune considerazioni di carattere più generale le quali vorrebbero stabilire l'inizio di una più intima intesa fra l'Italia e Ia Francia prendendo occasione dalla proposta di una conferenza danubiana. In merito riferirò a parte (vedi allegato) (1).

Naturalmente, in seguito alle istruzioni che avevo ricevuto da V. E., non ho assunto posizione rigida per sostenere la riunione dei 9 paesi, ma non ho neanche precisato una proposta di compromesso, come quella che già avevo prospettato, a titolo di assaggio, a Posse e Marinkovitch. Ho preso impegno col sig. Tardieu di riferire a V. E. il colloquio che egli mi aveva concesso; ed· in seguito a suo formale invito di ritrovarlo a Ginevra od a Parigi, ho escluso

la possibilità di ritornare a Ginevra per incontrarlo ma ho aggiunto che se fosse stato necessario e qualora ~ne avessi ricevuto ordine da V. E. mi sarei recato a Parigi, a meno che il mio Ministro non avesse preferito di fargli avere, per mezzo dell'Ambasciata francese, opportune comunicazioni.

CONCLUSIONE

Tenuto conto dei colloqui di Ginevra, credo di poter formulare le considerazioni seguenti:

0 ) che l'Italia non possa più -dopo J.'impegno assunto nel suo memorandum -prendere la iniziativa di nuove proposte (per es. deferimento della questione aH.'unione europea) tendenti a sostituirsi alla riunione dei cinque paesi danubiani, avente lo scopo di esaminare -io direi -• in tutta libertà e senza preconcetti di orientamento la loro situazione economica in vista di un riassetto finanziario •;

2°) che non convenga all'Italia resistere su di una posizione procedurale intransigente tendente ad opporsi puramente e semplicemente alla riunione a cinque;

3°) che sia preferibile attenersi -in confronto di tutti, compresa la Gran Bretagna -al memorandum i,taliano, per trovarvi una soluzione di compromesso, che in esso è già delineata. E cioè: i 4 si r,iuniscono • da un lato • (e delibano il problema generale concludendo sulla necessità di un iillvito ai 5); essi convocano una riunione dei 9 (4 più 5) che deve fissare i punti principali de'l lavoro da compiere, assegnando ai 5, • dall'aUro lato •, i compiti precisi della consultazione coll'incarico di ri:lierirne al resto della commissione. Durante questa indagine dovranno i 5 paesi mantenersi in continuo contartto con quelli dei membri della commissione, della cui colilaborazione · si senta il bisogno;

4°) che nessun impegno sia preso con la Gran Bretagna e con la Germania per quanto si riferisce alla linea di condotta che l'Italia potrà assumere di fronte a nuove proposte, in Questa od ·in altra sede, concernenti la questione danubiana o il progetto Tardieu. Sembra opportuno che la nostra 'libertà d'azione resti piena ed assoluta;

5°) che, salvo ulteriori avvenimenti (domanda della Bulgaria, interessamento della Polonia) i Quali potrebbero arrecarci nuovi elementi per riesaminare la linea di condotta da seguire, sia necessario:

a) far avvertire il Sig. Tardieu che il Ministro ha preso nota dell~ conversazione che ha avuto luogo a Ginevra col Sig. De Michelis, e che si riserva di fargli sapere definitivamente il suo parere non appena si avrà conoscenza della risposta del:la quarta Potenza interpellata, cioè della Gran Bretagna;

b) prendere nota che nello svolgimento della questione sarebbe bene mettere avanti gli argomenti: • lavor.i pubblici • • Società di credito agrario ipotecario -credito agrario a breve termine •, i quali potrebbero servire utilmente per ampliare il dibatttto, complicare la faccenda, interessarvi l'c Unione europea. e per fare entrare nel gioco anche i Comitati all'uopo già costituiti. Sembra che dal punto di vista tattico Questi richiami possano servire utilmente.

(l) -Sic, ma la proposta inglese risaliva a due mesi prima; cfr. n. 179. (2) -Cfr. p. 441, nota l.

(3) Cfr. n. 273.

(4) Cfr. nn. 286 e 287.

(l) -A margine annotazione di Grandi: « Mascalzone e traditore! • (2) -Cfr. p. 441, nota 2.

(l) Cfr. p. 477, nota 2.

(l) Manca.

308

ROBERT DE CAIX AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MANDATI DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, THEODOLI

(Archivio Grandi, copia) (l)

. . . . . 19 marzo 1932 (2).

J'a1 tardé à répondre à votre lettre du 4 mars (3) parce que j'attendais que les événements vinssent donner une occasion nouvelle à l'intervention de nos deux personnalités. Ils ont en effet, depuis que vous ètes venu à Paris, beaucoup dépassé les limites de l'action que peut prétendre exercer un intermédiaire tel que moi. Nous avons maintenant ici un chef de Gouvernement qui est en communication divecte et active avec le Gouv•ernement itaUen en ce qui concerne ce qui doit faire l'objet mème d'une entente: l'accord des deux politiques dans les questions européennes qui intéressent les deux pays. Tout le reste ne peut ètre qu'un moyen de déblayer le terrain pour ce rappro.. chement essentiel.

Ne croyez pas d'ailleurs que je considère ce c reste • comme de peu de conséquence. L'•exemple des relations franco-britanniques a montré qu'une liquidation générale et définitive des différends coloniaux pouvait ètre un préliminaire nécessaire à l'établissement de poHtiques concertées devant des problèmes auxque·ls l'Angleterre et la France avaient à faire face.

Mais cette liquidation est intervenue dans une atmosphère d'entente qui lui a préexisté. Je contrnue d'ailleurs à m'employer pour la solution coloniale que nous avons considéré ensemble et vous pouvez ètre et vous montver assuré que la liberté d'action et les fac.ilités d'accès que vous désirez pour l'ltalie peuvent ètre retenues pour nous sans arrière pensée si e1les doivent servir à une entente réelle entre les deux pays.

Celà je puis vous l'affirmer parce Que je suis sur mon terrain, mais celuici est dominé par Ees questions qui, du còté français ont été directement prises en main par M. Tardieu.

J'aurais beaucoup de plaisir à m'entretenir avec vous aussi de ces questions et de la politique qu'y fait actuellement l'Italie; je me l'explique mal, mème en me plaçant sur votre versant des Alpes. Mais ayant été amené à donner à nos ,entretiens un objet qui dépasse le plaisir de m'instruire et de

discuter je dois rester sur le terrain colonia! qui <est le mien, c'est-à-dire le seui où je puisse me permettre des affirJUations et agir dans la limite modeste des mes moyens (1).

(l) -Cit. in PERFETTI, pp. 711-712. Altra copia è conservata in ASMAE. (2) -Ricevuta il 23 marzo. [Nota del documento]. (3) -Cfr. n. 268.
309

L'AMBASCIATORE DE MICHELIS AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (Archivio Grandi)

Roma, 21 marzo 1932.

Poiché sui giornali francesi e svizzeri sono state pubblicate parecchie notizie -alcune deUe quali perfettamente insulse -circa il mio colloquio col Sig. Tardieu (2), desidero, ad ogni buon fine, assicurare V. E. di quanto segue:

l) Non ho parlato con alcun giornallista, né con altri, di quanto facevo a Ginevra.

2) Ho detto. a chi me ne chiese, che ero sul posto per una riunione dell'Ufficio del Lavoro.

3) Allo stesso corrispondente della Stejani -che mi chiese informazioni a mezzo del Dr. Berio circa il comunicato dato a[ giornalisti dal servizio stampa della deil:egazione francese -feci rispondere che riferisse, se voleva, all'Ufficio Stampa di Palazzo Chigi lasciando che detto Ufficio provvedesse per il meglio ove lo ritenesse opportuno.

310

IL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GHIGI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. (P.R.) 2397!47. Roma, 22 marzo 1932, ore 23.

Trasmetto seguente telegramma di S. E. il Capo del Governo:

• Mi dia notizie sull'atteggiamento tenuto dal pubblico viennese prima durante e dopo l'ultima partita di calcio. Mussolini •.

Che egli avrebbe dovuto recarsi per qualche tempo a Londra per sue ragioni personali e che se il Signor de Caix lo avesse voluto vedere al suo passaggio per Parigi, all'andata o al ritorno, sarebbe stato lieto di incontrarsi con lui.

Che, personalmente, conveniva nel pensiero di de Caix e di Berthelot: essere l'esame degli affari coloniali pendenti punto di partenza per giungere all'esame complessivo di tutte le questioni interessanti i rapporti italo-francesi •.

Cfr. anche quanto comunicava Manzoni con r. 1809/1087 del 19 marzo: il ritiro dal potere di Briand nel gennaio 1932 e la sua morte, avvenuta il 7 marzo, • hanno (sia pure aiutati dagli eventi) ricevuto il significato che divenga ora possibile un chiarimento delle relazioni italo-francesi •.

Informola ad ogni buon fine che sono fin qui pervenuti e sono stati sottoposti a S. E. il Capo del Governo il suo telegramma 52 del 21 corrente nonché la Stefani di pari data.

(l) Cfr. il seguente appunto ministeriale (ASMAE): c Il marchese Theodoli ha risposto all'ultima lettera del Signor de Caix dicendo che era sempre disposto a continuare le conversazioni con lui, paiché queste non implicando alcuna responsabilità per i Governi, potevano essere utili a sgomberare il terreno.

(2) Cfr. n. 307.

311

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 1212/563. Weimar, 22 marzo 1932.

Alla colazione nel Castello di Weimar, offerta dal Governo della Turingia alle autorità e rappresentanze ufficiali intervenute alla cerimonia della ricorrenza centenaria della morte di Goethe, il Cancelliere del Reich era seduto fra me e l'Ambasciatore del Giappone, Signor Obata. Siccome questi è un silenzioso, il Dr. Briining ha conversato durante la colazione, non copiosa ma lentamente servita, quasi continuamente con me. Riassumo l'interessante conversazione, disturbata un po' dall'attenzione con la quale l'Ambasciatore di Francia, seduto a noi dirimpetto, seguiva o per lo meno cercava di seguirne lo svolgimento.

Il Dr. Briining ha J.'aspetto stanco e come mi diceva si c sente stanco sotto l'impressione di tante contrarietà e amarezze, quante ne ha sofferte durante le settimane scorse, non ultima tra le an::tli, H linguaggio della stampa italiana a riguardo del Presidente e del risuLtato delle elezioni presidenziali • (1). Interrompendolo, l'ho corretto, dicendo c di alcuni giornali -liberi di manifestare le loro prime impressioni, nelle quali V. E. avrà forse rilevato una legittima reazione della campagna per lunghi mesi condotta da certa stampa tedesca contro il Fascismo italiano e il suo Duce -la quale stampa per scopi interni, per sussidiare l'azione dell'Eiserne Front, aveva preso il Fascismo italiano come testa di moro per i loro [sic] colpi -e sul linguaggio detlla quale più volte io mi ero preso cura di richiamare l'attenzione del Ministero degli Esteri e quella personale di lui nei nostri coUoqui •. Egli ha convenuto Sl.\ quanto dicevo -e mi ha assicurato che oramai quella prima impressione era dimenticata ·e che spera di esser riuscito a far comprendere ai dirigenti del partito democratico socialista, non solo la sconvenienza di occuparsi in pubblico e con così poco tatto degli affari degli altri, ma anche che il fascismo è ben altra cosa del nazionalsocialismo .tedesco e che fra la persona del Duce e quella di Hitler la differenza è grandissima e sostanziale -• chi ha la fortuna, come la ho io, di conoscere personalmente il Duce, di aver parlato confidenzialmente con lui -.egli dicevami -è solo in grado di distinguere fra il g·enio e una imitazione esteriore del medesimo •.

• Primi commenti in alcuni giornali romani su risultato elezioni presidenziali, specialmente quelli Gayda, cui qui si annette speciale valore, hanno destato presso Hindenburg e Cancelliere penosa sorpresa.

Sono poi giunti resoconti commenti giornali Alta Italia e telegramma da Schubert a neutralizzare quelle impressioni. Schubert anzi ha telegrafato che nei circoli :;.olitici anche fascisti romani si è appreso con soddisfazione grande successo Hindenburg...

Per linguaggio di una parte della stampa italiana lo pregavo tener conto legittima reazione contro campagna antifascista in Germania che da qualche tempo bisogna riconoscere, grazie intervento Cancelliere, è andata diminuendo •.

Il Cancelliere poi manifestava la sua soddisfazione nel trovarsi nei grandi problemi internazionali sulla soia della politica del R. Governo. • E;viden1Jemente, egli aggiungeva, questo è più libero nei suoi mov;imenti e ha una facoltà di parola e d'azione più vasta di quella che ti:e circostanze e il passato recente acconsentono al Governo del Reich e a lui personalmente •. Apprezza grandemente iJ vantaggio, che viene alla Germania dal non essere isolata di fronte alla Francia nelle discussioni intorno ai grandi problemi internazionali ·e continentali. Egli spera che dall'elezione del Presidente Hindenburg e dallo svolgimento della situazione politico-parlamentare nella Prussia e nel Reich, aa posizione del Reich possa venir rafforzata -ne è tempo, egli aggiungeva, perché la Francia e i suoi accoliti (Polonia, Cecoslovacchia) sembrano non voler diminuire la loro pressione sul Governo del Reich. Rientrando a Berlino, egli mi chiamerà per espormi le sue idee direttive per la nuova piega che inevitabilmente andrà prendendo la politica interna della Prussia. Il partito democratico socialista nelle nuove elezioni perderà il 25% dei suoi voti -molti ne acquisteranno H partito nazionalsocialista e alcuni i tedesco-nazionali. Non in misura sufficiente però da costituire un Gov,erno fol'te esclusivamente di de-stra. Sebbene a lui consti che neJ.le elezioni presidenziali molti comunisti (là dove era possibile farlo pulitamente) abbiano ricevuto ordine -e l'abbiano eseguito -di votare per il candidato nazionalsocialista, crede che il giuoco sia per essere ripetuto nella Prussia -e che in ogni caso i comunisti siano disposti a appoggial'e nel Landtag prussiano un Governo di destra. Egli ritiene però che sia opportuno dare a Hitler e a Hugenberg la possibilità di assumere la responsabilità del Governo; sarà hl mezzo migliore per disarmarli, quello di porli a contatto della realtà e delle necessità statali -un tentativo di: Governo di destra sarà ora possibile perché all'estero sono andati svanendo da una parte i timori, dall'altra le illusioni che si erano venute accentrando sul nome di Hitler.

La preoccupazione massima giornaliera per lui (continuava) è quella éhe deriva dalla situazione finanziaria economica del pa·ese -preoccupazione tanto più grave perché egli solo ne conosce ltutti i particolari, mentre amor di patria e necessità di tattica gl'impediscono di far trapelare nel pubblico Ja triste realtà. Il paese è oramai dissanguato e le casse dello Stato smunte -giorno per giorno il Ministro deUe Finanze e il Presidente della Reichsbank si danno la massima pena per trovare i fondi onde far fronte al pagamento degli interessi dei debiti privati e dello Stato all'estero -e evitare una dichiarazione di moratoria. Il non aver affrontato a gennaio il problema delle riparazioni rinviandolo a giugno, fa sì che il Governo del Reich non può nella'

l

migliore delle ipotesi sperare che l'inverno venturo sia per la Germania migliore di quello passato. Egli ha esposto francamente e con prove a Sir Leith Ross la situazione finanziaria della Germania, la quale non è assolutamente in grado nel '83 di pagare due miliardi per servizio d'interessi di debiti privati e due miliardi e mezzo per riparazioni; nel '34 poi le cifre dei debiti ammonterebbero a tale somma che alcun uomo politico, responsabile in Germania, non può sentire nemmeno pronunziare.

Si aggiunga (egli continuava) che il Reich lotta giorno per giorno contro l'opera costante di accaparramento che alla chetichella la Francia fa dei

titoli delle migUori e più gelose industrie della Germania. In Francia le industrie tessili sono in sofferenza -ma gl'industriali francesi trovano denari per comprare le azioni delle più rinomate fabbriche nella Sassonia, nella Westfalia. Lo stesso segue per l'industria della cristalleria. La Saint Gobain oramai domina direttamente le società similari tedesche. Se il Reich ha dovuto decidersi a dar crediti ane grandi linee di navigazione germaniche, è per liberarle dal pericolo di veder le loro azioni cadere nelle mani dei capitalisti francesi. Lo stesso pericolo è ora imminente per la grande industria siderurgica contro la quale stanno in agguato la Skoda e Creuzot. In questi giorni il Reich sta trattando con quegli industriaLi specialmente renani, per un credito di 150 milioni di marchi, onde salvarli dalle mani rapaci francesi. Ora tutto ciò rappresenta per la Germania uno stato di cose che non può, più a lungo, prolungarsi. Questo è un pericolo anche per l'Ltalia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti, sui quali un'assoluta egemonia industriale francese nel continente finirebbe per riuscire incomoda e dannosa quanto quella militare. È in considerazione di ciò che il Cancelliere ritiene giunto il momento d'informare confidenzialmente i Governi di quei tre paesi del procedeve dell'azione di accaparramento industriale in Germania da parte della Francia. Ha dato istruzioni alle competenti autorità tecniche di preparare su questa attività un memorandum, che sarà rimesso a V. E. con la preghiera di esaminarlo attentamente e di sottoporlo anche a S. E. il Capo del Governo.

A questo punto la conversazione è stata interrotta dal levar delle mense.

Nella serata egli è partito per Badenweiler, ove intende darsi una settimana di riposo -poi farà un giro di propaganda elettorale a favore del Maresciallo, parlando specialmente nei centri rHenuti roccaforte dei nazdonali socialisti. Sarà di ritorno a Berlino verso il 6 di aprile.

È stato detto che nella persona di Brilning si ritrova l'ex ufficiale combattente e il gesuita. Come tutti i giudizi dati da un • bello spirito • apparentemente ha del vero -in sostanza però l'ex combattente supera di gran lunga il gesuita. Brtining ha un profondo amore per il proprio paese -le piaghe di questo sono piaghe per il suo cuore -niente desidera più ardentemente della rinascita, di un risanamento della Germania nazionale. Ha sperato, finora, di arrivarvi per la via di un'intesa con la Francia -lo ha tentato, anche per guadagnar ,tempo e ridar al paese forza -ma orama,i si trova di fronte allo svanire delle speranze 'e a un bivio decisivo.

(l) Cfr. a questo proposito il t. 1121/205, Berlino 16 marzo 1932, ore 19,32, per. ore 21,35, col quale Orsini Baroni riferiva su un colloquio con Kopke:

312

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

T. POSTA 1783/406. Belgrado, 22 marzo 1932.

Ho avuto in questi giorni lunghe conversazioni con uomini politici jugoslavi e con personalità di questo mondo bancar,io. Elenco le aUermazioni che meritano, sembrami, un momento di attenzione da [parte nostra] anche se

in sostanza esse non siano in parte che ripetizione di constatazioni ed informazioni che ho avuto occasione di <inviare già a V. E. trattando i due argomenti indicati nell'oggetto del presente rapporto (1).

I) Nessuno crede seriamente alla possib1lità pratica del progetto Tardieu. La crisi mondiale attuale si basa su tante diverse ragioni, e consta di realtà così spesso ,contraddicenti, che un unico criterio non può essere [a panacea di un male gravissimo, complesso e sempre più preoccupante.

Perciò i principi enuneriati nel memorandum italiano (2) appaiono i più pratici ed i più realistioi, e la Jugoslavia, se non fosse vincolata dai rapporti di alleanza con la Francia, non tarderebbe un istante a farli pubblicamente suoi.

II) Il progetto Tardieu è specia,lmente inspirato dall'alta finanza francese preoccupata di perder,e ,i crediti investiti nell'Europa danubiana.

La Jugoslavia adesso si trova in questi giorni in serio imbarazzo per acquistare le divise estere che le occorrono per le prossime scadenze dei prestiti. Perciò le rest:dzioni all'acquisto di divise anche in confronto del commercio di importazione dall'Italia che le è pure così indispensabile per la sua vita economica. Ma si tratta nei prossimi giorni di pagare circa... [par. m.] milioni di dinal1i. Ancora breve periodo ma pieno di... [par. m.].

Se la situazione presente perduri e peggio ancora se si aggrav,i, la Jugoslavia po,trebbe trovarsi alla prossima scadenza in serie difficoltà per far fronte ai suoi impegni verso i portatori. Né il ricorrere a nuovi anticipi pare soluzione consigliabile, come fatto nell'ultima occasione quando esisteva ancora un barlume di speranza di ottenere il pagamento delle riparazioni tedesche. Anche questi anticipi occorre poi restituire e maggiorati della quota di interessi. Ciò finisce col produrre un accavallarsi d'impegni ed un intrigo tale di rappol'ti economico-finanziari dal quale non è poi più possibi1e uscire se non a prezzo di catastrofi.

Taluno pensa che qui se il primo passo per avviarsi ad una sana· economia mondiale è la realizzazione piena del programma di S. E. Mussolini quanto alla connessione debiti-riparazioni ed alla politica del colpo di spugna, il secondo passo è per una parziale o totale remissione dei vari prestiti internazionali del dopoguerra, o quanto meno la riduzione del tasso di interesse e di sconto. Analogamente si pensa per i debiti interni.

III) La Jugoslavia non ha alcun interesse economico concreto e comune con gli Stati danubiani, ma od è con essi in concorrenza, od ha produzioni vere e proprie e problemi propri che domandano soluzione differente da quella che è necessaria per gli altri Stati danubiani. Soltanto con la Romania vi è una similarità di condizioni che può consigliare qualche soluzione comune. Tanto per la Romania come per la Jugoslavia i soli mercati importanti di vendita sono la Germania e l'Italia e la loro crisi che è di superproduzione non si rimedia che trovando buoni clienti. È con questi che occorre anzitutto un accordo. La Bulgaria è soltanto in ·parte in condizioni analoghe, ma ha una

sua produzione peculiare: il tabacco, che non entra in concorrenza seria con gli altri due Stati balcanici. Tuttavia anche con questa è più facile un'intesa che non con gli altri Stati (messa da parte la difficoltà politica).

La Polonia è lontana e, salvo legami ideali panslavi, non ha nulla di comune con la Jugoslavia.

IV) La Jugoslavia ha già concluso accordi a base preferenziale con l'Austria e la Cecoslovacchia. Ma essi giocano solo per una percentuale minima sul mercato jugoslavo, non vi arrecano quindi alcun beneficio sensibile. In più la Cecoslovacchia non potrà che valersene esclusivamente a proprio vantaggio, sfruttando ,la Jugoslavia specialmente per le fornitur,e militari.

V) Il primo mercato cui la Jugoslavia pensa per ovvie ragioni di fatto che è superfluo ripetere, è l'italiano. Da un avvicinamento economico che cerchi vie nuove e formule nuove e che unisca completamente le due economie, la Jugoslavia si attenderebbe un sollievo immenso alle sue attuali condizioni, sperandone anche un miglioramento dei rapporti politici. Essa è convinta anche del beneficio che verrebbe all'Italia la cui produzione industriale avrebbe assicurato un mercato esclusivo di 14 milioni di uomini.

La via nuova è il regime preferenziale il quale, secondo i miei interlocutori, non impedirebbe che l'Italia alzi le sue tariffe doganali quanto le occorra per la protezione ad esempio del suo patrimonio zootecnico, difendendo i propri prezzi interni. Un determinato importo degli incassi doganali (si fa la cifra di 300 milioni di dinari corrispondente approssimativamente ad un miliardo di dinari di merci, prodotti ecc.) sarebbe lasciato in qualche forma libero per ridarlo sotto forma di sovvenzione, credito, prestito agli esportatori, darebbe la possibilità di avviare ,in Jugoslavia un contingente tale di prodotti industriali (automobili, prodotti chimici, macchine elettriche ecc.) da vedere 1e sue industrie in grande incremento. Reciprocamente per i prodotti agricoli jugoslavi destinati all'Italia.

Lo stesso ragionamento mi è ripetuto per ila Romania.

I modi per sfuggire ai reclami degli Stati che hanno con l'Italia e la Jugoslavia regime contrattuale, basato sulla clausola deltLa nazione più favorita, potrebbero essere diversi: speciali benefici per le merci transitanti attraverso il bacino Thaon di Rev,el, refazie agli esportatori, sovvenzioni ai trust di produzione ecc. Non mancherebbe la possibilità di escogitarne anche altri.

VI) Si ritiene qui che per la Jugoslavia lo stabilimento di un tale accordo economico sarebbe preferibile sia per i tradizionali ottimi rapporti esistenti fra i due mercati e la correttezza provata del commercio italiano, sia per la natura stessa delle cose che li ha creati ad integrazione l'uno dell'altro.

Si stima pure che a questi accordi potrebbero poi accedere Austria e

Ungheria per la parte loro possibile. Con ciò vervebbe posto un ostacolo alla

minaccia dell'Anschluss e la Francia non sarebbe contraria a una simile com

binazione.

VII) Ma se ad onta di ogni sua buona volontà la Jugoslavia non potesse intendersi con l'Italia, allora non nutrendo aO:cuna fiducia nei progetti fran

cesi, dai quali essa non si attende alcun beneficio ·eèonomico concreto, ma anzi dei danni politici, essa dovrebbe finire con l'accordarsi con la Germania che fa costanti offerte in tal senso e che è pronta a concludere accordi preferenziali su larghissima base.

N. B. -Questi sono enunciati o deduzioni da colloqui con persone autorevoli ma non aventi carattere uf:tliciale. Per il pensiero del Governo si attendono ile dichiarazioni che Marinkovich farà domani (v. telespresso 14 corr.

n. 347) (1).

(l) Il doc. fu inviato per conoscenza anche all'Ufficio di politica economica.

(l) -Unione danubiana e rapporti commerciali italo-jugoslavi. (2) -Cfr. n. 273.
313

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

T. 417/89. Roma, 23 marzo 1932, ore 2.

Suoi tel,egrammi 165 e seguenti.

V. E. può dire a Simon che tio condivido il suo parere circa la competenza generale della Commissione europea nei riguardi del problema economico danubiano. Ma considerando come lui e come Tardieu che convenga agire in modo efficace e pronto per venire in soccorso ai paesi maggiormente· colpiti, ritengo utile di procedere ad una riunione preliminare a noV1e fra i più diretti interessati. La situazione e l'opinione del R. GoV"erno sono chiaramente espresse nella nostra risposta al Memorandum Tardieu. L'Italia vuole portare tutto il suo più volenteroso contributo al ri.sanamento dei paesi danubiani.

• Con i tre rapporti inviati a V.E. sulla discussione alla Scupcina, su quella al Senato e sul grave malcontento politico diffuso in tutto il paese ed esteso ad ogni classe, mentre le difficoltà economico finanziarie si aggravano quotidianamente, l'E. V. ha un quadro completo della situazione interna del presente momento in Jugoslavia.

Confermo ancora meglio e più chiaramente le conclusioni cui sono venuto nel mio rapporto del 22 c.m.

I problemi fondamentali che assillano questo stato dalla sua formazione e che sono unificazione ed assicurazione dei vari elementi che lo compongono, accordo fra le due maggiori schiatte la croata e la serba, ricerca di una sicura e tranquilla base economica non furono risolti dal regime parlamentare che si chiuse col colpo di stato del 6 gennaio 1929. Era anzi legittimo credere allora che la coesione delle varie parti della Jugoslavia sarebbe potuta venire prima o poi a mancare. Nemmeno il regime dittatoriale ha risolto i problemi anzidetti, pur avendo dedicato tutte le sue forze alla propaganda del sentimento jugoslavo, e tentato allontanare o sopprimere qualsiasi manifestazione regionale o di partito non unitaria, ma certo impedisce il disgregarsi politico della Jugoslavia. Le forze che tendevano fino al 6 gennaio 1929 alla separazione tendono adesso ad abbattere la dittatura. Esse riprenderebbero l'opera disgregatrice se potessero nuovamente trovarsi al governo. La dittatura è quindi il solo mezzo possibile per cementare il paese, e non è davvero Re Alessandro che cederà a quel mormorio minacciosamente sordo che certo non gli è ignoto. Né le forze anzidette hanno concreta possibilità di opporsi alla volontà sovrana, fuori di un imprevisto oscuro che e~ca dalla congiura. Se ripeto ad ogni occasione tale eventualità tragica, è perché se serbo è il Re ed ha quindi tutto il carattere tenace e volontario della sua razza, serbi sono anche i suoi più ostinati avversari,·ed il passato dice anche troppo di che i serbi siano stati capaci contro i propri sovrani come contro gli stranieri. Fuor di questo o di una catastrofica crisi econo

V. E. conosce d'altronde le buone ragioni per cui non riteniamo opportuno di lasciare glii Stati danubiani ricercare unicamente tra di loro la soluzione delle loro difficoltà tanto più che tutti sono d'accordo che tale riunione dimostrerebbe l'impotenza ·a risolvere il problema da parte dei cinque Stati in questione. Si tra,tterebbe dunque .soltanto di costituire un nuovo organismo tra i tanti che potrebbe rendere più imbrogliata la situazione specialmente se assumesse la naturale tendenza di ogni Commissione alla sua ·stabilità e non potrebbe quindi a meno di susci·tare legittime pl"eoccupazioni di carattere politico.

Se si considera infatti la situazione 1'\ispettiva dei Paesi danubiani, e· la debolezza dell'Austria e dell'Ungheria nei riguardi degli Stati deilla Piccola Intesa e la costante azione francese diretta a costituire un aggruppamento danubiano nell'ambito della sua influenza, 1'\iesce molto difficile sostenere che una simile Commissione sarebbe estranea ad ogni fine politico. Una procedura a ciò diretta desterebbe quindi apprensioni in Italia •e fuori d'Italia, né può pertanto -ailrlo stato delle cose -·essere considerata con favore dal R. Governo.

Noi dunque dobbiamo insistere in modo preciso ed assoluto perché in un primo tempo il problema nelle sue linee generali venga impostato in una riunione a noV1e con l'inte1wento degli Stati danubiani insieme e sullo stesso piede con le quattro Grandi Potenze. Ma non saremmo alieni tuttavia dal considerare eventualmente l'opportunità che nel seno delila Conferenza dei nove Stati si costttuissero speciali sotto-Comitati nei quali gli Stati danubiani potessero procedere all'esame più approfondito di particolari questioni, anche considerando la possibilità di una collaborazione di quegli altri Memb:d della Conferenza [a cui partecipazione fosse a volta a volta ritenuta conveniente. La Commissione plenaria •esaminerà poi quei suggerimenti e quelle proposte che le saranno presentate ma per la cui adozione definitiva si dovrà pur sempre ri:llerire alla Commissione europea.

Mi sembra in questo modo di interpretare proprio il pensiero di Simon, pur tenendo conto delle nostre preoccupazioni circa il metodo di lavoro e di andare anche incontro alle proposte francesi.

Credo infine che data la perplessità del Governo britannico nei riguardi de1l regime preferenzia[e, nella quale si trova anche l'Italia, sarebbe di comune interesse che le riunioni anzidette non fossero legate da principi o tendenze aprioristicamente stabilite, ma fossero invece chiamate ad esaminare le questioni con la più assoluta libertà di giudizio. A questo proposito sarà opportuno che durante i lavori siano tenute presenti le iniziative già portate a buon punto dalla Commissione Europea circa i lavori pubblici ed il credito ipotecario agricolo.

mica, non si può pensare che al durare del presente regime, che continuerà con trasformazioni

progressive e vari adattamenti fino a quando il Re lo creda, e che con tutte le sue oscurità

offrirà sempre una più facile presa per ogni possibile trattativa.

Avvertendomi che se avessi detto essere stato lui a pronunciare siffatte parole egli mi

avrebbe pubblicamente smentito, ieri l'altro Marinkovich cosi si esprimeva con me: "In fondo

non vi sono ancora ' jugoslavi '. Vi sono serbi, croati e sloveni. E croati e sloveni non ci

amano, anzi ci disprezzano. Ma era fatalità storica giungere alla formazione della Jugoslavia,

è una necessità Politica e storica mantenerla. Sappiamo di essere in grado e di avere tutta

la forza per farlo, e non vi è nessuno che possa domani impedirci di continuare il cammino

che abbiamo intrapreso " •·

(l) Questo doc. non. si pubblica. Ma cfr. la conclusione del t. posta 1864/434, del 25 marzo, nella quale Galli scriveva:

314

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1819/58. Vienna, 23 marzo 1932, ore 17,32 (per. ore 20,15).

Col mio telespresso n. 660 incrociatosi con il telegramma di V. E. n. 47 (1), ho già riferito sull'incidente e sui commenti.

Quando la squadra italiana ha salutato prima di iniziare la partita, si sono uditi alcuni fischi. Nel corso dell'incontro il pubblico è stato corretto, pur parteggiando per i suoi giuocatori. Allorché poi, finita la partita, i nostri hanno di nuovo salutato, si sono ripetuti i fischi più numerosi e lunghi.

Hanno esagerato così i giornali borghesi, asserendo trattarsi di pochi isolati, come i giornali socialisti, affermando avere partecipato tutto lo stadio alla dimostrazione. Questa si è limitata ad alcuni settori popolari che costituivano bensì una minoranza, ma piuttosto considerevole.

U Presidente della Repubblica, nel farmi esprimere il suo rincrescimento per l'accaduto, mi ha fatto anche notare che, da quanto gli avevano riferito gli stessi suoi figli, i quali av,evano assistito alla partita, la grande maggioranza del pubblico non aveva partecipato alla scortese e deplorevole dimostrazione socialista.

La reazione per accaduto è stata, però, generale, come è provato dagli articoli dei giornali e dalle dimostrazioni di simpatia fatte poi ai nostri giuocatori nei pubblici ritrovi. Da tutte le persone degli ambienti più diversi che mi hanno parlato dell'incontro, ho udito spontaneamente lodare la correttezza della nostra squadra e biasimare le manifestazioni nello stadio, attribuite da tutti agli eccitamenti della stampa socialista.

315

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, BEAUMARCHAIS

(Archivio Grandi)

[Roma], 23 marzo 1932.

Beaumarchais parte per Parigi venerdì. Vedrà Tardieu. Viene per domandarmi se può dire a Tardieu nulla da parte mia, specie per quanto riguarda la questione danubiana. Mi dice che De Michelis è atteso a Parigi per continuare le conversazioni promesse co:n Tard~eu (2).

Grandi -Rispondo dicendogll'i che De Michelis non è in grado di assentarsi, che l'Ambasciatore Manzoni avrà delle istruzioni, e che forse il Mini

stro Ciancarelli si recherà a Parigi per assistere l'Ambasciatove Manzoni nelle sue conversazioni con Tardieu. Gli illustro per sommi capi le istruzioni che saranno date a Manzoni, sulle >linee del telegramma ,inviato ieri a Londra per Simon (1), insistendo specialmente sui seguent,i punti:

l) Il memorandum italiano (2) non è in contrasto col Piano Tardieu, anzi contiene la dichiarazione esplicita che è intenzione del Governo italiano di lavorare in armonia col Governo francese, nelle questioni economiche della regione danubiana.

2) Ricordo a Beaumarchais che sino dal primo colloquio con Tardieu (lunedì 29 febbraio) (3) gli ho fatto presente l'impossibilità per l'Italia di sospendeve i suoi attuali negoziati con Vienna e Budapest per lo sviluppo degli accordi Brocchi, che erano già stati firmati prima dell'iniziativa Tardieu. L'origine di questi. accordi speciali è anti-tedesca. Essa infatti data dal tempo della malaugurata Zollunion. Si trattava allora, come si tratta oggi, di scoraggiare Austria e Ungheria dal gettarsi in braccio alla Germania, facilitando Je esportazioni di questi paesi in Italia.

3) Che la Francia ha invitato la Germania a partecipare sul piano delle altre tre grandi Potenze.

4) Che le reazioni suscitate in Francia, in Cevoslovacchia, a Ginevra dal memorandum ,italiano hanno confermato il sospetto che la Francia e la Piccola Intesa perseguano nuovamente il vecchio piano di Confederazione danubiana. Essere perciò necessario se il Governo francese desidera assicurarsi il concorso dell'Italia, eliminare tutti gli elementi di procedura che possano confermare questa impressione. Il Governo italiano non può assolutamente partecipal'e sic et simpliciter all'invito delle cinque Potenze danubiane di intendersi tra loro (Confederazione danubiana). Il Govel'no italiano propone una via di mezzo ecc. che dovrebbe essere accettabile al signor Tardieu.

Beaumarchais -Mi domanda se posso dirgli nulla sul movimento di simpatia, • esplosione di simpatia • della stampa italiana per Hitler, e come egli può spiegarla a Parigi.

Grandi -Gli ricordo l'antifascismo della social-democrazia tedesca, le simpatie di Hitler per il Fascismo, le dichiarazioni di Hitler sull'Alto Adige. Le simpatie del Fascismo italiano per Hitler sono sullo stesso piano delle simpatie della democrazia francese per Stresemann che con Locarno aveva dichiarato di rinunciare all'Alsazia e Lorena. Non è quindi da meravigliarsi se il Fascismo, come regime, simpatizza per Hitler. Ma non bisogna trarre da questo atteggiamento interno di Partito delle illazioni su quella che può essere l'azione internazionale dell'Italia, la quale rimane quella che è e che tutti conoscono dalle dichiarazioni del Capo del Governo e del Ministro degli Esteri.

Beaumarchais -E potete dirmi nul!la dei rapporti italo-francesi in generale? Certo un accordo sulla questione danubiana potrebbe essere un ottimo principio.

Grandi -Principio assai mod·esto, che risolve poco. Io vorrei poter fare molto di più. Non vi nascondo che l'atteggiamento delle correnti dei partiti di sinistra francesi in senso favorevole ad un accordo coll'Italia mi ha fatto rinascere le speranze. Il mio amico Theodoli mi ha parlato delle sue conversazioni con Berthelot e de Caix (1). È molto interessante quello che mi ha riferito, e mi auguro che tutto ciò non rimanga allo stesso punto.

Beaumarchais -Vi dirò che ho proprio r.icevuto oggi una J:ettera di De Caix per Theodoli (2). De Caix mi informa che Tardieu e voi siete rimasti d'accordo a Ginevra di trattare direttamente il problema togliendolo dalle mani ufficiose degli esperti.

Grandi -Io sono sempre lieto di trattare con Tardieu, ma debbo dire che non sempre due Ministri degli Esteri possono dirsi quello che due esperti

o due persone amiche che trattano ufficiosamente possono dirsi, molto più apertamente e francamente. lo non sono d'avviso che questi contatti a latere siano interrotti. Al contrario bisogna incoraggiarli. Tardieu, io, voi o Manzoni siamo tutti delle persone troppo ·importanti e quindi necessariamente troppo prudenti.

Beaumarchais -Theodoli è uomo di vostra fiducia?

Grandi -Sì, e De· Michelis anche. Però non escludo si possano trovare anche persone più adatte. Per ora va bene Theodoli, poi vedremo (3).

(l) -Cfr. n. 310. (2) -Cfr. n. 307, p. 507. (l) -Per le istruzioni a Manzoni cfr. n. 316; per il tel. a Londra cfr. n. 313. (2) -Cfr. n. 273. (3) -Cfr. n. 254.
316

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

T. PER CORRIERE 425. Roma, 23 marzo 1932, ore 20,30.

Prego V. E. vedere personalmente il Signor Tardieu e dirgli che sono stato dolente di non aver potuto incontra!'lo a Ginevra per ragioni indipendenti dalla mia volontà. In attesa di riprendere personali contatti condividendo da parte mia appieno il pensiero del Signor Tardieu che convenga agire in modo efficace e pronto per venire in soccorso ai paesi danubiani, desidero dargH subito delucidazioni circa il pensiero del Governo italiano in proposito, allo scopo di trovare al più presto un terreno d'intesa che permetta di iniziare

senza ritardo il lavoro che incombe a noi tutti ed al quale l'Italia intende

portare il suo più volenteroso contributo.

Lo stesso Tardieu riconosce in sostanza che non è possibile lasdare gli

Stati danubiani ricercare unicamente fra di loro Ja soluzione delLe proprie

difficoltà, giacché propone nel suo memorandum che le proposte alle quaJ.i essi

eventualmente addhnenissero dovrebbero essere portate all'esame delle quattro

grandi Potenze. La r.iunione dei cinque Stati rischierebbe perciò di dimostrare

la loro impotenza a risolvere da soli il problema, ma non ostante questo pro

babile risuiltato negativo, si verrebbe a costituire un nuovo organismo fra i

tanti che potrebbe rendere più imbrogliata la situazione, specialmente se assu

messe la tendenza di ogni commissione alla sua stabilità, ciò che d'altra parte

non mancherebbe di suscitare legittime preoccupazioni politiche e non nella

sola Italia.

Le reazioni suscita•te in Francia, in OecQslovacchia, a Ginevra, dal memo

randum italiano, non hanno d'altronde che confermata ila preoccupazione che

Francia e Piccola Intesa perseguano nuovamente il vecchio piano di Confe

derazione danubiana. V. E. vorrà dunque insisteve sulla necessità -se il Go

verno francese desidera assicurarsi il concorso dell'Italia -che siano eliminati

quegli elementi di procedura che possono confermare queste preoccupazioni.

Per quanto dunque riguarda la procedura, noi dobbiamo insistere perché

in un primo tempo il problema nelle sue .linee generali venga impostato in una

riunione a nove con l'intervento degli Stati danubiani insieme alle quattro

grandi Potenze. Tuttavia per andare incontro aLle proposte francesi e dimo

strare il nostro vivo desiderio di giungere rapidamente a risultati pratici, non

saremmo alieni dal considerare eventualmente l'oppovtunità che nel seno della

Conferenza dei nove Stati si costituissero speciaiH sottocomitati nei quali gli

Stati danubiani potessero procedere all'esame più approfondito di particolari

questioni, anche considerando la collaborazione di quegli altri membri della

Conferenza, la cui partecipazione fosse volta a volta ritenuta conveniente.

La Commissione plenaria esaminerà poi quei suggerimenti e quelle proposte

che le saranno presentate salvo eventualmente sottopovle alla Commissione

europea per la loro adozione definitiva.

Mi sembra che in questo modo si potrebbe stabilire una procedura destinata a conciliare i diversi punti di vista e ad eliminare legittime preoccupazioni non soltanto nostre ma anche di altri Stati europei non danubiani, come ad esempio la Polonia.

Quanto poi agli argomenti sostanziali, spero che il Signor Tardieu si sia reso conto che l'Italia non poteva fare a meno nella sua risposta di riaffermare, per una imprescindibile questione· di principio, la sua situazione affatto speciale (tanto dal punto di vista geografico che da Quello politico ed economico) di fronte agli Stati danubiani, ma che questa necessaria affermazione non è destinata a diminuire la sua volenterosa collaborazione al loro risanamento economico, anzi ne vuole accvescere la portata e l'importanza. Così pure se noi abbiamo dovuto menzionare nella nostra risposta gli accordi già esistenti fra noi e l'Austria e l'Ungheria ed anche il desiderio comune a noi ed a questi due paesi di darvi maggiore sviluppo, non l'abbiamo fatto per intralciare il

~avoro delle future riunioni, ma per segnar.e un passo già-compiuto verso gli scopi generali che queste debbono proporsi. Ed abbiamo anzi aggiunto che vedevamo benissimo in via di massima la possibilità di • armonizzare • i detti accordi con queUe altre intese che fosse possibile raggiungere nei futuri lavori proposti dal Signor Tardieu. Non vi sarebbe stata infatti ragione alcuna per cui noi avessimo dovuto abolire da noi stessi i proficui risultati raggiunti con l'Austria e con l'Ungheria, prima ancora di sapere quanto sarebbe stato possibile fare nelle nuove riunioni internaZJionali, e quando invece la logica dovrebbe portare a profittare di quanto di buono è già stato fatto.

So bene che i detti nostri accordi sono interpretati in alcuni ambienti francesi, specialmente ginevrini, come una facilitazione oflierta alla Germania di prendere un piede preponde·rante nell'economia degli Stati danubiani, ma ta]e interpretazione è totalmente errata, ché anzi, dal punto di vista politico, tali accordi -che furono appunto progettati al tempo della Zollunion e quali antidoto ad essa -hanno appunto lo scopo opposto, e sotto aue·sto aspetto costituiscono un reale punto di contatto fra gli interessi francesi e quelli italiani. Su questa materia anzi io desidero che H Signor Tardi•eu sia pienamente illuminato, eliminando preconcetti e malintesi, e perciò se V. E. lo giudicasse utile ed opportuno, avrei intenzione di incaricave il Ministro Ciancarelli (hl. quale conosce bene il carattere, il funzionamento e gli scopi dei cosi deth accordi Brocchi) di recarsi a Parigi per fornirLe ogni elemento necessario a chiarire le cose ed anche, se del caso, per assistere V. E. dal lato tecnico nell~ Sue conversazioni col Signor Tardieu ed eventualmente per avere contatti coi competenti Uffici del Quai d'Orsay. Prego anzi telegrafarmi se Ella ritiene conveniente la venuta di Ciancarelli, ed in quale preciso momento, se prima cioè od anche dopo che Ella abbia intrattenuto il Tardieu nel senso del presente telegramma.

(l) -Cfr. n. 222, allegato. (2) -Cfr. n. 308. (3) -Cfr. il t. 1224/147, Parigi 25 marzo 1932, ore 20,45, per. oer 22,45, col quale Manzoni comunicava: • Oggi occasione discussione bilancio Affari esteri al senato Tardieu ha auspicato riavvicinamento tra Francia e Italia riscuotendo applausi da tutta assemblea •.
317

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA

(Archivio Grandi, copia)

[L. 208986/126]. Roma, [241 marzo 1932.

Ti accludo un telespresso diretto, in data odierna, al Ministro di Soragna a Tirana. Dai fatti in esso indicati vedrai come le direttiv·e rinnovate nel gennaio scorso al Generale Pariani in occasione della sua ultima visita qui, sulla necessità di contenere le sue iniziative nella sfera della sua competenza e di coordinarle nel quadro di una larga e costante intesa con la R. !Jegazione, sono ancora, purtroppo, lontane da quella pratica attuazione sulla quale tanto si era insistito da parte nostra e sulla quale lo stesso Generale Pariani aveva pienamente convenuto.

Nel telespresso al Ministro di Soragna mi sono limitato a prender lo spunto dei miei rilievi dal funzionamento del servizio informazioni alla dipendenza dell'organizzazione militare, ma a te desidero segnalare qualche altro fatto che conferma gli inconvenienti di una situazione nella quale non prevalga la più completa unità d'indirizzo.

Ti prospetto senz'altro i fatti di cui si tratta.

Qualche settimana fa la R. Legazione a Tirana ebbe ad interessare, pel tramite di questo Ministero, la Banca Nazionale d'Albania di voler esaminare con spirito di particolare favore la domanda del Pl'e:lietto di Tirana di un prestito di fr. oro 6.000. Ma prima ancora che potesse esplicarsi l'interessamento di questo Ministero, la Banca d'Albania riceveva dal Generale P ariani un vincolo di Lit. 19.000 a garanzia del mutuante, sui fondi depositati presso la Banca stessa.

Un caso analogo si era già verificato qualche tempo prima nei riguardi del commerciante albanese Daraghiati, al quale il Generale Pariani faceva ottenel'e dalla stessa Banca e dietro un corrispettivo deposito di garanzia, lo sconto di un effetto di franchi oro 40.000 pari a circa Ut. 160.000. Alla scadenza dell'effetto, il Daraghiati -come si sapeva -non faceva onore ad esso, e la Banca si rivaleva sul fondo Pariani.

Se mi permetto di richiamare su questi fatti la tua attenzione, è perché non si tratta di semplici spese di rappresentanza o di agevolazioni non onerose, ma, data la loro destinazione ed entità, di vere e proprie spese politiche la cui convenienza e misura, ai fini e nelle visuali dell'azione politica, non possono che rientrare nell'eselusivo apprezzamento del rappresentante diplomatico, subordinatamente all'autorizzazione volta a volta predisposta da questo Ministero. Nel caso particolare del Daraghiati non intendo entral'e nel merito dell'opportunità o meno di un gesto di larghezza a favore di persona che figura sul nostro albo dei falliti; né al fatto che l'intervento di Pariani si sia manifestato dopo infruttuosi tentativi di agevolazioni da parte di questo Ministero, il quale è rimasto dunque esautorato.

Ciò che a me interessa, oltre alla questione di principio ed a quella, non trascurabile, del buon impiego del denaro dello Stato, è di riferire al tuo apprezzamento le conseguenze che derivano dallo stabilire, in concorrenza con il rappvesentante diplomatico, una più facile fonte di elargizione, cr,eando odiosi confronti tra la larghezza e il criterio delle liberalità dell'uno e quelle dell'altro, correndo il rischio di dare due volte alla stessa persona, incoraggiando postulanti e ricattatori e comunque frustrando le finalità politiche e le inderogabili garanzie di controllo di tali disponibilità.

Mi limito a segnalarti i fatti in parola perché voglia tu stesso giudicare come meglio disporre in omaggio aUe direttive sopraccennate. Ti prego scusarmi se torno ad insistere su questa materia, ma ben so quanto il mio interessamento trovi riscontro nel tuo per una sempre più proficua politica in Albania. D'altra parte, 'la stima altissima che ho della persona del Generale Pariani, mi permette di additarti lealmente questi casi, senza che possa per nulla risultarne una menomazione dell'opera che egli compie con tanta passione nel campo strettamente militare.

ALLEGATO.

GRANDI A SORAGNA (Copia)

Dal Suo telespresso surriferito e dai precedenti sulla falsificazione di lek albanesi e di valuta italiana rilevo: che le indagini per la ricerca dei falsari sono state iniziate e condotte a termine dal servizio informazioni alla dipendenza del Gen. Pariani; che i risultati ne sono stati comunicati a codeste autorità di polizia senza che codesta Legazione ne fosse stata previamente informata; che l'avv,enimento ha avuto nel paese una ripercussione incresciosa, come rilevo dagli articoli di codesta stampa, e un certo allarme sulle proporzioni assunte dall'attività dei falsari, con quel danno del prestigio e dell'influenza italiana che è facile comprendere.

Ora non v'è dubbio che le conseguenze scandalistiche dal fatto avrebbero potuto, in tutto o in parte, essere evitate, se, trattandosi di materia che rientra tra le prime ed essenziali attribuzioni del rappresentante diplomatico, al quale solo spetta intrattenere il Governo presso cui è accreditato su tutto ciò che riguarda l'attività dei connazionali all'estero, fosse stata rimessa a codesta Legazione la direttiva delle indagini, non appena queste avessero comprovato i primi sospetti sul fatto e sopratutto se codesta Legazione avesse avuto tempo e modo di deliberare sulle misure da prendere ed eventualmente di predisporre le intese per evitare la larga eco che se ne è avuta.

Quanto è avvenuto mi dà purtroppo ragione di ritenere che non ancora si sia proceduto a quella subordinazione di tutte le competenze alle direttive della

S. V. e a quella coordinazione di tutte le attività nostre costà sulle quali in più occasioni, e in particolar modo nella recente visita del Gen. Pariani, si ebbe ad insistere nella maniera più ferma e ad ottenere i più precisi affidamenti. È questo un caposaldo di così primaria importanza, non solo per imprescindibili ed evidenti motivi di principio che non soffrono discussioni né deroghe, ma per la pratica riuscita della nostra politica in un settore così delicato e di così vitale interesse per il paese, che il R. Governo aveva giusto motivo di ritenere che non fosse mestieri tornarvi ulteriormente ad insistere.

Prego pertanto la S. V. di voler rappresentare al Gen. Pariani le considerazioni che precedono e darmi assicurazione che egli ne ha pienamente inteso lo spirito (1).

Non mi soffermo sull'impressione che questa dichiarazione ha prodotto sui ministri albanesi, e sulle ripercussioni immediate e lontane a nostro riguardo, poiché essa starebbe a dimostrare un decisivo cambiamento della nostra politica in Albania. Ora non posso credere in un tale improvviso cambiamento, che sarebbe assolutamente contrario: ai nostri interessi militari, alle direttive avute dal Capo del Governo, e agli stessi accordi tra noi recentemente presi •.

(l) Gazzera rispose a Grandi con lettera 7971 del 7 aprile (copia in ASMAE): Pariani, convocato a Roma, aveva dichiarato a Gazzera • che in tutte le sue manifestazioni egli non ha mai avuto il minimo pensiero di far cosa in contrasto con il R. Ministro o che comunquevalesse a mettere in rilievo la sua opera rispetto a quella della R. Legazione... Ricorda all'uopoche nel passato vi era una sola parola d'ordine: rompere il fronte per penetrare, senza troppo badare alle competenze, pur di raggiungere lo scopo... Francamente non potrei rimproverarlo per questa sua attività che gli fa trovare dei buoni collaboratori albanesi... Il Ministro Soragna ha riferito al tenente colonnello Gabrielli che, in una riunione di ministri albanesi, alla quale aveva partecipato, aveva fatto queste esplicite dichiarazioni: " l'alleanza con l'Albania fu fatta dall'Italia con questi scopi: aver un popolo amico sull'altra sponda dell'Adriatico, provvedere ad alcune necessità militari. Il primo scopo permane in pieno; il secondo non è più di nostro interesse ".

318

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON SCHUBERT

Roma, 24 marzo 1932.

Von Schubert -Ha l'incarico di dichiararmi a nome del Cancelliere che il Governo tedesco non solo non vede nulla in contrario negli accordi Brocchi, ma che tanto a Vienna come a Budapest nulla sarà fatto che possa indebolirne la portata. Il Governo tedesco, pur essendo un po' sc.erttico sulla loro efficacia intrirueca, ha l'intenzione di collaborare con quello italiano sulla stessa strada degli accordi Brocchi.

Il Governo tedesco sarebbe altl'!esì grato di poter fare incontrare un esperto tedesco ed uno italiano onde discutere ampiamente H problema della collaborazione italo...tedesca nelle questioni economiche dell'Europa danubiana e propone Lugano come luogo di incontro. Von Schubert mi informa che da dichiarazioni fatte dal Ministro francese Flandin n piano su cui si svolge l'iniziativa francese nell'Europa danubiana è il seguente:

0 ) Accordi preferenziali fra i cinque Stati danubiani;

2°) Unione monetaria e doganale;

3°) Protettorato politico della Francia sull'Europa danubiana.

Von Schubert mi domanda se so nulla deH'atteggiamento britannico definitivo.

Grandi -Faccio ringraziare il CanceLliere per quanto mi fa dire sugli accordi Brocchi. Certo così come sono essi rappresentano una realizzazione modesta, ma il Governo italiano pensa di svilupparli in modo da poter effettivamente rappresentare la soluzione integrale del problema economico dell'Austria ed Ungheria.

Circa l'incontro degli esperti italiano e tedesco nessuna difficoltà. Darò domani una risposta definitiva.

Resta inteso che ·Ì Governi di Roma e di Berlino si terranno in istretto

contatto e collaboreranno insieme nei confronti del piano Tardieu, e precisa

mente nella tattica da seguirsi prima e durante le prossime conferenze. Più

difficile sarà mettersi di accordo sulla sostanza. Vale ad ogni modo la pena

di provare.

Accenno, per sommi capi, al punto di vista italiano contenuto nel tele

gramma diretto ieri a Londra e Parigi (l) (riunione a nove con eventuali sot

tocomitati), dicendo che questa è l'ultima concessione che l'Italia può fare.

L'Italia non si associerà mai ad una procedura tendente a creare una orga

nizzazione danubiana di cinque Stati al di fuori delle grandi Potenze.

Accenno all'utilità di incoraggiare il Governo inglese su questa strada ed a vincere le sue perplessità.

Lo informo della proposta britannica di una conferenza a quattro a Londra, e gli dico che ritengo che il Governo italiano accetterà la riunione a Londra, ma in questa riunione il Governo italiano insisterà per là conferenza a nove (1).

(l) In realtà telegrammi sono due. Cfr. nn. 313 e 316.

319

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1225/146. Parigi, 25 marzo 1932, ore 20,45 (per. ore 22,45).

Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 171 (2). Ho parlato a Tardieu nel senso del telegramma per corriere di V. E.

n. 425 {3).

Nostro suggerimento gli pare alquanto complicato e comportante, possibilità di pratiche decisioni (4). Egli è in giornaliero contatto con Londra per concretare una procedura che risponda a questa necessità. Non esclude che possa consistere nel p11evio accordo diretto tra 4 rappresentanti quattro grandi Potenze: prega tener,e notizia assolutamente segreta giacché qualsiasi menzione pubblica può farla naufragare.

Tra qualche giorno spera potermi comunicare qualche cosa di concreto. Intanto egli ringrazia molto V. E. della Sua comunicazione e conferma sua sensazione che nostri dUJe Governi finiranno per trovarsi d'accordo.

Segue rapporto.

320

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL CAPO UFFICIO STAMPA DEL CAPO DEL GOVERNO, POLVERELLI (ACS, Ministero Cultura popolare, busta 164, fase. 79 A)

N. 2162. Washington, 27 marzo 1932.

Ho l'onore di restituire la lettera che era acclusa alla pregiata nota

n. 760/17 in data 6 febbraio scorso. Rispondo solo ,in via preliminare perché mi propongo raccogliere elementi aggiornati quando mi recherò a New York.

Quanto è scritto nella acclusa lettera è esatto laddove si accenna al fatto che presentemente i tre giornali italiani di New York sono accaparrati dalla municipalità di New York e in senso largo politico dal partito democratico.

La partenza di Barzini da New York ha realmente prodotto una lacuna; nessun giornale italiano di parte repubblicana esiste ora a New York e non è nostro interesse che l'attività politica della massa itala-americana si immedesimi con uno solo dei partiti. Avevo un momento sperato che Barzini facesse qui ritorno per fondare un altro giornale al quale, soprattutto in questo periodo elettorale, sarebbe anche stato possibile ottenere mezzi finanziarii.

Quanto al Gr. Uff. Pope, trovo che la lettera del suo corrispondente è troppo severa. Il Pope ha effettivamente una influenza sulla massa itala-americana di New York. È vero che i giornali di Pope non assumono una attitudine fascista di battaglia (come Giovinezza e Il Grido della Stirpe), ma è anche nelle direttive di Roma, dopo lo scioglimento della Lega Fascista, e nell'interesse della nostra politica in questo paese, di evitare attitudini aggressive e intransigenti, causa le inevitabHi dannose reazioni che altrimentci. si provocherebbero. L'importante è di avere a nostra disposizione giornali che pubblichino tutte le notizie dall'Italia di intonazione fascista 'e che negli articoJ.i mettano in evidenza i magnifici risultati ottenuti dal Regime. A quanto mi risulta il Pope si è sempre mostrato de:lierente per l'autodtà consolare.

In Questi ultimi ~tempi vi è anche una polemica fra il Pope e l'avv. Macaluso dire,ttore di Giovinezza. Quest'ultimo non vi fa una gran buona figura. Riferisco con rapporto a parte.

Nel giudicare il Pope, come altri itala-americani che partecipano alle competizioni politiche di questo paese occorre tener presente che i politicanti ( • politicians •) americani sono tutti, o nella massima parte, di un livello morale piuttosto basso. La corruzione è all'ordine del giorno in quella classe. I • politicians • italo-americani valgono, sotto questo aspetto, né più né meno che i • politicians • di razza anglo-sassone o di altra razza. L'anno scorso fu scoperto, ,e pubblicato, che uno dei capi elettori tedeschi di New York era un antico tenitore di postriboli. Il • graft • cioè la corruzione negli uffici pubblici è la piaga generale di questo paese. • Politician • è generalmente un termine dispregiativo.

D'altra parte, riguardo i • politicians • itala-americani avviene che essi continuamente si scagliano accuse di corruzione fra loro a differenza di quanto avviene nelle altre comunità. Queste accuse hanno eco in Italia dove si è ignari della condiz,ione di cose qui esistente nel campo politico e si considerano molti cosidetti • leaders • itala-americani con repulsione e di:;prezzo.

Ora io mi domando (e questa domanda ho fatto in passato) perché dob

biamo noi autorità italiane voler introdurre negli Stati Uniti regole e con

suetudini di moralità politica e privata che gli americani stessi non si curano

o non sono in grado di ,introdurre nel loro paese?

Dopo tutto si tratta di cittadini americani. Quegli individui se non fossero cittadini americani non potrebbero prendere parte alle competizioni politiche negli Stati Uniti.

Ciò che a noi deve importare è di intensificare il meraviglioso risveglio, che è un fatto incontestabile, della coscienza italiana e fascista in questa massa di cittadini americani di origine italiana, di impedire che essa divenga facile preda della propaganda antifascista internazionale, e di ottenere al contrario

che essa costituisca nella opmwne pubblica americana un fattore efficiente di influenza a vantaggio del Regime· e degli interessi del Governo nazionale. (Ciò sia detto beninteso in via confidenziale).

Questa forza, di cui noi più o meno disponiamo, ci è invidiata da altre nazioni.

La politica cosiddetta • degli italo-americani • -è bene ripeterlo viene, attraverso ostacoli e difficoltà proseguita nella più perfetta lealtà verso le istituzioni e le autorità di questo paese. E di aver ciò ottenuto -sia detto senza falsa modestia -è mio vanto personale.

T·enendo presente questo quadro generale, spariscono le quisquiglie riportate nella lettera che Ella mi ha inviato. D'altra parte occorre anche tener conto che le autorità italiane non hanno il potere effettivo di imporre a un proprietario italo-americano di giornali norme precise nella composizione del suo personale. Possiamo prendere di mira il tale o tal altro perché antifascista o favorire altri dei cui sentimenti siamo sicuri, ma la nostra azione deve essere ispirata a molto tatto, oltreché a fermezza.

Invio copia della presente a S. E. il Ministro.

(l) -Su tutta la materia cfr. n. 307. (2) -T. (p.r.) 2433/171 del 23 marzo, ore 22: preannuncio dell'invio del doc. n. 316 c per cui sarà opportuno che V.E. chieda di vedere codesto presidente del Consiglio •. (3) -Cfr. n. 316. (4) -Le cifre danno testualmente: c e comportante possibilità di pratiche decisioni •. [Nota del documento].
321

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI

Roma, 29 marzo 1932.

Con nota del' 23 ottobre u.s., la Nunziatura Apostolica ha insistito affinché venissero allontanati dall'insegnamento, o, quanto meno, fossero trasferiti ad altra sede, i Prol!essori Paolo La Vespa e Rosario Scalabrino, insegnanti nel

R. Liceo Classico di Trapani (1).

La richiesta della Nunziatura Apostolica riguarda specialmente il La Vespa, poiché il medesimo, oltre ad insegnare, riveste la carica di vice preside di quel Liceo.

Si tratta di due ex-preti ed apostati, nati e residenti a Trapani, dove, abbandonato l'abito ecclesiastico, hanno contratto matrimonio civile.

Il Ministero dell'Educazione Nazionale, al quale furono comunicati per ragioni di competenza, i rilievi e J,e richieste della Nunziatura, ha risposto risultargli da un'accurata inchiesta, affidata ad un ispettore centrale del Ministero stesso, che i due insegnanti godono della stima delle autorità politiche e scolastiche di Trapani ,e che, se qualche lamentela è stata .elevata contro di loro, essa ha attinenza solamente con gli esami scolastici ed è stata mossa da alunni riprovati.

Il predetto Ministero ritiene quindi che • nessun particolare elemento g.iustifichi l'allontanamento dalla sede di Trapani dei predetti due insegnanti, non condiscendenti ad eccessiv·e pvetese di indulg-enza, anche per la considerazione

che un provvedimento del genere potrebbe incoraggiare il più debole ad indulgere verso i meno meritevoli •.

Tale punto di vista era stato pure manifestato confidenzialmente dal Ministero dell'Educazione NazionaLe alla Nunziatura Apostolica fin dal principio del 1931, in relazione a passi ufficiosi da essa fatti presso quella Amministrazione; ma le insistenze da parte della Santa Sede portano ad arguire che essa non intende aderirvi.

In tale stato di cose, prego V. E. di volersi compiacere di farmi conoscere se ritenga opportuno che si insista presso il Ministero dell'Educazione Nazionale per l'accoglimento della richiesta della Santa Sede, oppure se si debba confermare alla Nunziatura Apostolica la risposta del Ministero dell'Educazione Nazionale.

Nei casi finora rilevati dalla Santa Sede il Ministero dell'Educazione Nazionale ha risposto più o meno negli stessi termini, ma sempre negativamente (1).

(l) Sulla questione cfr. nn. 63 e 235.

322

L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1259/190. Londra, 30 marzo 1932, ore 21,35 (per. ore 3,15 del 31).

Mio tel. 189.

Simon mi ha confermato arrivo Tardieu domenica sera dicendomi che visita a Mac Donald è del tutto indipendente dalla progettata conferenza quattro Potenze per accordi danubiani. Mi ha dichiarato esplicitamente non avere mai avuto la minima intenzione di sostituire conferenza quattro con un semplice accordo anglo-francese, e mi ha pregato informarne V. E. perché non nascano malintesi. La confusione di questi ultimi giorni è stata secondo lui creata dalla troppo frettolosa pubblicità data dalla stampa francese a qualsiasi notizia non controllata e dal desiderio della stampa stessa di far apparire, forse a ,scopo e1erttora1e, un successo diplomatico già assicurato. Simon, che ha accolto con viva soddisfazione pronta risposta di V. E., si è reso perfettamente conto dell'interesse speciale che noi poniamo a non ,essere assenti da ogni decisione che sarà per essere presa in una questione così delicata ed ha accolto con favore il suggerimento da me avanzato che data e luogo riunione a quattro possano essere annunziati ufficialmente prima del convegno Mac Donald-Tardieu. In ques:to senso avrebbe telegrafato subito a Tyrrell per fare pressioni sul governo francese e ottenere la sua adesione tale comunicato stampa. Ha detto avrebbe personalmente raccomandato a Mac Donald di dichiarare sin da suo arrivo a Tardieu che circa questione danubiana il Governo britannico non avrebbe

potuto assumere alcun preoiso impegno nè legarsi le mani prima avere consultato Italia e Germania. Ho creduto comprendere dalle parole di Simon che francesi tenderebbero spostare sede conferenza a Parigi o a Ginevra, cosa a cui egli sarebbe contrario, come vi sarebbero contrarie Italia e Germania. Circa comunicato stampa e ulteriore svolgimento trattative mi ha promesso dnformarmi appena possibile, appena cioè avrà avuto notizia adesione francese suo punto di vista. Se tutto va bene, data probabile della conferenza sarebbe non prima del 6 aprile.

(l) Annotazione a margine: • Visto da S. E. il Capo del Governo. Per ora non dar corso •. I due insegnanti, insieme ad altri quattro in condizioni analoghe, furono trasferiti in altra sede nel successivo ottobre.

323

L'AMBASCIATORE A ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1336/649/73. Angora, 30 marzo 1932 (per. il 6 aprile).

Il Conte di Chambrun, Ambasciatore di Francia, ha testè fatto ritorno dal suo congedo. So che durante il suo soggiorno a Parigi egli si è occupato attivamente per facilitare i negoziati tra il Signor Saragioglu ed delegati del Debito Pubblico Ottomano.

Giunto a Istambul, è venuto qui ad Angora appena per 24 ore, per avere soltanto colloquio con questo Ministro degli Affari Esteri e col Signor Saragioglu pure lui di ritorno per riferire col suo Governo.

Sulla questione delle trattative per il Debito Pubblico Ottomano riferirò a parte.

Lo scopo della v.isita del collega francese mi è stato comunicato da questo Ministro degli Affari Esteri ed esso sembra alquanto importante, in quanto il Signor de Chambrun, intimo del Signor Tardieu, si è affrettato appena di ritorno ad appoggiare il negoziato del Debito Pubblico Ottomano con delle proposte ed insinuazioni che vanno al di là di quello.

Egli ha detto a Tefik .Ruscdi bey che il Governo di Parigi intende facilitare in ogni modo l'accordo finanziario tra il Governo turco e i portatori delle azioni del Debito Pubblico Ottomano e risol·vere amichevolmente tutte le altre pendenze in corso tra i due paesi, perché sarebbe sua intenzione di basare la sua politica orientale sulla Jugoslavia e la Turchia con la quale vorrebbe addivenire ad una larga ,intesa.

Ha svolto quindi delle considerazioni sul disinteresse dalla politica francese in Anatolia, con qualche allusione velata che non ha lasciato alcun dubbio nel pensiero di Tefik Ruscdi bey che nell'intenzione del suo interlocutore persisteva sempre l'idea delle pretese mire italiane.

Il Ministro degli Affari Esteri di fronte a tali dichiarazioni non abili nè tempestive, che troppo scoprono la manovra di guadagnare la Turchia nei problemi del momento alle nostre spese, ha risposto, secondo quanto mi ha comunicato con molti dettagli, in mani-era non equivoca, dichiarando al Conte di Chambrun che finché il Governo di Parigi non si decide prima a passare per Roma per accordarsi su tutte le questioni franco-italiane sulla base della perfetta eguaglianza, e finché le sue relazioni con la Jugoslavia non saranno ridotte all'importanza di quelle che mantiene con gli altri paesi balcanici ed in armonia ad un'eventuale intesa italo-francese, il Governo turco, pur essendo desideroso di mantenere buoni rapporti con quello di Parigi, si manterrà fedele alle tendenze polirtiche del R. Governo, le sole che possano assicurare l'indipendenza e la prosperità del regime Kema1ista e della Turchia.

Non so se Tefik Ruscdi bey mi abbia riferito esattamente i termini della conversazione: forse avrà esagerato, ma in ogni modo siccome nulla gli avevo domandato su tale argomento specifico, egli non aveva nessun obbligo di parlarmene e tanto meno di comunicarmi le varie fasi della conversazione.

E poiché tale è lo stile della politica francese e che d'altra fonte riservata vengo a conoscenza che l'offensiva d'amicizia francese odierna è anche appoggiata privatamente da personalità francesi presso amici turchi, debbo ritenere che la presente manovra è destinata:

l) a distogliere la Turchia dalla nostra politica balcanica;

2) a guadagnarla per i disegni panarabici francesi; 3) a rinforzare una tendenza di soste nelle relazioni russo-turche (tendenza che mi risulta essere stata da tempo ed insistentemente segnalata da questi servizi d'informazioni francesi); 4) ed infine di profi.Uare del concorso del fattore turco per la risoluzione dei grandi problemi del momento.

Ecco perché nella mia ultima comunicazione a V. E. ho lasciato dapprima trapelare qualche preoccupazione sullo stato precario finanziario della Turchia e sul pericolo che essa sia obbligata a subìre l'aiuto francese. E ciò spiega le rag-ioni di tutta la vigilanza che ho svolto con i miei colleghi russo e tedesco, e l'opera di convinzione che ho fatto presso questi dirigenti.

Dico questo perché credo fermamente che facilitando in questo momento, da parte nostra, la risoluzione degli interessi finanziari turchi, ciò avrà delle conseguenze politiche che andranno molto al di là della trattazione di tali affari. E con ciò alludo alla risoluzione della questione della moratoria alle forniture navali ed a quella della sterlina di cui al mio telegramma n. 68 (l) del 29 corrente.

Debbo dire del resto che tale azione ha di già fatto un'ottima impressione in questo Governo ,e certo la sua attuazione ci faciliterebbe molto a sormontare il momento attuale (2).

Giudico tempestiva la pressione fatta da Tewfik Ruscdi bey sul Re di Bulgaria ed opportuno, come ho già proposto precedentemente, che venisse da noi appoggiata •.

(l) -Annotazione marginale: « Forniture navali alla Turchia e cantieri italiani •. (2) -Con precedente t.r. Per corriere del 29 marzo, Aloisi comunicava quanto gli aveva riferito Tewfik Ruschdi bey circa una sua recente visita a Sofia e, in particolare, circa un colloquio avuto con re Boris. Tewfik si era sforzato di convincere re Boris a useire dalla stretta neutralità diplomatica fino allora mantenuta per evitare le reazioni della Jugoslavia e della Francia. Tewfik aveva detto al re • che l'accordo greco-turco era in principio basato sulla neutralità di questi due paesi verso le grandi Potenze, ma che in pratica la neutralità greca è praticata da Atene con benevolenza e arrendevolezza verso Parigi, mentre quella turca nella stessa maniera verso Roma; per cui la Bulgaria accordandosi con la Grecia non doveva temere, che anzi nuova forza, nel suo gioco internazionale, le sarebbe derivata da questa sua adesione alle grandi direttive italiane ed alla stretta amicizia con la Turchia...
324

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. R.U. 1998/242. Berlino, 31 marzo 1932, ore 19,55 (per. ore l dell'l aprile).

Renzetti mi prega avvertire V. E. che Capitano Goring, presentemente Gardone, parte per Roma con la speranza essere ricevuto da S. E. Capo Governo (1). Si tratterrà a Roma due giorni (2).

325

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI

TELESPR. R. U. (3). Roma, [ ... marzo 1932].

Mi è pervenuto il telespresso del 25 febbraio scorso n. 2941 (4) col quale l'E. V. rendendosi perfettamente conto dell'attuale situazione politico-religiosa nella Zona del· canale di Suez, informa che tornerà ad occuparsi subito presso la Santa Sede di questa importante quistione.

Nel confidare che gli uffici dell'E. V. sortiranno l'effetto da noi desiderato, mi affvetto a trasmetterLe l'unita copia di un recente rapporto del R. Ministro al Cairo in merito alla quistione stessa (5).

Come l'E. V. rileverà da tal<e rapporto, circostanze nuove potrebbero aggravare la situazione. Di qui la necessità di un sollecito intervento della Santa Sede presso Monsignor Hiral.

Prego pertanto l'E. V. di voler agire in 'tal senso presso la Santa Sede.

Da parte mia ho ritenuto frattanto conveniente telegrafare al R. Ministro al Cairo, per prospettargli l'opportunità che, in attesa dell'interv,ento della Santa Sede, Don Nigra soprassieda (sempreché in tempo) da fare al Vescovo anzidetto una comunicazione nei termini del n. 2 del rapporto sopracitato (6).

(l) -Per i precedenti cfr. n. 161. (2) -Il ministero, nel comunicare alla segreteria particolare di Mussolini questo tel., così concludeva: « Si resta pertanto in attesa di conoscere quali comunicazioni potranno esser fatte al Sig. Goring, allorché, giungendo a Roma. egli si presenterà, come è presumibile, !' questo Ministero • (appunto n. 2070 r.u. del 2 aprile 1932). (3) -Il documento non risulta spedito. (4) -Cfr. n. 243. (5) -È il r. 843/285 del 16 marzo 1932 (per. il 24 marzo) col quale Cantalupo riferiva su un colloquio avuto il giorno 14 con don Nigra. ispettore dei Salesiani in Oriente. (6) -Allude al proposito di don Nigra di dichiarare a mons. Hiral che la questione della chiesa italiana recentemente costruita a Porto Said doveva « essere trattata e definita con le autorità italiane • e · non con i Salesiani.
326

ISTRUZIONI DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, PER IL MINISTRO DESTINATO A TEHERAN, VIOLA (Archivio Grandi, copia)

Roma, [ ... marzo 1932].

All'atto della Sua partenza per la sede di Teheran, credo opportuno fissarLe alcune direttive per l'azione che Ella dovrà svolgere in Persia, dove il

R. Governo si propone di dare tutto un nuovo ed ampio sviluppo alla nostra penetrazione cultura,le ed economica.

Netl campo culturale la S. V. vorrà anzitutto esaminare la possibilità della partecipazione d'insegnanti italiani alle scuole superiori persiane, nonché quella dell'apertura di nostre scuole. Il Ministero degli Esteri ha da tempo considerata l'opportunità dell'invio di una nostra missione di salesiani per l'istituzione colà di una scuo:la di arti e mestieri, ciò che, oltre a rappresentare il primo passo sulla via della nostra penetrazione culturale, verrebbe anche a togliere alla Francia il monopolio della rappresentanza degli elementi cattolici in Persia.

Ma, oltre a ciò, occorrerà altresì cercare che in avvenire il Governo di Teheran assegni a giovani persiani borse di studio, non solo per le università francesi, inglesi, tedesche e russe, ma anche per quelle' italiane'. A questo proposito Le ricordo anche che il Governo Fascista consapevole del grande peso che i rapporti culturali hanno su quelli politici ed economici, sta provvedendo alla costruzione in Roma di una • Città Universitaria • nella quale verranno accordate tutte le maggiori facHitazioni agli studenti stranieri.

I rapporti economici itala-persiani sono stati gravemente intralciati dalla recente legge persiana che stabilisce il monopolio statale del commercio estero. La S. V. si renderà conto sopra luogo della portata di tale legge ed esaminerà se e in qual modo noi potremo attenuarne gli effetti sul nostro commercio. Forse più efficace e più pratico mezzo sarà quello di cercare di ottenere dal Governo persiano delle forniture statali.

È lecito sperare di esserci assicurate, dopo una recente fornitura di 6 unità, ulteriori forniture di navi della flotta persiana. Quanto prima partirà per la Persia una numerosa missione navale: sono sicuro che Ella farà il possibile per valorizzarne l'azione.

Sembrava che ci fossimo assicurato altresì la costruzione e l'esercizio delle ferrovie, senonché il Governo persiano ha mutato idea con lo scegliere un ingegnere svizzero; ma non è da escludere che, scontento anche di questo, come lo fu di altri ingegneri, cerchi un altro ingegnere straniero. In tale eventualità una Sua azione tempestiva ed accorta potrebbe assicurare alla nostra industria ferroviaria il mercato persiano.

Anche per la fornitura di aeroplani pareva lo scorso anno che il Governo persiano avesse intenzione di rivolgersi alla nostra industria, ma finora le trattative non sono giunte ad una fase conclusiva. La mancata fornitura dipese dalla Società Breda, la quale, dopo aver per circa un anno e a più riprese fatto rinviare dal Governo persiano i termini del concorso perché non pronta a

parteciparvi, fini col dichiarare, all'ultimo momento, di non essere in grado, come aveva promesso, d'inviare un apparecchio in Persia.

Anche la mancata scelta di un ingegnere italiano per le ferrovie pare che si debba alla pessima prova fatta da certo ingegner Aureli, testè tornato dalla Persia. A questo proposito La prego di formularmi precise proposte per cancellare il triste ricordo determinato dall'azione di quest'ultimo.

Nei mesi scorsi trattatiN•e svolte per opera del Ministero degli Affari Ester.i hanno condotto alla formulazione di un progetto di linea di navigazione GenovaGolfo Persico (progetto Fasce). Ella vorrà dare la Sua cooperazione all'attuazione del progetto, secondo il quale, se i bastimenti batteranno bandiera persiana, la direzione del servizio sarà italiana e un nuovo legame verrà a costituirsi fra l'Italia e la Persia. Si è ammessa l'idea della bandiera persiana considerandosi che così il progetto potrà riuscire di più agevole accettazione da parte del Governo di Teheran, e che questo più facilmente accorderà alla linea dei vantaggi, i quali andranno anche a profitto del nostro commercio.

La nostra esportazione di automobHi ha di recente subìto in Pers.ia una grav·e contrazione. Un'accurata inchiesta provocata da questo Ministero, ha messo in rilievo gravi responsabilità della Fiat. Ho immediatamente richiamato tutta l'attenzione dei Dicasteri .tecnici sui risultati dell'incMesta stessa. La prego di seguire la questione e di tenermi al corrente, indicandomi altresì quanto può ~essere compiuto per riprendere le posizioni perdute.

Richiamo la particolare Sua attenzione sulla questione dei petroli. A quanto pare, 1la Persia non ha ancora concesso i giacimenti del Nord e sarebbe disposta a concederli a POJtenza estera diversa dall'Inghilterra e dall'U.R.S.S. È superfluo che io spenda parole per dirLe che ogni Sua indagine in proposito debba essere condotta con la massima circospez.ione.

Nella documentazione esistente nell'archivio della R. Legazione Ella troverà diffusamente esaminate le ragioni per le quali questo Ministero ha creduto di sospendere sia la firma dei due Trattati di commercio •e di stabilimento, già accuratamente discussi con il Governo di Teheran, sia la ratifica del Trattato di amicizia concluso fin dal 1929. Ma è intendimento del Governo di firmare i due primi e ratificare il terzo quando le circostanze lo permetteranno.

La nostra collettività in Persia è ora poco numerosa. Se, come è lecito attendersi, l'azione che Ella sarà per svolgere indurrà il Governo persiano ad avvalersi maggiormente della nostra coUaborazione per sviluppare le ricchezze del paese, sia con la costruzione di una rete di ferrovie, e di autostrade (pare che tra l'altro si proponga di costruire una grande arteria fra Teheran e Beirut), sia con l'impianto di stabilimenti industriali, sia con la costruzione di un can.tiere navale a Pahlevi, ecc. verrà a costituirsi in Persia una collettività italiana di professionisti e di operai specializzati che, mentre varrà ad affermare anche in quel lontano paese il nuovo spirito dell'Italia Fascista, potrà essere nelle mani dei rappresentanti del R. Governo efficac,e strumento per la loro opera diretta a intensificare i rapporti fra i due paesi nel campo culturale ed •economico.

Da ultimo, ma non come oggetto di minore rilievo, accenno ad alcuni argomenti di carattere particolare.

Dati i poteri che di fatto sono esercitati in Persia dalla Corona, la S. V. si renderà conto dell'interesse che avremmo ad ottenere che il futuro monarca facesse i suoi studi in Italia. Presentemente il Principe erditario di Persia, sedicenne, studia a Losanna in una scuola privata. È tutt'altro che da escludere la possibilità, che dopo una lunga permanenza in Svizzera, sotto la guida di un professore svizzero-francese, egli venga avviato ad una scuola militare francese. Sarebbe invece desiderabile che U Valiad, terminati gli studi in Svizzera, facesse la sua preparazione militare in Italia, naturalmente con programma da elaborarsi a suo tempo secondo i desideri dello Scià.

La S. V. vorrà tener presente quanto precede per cercare di ottenere, valendosi col dovuto tatto di ogni occasione propizia, che i corsi che il Principe ereditario segue attualmente in Svizzera vengano possibilmente abbreviati e che egli venga inviato in Italia a terminarvi la sua preparazione presso un nostro Istituto.

I provvedimenti persiani sul commercio estero hanno suggerito di sospendere alcuni conferimenti di altissime decorazioni allo Scià ed alti dignit.ari. Ella, seguendo attentamente lo svolgimento delle nostr·e rela~ioni economiche con codesto paese, vorrà farci conoscere se e Quando riterrà giunto il momento per tali conferimenti.

Richiamo ·la Sua particolare attenz,ione sul Ministro di Corte. Almeno fino a poco tempo fa, 'egli godeva tutto il favore dello Scià e la sua influenza era preminente se non decisiva nella condotta politica del paese. Ignoro quale fondamento abbiano alcune voci corse recentemente su un cambiamento dei suoi rapporti con la Corona. Ad ogni modo sarà opportuno che Ella tenga conto della speciale situazione di Quel Ministro per adeguare ad essa la Sua condotta nei suoi riguardi, senza trascurare le peculiarità del suo carattere in particolare la sua suscettibilità.

Altra questione particolarmente delicata è quella degli onori liturgici oggi riservati alla Francia. La sua azione in proposito dovrà tendere a far cessare la situazione privilegiata della Francia in questo campo. Al quale scopo potrà giovarLe, nelle occasioni che avessero a presentarsi, per scuotere tale situazione, l'avere stabilito cordiali rapporti col nuovo Delegato ApostoHco.

Queste le direttive che La prego di ·tener presenti nello svolgimento della Sua missione. Con l'auguro che questa sia per riuscire proficua per il nostro Paese...

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APPENDICI

APPENDICE I

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(Situazione al 1' febbraio 1932)

AFGANISTAN

Kab~l -GALANTI Vincenzo, inviato straordinario e miiJJistro plenipotenziario; PENNACCHIO Luigi, interprete.

ALBANIA

Tirana -MELI LuPI DI SoRAGNA marchese Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BARBARICH conte Alberto, console con funzioni di segretario; ZAMBONI Guelfo, console con funzioni di segretario; CASTELLANI Vittorio, vice console con funzioni di segretario; PARIANI Alberto, generale di brigata, addetto militare; DANISCA Pietro, interprete.

ARGENTINA

Buenos Aires -PrGNATTI MoRANO DI CusTOZA conte Bonifacio, ambasciatore; FRANSONI Francesco, primo segretario con funzioni di consigliere; BERTELÈ Tommaso, primo segretario; MACCHI, dei conrti di Cellere·, P·io, vice console con fun~ioni di segretario; DE PrNEDO marchese Francesco, generale di divisione aerea, addetto aeronautico; MANCINI Tommaso, addetto commerciale.

AUSTRIA

Vienna -AURITI Giacinto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GEISSER CELESIA DI VEGLIASCO Andrea, primo segretario; STRANEO Carlo Alberto, console con funzioni di segretario; GIUSTINIANI Raimondo, vice console con funzioni di segretario; FABBRI Umberto, tenente colonnello, addetto militare e a•eronautico; Dr NoLA Carlo, addetto commerciale.

BELGIO

Bruxelles -MARTIN FRANKLIN conte Alberto, ambasciatore; ScADUTO Gioacchino, primo segretario; BERAUDO, dei conti di Pra:lormo, Emanuele, tenente colon

19 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XI

nello di cavalleria, addetto miHtare (residente a Parigi); FUMAGALLI Filippo, capitano di vascello, addetto navale (residente a Parigi); Pzccxo Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico (residente a Parigi).

BOLIVIA

La Paz -CAFIERO Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

BRASILE

Rio de Janeiro -CERRUTI Vittorio, ambasciatore; DE LIETO Casimiro, consigliere; GucLIELMINETTI Giuseppe, primo segretario; STRIGARI Vittorio, vice console con funzioni di segretario.

BULGARIA

Sofia -CORA Giuliano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CASSINIS Angiolo, primo segretario; WIEL Ferdinando, console con funzioni di segretario; CoccoNI Francesco, tenente colonnello di fanteria, addetto militare ed aeronautico; SOLDATI Roberto, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Angora); BARrGIANI Andrea, reggente la delegazione commerciale.

CECOSLOVACCHIA

Praga -PEDRAZZI Orazio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CosTA SANSEVERINO Francesco, principe di Sant'Agata, primo segretario; VANNI, dei duchi di Archirafi, Francesco Paolo, console con funzioni di segretario; CADORNA conte Raffaele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare; BRENTA Giacomo, maggiore, addetto aeronautico (residente a Belgrado); BENEDETTI Gian Paolo, reggente [a delegazione commerciale.

CILE

Santiago -N.N., ambasciatore; AssERETO Tommaso, primo segretario con funzioni di consigliere; CuTURI Antonio, console con funzioni di segretario.

CINA

Pechino -CIANO, dei conti di Cortellazzo, Galeazzo, incaricato d'affari; ANFUSO Filippo, console con funzioni di segretario; VENTURINI Antonio, vice console con funzioni di segretario; Ros Giuseppe, interprete; ToNA Pietro, tenente di vascello, comandante del distaccamento della R. Marina e della guardia della R. Legazione, con mansioni di addetto navale e militare; DI RENZO Marco, interprete.

COLOMBIA

Bogotà -GAZZERA Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

COSTARICA

NEGRI conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Panama).

CUBA

Avana -BoscARELLI Raffaele, inviato· straordinario e ministro plenipotenziario.

DANIMARCA

Copenaghen -VARÈ Daniele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CITTADINI conte Pier Adolfo, primo segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente ccdonnello, addetto militare (residente a Berlino); SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino); Luzi Renato, addetto commerciale.

DOMINICANA (Repubblica)

BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario ,e ministro plenipotenziario (residente all'Avana).

EGITTO

Cairo -CANTALUPO Roberto, deputato al Parlamento, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LEQUIO Francesco, primo segretario; MIGONE Bartolomeo, console con funzioni di segretario; SPERANZA Vincenzo, interprete; 0MAR Umberto, interprete; BuFFONI Decio, reggente la delegazione commerciale.

EL SALVADOR (Repubblica di)

San Salvador -N.N. inviato straordinario e ministro plenipotenzdario.

EQUATORE

Quito -SAPUPPO Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ESTONIA

Tallin (Reval) -TosTI, dei duchi di Valminuta, conte Mauro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, aadetto militare (residente a Varsavia).

ETIOPIA

Addis Abeba -PAT~RNÒ DI MANCHI DI BILICI marchese Gaetano, inviato straordinario e ministro plenipotenz.iario; ScAMMACCA Michele, primo segretario; Muzi FALCONI Filippo, vioe console con funzione di segretario; MAccHI, dei conti di Cellere, conte Francesco, vice console con funzioni di segretario; RUGGERO Vittorio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; MaRENO Martino Mario, direttore coloniale.

FINLANDIA

Helsinki (Helsingfors) -TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare (residente a Varsavia); SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino).

FRANCIA

Parigi -MANZONI conte Gaetano, ambasciatore; VINCI GIGLIUCCI conte Luigi Orazio, consigliere; FERRONE, dei conti di San Martino, Ettore, primo segretario; LANDINI Amedeo, console; SALLIER DE LA TouR CoRIO duca Paolo, vice console con funzioni di segretario; BERAUDO, dei conti di Pralormo, Emanuele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare; FUMAGALLI Filippo, capitano di vascello, addetto navale; PICCIO Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico; CaLETTI Silvio, consigliere di emigrazione; CARAVALE Erasmo, consigliere commerciale.

GERMANIA

Berlino -0RSINI BARONI Luca, ambasciatore; CICCONARDI Vincenzo, consigliere; 0TTAVIANI Luigi, primo segretario; CoRTESE Paolo, console con funzioni di segretario; BADOGLIO, dei marchesi del Sabotino, Mario, vice console con funzioni di segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; TREBILIANI Pier Francesco, capitano di fregata, addetto navale; SENZADENARI Raffaele, tenente colonneHo dell'aeronautica, addetto aeronautico; RICCIARDI Adelchi, consigliere commerciale.

GIAPPONE

Tokio-MAJONI Giovanni Cesare, ambasciatore; WEILL ScHOTT Leone, consigliere; GARBACCIO Livio, console con funzioni di segretal'io; MELKAY Almo, interprete; FRATTINI Enrico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale ed aeronautico.

GRAN BRETAGNA

Londra -CHIARAMONTE BORDONARO Antonio, ambasciatore; MAMELI Francesco Giorgio, consigliere; PRUNAS Renato, primo segretario; JANNELLt Pasquale, console con funzioni di segretario; DEL BALZO, dei duchi di Presenzano, Giulio, vice console con funzioni di segretario; REVEDIN, dei marchesi di San Martino, conte Giovanni, vice console con funzioni di segretario; PALLICCIA Giuseppe, addetto spec1iale; DE FACCI NEGRATI Gaetano, con funzioni di addetto; INFANTE Adolfo, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare; IACHINO Angelo, capitano di fregata, addetto navale; BrTossx Pier Francesco, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico; CECCATO Giovan Battista, consigliere commerciale.

GRECIA

Atene -BASTIANINI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BERARDIS Vincenzo, primo segretario; FECIA DI CossATo Carlo, console con funzioni di segretario; TRIONFI marchese Luigi, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; TRIONFI marchese Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale ed aeronautico; DE SANTO Demetrio, interprete.

GUATEMALA

Guatemala -N.N. inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

HAITI

BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente all'Avana).

HONDURAS

Tegucigalpa -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

JUGOSLAVIA

Belgrado -GALLI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoRTINI Claudio, primo segretario; CoPPINI Maurilio, console con funzioni di segretario; FRANCESCHINI Antonio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; GIARTOSIO Carlo, capitano di fregata, addetto navale; BRENTA Giacomo, maggiore dell'aeronautica, addetto aeronautico; PIETRABISSA Francesco, addetto commerciale; DE SARNO SAN GIORGIO Pietro, interprete; ScELDIA Antonio, interprete.

LETTONIA

Riga -MAcARIO Nicola, inviato straordinavio e ministro plenipotenziario; MENZINGER DI PREUSSENTHAL Enrico, primo segretario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare (residente a Varsavia).

LITUANIA

Kaunas -AMADORI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico (residente a Berlino).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -DE Rossi Girolamo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MESSICO

Messico -VIGANOTTI GIUSTI conte Gianfranco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

NICARAGUA

Managua -N.N., inviato straordinal'io e ministro plenipotenziario.

NORVEGIA

Oslo -DE MARSANICH Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROVASENDA DI ROVASENDA Vittorio, primo segretario; SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (l'esidente a Berlino).

PAESI BASSI

L'Aja -SENNI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SILENZI Renato, primo segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); TREBILIANI Pier Francesco, capitano di fregata, addetto navale (residente a Berlino); SENZADENARÌ Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino).

PANAMA

Panama -NEGRI conte Vittorio, ,invialio straordinario e ministro plenipotenziario.

PARAGUAY

Assunzione -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PERSIA

Teheran -VIOLA Guido, conte di Campalto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RossET DEsANDRÈ Antonio, console con funzioni di segretario; Dr MoNTEFORTE Giuliano, interprete.

PERU'

Lima -SuMMONTE Gonsalvo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

POLONIA

Varsavia -VANNUTELLI REY conte Luigi, ambasciatore; PETRUCCI Luigi, consigliere; RuLLI Guglielmo, primo segretario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare, navale ed aeronautico; CORVI Antonio Menotti, addetto commerciale; ANGLE Romano, interprete.

PORTOGALLO

Lisbona -ARaNE Pietro, barone di Valentino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARIANI Luigi, primo segretario; AMARI di Sant'Adriano Eduardo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Madrid); SPALICE Luigi, capitano òi vascello, addetto navale (residente a Madrid); GELMETTI Umberto, maggiore dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Madrid); MARIANI Erminio, consigliere commerciale (residente a Madrid).

ROMANIA

Bucarest -PREZIOSI Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PASETTI Vittorio, primo segretario; MARINI Vittorio, console con funzioni di segretario; ZANOTTI Mario, tenente colonneHo di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico; GIARTOSIO Carlo, capitano di fregata, addetto navale (residente a Belgrado); DE MARTINO Giuseppe, addetto commerciale; RaccHI Cesare, archivista interprete.

SANTA SEDE

Roma -DE VECCHI DI VAL CISMON conte Cesare Maria, ministro di Stato, senatore del Regno, governatore onorario di colonia, ambasciatore; TALAMO ATENOLFI Giuseppe, marchese di Castelnuovo, primo segretario; BAZZANI Attilio, commissario regionale di seconda classe; PELIZZOLA monsignor Antonio, consulente ecclesiastico.

SIAM

Bangkok -CAVICCHIONI Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziavio; Bovo Goffredo, console interprete di seconda categoria.

SPAGNA

Madrid -DuRINI DI MoNZA conte Ercole, ambasciatore; DE PEPPO Ottavio, consigliere; DELLA PoRTA Francesco, primo segvetario; MALASPINA, dei marchesi di Carbonara e di Volpedo, Folchetto, console con funzioni di segretario; AMARI di Sant'Adriano Eduardo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; SPALICE Luigi, capitano di vascello, addetto navale; GELMETTI Umberto, maggiore dell'aeronautica, addetto aeronautico; MARIANI Erminio, consigliere commerciale.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -DE MARTINO Giacomo, senatore del Regno, ambasciatore; MARCHETTI di Muriaglio conte Alberto, primo segretario con funzioni di consigliere; RoNCALLI, dei conti di Montorio, Guido, primo segretario; MoNAco Adriano, primo segretario; SOARDI Carlo Andl'ea, vice console con funzioni di segretario; PENNAROLI Marco, tenente colonneillo di artiglieria, addetto miUtare; NoTARBARTOLO, dei duchi di VHlarossa Luigi, capitano di vascello, addetto navale; SBERNARDORI Paolo, maggiore, addetto aeronautico; FIGAROLO, dei conti di Gropello Giulio, tenente di vascello, addetto navale aggiunto; BoNARDELLI Eugenio, consigliere dell'emigrazione; ANGELONE Romolo, reggente la delegazione commerciale.

SUD AFRICA

Capetown -LABIA conte Natale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

SVEZIA

Stoccolma -CoLONNA Ascanio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAFFARELLI Filippo, primo segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (r,esidente a Berlino); SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino).

SVIZZERA

Berna -MARCHI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE ANGELIS Mariano, primo segretario; TALIANI Pio, console con funzioni di segretario; AssETTATI Augusto, vice console con funzioni di segretario; PERRONE Adolfo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PrcciO Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico (residente a Parigi).

TURCHIA

Angora -ALmsr barone Pompeo, ambasciatore; KocH Ottaviano Armando, primo segretario con funzioni di consigliere; Dr STEFANO Mario, primo segretario; SERRA, dei duchi di Cassano, Giovanni Battista, viee console con funzioni di segretario: MANNERINI Alberto, tenente colonnello di fanteria in servizio di Stato Maggiore, addetto militare; SoLDATI Roberto, capitano di vascello, addetto navale ed aerònautico; PISA Ezra, interprete; ARRIVABENE Antonio, reggente la delegazione commerciale; PODESTÀ Giuseppe, interprete.

UNGHERIA

Budapest -ARLOTTA Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BELLARDI Rrccr Alberto, primo segretario; GuERRINI MARALDI Agostino, vice console con funzioni di segretario; PESCATORI Federico, vice console eon funzioni di segretario; OxrLrA Giovanni Battista, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare ed aeronautico; Dr NoLA Carlo, addetto commerciaie (residente a Vienna).

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE

Mosca-ATTOLICO Bernardo, ambasciatore; CANTONI MARCA Antonio, primo segretario, con funzioni di consigliere; CAPRANICA DEL GRILLo marchese Giuliano, primo segretario; SACERDOTI, dei conti di Carrobio, Renzo, vice console con funzioni' di segretario; LANZA Michele, addetto; DE FERRARI Aldo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale ed aeronautico; BALLERINI Efisio, consigliere commercia'~e.

URUGUAY

Montevideo -BERNARDI Temistocle Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

VENEZUELA

Caracas -VrvALDI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

APPENDICE II

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(Situazione al l" febbraio 1932)

MINISTRO

GRANDI Dino, deputato al Parlamento.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

FANI Amedeo, deputato al Parlamento.

GABINETTO

Affari confidenziali -Ricerche e studi in relazione al lavoro del Ministro -Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche -Relazioni del Ministro col Parlamento e col Corpo diplomatico -Udienze -Tribuna Diplomatica.

Capo di Gabinetto: GHIGI Pellegrino, primo segretario di 1legazione di 1• classe.

Segretari: JACOMONI Francesco, con funzioni di vice capo di gabinetto, BONARELLI DI CASTELBOMPIANO conte Vittorio EmanueLe, ROSSI LONGHI marchese Alberto, DE CIUTIIS DI SANTA PATRIZIA Filippo, NONIS Alberto, primi segretari di legazione di 2" classe; SERENA DI LAPIGIO Ottavio, console di 2" classe; TORELLA Raimondo, CHASTEL Roberto, vice consoli di 1• classe.

Aggregato: TALVACCHIA Giovanni, questore.

UFFICIO STAMPA

Rivista della stampa estera e della stampa italiana nei riguardi della politica estera -Informazioni a giornali ed agenzie italiane ed estere -Traduzioni.

Direttove: FERRETTI Lando, deputato al Parlamento.

Vice Direttore: Rocco Guido, inVliato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

Segretari: VIDAU Luigi, console di 1• classe; MASCIA Luciano, primo segretario di legazione di 2• classe; NICHETTI Carlo, vice console di 1• classe; BRuGNOLI Alberto, vice console di 2" classe, CAVALLETTI Francesco, volontario diplomatico -consolare.

UFFICIO STORICO-DIPLOMATICO

Raccolta e compilazione di materiale storico sopra questioni di politica estera d'interesse pratico contemporaneo a complemento e illustrazione dei documenti ufficiali -Raccolta, custodia e aggiornamento di collezioni cartografiche e studi geografici -Diario storico del Ministero Classificazione e diramazione degli atti diplomatici -Libri verdi -Raccolta, coordinamento e valorizzazione sistematica di tutti gli elementi tratti dal carteggio delle R. Rappresentanze all'estero e da ogni altra fonte -Studi e preparazione di carattere politico ed economico.

Capo ufficio: SoLA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

Segretari: CoRTESE Luigi, console di 2• classe; CIPPICO Tristam Alvise, vice console di l" classe; TASSONI EsTENSE Alessandro marchese di Castelvecchio, MAZIO Aldo Maria, volontari diplomatici -consolari.

TIPOGRAFIA RISERVATA

Direttore: BERNI Fedele.

UFICIO DEL PERSONALE

Personale di ogni categoria dipendente dal Ministero (eccetto il personale delle scuole italiane all'estero) -Uffici diplomatici e consolari all'estero: loro istituzione e soppressione -Addetti militari, navali, aeronautici e commerciali e loro uffici -Servizio d'ispezione agli uffici all'estero -Questioni di ordinamento del Ministero e delle carriere dipendenti -Commissioni di avanzamento -Consiglio del Ministero Concorsi -Ammissioni -Annunzi e bollettini del personale -Personale e uffici diplomatici e consolari esteri in Italia -Bollettini di detto personale -Rapporti informativi sul personale -Matricola generale -Disciplina del personale subalterno del Ministero -Passaporti diplomatici.

Capo ufficio: Tuozzr Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

Segretari: GLORIA Ottavio, console di l" classe; TURCATO Ugo, console di 2• classe; FoRNARI Giovanni, console di 3" classe; CARuso Casto, vice console di 2• classe; DE FERRARIS SALZANO Carlo, volontario diplomatico-consolare; FERRINI Guglielmo, primo segretario dell'emigrazione.

Addetto aU'Ufficio: EMILIANI Luigi, primo commissario consolare.

UFICIO DEL CERIMONIALE

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo -Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari -Franchigie in materia doganale ai R. agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia -Massimario -Visite e passaggi di Capi. di Stato, Principi e autorità estere -Decorazioni nazionali ed estere Libretti e richieste ferroviarie per il personale -Passaporti di servizio ed ordinari.

Capo ufficio: TALIANI Francesco Maria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

Segretari: CAPECE GALEOTA Giuseppe, console di 2• classe; CHIAVARI marchese Gian Girolamo, vice console di l" classe; LEPRI Stanislao, addetto consolare.

SERVIZIO ARCHIVIO STORICO E BIBLIOTECA

Capo Servizio: SALATA Francesco, senatore del Regno, consigLiere di Stato, presidente della Commissione per 'la pubblicazione dei documenti diplomatici.

ARCHIVIO STORICO

Conservazione ed incremento delle collezioni manoscritte del Ministero e dei R. Uffici aLl'estero -Conservazione degli originali degli atti internazionaLi -Conservazione delle carte riversate dagli archivi del Ministero e dai R. Uffici all'estero -Ricerche e studi su materie storiche e questioni internazionali per incarico del Ministero -Inventari, schedari e rubriche.

Direttore: FossATI Oreste.

BIBLIOTECA

Conservazione ed incremento delle pubblicazioni, proposte per acquisto di libri e periodici -Scambio di pubbLicazioni con altri Ministeri od Istituti italiani ed esteri -Cataloghi, schedari-Raccatta sistematica della legislazione straniera per ciò che può concernere le relazioni internazionali e l'Amministrazione degli Affari Esteri -Forniture di pubblicazioni ufficiali a corredo di R. Uffici diplomatici e consolari.

Bibliotecario : PIRONE Raffele.

Vice bibliotecario: RoNZANI Francesco. Addetto all'ufficio: MILLI Angiolo.

BIANCHERI CHIAPPORI Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe, incaricato di dirigere il riordinamento degli archivi politici; CARISSIMO Agostino, primo segretario di legazione di l a classe, a disposizione per il riordinamento degli archivi politici.

DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI E COMMERCIALI D'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA

Direttore generale: GuARIGLIA Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 1• classe.

U:FFICIO I

BeLgio -Danimarca -Francia -Germania -Gran Bretagna -Lussemburgo -Monaco -Norvegia -Paesi Bassi -PoLonia -PortogaHo -Spa~ gna -Stati Battici -Svezia -Svizzera -Unione deHe RepubbLiche Sovietiche.

Capo ufficio: N.N.

Segretari: MoscA Bernardo, primo segretario di Legazione di 2• classe; DE PAoLIS Pietro, console di 2• classe; ScAGLIONE Roberto, MELLINI PoNCE DE LEON Alberto, vice consoli di l a classe.

UFFICIO II

Austria -CecosLovacchia -Romania -Ungheria.

Capo ufficio: RocHIRA Ubaldo, console di 1• classe. Segretario: CITTADINr-CEsr Gian Gaspare, volontal'io diplomatico -consolare.

UFFICIO III

BuLgaria -Grecia -JugosLavia -Turchia -Affari concernenti te Isole Italiane dell'Egeo.

Capo ufficio: N.N.

Segretari: GALLI Guido, console di l" classe; VrTA-FINZI Paolo, console di 2• classe; DE BosDARI Girolamo, volontario diplomatico -consolare.

UFFICIO III A

ALbania.

Capo ufficio : PrETROMARCHI Luca, primo segretario di legazione di 2• classe, reggente. Segretario: Lo FARO Francesco, vice console di 2o classe.

UFFICIO IV

Africa -PenisoLa arabica -Mesopotamia -PaLestina -Siria -Affari concernenti la Libia, l'Eritrea e la Somalia italiana.

Capo ufficio: GuAR::ii"ASCHELLI Giovanni Battista, console di l a classe, reggente.

Segretari: ZoPPI Vittorio, console di 2• classe; GRENET Filippo, volontario diplomatico-consolare.

DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI E COMMERCIALI DI AMERICA, ASIA ED AUSTRALIA

Direttore generale: PAGLIANO conte Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

UFFICIO I

America del nord, Oceania ed Asia, tranne le regioni attribuite all'ufficio IV della Direzione Generale Europa, Levante ed Africa.

Capo ufficio: BALSAMO Giovanni, consigliere di legazione.

Segretario: Rossi Paolo Alberto, console di 1• classe.

UFFICIO II

America Latina

Capo ufficio: SERPI Giuseppe, console di l • classe, reggente.

Segretari; CONFALONIERI Giuseppe Vitaliano, console di 3" classe; ANTINORI Orazio, marchese di Castel S. Pietro Aquae Ortus, addetto consolare.

DIREZIONE GENERALE AFFARI SOCIETA NAZIONI

Direttore generale: Rosso Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l" classe.

Aggregati alla Direzione Generale per compiti speciali: PILOTTI Massimo, primo presidente di Corte di Appello: BuTI Gino. inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe; RusPOLI Fabrizio, capitano di vascello in ausiliaria.

UFFICIO I

Coordinamento generale fra i va1·i Uffici del Ministero e fra i vari Ministeri -Collegamento fra gli organi della Società delle Nazioni e gli enti internazionali con le varie Amministrazioni -Lavori preparatori per le sessioni dell'Assemblea e del Consiglio della Società delle Nazioni e delle diverse Conferenze e Riunioni ad essi attinenti Congressi e Conferenze in genere -01·dinamento degli Atti e documenti relativi.

Capo ufficio: DIANA Pasquale, primo segretario di legazione di l a classe. Segretari: FERRERO Andrea, vice console di 2• classe; LANZA n'AJETA marchese Blasco, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO II

Studio delle questioni politiche e giuridiche in relazione ai lavori della Società delle Nazioni -Corte permanente di Giustizia internazionale -Cooperazione intellettuale.

Capo ufficio: VITETTI Leonardo, primo segretario di legazione di l a classe.

Segretario: P LETTI Mario, vice console di 2" classe.

UFFICIO III

Studio delle questioni economiche e tecniche della Società delle Nazioni -Ufficio Internazionale del Lavoro -Istituto Internazionale di Agricoltura -Banca dei Regolamenti Internazionali e questioni delle Riparazioni.

Capo ufficio: BERlO Alberto, primo segretario di legazione di 2• classe, Segretario: SoLARI Pietro Domenico, addetto consolare.

DIREZIONE GENERALE TRATTATI, ATTI, AFFARI CON LA SANTA SEDE E SERVIZI AMMINISTRATIVI

Direttore generale: SANDI C CHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 1• classe, consigliere di Stato.

UFFICIO I

Trattati, Atti.

Capo ufficio: N.N.

Segretari: BERGAMASCHI Bernardo, LANZARA Giuseppe, consoli di 2• classe; CoRRIAs Angelilllo, vice console di 2• classe; DE FRANCHIS Carlo, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO II

Affari con la Santa Sede.

Capo ufficio: CAVRIANI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

Segretario: Rossi LoNGHI Gastone, console di 2• classe.

UFFICIO III

C.A. S.E.

Capo uffficio: TORTORA BRAYDA Camillo, conte di Policastro, primo segretario di legazione di l" classe.

UFFICIO IV Pubblicazioni e raccolte amministrative.

Capo ufficio: TosCANI .Angelo, console generale di l a classe.

Addetto all'ufficio: RAFFAELLI Bietro.

UFFICIO V

Amministrativo.

Capo ufficio: RINVERSI Romolo, capo divisione dei commissari consolari.

Segretari: BoNAVINO Arturo, AcosTEO Cesare, capi sezione dei commissari consolari; LEONINI PIGNOTTI Augusto, commissario consolare capo; BoNTEMPS Aldo, primo commissario consolare; MoNACo Potito, MANZO Ciro, volontari commissari consolari.

Addetti all'ufficio: FIORI Romeo, MoNTESI Giuseppe, diretto11i capi divisione; PAZZAGLIA Gino, segretario capo di ragioneria; MANCA Elio, primo segretario dell'emigrazione; RENGANESCHI Vittorio, primo segretario di ragioneria; PIRODDI Mario, ROTA Armando, segretari di ragioneria.

UFFICIO DI POLITICA ECONOMICA

Segreteria della Commi~sione interministeriale per l'azione economica all'estero -Collegamento in materia economico-commerciale fra le Direzioni generali Europa, Levante ed Africa; America, Asia ed Australia ed i Ministeri tecnici competenti.

Capo ufficio: CIANCARELLI Bonifacio Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 1• classe.

Segretari: GRAZZI Umberto, SANTOVINCENZO Magno, consoli di 2• classe; Lo SAVIO PIO, Vlice console di 2• classe.

Comandato: DEI MEDICI conte Ugo, vice intendente di finanza.

DIREZIONE GENERALE ITALIANI ALL'ESTERO E SCUOLE

Direttore Generale: PARINI Piero, console generale di l a classe.

UFFICIO I

Fasci e istituzioni italiane all'estero.

Capo ufficio: FARALLI Iginio Ugo, conso'le generai€ di 2• classe. Segretario: MoNTANARI Franco, volontario diplomatico-consolare. Comandato: DINI Ottavio, capitano dei CC.RR.

UFFICIO II

Assistenza agli italiani all'estero.

Capo ufficio: N.N. Segretario: MoNTECCHI Romeo, vice console di 1• classe.

UFFICIO III

Scuole italiane all'estero.

Capo ufficio: PuLLINO Umberto, console generale di l • classe.

Segretari: CANNICCI Achille Angelo, DEL DRAGO BISCIA GENTILI Marcello, consoli di 2• classe.

Addetto all'ufficio con incarico speciale: RrMONDINI Felice, R. provveditore agli studi.

Comandati: DE FINA Andrea, segretario capo nei R. Provveditorati agli studi; Fosco Camillo, FERRUZZI Raffaello, capi sezione del Ministero dell'Educazione Nazionale; MALGERI Eugenio, professore nei R. Istituti 'tecnici; BIscoTTINI Umberto, professore nei R. Ginnasi; MosCHETTI Edoardo, professore nelle R. Scuole secondarie di avviamento al lavoro; FASSARI Cesare, 'insegnante nelle R. Scuole italiane all'estero.

DIREZIONE GENERALE DEL LAVORO ITALIANO ALL'ESTERO

Direttore generale: LOJACONO v,incenzo, ambasciatore.

UFFICIO I

Regolamentazione del fenomeno emigratorio -Progetti di colonizza

zione -Paesi continentali -Bacino del Mediterraneo -Africa -Canadà.

Capo ufficio: VINCI Adolfo, consigliere dell'emigrazione di l" classe.

Seg1"eta11i: 0LIVIERI Umberto, FAGO Cataldo Amedeo, PATRIZI DI RIPACANDIDA, dei duchi di Castelgaragnone, Ernesto, vice consiglieri dell'emigrazione; CARUZZI Ciro, primo segretario dell'emigrazione.

UFFICIO II

Regolamentazione del fenomeno emigratorio -Trasporti ferroviari e

marittimi -Americhe ed Australia.

Capo ufficio: GIANNINI Torquato Cavlo, consigliere superiore dell'emigrazione. Segretari: MAsi Corrado, consigliere dell'emigrazione di 2• classe; LAMPERTICO Gaetano, vice consigliere dell'emigrazione; VACCHELLI Alessandro, segretario dell'<emigraZJione.

Addetto all'ufficio: .Russo Giovanni, commissario onorario dell'emigrazione.

Comandati: PRISCO Achille, colonnello medico in S.P.E. della R. Marina; CoTTAFAVI Francesco, console generale della M.V.S.N., ispettore centrale dell',emigrazione; DE FEo Giuseppe, giudice capo; PAGANI Aldo, commissario di P.S., CosTANTINI Icilio, capitano dei CC.RR.

UFFICIO III

Politica del turismo e del lavoro straniero in ItaLia.

Capo ufficio : LANDUCCI Publio, console generale di 2" classe.

Segretario: CoTTAFAVI Antonio, console di 2• classe.

Aggregato alla Direzione Generale: PERASSI Tommaso, professore di diritto nel R. Istituto Superiore di scienze economiche e commerciali di Roma.

Addetti alla Direzione per compiti speciali: DI GIURA Giovanni, primo segretario di legazione di 1• classe; Bosco Giacinto, segretario dell'emigrazione; TRONCELLITTI Francesco.

SERVIZIO DEGLI AFFARI PRIVATI

Capo del servizio: BEVERINI Giovanni Battista, inV'iato straordinario e ministro plenipotenziario di l" classe.

Aggregato al servizio: CuciNOTTA Ernesto, giudice di tribunale, incaricato di diritto/ e ileg~islazione coloniale nella R. Università di Roma.

Addetti al servizio per compiti speciali: RABBY Ezio, vice consigliere dell'emi~ grazione; GRANDINETTI Eugenio, MARCHIONI Pietro, capi sezione dell'emigrazione; FLAMINI Pietro, vice segretario dell'emigrazione.

UFFICIO I

Affari privati Europa, Africa, Palestina, Siria, Irak, Turchia, Penisola arabica -Legalizzazione di atti -Corrispondenza e contabilità relativa.

Capo ufficio: BARTOLUCCI GoooLINI Giovanni Battista, marchese di Castelletta, console generale di 1• classe.

Segretario: BoLLATI Attilio, console di 2" classe.

UFFICIO II

Affari privati America, Oceania e tutta la parte dell'Asia non compresa nella competenza dell'Ufficio I.

Capo ufficio: MAccoTTA Luigi, console generale di 2• classe.

Segretari: GIUSTI Paolo Emilio, console di 2• classe; MAJOLI Mario, volontario diplomatico-consolare.

SERVIZIO CORRISPONDENZA ED ARCHIVI

Capo del servizio: DE Rossi DEL LION NERO Pier Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

UFFICIO I

Affari generaLi.

Capo ufficio: MAZZOLINI Quinto, console di l" classe.

Segretario: ARNÒ Guglielmo, vice console di l" classe.

Addetti all'ufficio: MARZIANI Luigi, consigliere dell'emigrazione di 2• classe; BEVILACQUA Michele, primo segretari() dell'emigrazione; CoRSI Fernando, segretario dell'emigrazione.

UFFICIO Il

Cifra.

Capo ufficio: SPECHEL Augusto, console di 1• classe.

Segretari: CASCIARO Marco, DE MALFATTI DI MoNTE TRETTO barone Carlo; Bosio Giovanni Jack, vice consoli di l' classe.

UFFICIO III

Archivi e corrispondenza -Organizzazione e sorveglianza degli archivi Corrispondenza in arrivo e in partenza: accettazione, registrazione, spedizione, ecc. -Controllo del carteggio degli Uffici in relazione alla corrispondenza in arrivo -Archivi correnti e archivi di deposito Servizio dei corrieri.

Capo ufficio: PERVAN Edoardo, console di l • classe.

Segretario: SALLIER DE LA TouR conte Carlo, segretario dell'emigrazione.

RAGIONERIA CENTRALE

Direttore capo di ragioneria: FANO Alberto.

DIVISIONE I (alla diretta dipendenza del direttore capo di ragioneria)

Stato di previsione, variazioni, consuntivo -Tenuta degli impegni e scritture relative, registrazione di mandati -Agenti di riscossione e contabilità relative -Conti giudiziaLi -Conto corrente infruttifero con il Tesoro dello Stato -Giornale della contabilità extra bilancio -Accettazione delle tratte emesse dai R. Agenti all'estero -Conto con il Portafoglio dello Stato -Conti correnti coi R. Agenti all'estero e servizi relativi -Partitario dei depositi per successioni, atti e diversi -Richieste vaglia del tesoro e postali -Contabilità dei valori -Liquidazione ed approvazione delle contabilità dei R. Uffici diplomatici e consolari Servizio cambiario relativo -Liquidazione dei conti delle società dt navigazione per il rimpatrio dei nazionali indigenti -Emissione dei mandati relativi -Rendiconti delle spese relative alla assistenza militare, smobilitazione, ecc. -Servizio dei cambi -Competenze al personale -Riscontro sugli atti amministrativi dell'ufficio amministrativo ed emissione dei mandati relativi.

Capo sezione: DE SANTrs Paolo.

Segretari: CASONI Enrico, MoNTUORI Pietro, consiglieri; AsBOLLI Attilio, Tosi Emilio, SALVATI Settimio, primi segretari; CoNTI Roberto, Lo SARDO Domenico, VoLPE Mavio, segretari; URBANI FALLANI Velia, ragioniere.

Comandato: MASSIMO Luigi, capitano di fanteria.

DIVISIONE II

Riscontro degli atti amministrativi e servizio cambiario per le scuole italiane all'estero -Locali scolastici demaniali all'estero -Monte pensioni dei maestri elementari -Scritture generali e speciali -ContabiLità scolastiche mensili e varie (riscontro e liquidazione delle spese, scritture e corrispondenza relativa) -Emissione dei mandati di pagamento -Materiale scolastico -Gestioni speciali e relative scritture.

Direttore capo divisione: SENESI Alessandro. Capo sezione: N.N. Segretari: SuGLIANI Augusto, consigliere; ZAFARANA Gino, TuRA Michele, primi

segretari. Addetto all'ufficio: VIGNOLO Carlo. Comandato: ANTINUCCI Umberto, capitano di artiglieria.

DIVISIONE III

Accertamento, riscossione e versamento delLe entrate disposte dalla legge e regolamento sull'emigrazione -Scritture generali e speciali Servizio delle marche da bollo da applicarsi sugli atti di arruolamento e sulle richieste ferroviarie per i viaggi dei connazionali 1·impatrianti Liquidazione delle competenze ai RR. Cornmissm·i imbarcati in servizio di emigrazione e rimborso delle stesse da parte dei vettori -Tenuta degli impegni, emissione e registrazione dei mandati di pagamento per le spese relative ai servizi dell'emigrazione -Liquidazione ed approvazione di contabilità per le spese medesime -Fondo pensioni per gli impiegati del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione Stralcio delle contabilità di guerra -Inventari.

Direttore capo divisione: CroTTI Remigio, direttore capo di ragionevia.

Capo sezione: RrsoLnr Giuseppe Arturo, ispettore di ragioneria.

Segretari: BLANDI Silvio, MAZZA Ferrante, TEDEsco Pietro Paolo, primi segretari di ragioneria; RrccA Alfredo, segretario di ragioneria.

CONSULENTI GIURIDICI CONSULENTE GENERALE

ScrALOJA Vittorio, Senatore· del Regno, M1nistro di Stato, professore di diritto nella R. Università di Roma.

CONSULENTI

PrLOTTI Massimo, primo presidente di Corte d'Appello; GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di l" classe, consigliere di Stato; BRoccHI Igino, consigliere di Stato; MoNTAGNA Raffaele, consigliere di Stato, con titolo onorario di consigliere di legazione; ALBERTAZZI conte Enrico, consigliere di Cassazione, con titolo e rango di console generale onorario; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nel R. Istituto Superiore di scienze economiche e commerciali di Roma; CuciNOTTA Ernesto, giudice di tribunale, ilncaricato di diritto e legislazione coloniale nella R. Università di Roma.

CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Presidente: GRANDI Dino, ministro degli Affari Esteri.

Vice-presidente: ScrALOJA Vittorio, senatore nel Regno, ministro di Stato, professore di diritto nella R. Università di Roma.

Consiglieri: BARZILAI Salvatore, senatore del Regno; BERIO Adolfo, senatore del Regno, presidente di sezione del Consiglio di Stato; BoNIN LONGARE conte Lelio, ministro di Stato, ambasciatore, senatore del Regno; CAMMEO Federico, professore di diritto nella R. Università di Firenze; CAVAGLIERI Arrigo, professore di di.dtto nella R. Università di Napoli; CoNTARINI Salvator·e, ministro di Stato, ambasciatore, senatore del Regno, consigliere di Stato; CusANI CoNFALONIERI marchese Girolamo, ambasciatore; D'AMELIO Mariano, senatore del Regno, presidente della Corte di Cassazione; DE MrcHELrs Giuseppe, ambasciatore, senatore del Regno; DrENA Giulio, professore di dirttto ne'lla R. Università di Pavia; FEDOZZI Prospero, professore di diritto nella R. Università di Genova; GASPERINI Gino, presidente della Corte dei Conti; GuARIGLIA Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziariO di l" classe; IMPERIALI DI FRANCAVILLA marchese GuglieJmo, ambasciatore, senatore del Regno; LANZA DI ScALEA principe Pietro, ministro di Stato, senatore del Regno; PERLA conte Raffaele, presidente del ConsigHo di Stato a riposo, senatore del Regno; RoLANDI RICCI Vittorio, senatore del Regno, ambasciato!"e onorario; RoMANO Santi, presidente del Consigl:io di Stato; SALANDRA Antonio, professore di diritto nella R. Università di Roma, senatore del Regno; SALVAGO RAGGI marchese Giuseppe, ambasciatore, senatore del Regno; SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro pl,enipotenziario di I• classe, consigliere di Stato; SoLMI Arrigo, professore di diritto nella R. Univers~tà di PaviH, deputato al Parlamento; VALVASSORI PERONI Angelo, senatore del Regno.

Segretario generale: GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di I• classe, consigliere di Stato, incaricato di storia dei trattati e di diritto aeronautico nella R. Università di Roma.

Segretario aggiunto: N.N.

Ufficio del segretano generale: 'l'OFFOLO Giovanni Battista, vice console di 2• classe.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI PRESSO IL RE D'ITALIA

(situazione al 1o gennaio 1932)

Afganistan: HusEIN A2liz Abdul, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HAMID Abdul Aziz Khan, segretario,

Albania: N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SHTYLLA Tahir, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim).

Argentina -PEREZ Fernando, ambasciatore; LEGUIZAMON PoNDAL Honorio, consigliere; CHIAPPE Felipe, consigliere di lega21ione, primo segretario; ONETO AsTENGO Oscar, primo segretario; RAMIREZ Pedro P., tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico; BREBBIA Carlos, consigliere commerciale; SusiNI Telemaco, addetto civile.

Austria -VoN EGGER MoELLWALD Lothar, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VOLLGRUBER Alois, consigliere di legaz-ione; RoTTER Adrian, segretario di legazione; FRIEBERGER Kurt, consigliere ministeriale, addetto per la stampa.

Belgio -N.N., ambasciatol'e; PATERNOTTE DE LA VAILLÉE Alexandre, consigliere, incaricato d'affavi (ad interim).

Bolivia -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Brasile -PEçANHA Alcibiades, ambasciatore; PARANHOS DO Rio BRANCO Gastao, primo segretario; DE GALVAO BuENO Ame!'lico, secondo segretario; LATOUR Jorge, secondo segretavio; PIMENTEL DuARTE Galdino, capitano di corvetta, addetto navatle; BARBOZA CARNEIRO Julio, addetto commerciale.

Bulgaria -VoLKOFF Ivan, inviato straordtnario e ministro plenipotenziario; STOILOFF Stoil C., consigliere; STAMENOFF lvan, primo segretario; STANCIOFF Ivan, D., segretario; BALABANOFF Nicolas, segretario di legazione, capo dell'ufficio stampa; NEDEFF Nicolas, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Cecoslovacchia -MASTNY Vojtech, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SEJNOHA Jaroslav, consigliere; ZAHN-STRÀNIK Viktor, segretario;

STANE Vojtech, addetto; KRATOCHVÌL Antonin, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare ed aeronautico; PLECHATY Ladislav, segretario, addetto per la stampa; PECHÀCEK Josef, addetto per la stampa.

Cile -HuNEEus Antonio, ambasciatore; FIGUEROA Francisco, primo segretario; DEL CAMPO Carlos, addetto.

Cina -TsrANG Lu-Fo, incaricato d'affari; OuANG Raymond Y. C., primo segretario; TcHou Yin, primo segretario; CHANG Chia-Yung, terzo segretario; TCHANG Kien, addetto.

Colombia -RoBLEDO Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Cuba -IzQUIERDO Y 0RIHUELA Josè Alberto, inV1iato straordinario e ministro plenipotenziario; FoRCADE Y JoRRIN Alfonso, consigliere; EsPINOSA Miguel Angel, terzo segretario.

Danimarca -KRUSE J. C. W., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoLLIN HiaJ:mar, segretario.

Dominicana (Repubblica) -GARCIA MELLA Moisés, invia,to straordinario e rmmstro plenipotenziario; PARADAS Salvador Emilio, addetto, incaricato d'affari (ad interim); PELLERANO ALFAU Arturo J., addetto commerciale.

Egitto -SADEK Wahba pascià, inviato straordinario e ministro p1enipotenziario; KHALEK HASSOUNA Mohammed Abdel, secondo segretario; TAHER AL-0MARI Mohammed, addetto agricolo.

El Salvador (Repubblica di) -REYES GuERRA Alonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Equatore -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DILLON Luis Adriano, consigliere (assente); PESANTES Alcides, co'lonnello, addetto mHitare (assente); EsTRADA Victor Emilio, addetto commerciale (assente).

Estonia -ScHrMDT August, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANSON David, primo segretario.

Etiopia -MANGASCIÀ Wubiè, 'inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WEULDE GABRIEL Ylma, primo segretario.

Finlandia -ARTTI Kaarlo Pontus, inviato straordinario e ministro plenipotenziarjo; HA.RKONEN Halvar, segretario onorario.

Francia-DE BEAUMARCHAIS Maurice, ambasciatore; DE DAMPIERRE conte· Robert, consigliere; RocHAT Charles, primo segretario; GuÉRIN Hubert, secondo segretario; ELIE Hubert, terzo segretario; DE MENTHON conte Bernard, addetto; LELONG Albert, tenente colonnello, addetto militare; DE LA GIRAUDIÈRE Jacques, maggiore, addetto mhlitare ed aeronautico aggiunto; SANSON Pie·rre, capiltano di corvetta, addetto navale; BouRGEOIS Jean, tenente di vascello, addetto navale aggiunto; SANGUINETTI Joseph, addetto commerciale; RouMILHAC Georges, addetto finanziario.

Germania -VoN ScHUBERT Karl, ambasciatore; SMEND Hans, consigliere; VoN BuLow Dankward-Christian, consigliere di legaZìione con funzioni di primo segretario; SCHMID-KRUTINA Hermann, segretario; MARSCHALL VoN BIEBERSTEIN Viktor Heinrich, segretario; RICHTER Herbert, segretario; STROHEKER Heinrich, consigliere di commercio; BussE Walter, addetto per l'agricoltura.

Giappone -YosHIDA Shigeru, ambasciatore; OKAMOTO Takezo, consigliere; 0GAWA Noboru, secondo segr.etario; AKIYAMA Masatoshi, terzo segretario; lNOUYE Kenso, segretario interprete di seconda classe; KATSUDA Naokichi, addetto; SAKAI Yasushi, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare; lKEDA Jin, capitano di corvetta, addetto navale.

Gran Bretagna -GRAHAM sir Ronald, ambasciatore; MuRRAY John, consigliere; STEVENs H. R. G., colonnello, addetto militare; RAMSAY Robert, capitano di vascello, addetto navale; HETHERINGTON T. G., colonnello, addetto aeronautico; VILLAR G., tenente colonnello macchinista, addetto naval·e aggiunto (residente a Berlino); MuLocK E. H., consigliere d'ambasciata per gli affari commerciali; KIRKPATRICK I. A., primo segretario; Mc CLURE w: K., addetto per la stampa, con rango di primo segretario; JEBB G. H. M., secondo segretario; VAUGHAN-ScoTT W. F., secondo segretario per gH affari commerciali; LAMBERT J. H. U., terzo segretario; CREEK H. D., addetto onorario; MoNTAGU Charles Richard Wilson, addetto onorario.

Grecia -METAXAS Petros, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DALIETos Alexandros, primo segretario.

Guatemala -N. N., 'inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PALACIOS José Maria, incaricato d'affari (ad interim).

Haiti -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Hegiaz -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Jugoslavia -RAKITCH Mi:lan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ANTITCH Milan, consigliere; YAKOVLJEVITCH Vojislav, primo segretario; KNEZEVIC Nikolas, addetto; KOTNIK Cyrille addetto; VUKOTIC Jovan, ad

detto; ZAJcrc Bozidar, capo ufficio stampa; YANKOVITCH Radivoje, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e navale; SoNDERMAYER Vladislaw, maggiore, addetto aeronautico.

Lettonia -SEYA Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KAMPÈ Andrea, segretavio.

Lituania -CARNECKIS Valdemaras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILErsrs Petras, segretario.

Messico -PADILLA Ezequiel, inviato straordinario e ministro p~enipotenziario; REYES SPINDOLA Octavio, primo segretario; PERALTA CoRONEL Vicente, tenente co'lonnello di cavalleria, addetto militare.; VILLAREAL MAYA Armando, capitano di cavalleria, addetto militare aggiunto; PADILLA AviLA Jesus, capitano di artiglieria, addetto militare aggiunto; LoYo Gilberto, addetto commerciale; PATINO Emilio Alanis, addetto agronomo.

Monaco -CouGET Fernand, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Nicaragua -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia -lRGENS Johannes. inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANGENSTEN Ove C.L., primo segretario.

Paesi Bassi -PATIJN Jacob A. N., in<v:iato straordinario e ministro plenipotenziario; SrLLEM J. G. primo segretavio; VAN RrJN J. J., addetto commerciale.

Panama -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Paraguay -GuBETICH Andrès, incaricato d'affari.

Persia-N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MEDHAT MoHSEN, secondo segvetario, incaricato d'affari (ad interim).

Perù -EsPANTOso Felipe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; 0RTIZ DE ZEVALLOS Emilio, primo segretario, .incaricato d'affari (ad interim); LANATA CouDY Luis, secondo segretario.

Polonia -PRZEZDZIECKI conte Szczepan, ambasciatore; DE RoMER Taddeo, consigliere; KOMIEROWSKI Ludomir, segretario: MrcHALOWSKI conte Jozef, addetto onorario; MIKULSKI Boleslaw, consigliere commerciale.

Portogallo -DE CASTRO Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LEBBRE BARBOSA DE MAGALHAES José, primo segretario; DE BIVAR BRANDEIRO José, secondo segretario.

Romania -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZANEsco Costantin, consigliere, incaricato d'affari (ad interim); GHEORGHIU Ermil, maggiore di ·aeronautica, addetto militare ed aeronautico; NICULEscu Giorgio, comandante, addetto naval•e; PORN Eugenio, consigliere commerciale; IsoPEsco Claudio, addetto onorario per la stampa.

Santa Sede -BoRGONGINI DucA monsignor Francesco, arcivescovo di Eraclea, nunzio apostolico; TESTA monsignor Gustavo, consigliere; SERENA monsignor Carlo, uditore.

Siam -N. N., inviato straordinario ·e ministro pl,enipotenziario; BAHIDDHA NuKARA Phra, pl'imo segretario, incaricato d'affari (ad interim); MAITRIRAKS Luang Saman, primo segretario; LADAKAVAD Luang, addetto.

Spagna -ALOMAR Gabriel, ambasciatore; DE MuNs Francisco, ministro plenipotenziario di terza classe, ·incaricato d'affari (ad interim); Mu:Noz Alvaro, primo segretario; JORRO Jaime, segretario; DE LA GÀNDARA José, addetto onoral'io; CARRAsco Manuel, addetto onorario; FIGUEROA Eduardo, addetto onorario; NAVARRO Enrique, capitano di corvetta, addetto navale; BADIA Carlos, consigliere comme·rciale (residente a Parigi).

Stati Uniti d'America -GARRETT John Work, ambasciatore; KIRK Alexander C., consigliere; MILNE Mac Ginivray, capitano di vascello, addetto navale; Mc. CABE E. R. Warner, colonnello, addetto militare ed aeronautico; MITCHELL Mowatt M., addetto commerciale; TITTMANN Harold H., primo segretario; PENNOYER Frederick W. Jr., luogotenente comandante, addetto navale aggiunto; BRADY Francis N., capitano, addetto militare ed aeronautico aggiunto; HANSON Ralph Trowbridge, capitano di fregata, genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra); HINMAN BRYANT Eliot, tenente di vascello, addetto navale aggiunto (residente a Berlino); CHAPIN Selden, terzo segretario.

Sud Africa (Unione del) -PIENAAR Barend Jacobus, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HEYMANS Albert, primo segretario.

Svezia -SJOBORG Erik, inviato straordinario e ministro p1enipotenziario; ARNANDER Folke, primo segretario.

Svizzera -WAGNIÈRE Georges, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BROYE Eugène, consigliere; DE BAVIER Charles-Edouard, primo segretario; REZZONICO Clemente, primo segretario.

Tu1·chia -SuAD bey Muhtar, ambasciatore; KADRI bey Riza, consigHel'e; RECHIT bey Mehmet, primo segretario; FEHMI bey Mustafa, terzo segretario; TAHSIN bey Hassan, tenente colonnello di fantel'ia, addetto militare ed aeronautico; KAZIM bey Omer, capitano di corvetta, addetto navale.

Ungheria -DE HoRY Andras, inviato straordinario e ministro plenipotenziatio; DE WoniANER Andras, consigliere; DE Lu:KAcs-KrRALDY Gyorgy, primo segretario; LAHNE Andras, segretario; TELEKI conte Gyula, addetto; ScarNDLER Costantin, colonneHo del genio, addetto militare; HuszKA Istvan, addetto stampa

Unione delle RepubbLiche Sovietiche SociaListe -KuRs:KY Dimitry, ambasciatore; RoSENBERG Marcello, consigliere; ERDMANN Boris, secondo segretario; WEINBERG Haim, secondo segretario; TRUDOLIUBOFF Valentin, addetto militare ed aeronautico; ANZIP-CIKUNSKI Lew, addetto navale·; LEVENSON Michail, rappresentante commerciale.

Uruguay -RAMON GuERRA Ubaldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRUNWALDT CuEsTAs Federico, primo segretario; DE CASTRO Julio, addetto commerciale onoravio.

Venezuela -PARRA-PÉREZ Caracc.iolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAsAs BRICENO J. M., consigliere; RoJAS Hugo, addetto.